Scritture indù

   L'induismo

Home

              Indice

 

Le fasi storiche della formazione dell'induismo

 

L'induismo è il frutto di  un processo lungo di successive stratificazioni culturali poi sistematizzate, ma senza raggiungere una chiara gerarchizzazione degli dei del pantheon. La speculazione metafisica trovò l'Uno, ma non si liberò dalla molteplicità degli dei, ereditata dalla notte dei secoli, così la speculazione razionale cedette al panteismo esplicito, affermando con esso la sintesi dell'Uno con il molteplice del divino.

Gli studiosi dell'induismo partono dalle invasione degli Arii che sovrapposero i loro dei a quelli locali, con identificazioni, mutazioni, amplificazioni del pantheon. Prima c'erano divinità e forme cultuali che sono testimoniate da vari siti archeologici.

La prima fase è datata nell'arco di tempo tra il 1500 - 800 a.C. E' la religione vedica, originata dagli Arii che invasero l'India intorno al XIII secolo e composero in quel tempo (sec. XIII) i libri sacri Veda (conoscere, sapere).

La seconda fase è segnata dal Brahmanismo (1000 - 800 a.C.) stabilito dagli Arii conquistatori. I brahmani o bhramini erano una casta potente, al vertice della società. I brahmani venivano ritenuti delle divinità. Il fulcro del Brahmanesimo  fu il sacrificio, e tutta di ritualità. E’ l’epoca delle Upanișad (IX - VII sec. a.C.).

Il Brahmanesimo entrò nel VI secolo in difficolltà per un eccessivo ritualismo, svolto meccanicamente. Ciò generò una forte reazione che portò i saggi a cercare nelle foreste la liberazione (moksha) dal ciclo delle reicarnazioni puntando sull'ascetica e sulla ricerca dell'unione con il Brahman, l'Assoluto, l'Uno, il fondo primordiale della realtà. Questi asceti delle foreste rimasero nella dottrina Vedica, ma crearono un fatto rivoluzionario affermando che l'appartenenza ad una casta non era il segno di un determinato stato nel ciclo delle reincarnazioni, per cui essere un brahmino era, di per sé, trovarsi in prossimità della liberazione dal ciclo delle reincarnazioni, ma tutti potevano raggiungere la liberazione come fatto prossimo, giungendo al nirvana.  Affermato questo, gli asceti delle foreste non si posero in una lotta di classe contro i brahmini, con i quali condividevano il pensiero che il Brhaman l'uomo lo trova in sé, dell'anima (ātman), la quale è consustanziale al Brahman, ma ne è separata dal corpo, che appare come un carcere.

E' il momento della formazione del buddhismo col suo rifiuto dei sacrifici cruenti propri del Brahmanesimo , col suo rifiuto delle ritualità formalistiche, e la formulazione di una nuova via per la liberazione. Il Brahman lo si trova in sé liberandosi dalla pressione della carne e dal desiderio dell'esistere.

Trovare il Brahman significa trovare sé, in quanto lo spirito è Brahman.

Ne nacque la trasmissione orale di insegnamenti ascetici di liberazione, e lo sviluppo delle Upanisad (in sanscrito: “stare seduti devotamente vicino”), cioè vicino ad un maestro di spirito. Le Upanisad sono commentari ai testi Veda, e la loro produzione cominciò secoli prima del buddhismo.

La terza fase della formazione dell'induismo è segnata dall'accoglienza della religiosità indigena (400 a.C - 1750 d.C). Gli elementi arii cominciarono a fondersi con gli elementi delle divinità locali. Da questa fusione si generano le divinità di Brahma, Vishnu (Visnu), Shiva (Siva), che sostituirono quelle vediche di Agni (dio del fuoco), Vayu (il respiro divino che fa vivere il mondo) e Surya (il dio Sole).

Un aspetto forte di questa fase è la bhakti (partecipazione), cioè la partecipazione, il coinvolgimento di tutto l'essere, verso il divino, in stato di affezione amorosa. La bhakti era già presente in inni Vedici, ma venne esplicitata e sviluppata nella Bhagavad-Gita.

