Il Brahmanesimo entrò nel VI
secolo in difficolltà per un eccessivo ritualismo, svolto meccanicamente. Ciò
generò una forte reazione che portò i saggi a cercare nelle foreste la
liberazione (moksha) dal ciclo delle reicarnazioni puntando sull'ascetica
e sulla ricerca dell'unione con il Brahman, l'Assoluto, l'Uno, il fondo
primordiale della realtà. Questi asceti delle foreste rimasero nella dottrina
Vedica, ma crearono un fatto rivoluzionario affermando che l'appartenenza ad una
casta non era il segno di un determinato stato nel ciclo delle reincarnazioni,
per cui essere un brahmino era, di per sé, trovarsi in prossimità della
liberazione dal ciclo delle reincarnazioni, ma tutti potevano raggiungere la
liberazione come fatto prossimo, giungendo al nirvana. Affermato questo,
gli asceti delle foreste non si posero in una lotta di classe contro i brahmini,
con i quali condividevano il pensiero che il Brhaman l'uomo lo trova in sé, dell'anima (ātman), la quale è consustanziale al Brahman, ma ne è separata dal corpo, che appare come un carcere.
E' il momento della formazione
del buddhismo col suo rifiuto dei sacrifici cruenti propri del Brahmanesimo ,
col suo rifiuto delle ritualità formalistiche, e la formulazione di una nuova
via per la liberazione. Il Brahman lo si trova in sé liberandosi dalla pressione
della carne e dal desiderio dell'esistere.
Trovare il Brahman significa
trovare sé, in quanto lo spirito è Brahman.
Ne nacque la trasmissione
orale di insegnamenti ascetici di liberazione, e lo sviluppo delle Upanisad (in
sanscrito: “stare seduti devotamente vicino”), cioè vicino ad un maestro
di spirito. Le Upanisad sono commentari ai testi Veda, e la loro produzione
cominciò secoli prima del buddhismo.
La terza fase della
formazione dell'induismo è segnata dall'accoglienza della religiosità indigena
(400 a.C - 1750 d.C). Gli elementi arii cominciarono a fondersi con gli elementi
delle divinità locali. Da questa fusione si generano le divinità di Brahma,
Vishnu (Visnu), Shiva (Siva), che sostituirono quelle vediche di Agni (dio del fuoco), Vayu (il
respiro divino che fa vivere il mondo) e Surya (il dio Sole).
Un aspetto forte di questa
fase è la bhakti (partecipazione), cioè la partecipazione, il
coinvolgimento di tutto l'essere, verso il divino, in stato di affezione
amorosa. La bhakti era già presente in inni Vedici, ma venne esplicitata
e sviluppata nella Bhagavad-Gita.
Esistono ora sei scuole di
pensiero (darshana; punto di vista), che si presentano come
interpreti del materiale del periodo Vedico. Ogni darshana è ritenuta
ortodossa e sostanzialmente converge con le altre, pur presentando diverse
accentuazioni interpretative del materiale vedico.
Note
Il cristianesimo nella sua ricerca di unione con Dio non ha nessun cedimento
panteistico. L'anima non è affatto consustanziale a Dio, ma è una realtà creata
dal nulla e distinta. La grazia, con la quale Dio eleva l'anima all'amore verso
di lui, è una realtà creata che tocca l'anima. Così pure la presenza di Dio, per inabitazione, nell'anima, non è affatto un panteismo, ma un mistero di
comunione, attraverso il quale l'anima mediante l'azione di Dio (la grazia) è
elevata all'intimità con Dio e sospinta all'apertura ai fratelli nella carità.
L'antropologia cristiana non conosce il corpo come fatto punitivo, ma afferma
che esso è costitutivo dell' essere uomo. L'umanità è ferita dalla colpa
originale e per questo, privata dai doni preternaturali che la facevano esente
dalla morte e dai moti della concupiscenza, ha bisogno di essere sanata dal
redentore e salvatore, Gesù Cristo. E' in Cristo, con Cristo, nel dono dello
Spirito Santo, nell'apertura al Padre, e nell'appartenenza alla Chiesa che si
attua la mistica cristiana.
