“HO INTUITO LA REALTA'”
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P. Raffaele aveva concepito nella sua mente un padre Pio ben diverso da quello che incontrò nella realtà, perciò, quando lo vide, ebbe un moto di delusione: era solo un vecchio, pieno di acciacchi. |
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Così disse un giorno circa la sua prima impressione: “Ricordo che le prime volte mi urtava quella sua aria supplichevole nel pregare, quel suo alzare supplice gli occhi gonfi di lacrime al cielo durante la Messa. Quel suo adorare tremebondo davanti al SS. Sacramento”.
Queste impressioni, però, durarono poco e quel “vecchio” gli si presentò invece come una roccia, che lo costringeva a scrutarsi in grande profondità. “Mi sono sentito un commediante. Ho intuito la realtà, io sono soltanto una imitazione”.
P. Raffaele aveva bisogno del tocco forte di quel suo confratello. Gli ospedali, infatti, avendolo tenuto lontano per tanto tempo dai confratelli lo avevano privato della forza dell'esempio fraterno.
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L'esempio di p. Pio era un sigillo stupendo di autenticità francescana, così nella sobrietà dei loro incontri, che tuttavia non erano brevi, p. Raffaele ebbe la possibilità di respirare la realtà viva di san Francesco.
Nella Casa Sollievo ebbe presto la visita di molte persone e fu così che un gruppetto di
beatelle cominciò a vedere male l'instaurarsi di un nuovo polo accanto a quello di padre Pio. P. Raffaele ne rimase addolorato, ma la cosa finì quando i due si incontrarono: padre Pio ebbe una fortissima impressione nel vedere quel frate costretto permanentemente su di una carrozzella, tanto che disse a diverse persone: “E' un martire!”. Ebbe poi tante parole per Raffaele, tanto che una volta questi vide affiorare il pensiero che il Signore avrebbe dato le stimmate anche a lui. P. Pio, intuì, e subito gli disse fulmineo: “Mica a tutti!”. Umiltà dunque, e autenticità. Le stimmate non a tutti, ma a tutti stanno di fronte, possibili, le vette della santità.
Raffaele, le stimmate di p. Pio le osservò bene durante la Messa, nei momenti nei quali le maniche lunghe del camice nell'elevazione si ritiravano; maniche lunghe volute appositamente per nascondere le stimmate il più possibile. Raffaele disse che attraverso i buchi delle mani si vedeva la luce delle candele dell'altare. |
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In Casa Sollievo cominciò a maturare una conclusione positiva sulla sua infezione. Sulla cartella clinica venne scritto: “Lo stato attuale è il seguente: il germe identificato, dopo numerose prove, è sicuramente responsabile dell'infezione in atto, è uno streptococco fecale, che purtroppo si è dimostrato resistente a tutti gli antibiotici saggiati. Per quanto sopra, è chiaro che la prognosi di malattia di padre Raffaele è legata alla possibilità, più o meno immediata, di trovare un rimedio atto a combattere l'infezione urinaria in atto e di conservare, quindi l'unico rene superstite”.
In Casa Sollievo non si riuscì tuttavia a portare in porto la terapia e p. Raffaele venne indirizzato al prof. Ravasini di Padova. Questo uno stralcio della lettera di presentazione della Casa Sollievo: |
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“Come vedi, il caso è dei più impegnativi e io ben volentieri te lo raccomando, essendo padre Raffaele sacerdote meritevole della miglior considerazione, anche come ammalato”.
A Padova trovò la guarigione dall'infezione e, con la guarigione, la prospettiva di un nuovo tempo di apostolato e di crescita nella santità. |
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“SIGNORE TI RINGRAZIO” |
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Rilasciato dall'ospedale di Padova, si recò, convalescente, presso la famiglia di un medico di Gabicce Mare. Poi, date le difficoltà dovute alla mancanza dell’ascensore e alla ristrettezza di spazio dell'abitazione del medico, venne sistemato presso la villetta di una caritatevole signora, impegnata già da tempo a radunare giovani per indirizzarli al bene. |
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La villetta, a due piani, in una zona largamente alberata, era destinata in breve a diventare un vivissimo punto di ritrovo spirituale per molti giovani, attirati dalla presenza di padre Raffaele. Il parroco di Gabicce Mare era un francescano conventuale, perciò stabilì subito un rapporto da confratello con p. Raffaele, concedendogli volentieri il permesso di confessare nel suo territorio parrocchiale.