Esistono ora sei scuole di pensiero (darshana; punto di vista), che si presentano come interpreti del materiale del periodo Vedico. Ogni darshana è ritenuta ortodossa e sostanzialmente converge con le altre, pur presentando diverse accentuazioni interpretative del materiale vedico.

 

Note

 

Il cristianesimo nella sua ricerca di unione con Dio non ha nessun cedimento panteistico. L'anima non è affatto consustanziale a Dio, ma è una realtà creata dal nulla e distinta. La grazia, con la quale Dio eleva l'anima all'amore verso di lui, è una realtà creata che tocca l'anima. Così pure la presenza di Dio, per inabitazione, nell'anima, non è affatto un panteismo, ma un mistero di comunione, attraverso il quale l'anima mediante l'azione di Dio (la grazia) è elevata all'intimità con Dio e sospinta all'apertura ai fratelli nella carità. L'antropologia cristiana non conosce il corpo come fatto punitivo, ma afferma che esso è costitutivo dell' essere uomo. L'umanità è ferita dalla colpa originale e per questo, privata dai doni preternaturali che la facevano esente dalla morte e dai moti della concupiscenza, ha bisogno di essere sanata dal redentore e salvatore, Gesù Cristo. E' in Cristo, con Cristo, nel dono dello Spirito Santo, nell'apertura al Padre, e nell'appartenenza alla Chiesa che si attua la mistica cristiana.

 

L'insieme induista

 

L'induismo è una religione politeista come appare dal culto dato a diverse divinità, maggiori e minori, tuttavia presenta, anche ad un livello superiore di comprensione iniziatica, una visione dove le varie divinità sono delle emanazioni di un unico Assoluto,  inteso sia in termini personali, sia in termini di un sacro impersonale. In termini personali, quando è visto quale vertice di tutto da cui tutto promana, cosicché tutto è nell'Uno, anzi è l'Uno; in termini di realtà impersonale quando si considera il molteplice delle divinità, allora l'Uno emana la sua persona dentro il molteplice delle varie divinità personali, e diventa come impersonale. Come impersonale appare quale substrato del cosmo, come super-sostanza di tutte le cose, il Brahman. Una concezione che appare subito panteista.

 

 

Dal Brahman, per emanazione, procedono tutti gli dei. Così da Brahman procede Brahma, che è il produttore del cosmo, Vishnu, che è il dio conservatore del cosmo, Shiva, che è il dio distruttore. Queste personificazioni del Brahman non sono presentate al culto come astratte, ma con una corporeità, con una forte percettibilità cultuale. Accanto alla generazione per emanazione c'è anche la generazione di dei per via sessuale, tra dei maschili e femminili, come nel caso di Vishnu che genera con Lakishmi - la Dea Madre - il dio dell'amore, Kama. Kama è una divinità paragonabile all'Eros greco, e fu Kama a dare l'impulso a Brahma a produrre l'universo.

Il Pantheon induista si sente compiuto, definito, nel senso di presentare negli dei le qualità divine, insieme alla proiezione degli elementi umani: la giustizia, l'ira, la benevolenza, l'onnipotenza, l'esercizio della giustizia, l'orribile vendetta, l'erotismo, la vittoria, la vergogna, il timore.

La mancanza di sistematizzazioni nell'induismo permette il fenomeno che un dio diviene l'oggetto prevalente dell'adorazione di una determinata corrente religiosa. Così si ha il Vishnuvismo, che propone la monolatria (espressione che vuol dire che un fedele si concentra su di una sola divinità, ma non nega le altre) del dio Vishnu; così si ha pure nello Shivaismo; come pure si ha l'innalzamento del dio Khrisna, ottavo avatara di Vishnu, a dio supremo, onnipotente, e quindi oggetto di monolatria.