L'insieme
induista
L'induismo è una religione
politeista come appare dal culto dato a diverse divinità, maggiori e minori,
tuttavia presenta, anche ad un livello superiore di comprensione iniziatica, una
visione dove le varie divinità sono delle emanazioni di un unico Assoluto,
inteso sia in termini personali, sia in termini di un sacro impersonale. In
termini personali, quando è visto quale vertice di tutto da cui tutto promana,
cosicché tutto è nell'Uno, anzi è l'Uno; in termini di realtà impersonale quando
si considera il molteplice delle divinità, allora l'Uno emana la
sua persona dentro il molteplice delle varie divinità personali, e diventa come
impersonale. Come impersonale appare quale substrato del cosmo, come
super-sostanza di tutte le cose, il Brahman. Una concezione che appare subito
panteista.
Dal Brahman, per emanazione,
procedono tutti gli dei. Così da Brahman procede Brahma, che è il produttore del
cosmo, Vishnu, che è il dio conservatore del cosmo, Shiva, che è il dio
distruttore. Queste personificazioni del Brahman non sono presentate al culto
come astratte, ma con una corporeità, con una forte percettibilità cultuale.
Accanto alla generazione per emanazione c'è anche la generazione di dei per via
sessuale, tra dei maschili e femminili, come nel caso di Vishnu che genera con
Lakishmi - la Dea Madre - il dio dell'amore, Kama. Kama è una divinità
paragonabile all'Eros greco, e fu Kama a dare l'impulso a Brahma a produrre
l'universo.
Il Pantheon induista si
sente compiuto, definito, nel senso di presentare negli dei le qualità divine,
insieme alla proiezione degli elementi umani: la giustizia, l'ira, la
benevolenza, l'onnipotenza, l'esercizio della giustizia, l'orribile vendetta,
l'erotismo, la vittoria, la vergogna, il timore.
La mancanza di
sistematizzazioni nell'induismo permette il fenomeno che un dio diviene
l'oggetto prevalente dell'adorazione di una determinata corrente religiosa. Così
si ha il Vishnuvismo, che propone la monolatria (espressione
che vuol dire che un fedele si concentra su di una sola divinità, ma non nega le
altre) del dio
Vishnu; così si ha pure nello Shivaismo; come pure si ha l'innalzamento del dio Khrisna, ottavo avatara di Vishnu, a dio supremo, onnipotente, e quindi oggetto di monolatria.
L'universo è visto come
soggetto ad un abbassamento della sua purezza iniziale, ma evita la distruzione
perché esiste la benevolenza conservatrice di Vishnu, che soccorre gli uomini;
tuttavia giunge il punto nel quale subentra la distruzione da parte di Shiva, il
quale agisce non solo a livello cosmico, ma anche a livello della vicenda umana.
A livello di cosmo, giunti al disfacimento, di nuovo Brahma agisce determinando
un nuovo ciclo. La distruzione porta il cosmo alla regressione, allo stato
iniziale, indifferenziato nei suoi elementi iniziali, panteisticamente uniti al
Brahman, sul quale Brahma imporrà un nuovo impulso plasmatore producendo un
rilancio del cosmo.
Le tre
divinità Brama, Vishnu e Shiva formano la Trimurti, parola che vuol dire in
sanscrito “tre forme”. Sono infatti tre manifestazioni per emanazione
dell'Uno, cioè di Brahman. Sono tre figure divine che sono semplici aspetti
riconducibili al Brahman, detto anche Ishvara o Saguna Brahman.
