La posizione generale del cristiano
di fronte alle teorie dell'evoluzionismo
Il cristiano non ha mai accusato nessuna delegittimazione dei
testi biblici della Genesi di fronte alle teorie evoluzioniste, per la
ragione che la fede cristiana parte dall'incontro con Cristo. Non si può mettere
a confronto l'evento ebraico-cristiano con una teoria, che è ancora una teoria,
per concludere che la scienza ha intaccato
l'evento storico-biblico. E' certezza della Chiesa che una verità scientifica,
una volta veramente accertata, non si oppone alla Scrittura, in quello che la
Scrittura vuole veramente dire.
L'idea di evoluzione è in piena sintonia con il testo biblico (Gn
1,1-31), che presenta una successione nel tempo delle opere create, che vanno
dal meno perfetto al più perfetto. Prima il mondo vegetale (terzo giorno), poi
i pesci e gli uccelli (quinto giorno), poi gli animali terrestri con al vertice
l'uomo fatto ad immagine e somiglianza con Dio (sesto giorno).
Sull'evoluzione
si hanno due visioni a confronto: quella evoluzionista e quella creazionista
L'evoluzionismo
Georges Luis Leclerc
Buffon (1707-1788) è il precursore dell'evoluzionismo. Segue Jean Baptiste de
Monnet de Lamarck (1744-1829), il vero fondatore dell'evoluzionismo. Lamarck
venne confutato da Gerigie Cuvier (1769-1832).
Seguì Charles Robert
Darwin (1809-1882), che trovò in Ernst Haeckel (1834-1919), materialista, areligioso, il più fanatico sostenitore.
La teoria di Lamarck
considerava che l'uso fortifica e sviluppa un organo, mentre il contrario lo
atrofizza facendolo alla fine scomparire. Vero è che l'organo esercitato
mantiene e sviluppa la sua funzionalità, ma una nuova formazione di organi non
è prodotta dalla funzione, che non è l'autrice dell'organo, ma il
fatto finale a cui tutto è predisposto. Il secondo punto di Lamarck è che tutto
ciò che è avvenuto in un vivente circa lo sviluppo d'organo e di funzione o di estinzione d'organo
e di cessazione di funzione, si trasmette con la generazione ai nuovi
individui. Contro ciò si oppone il fatto che si trasmettono solo i caratteri
genetici. Tutta la teoria di Lamarck poggia sull'adattamento all'ambiente.
L'animale si trasforma sottoposto alle sollecitazioni ambientali e, nel desiderio
di sopravvivere, forma gli organi adatti. Vero è che si deve considerare
una capacità di adattamento dell'animale all'ambiente, ma non è vero che ciò
produca l'evoluzione della specie. La teoria di Lamarck (1809) ebbe poca
fortuna.
Darwin (1859) e
Alfred Russel Wallace (1823-1913), in accordo con le tesi di Thomas Robert
Malthus (1766-1834), introdussero nel mondo animale i concetti di lotta per la
vita e di selezione in un determinato ambiente. Questo in sostanza il loro
discorso: I viventi tendono per loro natura a crescere di numero in modo
esponenziale, ma, poiché l'ambiente offre risorse finite, essi lo saturano ben
presto, dopodiché ogni popolazione è costretta a perdere per morte prematura
un'aliquota di nati di ciascuna generazione.
Darwin, invece di
puntare come Lamarck sul desiderio interno del vivente all'esistenza, su
fattori interni, puntò sulla selezione naturale e la lotta per l'esistenza. Da
ciò l'evoluzione della specie. Così scrisse nella sua opera “Sull'origine
della specie”: “La selezione naturale agisce in modo da accumulare in
una determinata direzione le differenze d'organizzazione, rendendo queste
differenze sempre maggiori sino alla formazione d'una specie nuova”. Ma la
selezione naturale non è creatrice di nulla e così Darwin dovette anche parlare
di “accumulo in una determinata direzione”, cioè in definitiva di un disegno
nel vivente (per questo Darwin non giunse a diventare un militante
dell'ateismo). L'impostazione di Darwin, che considera selezione e accumulo
in una determinata direzione, può esercitarsi solo nella varietà di una
specie ma non nella formazione di una nuova specie, e quindi dell'imponente
fenomeno dell'apparire dello sterminato numero di specie vegetali e animali
lungo l'arco dei milioni di anni.
August Weissman
(1834-1914) nel 1885, andando oltre Darwin, osservò che solo le modificazioni
che intaccano il plasma germinativo, e non tutto il corpo, sono trasmissibili.
