La legge d’Israele prevedeva che il figlio maschio venisse circonciso
l’ottavo giorno dalla nascita (Lv 12,3). In quell’occasione, per consuetudine
accettata, veniva imposto anche il nome. A quaranta giorni dalla nascita, c’era
la prescrizione, per la donna, di sottostare ad un rito di purificazione, che
prevedeva anche un’offerta sacrificale. Per i poveri, l’offerta era costituita
da un colombo o da una tortora. (Lv 12). Il rito della purificazione della
puerpera era poi abbinato a quello del “riscatto” dei
primogeniti.
Gesù fu dunque portato nel tempio.
All’inno di gioia e alla benedizione del vecchio Simeone, che
riconosciuto il Messia “lo
prese tra le braccia e benedisse Dio” (Lc 2,28), seguirono alcune parole che si stamparono indelebili nel
cuore di Maria: “Egli
è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di
contraddizione, perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te
una spada trafiggerà l’anima”.
Ella, da quel momento, visse nell’attesa di quella spada, senza sapere
ancora quale sarebbe stato l’ultimo colpo a trafiggerla.
Perché questa profezia? Non era più umano che Maria
rimanesse nella semplice conoscenza di un avvenire che avrebbe riservato le rudezze
comuni della vita senza la coscientizzazione di uno specifico avvenire di
dolore e d’incomprensione? Si deve rispondere che quell’annuncio fu la
necessaria carità che preparò Maria, giorno dopo giorno, all’ora del Calvario.
Le pagine di Isaia sul servo di Jahvè, che erano state dimenticate dai
circoli sadducei e farisei, sedotti dal pensiero di un Messia trionfante in
termini terreni, divennero invece le pagine più meditate di Maria.
(Is 5,2-5):
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“E’ cresciuto come un virgulto davanti a lui
e come una radice in terra arida…
Disprezzato e reietto dagli uomini,
uomo dei dolori che conosce il patire,
come uno davanti al quale ci si copre la faccia,
era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima.
Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze,
si è addossato i nostri dolori
e noi lo giudicavamo castigato,
percosso da Dio e umiliato.
Egli è stato trafitto per i nostri delitti,
schiacciato per le nostre iniquità.
Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui;
per le sue piaghe noi siamo stati guariti”.
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(Mt 2,13): “Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: ‹Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo›”. |
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La spada annunciata da Simeone non tardò a colpire il cuore di Maria.
Quando Erode seppe che i Magi “si erano presi gioco di lui” (Mt 2,16), dimostrò ancora una volta il suo furore sanguinario.
Nella sua vita, aveva ucciso crudelmente molti dei suoi parenti.
Uccise, fra gli altri, la moglie preferita Marianne, la suocera Alessandra, il
cognato Aristobulo. Cinque giorni prima di morire, fece uccidere il primogenito
Antipatro, al quale in antecedenza aveva promesso la successione al trono. Per
avere ‘lacrime’ alla sua morte, dispose che tutti i nobili giudei venissero
portati nell’ippodromo di Gerico e ivi trucidati.
Illividito dall’ira, decise di massacrare “tutti i bambini di Betlemme e del suo
territorio” (Mt 2,16).
Erode non aveva alcun
potere in Egitto, perché quel regno era sotto il dominio di Roma fin dal 30
avanti Cristo, e perciò era un ottimo rifugio.
Non è difficile
pensare allo stato d’animo di Maria: ella aveva ormai compreso che forze immani
si sarebbero scatenate contro suo Figlio. Veramente la strada messianica era
stretta, in mezzo a trabocchetti gravissimi, che potevano aprirsi da un momento
all’altro. L’unica arma era la fiducia eroica in Dio, il pieno abbandono in Dio
degli eserciti.
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(Lc 2,46): “Dopo tre giorni, lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse:
‹Figlio perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati ti cercavamo›
. Ed egli rispose:
‹Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?›
Ma essi non compresero le sue parole”. |
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La legge (Es 23,14-17;
Dt 16,16) prescriveva di fare ogni anno la Pasqua a Gerusalemme. Le carovane
dei pellegrini arrivavano a Gerusalemme intonando il Salmo 122:
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“Quale gioia, quando mi dissero:
‹Andremo alla casa del Signore›.
E ora i nostri piedi si fermano
alle tue
porte, Gerusalemme Gerusalemme è costruita come città salda e
compatta.