All'inizio, com'è facile capire, fu la curiosità a muovere i giovani; poi, invece, furono presi dalla personalità cristiana e francescana di p. Raffaele. |
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I primi incontri con i giovani furono veramente fuori schema: ridevano, raccontavano le loro grandi cose, facevano baraonda. P. Raffaele stava al gioco, guardandosi bene dall'allontanarli con un fare distaccato. Li lasciava fare per studiarli e per entrare in amicizia. E' vero, però, che alcuni di loro sulle prime credevano di aver trovato un frate facile, ma poi si accorsero che quel frate sorridente possedeva una mano di ferro. E' bene dire ancora che i giovani che presero a frequentare p. Raffaele non erano quelli più tranquilli di Gabicce, ma i più scapestrati.
Dopo che li ebbe lasciati esprimere nella loro esuberanza, incominciò a proporre loro degli incontri per ascoltare delle registrazioni dei Vangeli. L'idea ebbe un suo sviluppo. Questi incontri sulla parola del Signore determinarono ben presto la volontà dei giovani di avere contatti personali con quel frate, e ci furono veri cambiamenti di vita. Molti giovani che allora erano
scapestrati divennero responsabili, corretti. Si ebbero anche vocazioni alla vita sacerdotale e religiosa.
Ad aggiungersi ai giovani vennero presto i pescatori, che diventarono gli amici inseparabili di p. Raffaele.
Non nasceva nessun problema tra la gente per il fatto che egli soggiornasse in quella villetta piuttosto che nel convento parrocchiale; era chiaro, infatti, il suo bisogno di assistenza infermieristica. Ma, alcune donne della parrocchia cominciarono a ventilare critiche sulla presenza di p. Raffaele nella villetta, vuoi perché tra i suoi frequentatori c'erano giovani poco raccomandabili, vuoi in nome di una presunta lesione dell'unità parrocchiale della quale improvvisamente si erano fatte zelatrici. Il parroco, invece, aveva ben chiaro che ospitare p. Raffaele in convento avrebbe richiesto modifiche agli ambienti e un accesso continuo per l'assistenza infermieristica, come avveniva nella parrocchia tenuta dai Cappuccini a Salsomaggiore, dove era di fraternità.
Ancora una volta da Salsomaggiore, i superiori, nell'estate del 1965 lo fecero di nuovo andare al mare per l'aria e lo jodio, ma p. Raffaele non poté tornare a Gabicce, per il fatto che il suo soggiorno precedente era stato dipinto al Vescovo con tinte negative: le zelatrici dell'unità erano arrivate fino al Vescovado.
Il nuovo luogo di soggiorno fu così l'albergo “Plaza Mare”, a Cattolica, di proprietà della sorella della caritatevole signora di Gabicce che lo aveva ospitato. Il “Plaza Mare”, essendo locale aperto al pubblico, toglieva anche altre ombre che erano calate sull'occhio di qualcuno o qualcuna. Il Vescovo di Rimini, sotto la cui giurisdizione è Cattolica, mentre Gabicce dipende dal Vescovo di Pesaro, non ebbe difficoltà e conferì a p. Raffaele il permesso di confessare nella sua diocesi. Per la celebrazione della Messa doveva attenersi a celebrazioni private con poche persone, e quindi non nella hall dell'albergo. In particolare, chi partecipava alla sua Messa di domenica non assolveva al precetto domenicale.
Ma queste questioni, che certamente erano ispirate a saggi motivi, toccavano poco la gente, che da Gabicce fece in fretta ad andare al “Plaza Mare”.
