1 |
(Gn 2, 16-17): “Il Signore Dio
diede questo comando all’uomo: ‹Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del
giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi
mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti›”. |
|
|
Tutte le cose che noi non
accettiamo se non a fatica non esistevano all’inizio; esse si sono introdotte
nella nostra esistenza quando Adamo ed Eva si lasciarono trascinare dalla
pretesa di essere come Dio: non amate dall’uomo, si rivelano tuttavia benèfici
correttivi delle infezioni del peccato. L’intenzione edonistica di una generazione
sganciata dai diritti di Dio è frenata dai dolori della maternità; la tronfia
dominazione dell’uomo sulle cose create è abbassata dalla fatica e dalla
preoccupazione; la pretesa di una immortalità senza Dio è fiaccata dalla morte.
Le dimensioni del castigo circoscrivono dunque le tare infettive che quel primo
peccato ha promosso e che calamitano,
permanentemente, l’intelligenza e la volontà verso una assolutizzazione degli
impulsi sensitivi, con la conseguenza che l’intenzione procreante dell’uomo non
riceve più con limpidezza l’intenzione creante di Dio.
La Chiesa ci dice infatti che il
peccato originale si trasmette per generazione, in quanto l’atto procreante,
che non è affatto peccaminoso, e rimane un gran dono, non è più integrato al
primitivo livello.
Adamo ed Eva sono così i
progenitori di una figliolanza illegittima sul piano soprannaturale, che solo
in Cristo accede alla paternità Dio. (Gv 1,12): “A quanti
però l’hanno accolto ha dato potere di diventare
figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da
volere di uomo, ma da Dio sono stati generati”.
(Bolla “Ineffabilis Deus”):
“Dio ineffabile, la cui condotta è tutta bontà e fedeltà, la cui volontà è
onnipotente e la cui sapienza si estende con potenza da un’estremità all’altra
del mondo e tutto governa con bontà, avendo previsto da tutto l’eternità la
luttuosissima rovina dell’intero genere umano, che sarebbe derivata dal peccato
di Adamo, decretò, con disegno nascosto ai secoli, di compiere l’opera
primitiva della sua bontà, mediante l’Incarnazione del Verbo, perché l’uomo
spinto, contro il proposito della divina misericordia, al peccato dall’astuzia
e dalla malizia del demonio, non doveva più perire; anzi la caduta nella natura
del primo Adamo doveva essere riparata con miglior fortuna nel secondo. Dio
quindi, fin da principio e prima di tutti i secoli, scelse e preordinò al suo
Figliolo una Madre, nella quale si sarebbe incarnato e dalla quale poi, nella
felice pienezza dei tempi, sarebbe nato”.
2 |
(Lc 1, 26-27): “Nel sesto mese,
l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata
Nazaret, a una vergine, sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato
Giuseppe. La vergine si chiamava Maria”. |
|
L‘evangelista Luca ci presenta
Maria nel quadro umile e raccolto di Nazaret, un agglomerato di casupole del
tutto lontano dalle discussioni farisaiche e sadducee dei riservati circoli
religiosi di Gerusalemme: un paesetto dimenticato, sul quale gravava per di più
questo motteggio: “Da Nazaret può venire qualcosa di buono?” (Gv 1,47).
Gabriele l’angelo degli annunzi
messianici, che secoli prima aveva indicato a Daniele il tempo della nascita
del Messia (Dn 9,20-27) e che, poco prima, aveva dato un lieto annunzio a
Zaccaria, trova a Nazaret quella ‘donna’ che da secoli era stata
annunziata, anzi fin dalla cacciata dal Paradiso Terrestre. Quella “donna”
ha nome Maria per gli uomini, ma per l’Onnipotente si chiama “piena di
grazia”, “immacolata”.
(Bolla “Ineffabilis Deus”):
“Con questo singolare e solenne saluto,
non mai prima di allora udito, viene designato essere stata la Madre di Dio
sede di tutte le grazie divine, adorna di tutti i doni dello Spirito Santo,
anzi di essi tesoro quasi infinito e abisso inesauribile”.
Maria è
fidanzata ad “un uomo
della casa di Davide, chiamato Giuseppe”.
In
Israele, il celibato non era visto come un mezzo specifico per servire il regno
di Dio,anche se nella setta giudaica degli esseni vi erano esempi di vita non
coniugale. In particolare, poi, sulla donna che non contraeva nozze, gravava
una opinione pesante e offensiva. L’esser nubile era per la donna motivo di
pianto (Cf. Gdc 11,34-40). Maria non ha voluto andar oltre questa riprovazione,
tuttavia l’espressione “non
conosco uomo”, che è del tipo di “non bevo”, “non fumo”…, segnala
che Maria si è presentata alla dimensione sponsale con una precisa volontà di
verginità. In questo non sosteneva un discorso egoistico, giungendo, per un
conflitto di intenzioni, ad una gelida chiusura con lo sposo, poiché anche
Giuseppe era uomo impegnato nella verginità, come si può giustamente sostenere.
Dunque
non era una scelta riprovata socialmente, non un egoistico gelo verso il
consorte, ma solo l’accettazione della dura opinione che gravava come una colpa
sulla donna priva di figli (Cf. 1Sam 1,6; Lc 1,25).
La
forza vivace con cui chiede all’angelo lo scioglimento di un disagio: “Come è possibile? Non conosco uomo” indica che Maria è radicata nella verginità non con un semplice
proposito, che non avrebbe avuto alcuna ragione di porre chiarimenti, ma con un
voto.
Ella è
così la prima vergine consacrata al Dio unico e trascendente.
L’Eva
antica si era aggirata nel Paradiso Terrestre facile ad ascoltare; la nuova Eva
si presenta sulla scena di un mondo peccatore vigilante e separata da ogni alito
di fornicazione.
La “pienezza dei tempi”
(Gal 4,45) si realizza per la sua presenza.
La
scelta del luogo, della stirpe, delle condizioni culturali nelle quali è nato
il Verbo è legata a lei. E’ stato certamente Israele a dare i natali a lei, ma
Israele è stato costituito per arrivare a lei.
Le
linee somatiche dell’uomo, che, uscite stupende dalle mani del Creatore, si
erano avvilite lungo millenni di peccati e di culture aberrate, ora, in Maria,
si presentano nel loro originario pensiero divino in attesa di dare fattezze a
Colui che la Scrittura chiama: “Il più
bello tra i figli dell’uomo” (Ps 44,3).
Tutto
confluisce in lei, attendendo il suo obbediente e adorante sì.
Quella
nube che, al momento dell’esodo, aveva segnato la presenza di Dio in mezzo al
suo popolo (Es 16,10; 19,9), che era
scesa nella tenda mosaica (Es 40,34-36) ripresentandosi poi al momento della
inaugurazione del tempio eretto da Salomone (I Re 8,10-11), sta per scendere su
Maria, vivo tempio di Dio.
“Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me
quello che hai detto” (Lc 1,38; Gv 1,14) “Il Verbo si fece carne e pose la sua tenda fra noi”.
|