L'universo è visto come soggetto ad un abbassamento della sua purezza iniziale, ma evita la distruzione perché esiste la benevolenza conservatrice di Vishnu, che soccorre gli uomini; tuttavia giunge il punto nel quale subentra la distruzione da parte di Shiva, il quale agisce non solo a livello cosmico, ma anche a livello della vicenda umana. A livello di cosmo, giunti al disfacimento, di nuovo Brahma agisce determinando un nuovo ciclo. La distruzione porta il cosmo alla regressione, allo stato iniziale, indifferenziato nei suoi elementi iniziali, panteisticamente uniti al Brahman, sul quale Brahma imporrà un nuovo impulso plasmatore producendo un rilancio del cosmo.

Le tre divinità Brama, Vishnu e Shiva formano la Trimurti, parola che vuol dire in sanscrito “tre forme”. Sono infatti tre manifestazioni per emanazione dell'Uno, cioè di Brahman. Sono tre figure divine che sono semplici aspetti riconducibili al Brahman, detto anche Ishvara o Saguna Brahman.

 

 

In alcune narrazione popolari, seguite da una minoranza di indù, le tre divinità scaturiscono dall'uovo primordiale deposto da Ammavaru, un'antica divinità  (“amma”, significa madre) all'inizio dei tempi. La maggior parte degli indù professa invece che Vishnu e Shiva non procedono dall'Uovo Cosmico, ma da altra generazione.

 

Note

 

La Trimurti presenta una configurazione tale che la rende radicalmente non avvicinabile alla Trinità cristiana, dove si ha un solo Dio in tre Persone, uguali e distinte, che non vengono generate da un quarto che è il primo. L'essenza divina non è una quarta realtà personale o impersonale, in azione per manifestarsi in tre forme, ma la realtà comune delle tre Persone che hanno la stessa essenza, in quanto essa è rigorosamente una. Tre persone che si distinguono non per l'essenza, ma per le relazioni. Si ha così, non una triplice manifestazione dell'Uno, ma l'Uno che è nello stesso tempo Trino. Precisamente tre Persone e un solo Dio. Il Padre genera il Figlio non come una forma di sé, ma come Figlio - Persona consustanziale a sé, e distinta da lui. E' una generazione ab aeterno, senza cominciamento. La Trimurti non può affermare che Brahma, Shiva, Vihsnu sono delle persone distinte dal Brahman, ma solo che sono sue forme, sue manifestazioni. La dottrina della Trimurti, contrariamente a quanto si possa pensare, non è sviluppata nell'induismo, poiché si rivelerebbe la contraddizione che le tre divinità sono trattate nel culto come tre Persone distinte dal Brahman, mentre per la dottrina ne sono solo una forma.

 

La cosmologia induista

 

Si trova scritto nel testo antico “Le leggi di Manu”, largamente diffuso.
All’inizio “il mondo non era che tenebre, indiscernibile, indefinibile, incomprensibile, inconoscibile, come affondato da ogni lato nel sonno (ndr. indefinibile materia primordiale, coessenziale con Brahman). Allora l'Essere autogeneratosi (è Brahman), il Beato, si manifestò, diradando le tenebre: non spiegantesi, egli dispiegò il mondo operando con la sua forza sulle grandi sostanze (etere, vento, fuoco, acqua, terra) (...). E volendo emanare dal suo proprio corpo le diverse creature, vi applicò la sua volontà, e creò dapprima l'acqua, nella quale fece cadere il suo germe. Questo divenne l'Uovo d'Oro (Hiranyagarbha), risplendente come un astro dai mille raggi. In questo uovo egli nacque da se stesso, come Brahman (il testo confonde con Brahma), antenato di tutti i mondi (...). Quando il Beato ebbe abitato in questo uovo durante un anno, lo divise in due parti mediante lo sforzo del suo proprio pensiero. Dalle due metà del guscio, formò il cielo e la terra, il firmamento nel mezzo, le otto regioni (i quattro punti cardinali e i quattro intermedi), e il ricettacolo permanente delle acque (l'oceano)”.

Il testo procede presentando le successive fasi. Vengono formati gli dei, gli uomini suddivisi in caste (i sacerdoti, i guerrieri, gli agricoltori, i servi).