In alcune
narrazione popolari, seguite da una minoranza di indù, le tre divinità
scaturiscono dall'uovo primordiale deposto da Ammavaru, un'antica divinità (“amma”,
significa madre) all'inizio dei tempi. La maggior parte degli indù professa
invece che Vishnu e Shiva non procedono dall'Uovo Cosmico, ma da altra
generazione.
Note
La Trimurti
presenta una configurazione tale che la rende radicalmente non avvicinabile alla
Trinità cristiana, dove si ha un solo Dio in tre Persone, uguali e distinte, che
non vengono generate da un quarto che è il primo. L'essenza divina non è una
quarta realtà personale o impersonale, in azione per manifestarsi in tre forme,
ma la realtà comune delle tre Persone che hanno la stessa essenza, in quanto
essa è rigorosamente una. Tre persone che si distinguono non per l'essenza, ma
per le relazioni. Si ha così, non una triplice manifestazione dell'Uno, ma l'Uno
che è nello stesso tempo Trino. Precisamente tre Persone e un solo Dio. Il Padre
genera il Figlio non come una forma di sé, ma come Figlio - Persona
consustanziale a sé, e distinta da lui. E' una generazione ab aeterno, senza
cominciamento. La Trimurti non può affermare che Brahma, Shiva, Vihsnu sono
delle persone distinte dal Brahman, ma solo che sono sue forme, sue
manifestazioni. La dottrina della Trimurti, contrariamente a quanto si possa
pensare, non è sviluppata nell'induismo, poiché si rivelerebbe la contraddizione
che le tre divinità sono trattate nel culto come tre Persone distinte dal
Brahman, mentre per la dottrina ne sono solo una forma.
La cosmologia
induista
Si trova
scritto nel testo antico “Le leggi di Manu”, largamente diffuso.
All’inizio “il mondo non era che tenebre, indiscernibile, indefinibile, incomprensibile, inconoscibile, come affondato da ogni lato nel sonno
(ndr. indefinibile materia primordiale, coessenziale con Brahman). Allora l'Essere autogeneratosi (è Brahman), il Beato, si
manifestò, diradando le tenebre: non spiegantesi, egli dispiegò il mondo
operando con la sua forza sulle grandi sostanze (etere, vento, fuoco, acqua,
terra) (...). E volendo emanare dal suo proprio corpo le diverse creature, vi
applicò la sua volontà, e creò dapprima l'acqua, nella quale fece cadere il suo
germe. Questo divenne l'Uovo d'Oro (Hiranyagarbha), risplendente
come un astro dai mille raggi. In questo uovo egli nacque da se stesso, come
Brahman (il testo confonde con Brahma), antenato di tutti i mondi (...).
Quando il Beato ebbe abitato in questo uovo durante un anno, lo divise in due
parti mediante lo sforzo del suo proprio pensiero. Dalle due metà del guscio,
formò il cielo e la terra, il firmamento nel mezzo, le otto regioni (i
quattro punti cardinali e i quattro intermedi), e il ricettacolo permanente
delle acque (l'oceano)”.
Il testo
procede presentando le successive fasi. Vengono formati gli dei, gli uomini
suddivisi in caste (i sacerdoti, i guerrieri, gli agricoltori, i servi).
Poi Brahma si
bisessualizza dividendo il suo corpo in due parti, maschio e femmina e dà
origine con la sua parte femminile all'energia cosmica Viraj: “Avendo
fatto del suo corpo due parti, divenne semi-maschio e semi-femmina; con la parte
femminile egli creò Viraj”. Poi segue la creazione degli esseri viventi e
del Manu, l'antenato del genere umano generato dal dio solare Vivasvat. Manu,
introdusse l'usanza dei sacrifici. Con Ila, prodotta per mezzo di un sacrificio,
diede vita al genere umano. Il genere umano è portatore nel suo ātman della errata volontà di individuarsi dal Brahman, del quale è invece solo emanazione. Il corpo è una realtà accidentale del suo essere uomo, ed è a sua punizione. Il processo di liberazione dalle azioni (karma) cattive si attua con ripetute reincarnazioni. L'idea dei cicli cosmici portò a introdurre un Manu per ogni ciclo cosmico. Una serie di sette Manu, all'origine di ogni ciclo cosmico, sono formati direttamente da Brahma. Sono: Svarocisa, Uttana, Tamasa, Raivata, Caksusa e Satyavrata.