Hugo de Vries (1848-1935) nel 1903, dopo aver studiato le mutazioni di in
moscerino, la Drosophila melanogaster - che per queste mutazioni non cambiava
però la sua specie - parlò nettamente, sconfinando da quanto gli davano le sue
esperienze, di brusche mutazioni genetiche capaci di creare nuove specie.
Thomas Hunt Morgan (1866-1945) nel 1908 cominciò a sottoporre la Drosofila
melanogaster a ogni genere di esperimenti: fame, sete, caldo, freddo, raggi
Rontgen, infrarossi, ultravioletti, luminosi, e altri. In trent’anni di
esperimenti giunse ad avere un migliaio di mutazioni, ma nessuna fece apparire
un organo nuovo, il formarsi di un'entità che potesse suggerire una macroevoluzione.
Si ebbero ali più grandi o più piccole, occhi bianchi o rossi, peli lunghi o
corti, zampe in numero di sei o dodici, ecc., ma con la particolarità che la
maggior parte delle mutazioni erano debilitanti.
Le acquisizioni della
genetica, sconosciute al tempo di Darwin, portarono così all'avvento del
neodarwinismo, che oggi si preferisce definire neo-evoluzionismo. Esso
pone a monte della selezione naturale l'apporto di casuali, piccole,
anche minime, mutazioni genetiche, e come tali ereditarie, affermando che
queste micromutazioni genetiche, nel decorso del tempo e sotto il vaglio
della selezione naturale - sottolineata grandemente da Darwin - hanno
prodotto le macroevoluzioni. Questa teoria è stata chiamata "teoria
sintetica".
Evoluzionismo ateo
(autoevoluzionismo) ed evoluzionismo teista
L'evoluzionismo
è stato usato, ed è usato, come una prova della non esistenza di Dio, e in
questo caso va definito autoevoluzionismo, ma esso è stato anche inteso
come compatibile con una
lettura teista, alla condizione che la prima cellula
(monofiletismo), o le prime cellule (polifiletismo), siano state create da Dio.
Dal primordiale impianto poi sarebbero scaturiti tutti gli altri esseri
viventi. L'impianto teista, dovendo scartare il caso, poiché si sarebbe dovuto
eliminare un programma creativo divino, pensò ad una programmazione intrinseca
ai viventi.
L'evoluzionismo teista, quanto
alla creazione dell'uomo, pur facendolo derivare dall'animale, afferma un
salto sostanziale, una trasformazione sostanziale, dall'animale
all'uomo, essendo l'uomo un essere dotato di anima razionale, e quindi con un
corpo idoneo a riceverla e a formare con essa l'unità uomo.
E pensò ad un
passaggio morfologico graduale, linearmente ascendente, tra la
scimmia e l'uomo, programmato da Dio, con mutazione sostanziale finale ad opera
di Dio per avere, appunto, l'uomo.
La soluzione teista dell'intima
programmazione dei viventi è sempre stata scientificamente generica, nella sua
formulazione, poiché è oggettivamente impensabile che le prime rudimentali
cellule avessero la totipotenza, che meglio si dovrebbe dire onnipotenza,
di dare il via a tutto il mondo vivente, nelle sue varie forme, sotto l'azione
delle cause ambientali, in una sorta di armonia complessiva con l'evolversi
delle forme viventi. La soluzione teista è piuttosto uno sguardo filosofico che
salva l'esistenza di Dio creatore. La ragione dominante della persistenza di
questo pensiero evoluzionista-teista è certamente dovuta al prestigio avuto dal
gesuita Pierre Teilhard de Chardin (1881-1955). I suoi scritti teologici
subirono il rifiuto della Santa Sede (Cf. Osservatore Romano, 30 agosto
1962). Anche la sua carriera di paleontologo, che peraltro ha meriti
scientifici, è stata recentemente offuscata dal riconoscimento del suo
coinvolgimento nel clamoroso falso esposto nel British Museum. Furono il
geologo Charles Dawson e il direttore del dipartimento di geologia del British
Museum, Artur Smith Woodward, che annunciarono al mondo intero che a Piltdown
nel Sussex era stato trovato l'anello mancante tra l'uomo e la scimmia.
Teilhard de Chardin, che aveva lavorato con Dawson fin dal 1908 e già era un
personaggio discusso, andò sul luogo e trovò un dente di scimmia e bevve
una buona sorsata della panzana ordita dai due; di conseguenza finì sulla
cattedra universitaria di geologia a Parigi. L'Homo Piltdowni venne completato in
tutte le sue parti con cartapesta e fu collocato nel British Museum. Unici
elementi ossei erano un pezzo di calotta cranica umana e una mandibola
scimmiesca. Per quarant'anni le scolaresche andarono a vedere l'Homo Piltdowni.