Poi Brahma si bisessualizza dividendo il suo corpo in due parti, maschio e femmina e dà origine con la sua parte femminile all'energia cosmica Viraj: “Avendo fatto del suo corpo due parti, divenne semi-maschio e semi-femmina; con la parte femminile egli creò Viraj”. Poi segue  la creazione degli esseri viventi e del Manu, l'antenato del genere umano generato dal dio solare Vivasvat. Manu, introdusse l'usanza dei sacrifici. Con Ila, prodotta per mezzo di un sacrificio, diede vita al genere umano. Il genere umano è portatore nel suo ātman della errata volontà di individuarsi dal Brahman, del quale è invece solo emanazione. Il corpo è una realtà accidentale del suo essere uomo, ed è a sua punizione. Il processo di liberazione dalle azioni (karma) cattive si attua con ripetute reincarnazioni. L'idea dei cicli cosmici portò a introdurre un Manu per ogni ciclo cosmico. Una serie di sette Manu, all'origine di ogni ciclo cosmico, sono formati direttamente da Brahma. Sono: Svarocisa, Uttana, Tamasa, Raivata, Caksusa e Satyavrata.

 

Nel “Satapathabrahmana“ (XI, 1, 6,1-11) si ha questa cosmologia. L'attore è Brahma, presentato sotto l'epiteto di Prajapati.

All'inizio, questo (universo) (...) non era che un'onda. L'(acqua) (ndr. emanazione dal corpo del Brahman) espresse questo desiderio: <In quale modo potrò riprodurmi?>.  Essa si mortificò, si riscaldò del calore ascetico. Quando si fu riscaldata del calore ascetico (tapas), apparve un Uovo d'Oro. In quel tempo non vi era ancora l'anno. L'Uovo d'Oro fluttuò per quanto dura (la misura) di un anno. Al termine dell'anno, apparve un essere maschio, che era Prajapati (...): Ruppe l'Uovo d'Oro, ma non vi era alcun punto d'appoggio: dunque, l'Uovo d'Oro, trasportandolo, fluttuò per quanto dura (la misura temporale) di un anno. Al temine dell'anno (Prajapati) volle parlare. Disse bhuh (terra), e si ebbe la terra. Disse bhuvar (terra-cielo), e si ebbe l'atmosfera. Disse suvar (cielo) e si ebbe il cielo. (...). Al termine dell'anno, Prajapati si pose al di sopra delle cose fatte (...). Egli se ne andò cantando e mortificandosi (ndr. per raggiungere il tapas), poiché desiderava una discendenza. Mise, così, in se stesso la facoltà di procreare. Con la sua bocca procreò gli dei”.

Nella prima narrazione il Brahman è presentato come un essere che ha tratto da sé l'esistere. Una concezione, quella dell'autoformazione, che va contro il principio generalissimo che una cosa prima di agire deve essere, così Dio non è possibile come essere autoformatosi, egli è Colui che è, come esprime il nome di Jahvéh dato a Mosè (Es 3,14).

Il Brahman presenta una realtà corporea indefinita alla quale è però intimamente unito e dalla quale procede per sua volontà l'insieme delle cose materiali. E' una visione panteista, di fronte alla quale è ben difficile postulare una qualche trascendenza del Brahman rispetto alle cose, se non nel senso che lo spirito è superiore alla materia, e nel senso induista di corpo come prigione dell'anima. Ma Brahman è realtà non soggetta alla prigione della materia; così si ha una contraddizione.

Il primo elemento emanato dal Brahman è l'acqua. Poi l'acqua viene da lui fecondata con il suo seme, e dall'acqua esce l'Uovo Cosmico nel quale si produce Brahma il quale anch'esso ha una corporeità, che è stata emanata dal Brahman, ma plasmatica dentro il laboratorio dell'uovo, che dà anche gli elementi per tutte le cose.

La seconda narrazione  presenta come già prodotta dal corpo del Brahman l'acqua. L'acqua è presentata non come un elemento della materia, ma come un essere vivente. L'acqua attua il processo yogico del calore ascetico (tapas).

L'acqua, che ha raggiunto il calore ascetico, produce l'Uovo d'Oro nel quale si forma Prajapati, cioè Brahma. Insieme a Brahma vengono prodotti gli elementi base della materia secondo la concezione degli antichi: etere, vento, fuoco, acqua, terra.