Nel “Satapathabrahmana“
(XI, 1, 6,1-11) si ha questa cosmologia. L'attore è Brahma, presentato sotto
l'epiteto di Prajapati.
“All'inizio,
questo (universo) (...) non era che un'onda. L'(acqua) (ndr. emanazione dal
corpo del Brahman) espresse questo desiderio: <In quale modo potrò
riprodurmi?>. Essa si mortificò, si riscaldò del calore ascetico. Quando si fu
riscaldata del calore ascetico (tapas), apparve un Uovo d'Oro. In quel tempo non
vi era ancora l'anno. L'Uovo d'Oro fluttuò per quanto dura (la misura) di un
anno. Al termine dell'anno, apparve un essere maschio, che era Prajapati (...):
Ruppe l'Uovo d'Oro, ma non vi era alcun punto d'appoggio: dunque, l'Uovo d'Oro,
trasportandolo, fluttuò per quanto dura (la misura temporale) di un anno. Al
temine dell'anno (Prajapati) volle parlare. Disse bhuh (terra), e si ebbe la
terra. Disse bhuvar (terra-cielo), e si ebbe l'atmosfera. Disse suvar (cielo) e
si ebbe il cielo. (...). Al termine dell'anno, Prajapati si pose al di sopra
delle cose fatte (...). Egli se ne andò cantando e mortificandosi (ndr. per
raggiungere il tapas), poiché desiderava una discendenza. Mise, così,
in se stesso la facoltà di procreare. Con la sua bocca procreò gli dei”.
Nella prima
narrazione il Brahman è presentato come un essere che ha tratto da sé
l'esistere. Una concezione, quella dell'autoformazione, che va contro il
principio generalissimo che una cosa prima di agire deve essere, così Dio non è
possibile come essere autoformatosi, egli è Colui che è, come esprime il nome di
Jahvéh dato a Mosè (Es 3,14).
Il Brahman
presenta una realtà corporea indefinita alla quale è però intimamente unito e
dalla quale procede per sua volontà l'insieme delle cose materiali. E' una
visione panteista, di fronte alla quale è ben difficile postulare una qualche
trascendenza del Brahman rispetto alle cose, se non nel senso che lo spirito è
superiore alla materia, e nel senso induista di corpo come prigione dell'anima.
Ma Brahman è realtà non soggetta alla prigione della materia; così si ha una
contraddizione.
Il primo
elemento emanato dal Brahman è l'acqua. Poi l'acqua viene da lui fecondata con
il suo seme, e dall'acqua esce l'Uovo Cosmico nel quale si produce Brahma il
quale anch'esso ha una corporeità, che è stata emanata dal Brahman, ma
plasmatica dentro il laboratorio dell'uovo, che dà anche gli elementi per tutte
le cose.
La seconda
narrazione presenta come già prodotta dal corpo del Brahman l'acqua. L'acqua è
presentata non come un elemento della materia, ma come un essere vivente.
L'acqua attua il processo yogico del calore ascetico (tapas).
L'acqua, che
ha raggiunto il calore ascetico, produce l'Uovo d'Oro nel quale si forma
Prajapati, cioè Brahma. Insieme a Brahma vengono prodotti gli elementi base
della materia secondo la concezione degli antichi: etere, vento, fuoco, acqua,
terra.
Di nuovo
Prajapati si mortificò, cioè rinunciò all'insorgere dell'essere sé, per essere
solo Brahman, produsse con ciò il calore ascetico, maturando così la capacità di
formare gli dei.
