Questa risposta di Gesù, detta in riflesso alla
benedizione fatta alla Madre, sembrerebbe ferire gli intimi legami
intercorrenti tra lui e Maria; ma, ad una breve riflessione, si rivela come la
loro difesa. L’elogio di quella donna anonima era umano, ancora privo della fede
nella divinità di Gesù.
Simile risposta diede quando gli vennero a dire: (Lc 8,20-21) “<Tua
Madre e i tuoi fratelli sono qui fuori e desiderano vederti>. Ma egli
rispose: <Mia Madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di
Dio e la mettono in pratica>”. La risposta, nei
confronti della precedente, sembra ferire ancora più dolorosamente la figura
della Madre, ma in realtà la difende vigorosamente, perché viene ad affermare
la maternità divina. I suoi interlocutori, infatti, tentavano di abbassare la
sua persona, che si manifestava divina, al solo livello umano. A Nazaret i suoi
compaesani arrivarono all’estremo nel misconoscere la sua persona (Mt 13,55): “Non è egli forse il figlio del carpentiere?
Sua madre non si chiama Maria?…”
Udì Maria questa risposte? Certamente udì quella che Gesù disse quando
cercava di vederlo (Lc 8,20-21). Lei capì bene il perché il figlio amatissimo
dovette dirla.
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(Gv 19,26): “Gesù allora, vedendo la Madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla Madre: ‹Donna, ecco il tuo figlio!› Poi disse al discepolo: ‹Ecco tua madre!› E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa ”. |
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La parola “donna” era stato già pronunciata a Cana nell’invito di
Gesù alla Madre di assumere pienamente il compito di collaboratrice nella fede.
Quella parola “donna”, che segnò il sacrificio dell’intimità domestica
di Nazaret, ora segna il sacrificio di ogni rapporto con la vita fisica del
Figlio.
A Cana, ella si era offerta prima di udirla; sul Calvario,
ugualmente la ode quando già aveva tutto abdicato alla volontà del Padre.
Benedetto XV così si esprime (Acta Apost. Sedis 1918 p.182): “Con il Figlio che soffre e muore, soffre e
quasi muore anche ella, abdica ai suoi
diritti materni sul Figlio per la salvezza degli uomini, e, per quanto dipende
da lei, immola il Figlio suo per placare la divina giustizia”.
Già, ad un primo sguardo, le parole di Gesù superano la
nota che segnala l’ospitalità presso Giovanni.
I primi scrittori cristiani rimasero a questa nota che
segnalava Maria vicino agli apostoli e animatrice orante delle loro iniziative,
e non scavarono oltre. In seguito, si approfondì meglio la portata delle parole
di Gesù, dando origine ad una tradizione che, negli ultimi sette secoli, ha
goduto del consenso generale.Questa tradizione vide, nelle parole di Gesù “Donna ecco il tuo
figlio, e figlio ecco la tua Madre”, la proclamazione della
maternità universale di Maria, che, compiendosi sul Calvario, aveva il suo
inizio e il suo fondamento nella nascita di Betlemme.
Dunque non parole rivolte ad un singolo, ma a tutti gli
uomini. Leone XIII, nell’Enciclica “Adiutricem
populi”, così chiarisce: “In Giovanni
pertanto, come ha sempre pensato la Chiesa, Cristo designò ogni persona del
genere umano, e, prima di tutti, coloro i quali, mediante la fede, avrebbero
aderito a lui”. A queste parole fanno eco quelle della lettera apostolica
“Inter sodalicia” di Benedetto XV e della lettera apostolica “Esplorata res
est” di Pio XI.
Sul Calvario, mentre Gesù attirava tutti a sé (Gv 12,32),
Maria udì l’invito a stabilire con piena coscienza legami materni con gli
uomini: l’umanità non poteva innestarsi al Capo se non riceveva la somiglianza
col Capo nel seno della Madre.
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(At 1,13-14): “E, giunti che furono, salirono al cenacolo…: tutti questi erano perseveranti concordemente nell’orazione con le donne e con Maria la Madre di Gesù”. |
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Erano ormai trascorsi dieci giorni dall’ascensione di Gesù
e si era alla celebrazione della Pentecoste, “cinquantesimo”, per ringraziare Dio per i raccolti (Ps 64, 10-14):
“Tu visiti la terra
e la disseti:
la ricolmi delle sue
ricchezze.