Di nuovo Prajapati si mortificò, cioè rinunciò all'insorgere dell'essere sé, per essere solo Brahman, produsse con ciò il calore ascetico, maturando così la capacità di formare gli dei.

 

Note

 

Il calore ascetico non è altro che quel senso di cuore caldo che ha l'uomo quando è appassionato di Dio. Il cuore caldo è un fatto naturale, umano, e non è giudicato dal cristiano come termine preciso dell'amore soprannaturale portato dallo Spirito Santo. Il cristiano può infatti benissimo non avvertire il cuore caldo, eppure stare amando con tutto il suo cuore, la sua anima, le sue forze, Dio. Il cristiano è invitato a non sostare affatto al livello di cuore caldo, fatto naturale, ma a crescere, a tendere all'infinito a Dio, che è amore.

Accanto al cuore caldo ogni uomo conosce il cuore gelido prodotto dall'odio.

La mistica cristiana, nelle sue vie straordinarie, conosce gli incendi d'amore, le incandescenze d'amore, ma queste sono operazioni speciali dello Spirito, e bisogna rimanere vigilanti poiché possono essere oggetto delle scimmiottature del demonio. Il termine di discernimento sarà sempre il vivere nella fede, nella speranza, nella carità, nell'accettazione delle croci, anzi nell'amore delle croci, per essere conformi a Cristo nell'amore verso tutti.

Tuttavia non va dimenticato che l'induista, prima di essere induista, è un uomo.

 

Gli dei induisti: forme transeunti

 

Gli dei, nell'impostazione teorica dell'induismo, sono considerati come forme transeunti. Essi spariranno quando i cicli cosmici cesseranno. Gli dei si esauriranno nel Brahman. Gli dei sono come apparenze lanciate nel divenire ciclico del cosmo. Sono definizioni dell'essere del Brahman soggette al tempo. Non sono perfette, anche se beate. Anch'essi sono soggetti alla legge del karma (karma è parola che vuol dire “agire, azione”. Il concetto che esprime è che ogni azione buona produce un karma positivo che segnerà benefici nelle vite successive per giungere alla fine a dissolversi nel Brahman, e ogni azione negativa produce un karma negativo; per gli dei, però, non ci sono reincarnazioni, ma abbassamenti di potenza divina).

Gli dei sono delle proiezioni dell'umano nel divino. Appaiono come realtà consistenti, ma sono transeunti, destinate a scomparire. Essi hanno un valore purificatorio per l'uomo; sono come un testo di meditazione per poter giungere, alla fine del processo, alla consapevolezza che tutto è Brahman.  

 

Note

 

Il quadro mitico nel primo impatto con la mente umana, nel suo stato verginale, è preso per reale, ma poi tenta di innestarsi come un virus nella speculazione razionale, che ogni uomo possiede anche se, semmai, in forma embrionale. Se l'intelligenza dell'uomo non intercetta il virus e lo accoglie, nasce il pensiero che la realtà propria delle cose, non sia nelle cose. La realtà perde così il suo spessore.

Per il cristiano il reale non dimora nell'inconsistenza, ma ha il suo proprio essere. Un essere che scaturisce da Dio per creazione dal nulla, e che è mantenuto dal volere divino, senza che Dio, rigorosamente trascendente, si mescoli panteisticamente con il creato.  Per il cristiano il reale, il creato, non va scavalcato per avere accesso al divino, sicché lo si riduca all'inconsistenza, ma al contrario lancia verso Dio, creatore unico e trascendente. E qui san Francesco d'Assisi ci è maestro.

La consapevolezza nirvanica si presenta con la suggestione di una conquista, ma in realtà depotenzia l’uomo nelle sue possibilità storiche e di incontro con Dio. E' il dramma della sistematizzazione panteistica lucida, teorizzata, funzionale solo ad uno statico fermarsi dell'uomo, nell'illusione di essere diventato il centro cosmico conoscitore, consapevole di ciò. E' la rinuncia ad agire nella storia, pensata vacua, senza spessore, e dalla quale ci si vuole isolare, in una fuga dal dolore.