Là salgono insieme le tribù, le tribù del Signore,
secondo la legge di Israele, per lodare il nome del Signore…”.
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Il ritorno avveniva
nell’allegrezza e senza un vero ordine, se non quello di un separazione notturna
fra uomini e donne. Uomini e donne si reincontravano di giorno; tuttavia la
divisione doveva rimanere certamente nei carri della carovana.
Gesù, quindi,era più
vicino a Giuseppe che a Maria.
Giuseppe, non
vedendolo la mattina della partenza, pensò forse che fosse presso la madre o
presso le amicizie che facilmente nascono tra pellegrini.
Alla sera, dopo una
prima giornata di viaggio, Maria volle vedere Gesù, ma non era presso Giuseppe.
Passarono tutta la sera a cercarlo nella carovana; alla mattina ritornarono a
Gerusalemme cercandolo nelle vie affollate: finalmente, il giorno dopo,
pensarono di andare al tempio, e lì lo trovarono, “seduto
in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava”
(Lc 3,46).
La cornice dei dottori
non impedì a Maria di slanciarsi verso il Figlio, sfogando un “perché”
pieno di diritti materni. Neppure l’ombra di una mancanza di virtù in quel
perché immacolato, e la risposta di Gesù non è un rimprovero, ma un
insegnamento. La risposta di Gesù, centrata nelle parole “devo
occuparmi delle cose del Padre mio”, sottrae i due al
tormento di una responsabilità nello smarrimento e alla prospettiva umana del
loro diritto d’amore, nella quale il dolore li ha sospinti, facendoli poi
rientrare nella riflessione delle parole profetiche della Scrittura. Il profeta
Malachia aveva detto (Ml 3,1): “Subito entrerà nel suo
tempio il Signore, che voi cercate, l’angelo dell’alleanza che voi sospirate”.
L’insegnamento di Gesù
tocca così le fibre più profonde della Madre, orientandole a quell’immolazione
totale che avrà luogo sul Calvario.
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(Gv 2,4-5): “E Gesù rispose: ‹Che ho da fare, con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora›. La Madre dice ai servi: ‹Fate quello che vi dirà›”. |
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Cana di Galilea era un villaggio che distava una quindicina di
chilometri da Nazaret. Il legame di amicizia con la famiglia di Cana
probabilmente passava attraverso una parentela di Maria, poiché l’evangelista
Giovanni ci dice che “c’era
la Madre di Gesù”, aggiungendo
che fu invitato “anche” Gesù.
I banchetti nuziali nell’Oriente potevano durare anche sette giorni
consecutivi, e tutti i compaesani degli sposi avevano accesso a quella che
veniva chiamata “la
bevuta”. Per questo
costume, Gesù potè portare con sé i discepoli che Giovanni gli aveva
indirizzato. Ci fu dunque un considerevole numero supplementare che gli
organizzatori del banchetto non avevano previsto e che costituì una
responsabilità per Maria, la prima invitata. Maria si avvide prima dei coppieri
che il vino stava mancando, perché vigilante lo temeva. Vedendo che gli sposi
erano esposti ad una cattiva figura e avrebbero ricevuto il rimprovero di non
aver pensato a tutti gli imprevisti, in tono di preghiera comunicò a Gesù la
sua osservazione: “Non
hanno più vino”.
Maria aveva già visto il Figlio lasciare Nazaret, durante il battesimo
nel Giordano e il digiuno nel deserto; aveva visto come i discepoli di Giovanni
si stringevano attorno a lui, e, nel ricordo delle parole udite al tempio: “Non sapevate che devo attendere alle cose
del Padre mio?”, desiderava
manifestare che aveva compreso le parole del Figlio. Le parole “non hanno più vino” sono intonate da questo palpito. Gesù, con la sua
risposta, la responsabilizza pienamente: “Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora”. In altre parole, Gesù diceva: “Madre, tu vuoi
che io compia un miracolo; ma questo mi manifesterà e tra me e te dovrà cessare
la tranquilla intimità di Nazaret. Le tue parole fanno cessare la mia
sottomissione filiale. Tu, "donna", sarai mia collaboratrice nella fede, ma devi
comprendere che quanto mi chiedi affretta la mia ora, che sarà anche la tua”.
Maria disse ai servi: “Fate
quello che vi dirà”.
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