Note
Il calore ascetico non è altro che quel senso di cuore caldo che ha l'uomo quando è
appassionato di Dio. Il cuore caldo è un fatto naturale, umano, e non è
giudicato dal cristiano come termine preciso dell'amore soprannaturale portato
dallo Spirito Santo. Il cristiano può infatti benissimo non avvertire il cuore
caldo, eppure stare amando con tutto il suo cuore, la sua anima, le sue forze,
Dio. Il cristiano è invitato a non sostare affatto al livello di cuore caldo,
fatto naturale, ma a crescere, a tendere all'infinito a Dio, che è amore.
Accanto al
cuore caldo ogni uomo conosce il cuore gelido prodotto dall'odio.
La mistica
cristiana, nelle sue vie straordinarie, conosce gli incendi d'amore, le
incandescenze d'amore, ma queste sono operazioni speciali dello Spirito, e
bisogna rimanere vigilanti poiché possono essere oggetto delle scimmiottature
del demonio. Il termine di discernimento sarà sempre il vivere nella fede, nella
speranza, nella carità, nell'accettazione delle croci, anzi nell'amore delle
croci, per essere conformi a Cristo nell'amore verso tutti.
Tuttavia non
va dimenticato che l'induista, prima di essere induista, è un uomo.
Gli dei
induisti: forme transeunti
Gli dei,
nell'impostazione teorica dell'induismo, sono considerati come forme transeunti.
Essi spariranno quando i cicli cosmici cesseranno. Gli dei si esauriranno nel
Brahman. Gli dei sono come apparenze lanciate nel divenire ciclico del cosmo.
Sono definizioni dell'essere del Brahman soggette al tempo. Non sono perfette,
anche se beate. Anch'essi sono soggetti alla legge del karma (karma
è parola che vuol dire “agire, azione”. Il concetto che esprime è che
ogni azione buona produce un karma positivo che segnerà benefici nelle
vite successive per giungere alla fine a dissolversi nel Brahman, e ogni azione
negativa produce un karma negativo; per gli dei, però, non ci sono
reincarnazioni, ma abbassamenti di potenza divina).
Gli dei sono
delle proiezioni dell'umano nel divino. Appaiono come realtà consistenti, ma
sono transeunti, destinate a scomparire. Essi hanno un valore purificatorio per
l'uomo; sono come un testo di meditazione per poter giungere, alla fine del
processo, alla consapevolezza che tutto è Brahman.
Note
Il quadro mitico nel primo impatto con la mente umana, nel suo stato verginale, è preso
per reale, ma poi tenta di innestarsi come un virus nella speculazione
razionale, che ogni uomo possiede anche se, semmai, in forma embrionale. Se
l'intelligenza dell'uomo non intercetta il virus e lo accoglie, nasce il
pensiero che la realtà propria delle cose, non sia nelle cose. La realtà perde
così il suo spessore.
Per il
cristiano il reale non dimora nell'inconsistenza, ma ha il suo proprio essere.
Un essere che scaturisce da Dio per creazione dal nulla, e che è mantenuto dal
volere divino, senza che Dio, rigorosamente trascendente, si mescoli
panteisticamente con il creato. Per il cristiano il reale, il creato, non va
scavalcato per avere accesso al divino, sicché lo si riduca all'inconsistenza,
ma al contrario lancia verso Dio, creatore unico e trascendente. E qui san
Francesco d'Assisi ci è maestro.
La
consapevolezza nirvanica si presenta con la suggestione di una conquista, ma in
realtà depotenzia l’uomo nelle sue possibilità storiche e di incontro con Dio.
E' il dramma della sistematizzazione panteistica lucida, teorizzata, funzionale
solo ad uno statico fermarsi dell'uomo, nell'illusione di essere diventato il
centro cosmico conoscitore, consapevole di ciò. E' la rinuncia ad agire nella
storia, pensata vacua, senza spessore, e dalla quale ci si vuole isolare, in una
fuga dal dolore.