L'uomo, invece, ha un cammino storico da compiere, nella libertà e nel dialogo con Dio, che lo lascia sempre libero, pur presentandogli i termini del suo incontro con lui e con gli altri, attraverso un'alleanza che è offerta di grandezza. Dall'amore a Dio e agli altri nasce la creatività umana. La storia non è senza spessore, vuoto ciclo destinato ad annullarsi per ricominciare in un altro ciclo, ma è un cammino di crescita, singola, comunitaria e anche generazionale dell'uomo che si concluderà con l'incontro finale con Dio nel giudizio universale. L'operare nella storia porta al contatto con il dolore, ma il dolore il cristiano lo accetta in Cristo, trasformandolo in crescita d'amore.

L'uomo induista tuttavia anela, pur in mezzo alla pressione delle dottrine della sua religione, all'unico vero Dio e spesso lo adora, anche se non lo conosce e se si avvicina a lui per mezzo di figure costruite da mente umana. Egli è un uomo per il quale Cristo è morto ed è risorto, e perciò è aiutato a compiere il bene.

 

Le divinità principali

 

L'induismo presenta una grande proliferazione del divino, con confusioni tra i vari dei e sovrapposizioni di attributi, tuttavia l'orientamento cultuale degli induisti è rivolto preferibilmente alle divinità principali, in particolare a Vishnu e a Shiva e alla dea madre, Lakshmi. Brhama non ha grande importanza cultuale.

 

Brahma

 

 

Brahma non è una figura divina popolare. Egli appare estraneo alla vita degli uomini, come deus otiosus, e così molti dei suoi attributi si ritrovano trasportati in Vishnu e in Shiva.

Brahma è all'origine del cosmo. Sorto dall'Uovo d'Oro, ha plasmato con il suo volere tutte le cose. Aiutato da molti demiurghi, da lui generati, forma gli uomini, gli dei, i mondi. Il dio Shiva procede da lui, così come il dio Vishnu. Brahma garantisce l'ordine dell'universo, e consiglia gli dei con la sua saggezza.

Nell'iconografia  è rappresentato con quattro teste, come dio onnisciente e onniveggente.

Il mito presenta come Brahma congiuntosi con la sua seconda sposa Sarasvati, che era anche sua figlia, aveva in quel momento cinque teste. Una gli venne tagliata da Shiva, sdegnato dell'incesto. Shiva dovette purificarsi nelle acque del Gange per avere colpito il padre, ma il colpo inferto al padre è secondo la sua configurazione di dio distruttore.

 

Vishnu

 

 

Il dio simboleggia l'energia benefica, sessualizzata, che alimenta la vita. La forza penetrante (viraj), che costituisce la vita. Egli provvede ai suoi devoti prosperità e ricchezze. E' il dio che conserva l'ordine cosmico, contro il disfacimento prodotto dal male. Il dio ha carattere pietoso, misericordioso, che alimenta la bhakti, fiorita attorno al suo culto.

Caratteristica del dio Vishnu sono le avatara, cioè le discese del dio tra gli uomini.  Egli è un isvara (signore) che vuole la liberazione degli uomini dal male. Le sue discese sono  dieci e sono connesse alle ere cosmiche (krta) che costituiscono delle tappe nella lotta contro le potenze demoniache, dove il dio entra in campo.

Nella prima era cosmica (krta), la prima avatara avvenne in forma di pesce il (Matsya) al tempo del diluvio per salvare Manu e il genere umano.

La seconda avvenne in forma di tartaruga (Kurma), che venne a sostenere il monte Mandara o Meru. Così nel mito della battitura dell'oceano di latte, dal quale gli dei ne ricavano l'ambrosia, egli funge da sostegno al pestello (il monte) della zangala (recipiente dove si forma il burro).

La terza avatara è in forma di cinghiale (varaha), che solleva la terra dall'oceano che era stata immersa dal demonio Hiranyakasipu.