Poi nel 1953 si seppe che la mascella era di un orango morto di recente: i
condili erano stati limati per farli combaciare con il cranio e i denti erano
stati invecchiati col pennello. Gli inventori dell'Homo Piltdowni
dissero anche di avere trovato accanto ai reperti un femore di Mammuth lavorato per farne una mazza, certamente
usata dal loro Homo; ma l'osso di Mammut era stato sottratto al Museum da un
certo Martin A. Hinton, che lo limò e lo seppellì nella zona degli scavi, e poi
fu oggetto di ritrovamento.
Darwin aveva profetato che
dovevano esserci delle forme intermedie, un anello tra l'uomo e la scimmia, e
non trovandolo lo si costruì, in fede al dogma Darwiniano.
Pierre
Teilhard de Chardin ebbe il merito, insieme ad altri, di ritenere la “teoria
sintetica” o “neo-evoluzionismo” insufficiente a spiegare le
macroevoluzioni, e, da teista,
sostenne la
presenza di un programma finalistico, agente per mezzo delle leggi della
natura, per la formazione delle macroevoluzioni. La sua posizione è
però aerea perché dovette pensare alla presenza di cellule iniziali onnipotenti
- il che non trova nessun corrispondente scientifico -, atte a dare il via allo
svolgimento di un programmato disegno di formazione di tutte le specie viventi,
per scatto impresso dalle leggi della natura. Pierre Theilard de
Chardin lasciò il rigoroso pensiero scientifico per una sorta di misticismo
della materia, dove, pur affermando la trascendenza divina, Dio si trova in
qualche vago modo incorporato all'universo, come azione unificatrice
dell'evoluzione: “L'action unificatrice de Dieu”. Giunse così a una
forma di panteismo, che pensa l'onnipotenza divina immanente la materia
biologica per una evoluzione pilotata dall'interno della materia biologica
stessa. Theilard de Chardin viene a porre le cause seconde come assorbite nella
causa prima, cioè Dio, cioè senza un pieno rispetto della loro propria
autonomia.
Esiste oggi un evoluzionismo teista (Cf. Fiorenzo
Facchini, limitatamente all'uomo: “Il cammino dell'evoluzione umana, le
scoperte e i dibattiti della paleantropologia” ed. Jaca Book, 1985; "Evoluzione,
uomo e ambiente, lineamenti di antropologia", ed. UTET, 1988; “Origini dell'uomo ed evoluzione culturale”, ed. Jaka Book
2002; prefazione a “Il dono di Darwin alla scienza e alla religione”, ed. Jaka
Book-san Paolo, 2009 di Francisco José Ayala;
vari articoli sul giornale Avvenire) che accoglie, almeno tendenzialmente, la “teoria
sintetica”. Si distanzia, tuttavia, dal panteismo di Teilhard de Chardin e anche dal caso per non
dover rinunciare al finalismo, e attribuirlo ad un sovrano potere della
selezione naturale, che indubbiamente esiste quanto alla formazione delle
varietà e alla conservazione della specie, ma non alla formazione delle specie.
In questa visione non si ha più l'onnipotenza divina
in una simbiosi panteistica con la realtà vivente alla Teilhard de Chardin, ma
un disegno divino iscritto nella materia vivente, così da renderla capace
di dare il via, e sostenere, il processo gigantesco dell'evoluzione. La prima
cellula avrebbe in sé, in germe, gli svolgimenti successivi, sui quali
agirà l'ambiente e anche la selezione naturale, ma non in maniera totalmente determinante; in
tal modo vengono evitate le macromutazioni affidate al caso, e quindi l'assurdo di
un disegno senza un disegnatore (Francisco José Ayala op. citata, pag. 54s).
L'evoluzionismo teista, affermando che c'è un Disegnatore, si dichiara in una
posizione teologicamente rispettosa del magistero della Chiesa, ma appare distante
dal concreto dei fatti, disattendendo, così, le indicazioni di Giovanni Paolo II (22
Ottobre 1996): “La teoria dimostra la sua validità nella misura in cui è
suscettibile di verifica; è costantemente valutata a livello dei fatti; laddove
non viene dimostrata dai fatti, manifesta i suoi limiti e la sua inadeguatezza".
Per la problematica della formazione del corpo dell'uomo si pensa ad un phylum
(si usa anche l'adattamento fylum - filo > latino: filum - in italiano, tedesco, olandese,
spagnolo, portoghese, svedese.... Phylum deriva dal greco phylai: "clan, tribù, gente")
specializzato che porta all'uomo, ma le risultanze fossili presentano nel genere australopithecus una complessità inestricabile per cui tale phylum rappresenta
solo una pura ipotesi.