L'uomo,
invece, ha un cammino storico da compiere, nella libertà e nel dialogo con Dio,
che lo lascia sempre libero, pur presentandogli i termini del suo incontro con
lui e con gli altri, attraverso un'alleanza che è offerta di grandezza.
Dall'amore a Dio e agli altri nasce la creatività umana. La storia non è senza
spessore, vuoto ciclo destinato ad annullarsi per ricominciare in un altro
ciclo, ma è un cammino di crescita, singola, comunitaria e anche generazionale
dell'uomo che si concluderà con l'incontro finale con Dio nel giudizio
universale. L'operare nella storia porta al contatto con il dolore, ma il dolore
il cristiano lo accetta in Cristo, trasformandolo in crescita d'amore.
L'uomo
induista tuttavia anela, pur in mezzo alla pressione delle dottrine della sua
religione, all'unico vero Dio e spesso lo adora, anche se non lo conosce e se si
avvicina a lui per mezzo di figure costruite da mente umana. Egli è un uomo per
il quale Cristo è morto ed è risorto, e perciò è aiutato a compiere il bene.
Le divinità
principali
L'induismo
presenta una grande proliferazione del divino, con confusioni tra i vari dei e
sovrapposizioni di attributi, tuttavia l'orientamento cultuale degli induisti è
rivolto preferibilmente alle divinità principali, in particolare a Vishnu e a
Shiva e alla dea madre, Lakshmi. Brhama non ha grande importanza cultuale.
Brahma
Brahma non è
una figura divina popolare. Egli appare estraneo alla vita degli uomini, come
deus otiosus, e così molti dei suoi attributi si ritrovano trasportati in
Vishnu e in Shiva.
Brahma è
all'origine del cosmo. Sorto dall'Uovo d'Oro, ha plasmato con il suo volere
tutte le cose. Aiutato da molti demiurghi, da lui generati, forma gli uomini,
gli dei, i mondi. Il dio Shiva procede da lui, così come il dio Vishnu. Brahma
garantisce l'ordine dell'universo, e consiglia gli dei con la sua saggezza.
Nell'iconografia è rappresentato con quattro teste, come dio onnisciente e
onniveggente.
Il mito
presenta come Brahma congiuntosi con la sua seconda sposa Sarasvati, che era
anche sua figlia, aveva in quel momento cinque teste. Una gli venne tagliata da
Shiva, sdegnato dell'incesto. Shiva dovette purificarsi nelle acque del Gange
per avere colpito il padre, ma il colpo inferto al padre è secondo la sua
configurazione di dio distruttore.
Vishnu
Il dio
simboleggia l'energia benefica, sessualizzata, che alimenta la vita. La forza
penetrante (viraj), che costituisce la vita. Egli provvede ai suoi devoti
prosperità e ricchezze. E' il dio che conserva l'ordine cosmico, contro il
disfacimento prodotto dal male. Il dio ha carattere pietoso, misericordioso, che
alimenta la bhakti, fiorita attorno al suo culto.
Caratteristica
del dio Vishnu sono le avatara, cioè le discese del dio tra gli uomini.
Egli è un isvara (signore) che vuole la liberazione degli uomini dal
male. Le sue discese sono dieci e sono connesse alle ere cosmiche (krta)
che costituiscono delle tappe nella lotta contro le potenze demoniache, dove il
dio entra in campo.
Nella prima
era cosmica (krta), la prima avatara avvenne in forma di pesce il
(Matsya) al tempo del diluvio per salvare Manu e il genere umano.
La seconda
avvenne in forma di tartaruga (Kurma), che venne a sostenere il monte
Mandara o Meru. Così nel mito della battitura dell'oceano di latte, dal quale
gli dei ne ricavano l'ambrosia, egli funge da sostegno al pestello (il monte)
della zangala (recipiente dove si forma il burro).
La terza
avatara è in forma di cinghiale (varaha), che solleva la terra
dall'oceano che era stata immersa dal demonio Hiranyakasipu.
