Le
forme autralopitecine
(australopiteci,
cioè scimmie del sud, perché rinvenute in Africa, tra l'equatore e il polo
sud)
Ardipithecus kadabba
Ardipithecus ramidus
Australopiteco
(Australopithecus)
africanus
(1924.36.47)
Australopiteco
(Australopithecus) robustus (1938)
Australopiteco
(Australopithecus) boisei (1959)
Australopiteco
(Australopithecus) anamensis (1965.95)
Australopiteco
(Australopithecus) aehtiopicus (1985)
Australopiteco
(Australopithecus) afarensis (1973,
Lucy; 2000, Selam)
Australopiteco
(Australopithecus)
bahrelghazali (1995)
Australopiteco
(Austraolopithecus)
garhi (1996)
Australopiteco
(Australopithecus) sediba (2008.10)
Orrorin tugenensis
Sahelanthropus tchadensis
Gli evoluzionisti
Donald Jhonson e Tim White, dopo il ritrovamento di Lucy (un fossile così
nominato), hanno pensato all'Australopithecus afarensis come linea verso l'uomo,
ed evoluzionisti come Ronald Clarch, Filis Tobias, precisavano che da Lucy
procedeva l'Australopithecus africanus (detto anche Australopiteco gracile; h.
130 cm., capacità cranica 420-500 cc.), ma Lee Berger, in particolare, è giunto
alla conclusione che l'andatura di A. africanus era più vicina al modello delle
scimmie antropomorfe di quanto non lo fosse quella di Lucy e così è caduta
l'idea che l'Afarensis avesse dato origine,
per via di una divaricazione di
phylum (si usa anche l'adattamento fylum
- filo > latino: filum -,
in italiano, tedesco, olandese,
spagnolo, portoghese, svedese...
Phylum
deriva dal greco phylai: "clan, tribù, gente"), all'Africanus, come pensavano
Donald Jhonson e Tim White. Ma tutto è stato poi messo in serie difficoltà da
successive scoperte fossili, quali Australopithecus aehtiopicus (1985),
Australopithecus bahrelghazali (1995), Australopithecus anamensis (1965.1995),
Austraolopithecus garhi (1996), Keniantropus platyops (1999). Risulta, infatti,
un vasto “cespuglio” di forme nel quale trovare una linea di evoluzione
verso l'uomo. E’ questa un'impresa che conduce solo a dire dei “forse”, dei “si pensa”, dei “potrebbe”,
senza poter mai esibire gli ipotetici “anelli mancanti”, pur cercati a
non finire. Qualcuno ha accennato ad Australopitecus anamensis, contemporaneo
dell'Afarensis e molto più massiccio di lui, e pensa che l'Anamensis sia
l'antenato - per così dire - dell'Afarensis, ma sono solo pure supposizioni.
Gli austalopiteci
avevano un'andatura eretta, ma non perfettamente, adatta
all'habitat in cui vivevano, la savana con rari alberi dove si rifugiavano in
presenza di predatori. Normalmente vivevano a terra, al contrario delle scimmie
antropomorfe idonee per una vita continuata sugli alberi. Si cibavano di larve,
bacche, insetti, radici. Nel 1994 un gruppo dell'Università di Liverpool, in
Inghilterra, studiò l'andatura degli
australopiteci includendo per essi, oltre una locomozione bipede non perfetta,
anche una locomozione quadrumene. (Fred Spoor, Bernard Wood, Frans Zonneveld, "Implication of Early
Hominid Labryntine Morphology for Evolution of Human Bipedal Locomotion",
Nature, n° 369, june 23, 1994, pag. 645-648).
La pelvi ha una
conformazione umanoide, a differenza delle scimmie antropomorfe che l'hanno
allungata, pienamente adatta ad un andatura quadrumene, ma nessun
australopiteco, pur nella posizione eretta, fu mai in grado di avere la stessa
postura eretta dell'uomo e quindi lo stesso incedere. Infatti la pelvi è poco
incavata rispetto a quella dell'uomo, così come la forma del collo del femore,
arrotondata nell'uomo, è piatta negli australopiteci. L'acrominon (dati su Lucy, ma generalizzabili)
risulta piuttosto mobile, adatto per un arrampicatore.
La camminata
quadrumene la doveva avere nella ricerca di cibo a terra, utilizzando le mani
chiuse a pugno, così come il gibbone e l'orango, che camminano sulle nocche, ma
spesso camminano pure con mani chiuse a pugno.
Le dita della mano
dell'australopiteco rispetto a quelle di uno scimpanzé, capace di dondolarsi
attaccato ad un ramo, sono piuttosto corte. Le dita sono poi più curvate che
nell'uomo. Il pollice è posto più frontalmente all'indice di quanto si ha nello
scimpanzé. Studiando gli attacchi muscolari si è dedotto che la mano aveva una
scarsa “presa di forza”, mentre aveva una sufficiente presa di precisione (Cf.