La quarta avatara avvenne in forma di uomo-leone (Narasimha), per uccidere Hiranyakasipu.

Nella seconda età cosmica (treta), proseguendo il numero delle avatara, si ebbe la quinta, sotto forma di Nano (vamana), che costrinse il demonio Bali, nemico degli uomini, ad acconsentire alla liberazione del mondo.

La sesta avatara fu quella di Rama con l'Ascia (Parasù-Rama). Egli uccise la stirpe malvagia dei Ksatriya.

La settima avatara  fu quella di Rama o Ramacandra, che liberò Lanka dal principe dei demoni Ravana.

Alla fine della terza epoca (dvapara) si ebbe l'ottava avatara con Khrisna (Krsna).

Al principio dell'epoca attuale (kali) la nona avatara con  Buddha.

L'ultima avatara si avrà con Kalkin, quando giungerà il tempo di distruggere i malvagi e premiare i giusti.

 

Note

 

L'avatara è la dottrina classica del Vishnuismo, conforme all'identità pietosa del dio. Le avatare del dio segnano un impatto con il tempo, al fine di restaurare l'ordine compromesso. Il termine avatara (discesa) viene reso occidentalmente col termine incarnazione, ma crea confusione con l'incarnazione cristiana, per cui è necessario distinguere bene le due prospettive, evidenziandone le profonde differenze.

Le avatare sono innazitutto transeunti, cioè limitate ad un determinato tempo, la vita di un uomo o di un animale. L'incarnazione del Verbo, seconda persona della Trinità, ha un risultato permanente, irreversibile.

Le avatare sono differenti dalla concezione cristiana dell'incarnazione, poiché si possono attuare in più luoghi contemporaneamente, per mezzo di avatare parziali, emanate da un'avatara principale in comunicazione con quelle parziali.

Le avatare non fanno partecipare il dio pienamente delle sofferenze umane.

L'incarnazione cristiana è invece un evento dove si ha una condivisione piena delle sofferenze dell'uomo, un’accettazione piena della condizione umana, eccettuato il peccato.

Le avatare non sono assunzione di una natura umana completa (anima e corpo) come nell'incarnazione di Cristo, ma solo di un corpo umano, senza l'anima e perciò animato dalla divinità, e questo è conforme al panteismo. La gravissima eresia del monofisismo, che dichiarava che la natura umana di Cristo era stata completamente assorbita dalla natura divina, e quindi non avente più operazione propria, non arrivava ad abolire l'esistenza dell'anima di Cristo, poiché sarebbe stato cadere nel panteismo.

La credenza nella reincarnazione pone il corpo come fatto accidentale. Lo spirito vi è prigioniero ed è come forzato a restarvi, così le avatare del dio Vishnu si attuano sullo stesso principio di accidentalità, con la differenza che esse sono di bontà per gli uomini, e non di punizione per vite antecedenti di uno spirito, che deve liberarsi dalla morsa delle reincarnazioni.

 

Shiva

 

 

Shiva è la figura centrale dello Shivaismo, e ha caratteristiche diverse dal dio Vishnu . Se nei riguardi del dio Vihsnu l'atteggiamento del fedele è di devozione fiduciosa, che trova nella bhakti (devozione, adorazione alla divinità) la sua meta, il fedele al dio Shiva ha la costante preoccupazione di placare un dio che si presenta come rischio permanente di distruzione per gli uomini e il mondo. E' il tremendum shivaitico, che tuttavia è equilibrato da aspetti benefici del dio. Egli, infatti, pur incollerito rimane soccorrevole per i suoi devoti, che lo guardano come una potenza pacificata, come forza placata. Nel mito, ferma con la sua fronte la dea-fiume Ganga (il Gange) perché la terra non crolli sotto l'urto della dea. Annienta la città malefica dei demoni, liberando così il mondo dalla sua oppressione. Egli, secondo un'iconografia tricefala e un'iconografia trioculare (un essere con tre teste; un essere con tre occhi) è colui che crea, che conserva, che distrugge. Nell'iconografia tricefala ha accanto a sé alla sinistra la moglie Uma, amandola presenta il suo essere benevolo per l'umanità. Per contrapposto il suo aspetto a destra è quello di Bhairava, il Distruttore.