La quarta
avatara avvenne in forma di uomo-leone (Narasimha), per uccidere
Hiranyakasipu.
Nella seconda
età cosmica (treta), proseguendo il numero delle avatara, si ebbe
la quinta, sotto forma di Nano (vamana), che costrinse il demonio Bali,
nemico degli uomini, ad acconsentire alla liberazione del mondo.
La sesta
avatara fu quella di Rama con l'Ascia (Parasù-Rama). Egli uccise la
stirpe malvagia dei Ksatriya.
La settima
avatara fu quella di Rama o Ramacandra, che liberò Lanka dal principe dei
demoni Ravana.
Alla fine
della terza epoca (dvapara) si ebbe l'ottava avatara con Khrisna (Krsna).
Al principio
dell'epoca attuale (kali) la nona avatara con Buddha.
L'ultima
avatara si avrà con Kalkin, quando giungerà il tempo di distruggere i
malvagi e premiare i giusti.
Note
L'avatara è la dottrina classica del Vishnuismo, conforme all'identità pietosa del
dio. Le avatare del dio segnano un impatto con il tempo, al fine di
restaurare l'ordine compromesso. Il termine avatara (discesa) viene reso
occidentalmente col termine incarnazione, ma crea confusione con l'incarnazione
cristiana, per cui è necessario distinguere bene le due prospettive,
evidenziandone le profonde differenze.
Le avatare sono innazitutto transeunti, cioè limitate ad un determinato tempo, la vita
di un uomo o di un animale. L'incarnazione del Verbo, seconda persona della
Trinità, ha un risultato permanente, irreversibile.
Le avatare sono differenti dalla concezione cristiana dell'incarnazione,
poiché si possono attuare in più luoghi contemporaneamente, per mezzo di
avatare parziali, emanate da un'avatara principale in comunicazione
con quelle parziali.
Le avatare
non fanno partecipare il dio pienamente delle sofferenze umane.
L'incarnazione
cristiana è invece un evento dove si ha una condivisione piena delle sofferenze
dell'uomo, un’accettazione piena della condizione umana, eccettuato il peccato.
Le avatare
non sono assunzione di una natura umana completa (anima e corpo) come
nell'incarnazione di Cristo, ma solo di un corpo umano, senza l'anima e perciò
animato dalla divinità, e questo è conforme al panteismo. La gravissima eresia
del monofisismo, che dichiarava che la natura umana di Cristo era stata
completamente assorbita dalla natura divina, e quindi non avente più
operazione propria, non arrivava ad abolire l'esistenza dell'anima di Cristo,
poiché sarebbe stato cadere nel panteismo.
La credenza
nella reincarnazione pone il corpo come fatto accidentale. Lo spirito vi è
prigioniero ed è come forzato a restarvi, così le avatare del dio Vishnu
si attuano sullo stesso principio di accidentalità, con la differenza che esse
sono di bontà per gli uomini, e non di punizione per vite antecedenti di uno
spirito, che deve liberarsi dalla morsa delle reincarnazioni.
Shiva
Shiva è la
figura centrale dello Shivaismo, e ha caratteristiche diverse dal dio Vishnu .
Se nei riguardi del dio Vihsnu l'atteggiamento del fedele è di devozione
fiduciosa, che trova nella bhakti (devozione, adorazione alla divinità)
la sua meta, il fedele al dio Shiva ha la costante preoccupazione di placare un
dio che si presenta come rischio permanente di distruzione per gli uomini e il
mondo. E' il tremendum shivaitico, che tuttavia è equilibrato da aspetti
benefici del dio. Egli, infatti, pur incollerito rimane soccorrevole per i suoi
devoti, che lo guardano come una potenza pacificata, come forza placata. Nel
mito, ferma con la sua fronte la dea-fiume Ganga (il Gange) perché la terra non
crolli sotto l'urto della dea. Annienta la città malefica dei demoni, liberando
così il mondo dalla sua oppressione. Egli, secondo un'iconografia tricefala e
un'iconografia trioculare (un essere con tre teste; un essere con tre occhi) è
colui che crea, che conserva, che distrugge. Nell'iconografia tricefala ha
accanto a sé alla sinistra la moglie Uma, amandola presenta il suo essere
benevolo per l'umanità. Per contrapposto il suo aspetto a destra è quello di
Bhairava, il Distruttore.