“Lucy, le origini dell'umanità”, pag. 340). Con ciò si ha una presa
adatta alla raccolta di frutti, con inoltre la capacità di scavo per
raggiungere radici per l'alimentazione. Mancando una vera presa di forza non è
attribuibile all'australopiteco l'industria litica ritrovata a Odulvai
(Etiopia).
Le dimensioni delle
braccia e delle gambe non li allontanano da una conformazione pitecoide.
La capacità cranica
oscilla, per le varie specie, tra i 430 e i 500 cc. L'altezza si aggira tra i
130 cm. (australopiteco gracile) e i 150 cm. (australopiteco robusto).
Gli australopiteci mostrano un calcagno umaniforme, ma
dita piuttosto lunghe, tali da essere confuse con quelle di una mano. Le dita
del piede sono leggermente arcuate, in analogia alle antropomorfe, il che fa
pensare che fossero adatte alla rapida salita di alberi di media grandezza;
l'alluce non è totalmente allineato.
Il ricercatore
evoluzionista Bruce Latimer, studioso dei reperti ossei di un piede pressoché
integro di Afarensis, che dovrebbe essere il piede più vicino all'uomo, dice
(Cf. Lucy, le origini dell'umanità, pag 338): “Non è necessariamente
qualcosa in transizione, non è instradato da un piano evoluzionistico a un
altro più alto”. Latimer poi non si dichiara in grado di dire quando e come
si evolse quel piede di Afarensis. Si profetò che erano necessari ancora una
decina di anni per avere le risposte a questi quesiti (Cf. "Lucy, le origini
dell'umanità", D. Johanson, M.Edey, Oscar Mondadori, 1981, pag. 343), ma sono
già passati una quarantina d'anni e ancora nulla, nemmeno sull'orizzonte.
I reperti fossili
del cranio degli australopiteci hanno caratteri scimmieschi. Le ricostruzioni
muscolari sui reperti, e quindi la ricerca dei lineamenti reali, non forniscono
conclusioni plausibili. L'antropologo-artista Jay Matternes ha fornito
“ricostruzioni”, su fossili del cranio di Afarensis e di altri australopiteci,
tuttavia concludendo (Cf. "Lucy, le origini dell'umanità", D. Johanson,
M.Edey, Oscar Mondadori, 1981, pag. 343): “non c'è modo di dire esattamente
che forma avesse un naso o come si distribuisse il pelo sulla faccia“.
Famoso è il reperto
dell'Australopithecus “Lucy” (Australopithecus afarensis) rinvenuto nel 1974 ad
Hadar, in Etiopia, e risalente ad un tre milioni di anni fa.
L'arco di
esistenza degli
australopiteci va da 6-4 milioni a un milione di anni fa.
I ritrovamenti del Sud Africa sono avvenuti scavando in fessure calcaree
(grotte) e hanno datazioni tra 3,3 e 2,9 milioni di anni fa. I reperti della
Tanzania, Kenya, Etiopia sono relativi alle aree degli strati affiorati coi
fenomeni di erosione fluviale e hanno datazioni tra 2,2 e 1,2 milioni di anni
fa. Ma i ritrovamenti di Lukeino (Orrorin tugenensis), Chemeron, Lothagam -
tutte località del Kenya - hanno datazioni tra 5 e 6 milioni di anni fa.
Ovviamente si dovrebbe avere una
scannerizzazione
del territorio molto più vasta per avere un quadro adeguato del “cespuglio
australopiteci”, sia riguardo alle specie che alle varietà, sia riguardo
alla cronologia.
Lo scompiglio filetico
del Pierolapitecus
catalanus (pierolapithecus catalan o pierolapithecus catalanicus o pierolapithecus catalaunicus)
La presenza degli
australopiteci è attestata sicuramente nell'Africa del sud e nell'Africa
orientale nel Plio-Pleistocene. Ma, la rivista Science del 18 Novenmbre 2004 ha pubblicato il ritrovamento, nei
pressi di Barcellona (Spagna) di una scimmia antropomorfa, denominata
Pierolapitecus catalanus, vissuta 13 milioni di anni fa, in pieno Miocene,
ponendo così il problema del perché sia stata ritrovata in Europa e non in
Africa. Al di là di questo grosso
problema, il paleontologo Salvador Moyà-Solà, dell'Istituto di Paleontologia
Miguel Crusafont di Sabadell (Barcellona) ha detto che la nuova specie potrebbe
essere stata imparentata da vicino con l'ultimo antenato di tutte le grandi
scimmie, che oggi comprendono orangutan, scimpanzé, gorilla e - per lui
evoluzionista - uomini. La scimmia (Pierola è il nome del Comune dove è
avvenuto il ritrovamento), alta 1,23 m. e del peso di 35 kg. è
testimoniata da 83 frammenti ossei, tra cui il cranio, alcune costole, vertebre
e articolazioni delle mani. Probabilmente era un maschio. Aveva cranio piccolo,
incisivi pronunciati, mani come quelle di uno scimpanzé, piedi prensili,
capacità di postura eretta, ma non obbligatoria: sostanzialmente un quadrumane.