Il fiume di Dio è
gonfio di acque;
tu fai crescere il
frumento per gli uomini.
Così prepari la terra:
ne irrighi i solchi,
ne spiani le zolle,
la bagni con le piogge
e benedici i suoi
germogli.
Coroni l’anno con i
tuoi benefici,
al tuo passaggio
stilla l’abbondanza.
Stillano i pascoli del
deserto
e le colline si
cingono di esultanza.
I prati si coprono di
greggi,
le valli si ammantano
di grano;
tutto canta e grida di
gioia”.
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Nella camera alta del Cenacolo, gli apostoli attendono il
dono dello Spirito Santo, col quale incominciare a dare mano alla messe dei
popoli.
Gesù aveva detto (At 1,8): “Avrete forza dallo Spirito Santo, che scenderà
su di voi, e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria, e fino agli estremi confini della terra”.
Con gli apostoli, il cui numero era ritornato di dodici
dopo l’elezione di Mattia, c’era Maria. Ella, dopo aver sostenuto, con
l’offerta totale di se stessa, la missione del Figlio, sul Calvario ricevette
il compito di sostenere quella degli Apostoli; i quali ebbero così, in quelle
ore di attesa dello Spirito Santo, la presenza unificante della Madre di Gesù.
Ella, nel silenzio del suo comportamento, li condusse ad una nuova riflessione
sulle loro insufficienze e li attrasse nella sfera della sua mediazione.
Lo Spirito di Dio, che aveva scelto lei per operare il
capolavoro dell’Incarnazione, e che aveva atteso la presenza di lei per
inondare di grazia il Precursore e sua madre Elisabetta, dall’alto vide la
Prima cristiana presente nel cenacolo, e, veloce, gagliardo, volò sulla sua
prediletta sposa e sugli Apostoli, stretti attorno a lei. Da quel momento, lo
Spirito Santo inabitò nella Chiesa, riempiendola della sua presenza.
(Leone XIII “Divinum illud munus”): “Non è da immaginare ed aspettare un’altra più larga ed abbondante
effusione dello Spirito Santo, giacchè ora nella Chiesa se ne ha la massima, e
durerà sino a quel giorno che la stesa Chiesa dallo stadio della milizia verrà
assunta al trionfale consorzio nella letizia dei santi”.
Si avrà nei secoli solo una fluttuazione di doni dello
Spirito Santo, che sono liberamente elargiti dalla Trinità, in relazione della
partecipazione dei credenti alla croce di Cristo e al cammino di conversione
verso il Padre.
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(Is 61,10): “Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio, perché mi ha rivestito delle vesti di salvezza, mi ha avvolto con il manto della giustizia, come una sposa che si adorna di gioielli”. |
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Il transito della Madonna, come osserva s.Epifanio, è
avvolto nel mistero. La bolla “Munificentissimus Deus” dice che il privilegio
dell’Assunzione si verificò “terminato il corso della vita terrena”. Con tale
espressione, la definizione non decide perciò se l’Assunzione gloriosa si sia
verificata dopo la separazione dell’anima dal corpo, come avviene nella nostra
morte, oppure senza questa esperienza, retaggio della colpa originale. Si può
dunque lecitamente pensare ad un “sonno”, ad una “dormizione”, che non ha
conosciuto la separazione dell’anima dal corpo. Nulla c’era infatti in lei che
meritasse di corrompersi, come nulla c’era in Cristo. Infatti la morte di
Cristo, inauditamente incompatibile con la sua perfezione di Adamo celeste, a
maggior ragione, doveva avere il privilegio dell’immortalità corporea di cui
godeva il vecchio Adamo.
Maria, come ci attestano solide voci della tradizione, non
ebbe il martirio cruento ed esaurì la sua vocazione nella croce di un terribile
martirio d’amore, cioè la sofferenza di rimanere sulla terra, mentre si anela
con tutte le forze al cielo.
Si può dire dunque che il “sonno” fu causato da “lumen
gloriae”, che prima inondò le potenze superiori dell’anima (intelligenza e
volontà) e poi, dopo il trasporto degli angeli, si estese alle potenze
inferiori (quelle che presiedono alla vita sensitiva e vegetativa).
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