Shiva è il dio
che ha come simbolo il linga (il fallo), ad espressione della sua energia
cosmica, sessualizzata. E' il pilastro del mondo lungo il quale scorre l'energia
che assicura l'esistenza degli uomini. La manifestazione generativa del dio è
rappresentata nell'unione con la sua paredra Uma, adorata sotto diversi nomi:
Parvati, Figlia della montagna, Durga, l'Inavvicinabile, Kalì, Gauri (quale dea
dei cereali), Devi, la Dea, Mahesvari, la Sposa di Bhava.
Il matrimonio tra Shiva e Parvati è il prototipo di tutte le unioni umane.
Secondo il
mito Shiva venne condannato ad assumere il simbolo fallico perché non
interruppe, di fronte al saggio Bhrgu, figlio di Brahma, la sua attenzione a
Uma.
Le divinità
femminili induiste sono come una proiezione all'esterno di un'energia al
femminile che promana dal dio maschile. Nel concreto cultuale sono, tuttavia, le
dee sono oggetto di culto separato dai loro paredi maschili.
Gli uomini e le
caste
La legge del
karma plasma la struttura della società induista, attraverso il sistema
delle caste.
Tale sistema è
stato ufficialmente abolito nel 1955, ma rimane un fatto esercitato nella
pratica.
L'appartenere
ad una casta o meno è il frutto di una vita antecedente.
Le caste (varna)
sono rigidamente definite, non essendo possibile il passaggio dall'una
all'altra.
L'assoluta
preminenza è data alla casta dei sacerdoti (brahmani), poi dei guerrieri
(ksatriya), poi dei lavoratori qualificati (vaisya). Sotto queste
tre caste sta la casta inferiore dei lavoratori servili (sudra), infine, a
quella disprezzata come impura degli intoccabili, dei fuoricasta (candala),
nati dall'unione illecita tra una donna di casta brahmanica e un uomo di casta
servile.
Riguardo al
cammino di liberazione dal karma, il bramano deve percorrere con scrupolo
le quattro tappe della vita (ashrama). Nella prima tappa, durante la
formazione giovanile, deve essere assolutamente casto. Poi, sposatosi, deve
ottemperare ai suoi doveri di padre di famiglia fino alla vecchiaia. Poi, si
ritirerà nella foresta alla ricerca della liberazione dal karma. Quindi,
dovrà raggiungere l'ultima tappa che è quella di conseguire una condizione
simile a quella dei sannyasin, gli asceti radicali.
Buddha
apparteneva alla casta dei guerrieri e la sua reazione ai brahmani lo
pose tra gli eretici, sebbene non toccasse il pantheon vedico. Poi, in seguito,
il Buddha venne integrato nel brahmanesimo, che lo considerò uno degli
avatara del dio Vishnu.
Ogni casta ha
tutta una serie di sottocaste, così che complessivamente in India si hanno
alcune migliaia di caste.
Le regole
dentro le caste e i rapporti tra le caste sono rigorosi. Una delle regole
fondamentali è che i matrimoni possono avvenire solo all'interno di una stessa
casta.
Una tale
organizzazione risale alle invasioni degli Arii, che riservarono per sé le tre
prime classi, che sono tramandate ereditariamente. Le caste inferiori sarebbero
state costituite dai vinti.
E' chiaro che
tale struttura è destinata ad essere smantellata, sia dallo stato di democrazia
già presente in India, sia dalla globalizzazione.
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