Il ritrovamento è stato presentato dalla pubblicistica evoluzionista come “anello
mancante”, addirittura come “aspettato”, ma in realtà è un fossile
sorpresa per tutti, che rimette in moto certezze acquisite, anche perché, per i
phylum (o anche fylum) elaborati, sarebbe stato meglio trovarlo in Africa che in Europa.
Ma anche in questo caso non sarebbe un cosiddetto “anello mancante”,
mitico testimone dell'esattezza dell'evoluzionismo. In ogni modo il Pierolapithecus
catalanus viene a complicare l'idea evoluzionista che il
phylum che
porta all'uomo sia africano. L'opinione africana è una buona opinione, ma non è
un dogma.
Prospetto Homo
Il prospetto da
Homo habilis fino a
Homo
floreriensis è quello proposto
comunemente in campo scientifico. Le
orme di
Laetoli, la
mandibola LD
350-1 e la
mascella
A.L.666-1, il
Kenyantropus
platyops, indicano la
presenza di Homo, e secondo questo lavoro nel senso creazionista. Le
orme di
Laetoli, infatti, non sono
per nulla di australopiteco afarensis, come si vuole dire per far
tornare i conti dei propri phylum, ma sono invece pienamente umane,
come tanti che le hanno verificate sul posto affermano senza esitazione, e del
resto non manca materiale fotografico convincente.
La
mandibola LD
350-1. Il fossile è stato
ritrovato nella regione di Afar (Etiopia), area Ledi-Geraru. L’autore del
ritrovamento (2013) è un ricercatore dell’Arizona State University. Il
fossile è stato datato, in base agli strati di sedimentazione, tra i 2,8 e i
2,75 milioni di anni fa. Consiste nell’arcata sinistra della mandibola, con
cinque denti. I piccoli molari, i premolari simmetrici e la mandibola
proporzionata, sono stati riconosciuti Homo.
La
mascella
A.L.666-1 è normalmente
sottaciuta, ma è umana e moderna.
Il
Keniantropus
platyops WT 4000 ((3,5
milioni di anni fa) crea problemi per la sua faccia piatta e moderna, vicina
a Homo rudulfensis KMN ER 1470 e distante da quella di afarensis
(Lucy è a 3,2 milioni di anni fa), ed è contemporaneo alle orme di Laetoli
(3,5 milioni di anni fa). La sua capacità cranica è bassa, ma se viene
paragonata a quella di
Homo
floreriensis, che è indubbiamente
un uomo, è difficile sostenere che
Kenyanthropus platyops non era un Homo: un
uomo dalle fattezze avvilite. E’ indicativo che presso il sito Lomekwi 3 sul
lago Turkana in Kenya sia stato ritrovato (2015) un utensile a 3,3 milioni
di anni fa. Con ciò si è nella datazione delle orme di Laetoli, e di
Keniantropus
platyops, ritrovato a
Lomekwi.
Risulta così
pertinente e doveroso inserire nel prospetto Homo anche questi reperti.
Le denominazioni dei
vari fossili, entrate nell'uso comune, vanno prese così come si sono
affermate, anche se poi tutti sono degli erectus.
Orme di Laetoli a sud di Olduvai,
Tanzania (3,5 milioni di anni fa; perfettamente umana. In “News Scientist”,
vol. 115, 1979, pag. 196-197; “The Beginnis of humankind”, Donald
Johanson & M.A.Edey, Simon & Schusters, 1981, pag. 250; “New Scientist”,
vol. 98, 1983, pag. 373; “Lucy, le origini dell'umanità”, pag. 243;
“Natural History”, Russel H. Tuttle, March, 1990, pag. 61-64).
Kenyanthropus platyops WT 4000
a Lomekwi, Kenia (3,5 milioni di anni fa, capacità cranica
circa 450 cc) Indubbiamente somigliante a
Homo rudolfensis KMN ER 1470.
La
mandibola LD 350-1, Ritrovata
nella regione di Afar; dove era presente l’australopithecus afarensis. La
mandibola è datata tra i 2,8 e i 2,75 milioni di anni fa.