Shiva è il dio che ha come simbolo il linga (il fallo), ad espressione della sua energia cosmica, sessualizzata. E' il pilastro del mondo lungo il quale scorre l'energia che assicura l'esistenza degli uomini. La manifestazione generativa del dio è rappresentata nell'unione con la sua paredra Uma, adorata sotto diversi nomi: Parvati, Figlia della montagna, Durga, l'Inavvicinabile, Kalì, Gauri (quale dea dei cereali), Devi, la Dea, Mahesvari, la Sposa di Bhava.

 

 

Il matrimonio tra Shiva e Parvati è il prototipo di tutte le unioni umane.

Secondo il mito Shiva venne condannato ad assumere il simbolo fallico perché non interruppe, di fronte al saggio Bhrgu, figlio di Brahma, la sua attenzione a Uma.

Le divinità femminili induiste sono come una proiezione all'esterno di un'energia al femminile che promana dal dio maschile. Nel concreto cultuale sono, tuttavia, le dee sono oggetto di culto separato dai loro paredi maschili.

 

Gli uomini e le caste

 

La legge del karma plasma la struttura della società induista, attraverso il sistema delle caste.

Tale sistema è stato ufficialmente abolito nel 1955, ma rimane un fatto esercitato nella pratica.

L'appartenere ad una casta o meno è il frutto di una vita antecedente.

Le caste (varna) sono rigidamente definite, non essendo possibile il passaggio dall'una all'altra.

L'assoluta preminenza è data alla casta dei sacerdoti (brahmani), poi dei guerrieri (ksatriya), poi dei lavoratori qualificati (vaisya). Sotto queste tre caste sta la casta inferiore dei lavoratori servili (sudra), infine, a quella disprezzata come impura degli intoccabili, dei fuoricasta (candala), nati dall'unione illecita tra una donna di casta brahmanica e un uomo di casta servile.

 

Riguardo al cammino di liberazione dal karma, il bramano deve percorrere con scrupolo le quattro tappe della vita (ashrama). Nella prima tappa, durante la formazione giovanile, deve essere assolutamente casto. Poi, sposatosi, deve ottemperare ai suoi doveri di padre di famiglia fino alla vecchiaia. Poi, si ritirerà nella foresta alla ricerca della liberazione dal karma. Quindi, dovrà raggiungere l'ultima tappa che è quella di conseguire una condizione simile a quella dei sannyasin, gli asceti radicali.

Buddha apparteneva alla casta dei guerrieri e la sua reazione ai brahmani lo pose tra gli eretici, sebbene non toccasse il pantheon vedico. Poi, in seguito, il Buddha venne integrato nel brahmanesimo, che lo considerò uno degli avatara del dio Vishnu.

Ogni casta ha tutta una serie di sottocaste, così che complessivamente in India si hanno alcune migliaia di caste.

Le regole dentro le caste e i rapporti tra le caste sono rigorosi. Una delle regole fondamentali è che i matrimoni possono avvenire solo all'interno di una stessa casta. 

Una tale organizzazione risale alle invasioni degli Arii, che riservarono per sé le tre prime classi, che sono tramandate ereditariamente. Le caste inferiori sarebbero state costituite dai vinti.

E' chiaro che tale struttura è destinata ad essere smantellata, sia dallo stato di democrazia già presente in India, sia dalla globalizzazione.

 

Enciclopedia delle Religioni”, ed. Vallecchi, Firenze, 1978.

Guenon René, “Introduzione generale allo studio delle dottrine indù”, ed. Adelphi, Milano, 1989

Knott Kim, “Induismo”, ed. Einaudi, Torino, 1999.

Franci Giorgio, “L'Induismo”, ed. Il Mulino, Bologna, 2000.

Della Piccola Anna, “Dizionario di storia, cultura, religioni”, ed. Mondatori, Milano, 2007.

Nazayaman Vasudha, “Capire l'Induismo”, ed. Feltrinelli, Milano, 2007.