Una posizione curiosa occupa Etienne Gilson (1884-1978) autore di
(“Biofilosofia da Aristotile a Darwin e ritorno”, Parigi 1971, ed.
Marietti 2003, traduzione in italiano di Silvia Corradini). Egli si pone nel
dibattito considerando il tema dell'evoluzione alla luce del finalismo di
Aristotile. Ogni essere singolo tende al conseguimento di una certa struttura o
forma. La natura, una volta costituita, tende al conseguimento della perfezione
a cui è destinata. C'è una “vis” che spinge gli enti a raggiungere quella
perfezione che li costituisce nella loro specificità. Lo sviluppo di un essere
vivente (embrione) manifesta infatti un piano intrinseco alla
formazione di un vivente. Il vivente, che poi cresce, agisce realizzando la
propria specificità. Etienne, con ciò, non è un innovatore poiché il finalismo,
in chiave teista, era già stato espresso.
Posta la
nozione di finalità, Etienne Gilson introduce, al termine del suo saggio, la
considerazione, stiracchiando Darwin e raccogliendo le perplessità di Lamarck,
che non ha senso parlare di specie, ma solo di individui, pur ammettendo
l'evidenza che “nessuno ha esitazioni nel distinguere un individuo della
specie rondine da un individuo della specie elefante” (pag. 227). Darwin,
rileva Etienne Gilson, giunse a dire che la specie è un ente ideale, ma Darwin
lo disse più che per la complessità delle classificazioni per il fatto che le
paratie delle specie erano di imbarazzo alla sua teoria. Darwin, tuttavia,
non nega che ci siano le specie, sostenendo che esse si sono avute nel tempo
come mutazioni sostanziali da una specie ad un'altra, attraverso la selezione,
ecc. Ovviamente, il finalismo di Etienne non può accettare il caso e la selezione
di Darwin. Etienne Gilson considera l'azione delle cause seconde e le
valuta compenetrate da un finalismo impresso da Dio, ma con ciò crea lo spazio
al pensiero che esiste la realtà di una materia vivente che, procedente da Dio,
è capace di finalizzarsi sotto la spinta delle cause seconde producendo delle
forme viventi che sono manifestazioni di se stessa. Etienne Gilson
inconsapevolmente, mentre critica ed esamina il tema
evoluzione/generazione/creazione per aprire ad orizzonti più profondi e chiari,
sospinge il finalismo all'idea di una plurimanifestazione della materia vivente
in molteplici forme, quasi fossero senza individua identità sostanziale.
Il creazionismo
Nel passato il
creazionismo è stato polemicamente chiamato fissismo dagli evoluzionisti, che si
sono compiaciuti di relegarlo alla narrazione dei sette giorni della Genesi,
considerata in ottuso contrasto con l'amplissimo svolgersi delle ere e
l'apparire nel tempo delle varie specie (Cf. Etienne Gilson “Biofilosofia da Aristotile a Darwin”, Genova-Milano, ed. Marietti 1820, 2003; “si
potrebbe dire che è il trasformismo che ha creato il fissismo” (pag.
53). Il fissismo ha avuto come
promotore Carl von Linné (Linneo) (1707-1778), che affermava che le specie che
esistono attualmente sono quelle stesse che esistevano all'origine del mondo (“Tot
numeramus species quot primum creavit infinitum Ens”).
Il creazionismo non
è oggi così elementare, ha forti argomenti capaci di mettere in minoranza
l'evoluzionismo, di fronte alla dominante diffusione di esso, ma deve stare
attento a non essere condotto ad uno scontro tra religione e scienza, tra fede
e scienza, in una esclusione della ragione, il che avrebbe come risultato lo
scetticismo. E' infatti quello che è stato fatto in passato e ancora lo si fa
(Cf. Le Scienze n° 446, Ottobre 2005, pag. 43).
Su questo terreno
nessun vero credente può lasciarsi impantanare, dal momento che la ragione non
è affatto obnobulata dalla fede, ma anzi avere fede significa avere vigore
di mente.
La vera scienza non
è in contrasto con la fede, anzi ha bisogno di ragione e fede, per non cadere
nell'antro della negazione della stessa ragione.
Il creazionismo si
basa su tre punti:
1) Piena accettazione del dato
che le varie specie sono apparse sulla terra non
contemporaneamente,
ma in successione, passando mediamente dalle più semplici a quelle più
complesse. 2) Rifiuto di maggiorare le microevoluzioni fino a
farle diventare macroevoluzioni, cioè produttrici di specie da una
specie. 3) Rifiuto dell'autoevoluzionismo.
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