La
mascella A.L.666-1 ad Hadar,
regione di Afar, Etiopia (2,3 milioni di anni fa. In “From Lucy, to
Language”. Donald Johanson, Blake Edgar, ed. Simon & Schuster, 1996,
pag. 169). Nella zona di Hadar (2,5/2,6 milioni di anni fa) si è trovata
un'industria della pietra alquanto migliore di quella Ovuldiana (“Lucy,
le origini dell'umanità”, D. Johanson, M.Edey, Oscar Mondadori, 1981,
pag. 224).
Homo habilis (fra 2,5 e 1,5 milioni di
anni fa; capacità cranica oscillante sui 650 cc.
Homo rudolfensis (2 milioni di anni fa, capacità cranica 770-775 cc.).
Homo ergaster (fra 2 milioni e 600 mila anni fa, capacità cranica 804 cc., 850 cc.
e 900 cc.).
Homo erectus (fra 1,7 milioni e 50 mila anni fa: nel
fiume Solo a Java, capacità cranica 800 cc., 1225 cc.).
Homo georgicus (1,8 milioni di anni fa, capacità cranica - soggetto giovane -
600 cc.).
Homo antecessor (780 mila anni fa, capacità cranica - soggetto giovane - 1000
cc.).
Homo heidelbergensis (fra 800 mila e 200 mila anni fa, capacità cranica fino a 1600
cc).
Homo sapiens arcaicus (fra 500 mila e 130 mila anni fa, capacità cranica 1200 cc.).
Homo neanderthalensis (fra 250 mila e 30 mila anni fa, capacità cranica in media 1450
cc., 1800 cc. o più).
Homo naledi
(236.000/235.000 mila anni fa, capacità cranica 610 cc.).
Homo sapiens (da 200 mila anni fa ad oggi, capacità
cranica 1040 cc., 1595 cc.). Homo denisova
(fra 160.000 e 40.000 anni fa). Homo longi o harbin (146.000 anni fa, capacità cracica 1420 cc).
Homo floresiensis
or
floriensis or florensis
(isola di Flores, est di Bali, Indonesia. 18 mila anni fa;
pienamente Homo, capacità cranica 380 cc.).
Ovviamente questa è
una minima parte di tutto quello che è sepolto.
Indizi che ci daranno
ancora sorprese ci vengono da reperti litici presenti in vari siti Europei,
genericamente attribuiti all'Homo erectus, ma senza aver ritrovato fossili. A
Sandalia (Iugoslavia), i reperti litici risalgono a 1,5 milioni di anni, a
Rochelambert (Francia) a 2 milioni di anni, a Saint-Vallier (Francia) a 1,8
milioni di anni, ecc. Queste datazioni sono state ottenute attraverso la
comparazione con la fauna fossile - già datata - presente in corrispondenza
degli strati dei ritrovamenti litici; non è un metodo di datazione
assolutamente certo, ma non ci possono essere oscillazioni clamorose.
La cosa che subito
si nota è che come manca un qualsivoglia phylum di “anelli mancanti”
che conducano all'uomo, così manca un progresso lineare verso l'uomo sapiens,
si hanno infatti forme umane vicine al sapiens più perfette di forme successive.
L'ipotesi della
formazione dell'uomo da “materia organica preesistente” è destinata a non avere una risposta che abbatta quella della
creazione dell'uomo direttamente dal suolo. Si noti come sapientemente Pio XII
parlava di “materia organica preesistente”, per l'innegabile ostacolo di pensare ad un allevamento
dell'uomo da parte di un animale. Sappiamo di bambini portati via da scimmie;
quando sono stati ritrovati non è stato più possibile portarli ad una normalità
comportamentale. Difficile dire quale immagine dell'atto creatore di Dio da “materia
organica preesistente” Pio XII avesse in mente, ma si può certamente dire
che la sua preoccupazione era quella di
non bloccare le indagini.
Comunque il quesito
di Pio XII riguardava solo la formazione del corpo umano e non l'uomo dotato di
ragione, di perfetta capacità di intendere; dotato di doni preternaturali
(immortalità, assenza della concupiscenza) e di grazia. Il peccato originale
non fu il frutto di una primordialità mentale, ma di una scelta che vulnerò
nell'uomo uno stato di elevazione a Dio. Qua il paleoantropologo deve fermarsi
e lasciare spazio al teologo.
Credo che a questo
punto possano esserci elementi sufficienti per cominciare a dire una parola sul
confronto delle due ipotesi voluto da Pio XII. Così io penso, senza paventare
nessuna condanna di fondamentalismo, che Dio agì non su “materia organica preesistente”, ma sulla “materia
minerale”, con un portentoso svolgimento chimico e biologico, producendo il
corpo - pronto a ricevere l'anima creata dal nulla - del primo uomo e
della prima donna.
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