In albergo venne data a p. Raffaele una stanzetta silenziosa. Lì celebrava la Messa: da tempo aveva un permesso speciale per questo. Nella hall dell'albergo, alla sera, teneva invece le conferenze, con tanti giovani. Questi corrispondevano all'impegno di Raffaele ed egli contento dei loro progressi invitava gli adulti a collaborare con lui, vigilando su di loro e promuovendo occasioni di incontro.
Una sera accadde che i suoi giovani andarono a passare una serata in un locale bar. Tutti erano pieni di gioia. Quando un accompagnatore dei giovani disse a Raffaele che c'era stato lo striptise, padre Raffaele ebbe un gemito e si mise le mani sul volto. “Ma, i ragazzi non l'hanno per nulla guardato”, gli disse l'accompagnatore. “Signore ti ringrazio”, disse Raffaele. |
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“NON RINUNCERO' MAI AL BENE CHE DIO MI PERMETTE DI FARE” |
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Durante il soggiorno al “Plaza Mare”, p. Raffaele dedicò parte del suo tempo a modellare in terracotta un dolcissimo volto di Maria e un volto di Cristo morente, del quale fece fare alcune copie che donò agli sposi dicendo: “Ve lo dono, perché durante la vostra vita, quando arriverà la sofferenza, guardiate a lui che tanto ha sofferto per noi, e ne abbiate conforto”.
P. Raffaele non trascurava mai di infondere il senso della speranza cristiana, e niente gli sembrava insormontabile alla luce della grazia. Quando qualcuno tentò di scoraggiarlo, ricordandogli la sua condizione di infermità e dicendogli che con certi giovani non c'era nulla da fare, rispose di getto: “Non rinuncerò mai al bene che Dio mi permette di fare”. |
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Altre volte furono i superiori che preoccupati della sua salute gli consigliavano l'infermeria, ma questo avrebbe significato perdere il contatto con la gente, per cui p. Raffaele ringraziò dell'attenzione, ma non accolse l'invito. Era convinto che la guarigione dall'infezione non doveva chiederla per sé, ma per gli altri, per quelli che “brancolano nel buio”, per quelli sui quali si dichiara troppo facilmente che tutto è inutile. Alla luce di questo p. Raffaele pregava per i peccatori, anche quelli che si presentavano come casi difficilissimi. Così, unitamente ad altri, pregò per Totò ormai al termine della vita, ma non gli giunsero dai giornali notizie di conversione, come invece accadde a santa Teresina di Lisieux che, avendo pregato per la conversione di un peccatore, ebbe notizia che il Signore aveva accolto la sua preghiera, conquistando il cuore di quel peccatore poco prima che morisse. Pregò, insieme ad altre persone, anche per l'attore Macario, che ebbe una ripresa di fede, e per altri. |
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Era il comportamento di quelli che si credono arrivati e guardano gli altri con sufficienza che p. Raffaele sentiva il più duro da far superare: proprio perché simile a quello dei farisei. Così, quando venivano a trovarlo gruppetti di persone, lui subito si rivolgeva, quasi avesse uno speciale intuito, a quelle che avevano un po' di umiltà nel cuore, pur con tanti peccati.
Era francescano fin nella carne, e sapeva bene che la sua vocazione gli imponeva il servizio verso i lontani per condurli all'unità ecclesiale. Dire a p. Raffaele di rinunciare a sperare, con fattivo impegno di preghiera e sacrificio, di fronte ai casi difficili era come dirgli di smettere di essere francescano, nella radicalità di un Cappuccino. |
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E come francescano sapeva valorizzare il bene che vedeva spuntare. Così, promosse due centri di raccolta di carta e stracci secondo il programma dei “Discepoli di Emmaus” fondati dall'Abbè Pierre. I “Discepoli di Emmaus”, p. Raffaele li conobbe quando alcuni di loro, che operavano a Rimini, lo andarono a trovare. Più tardi quando l'Abbè Pierre tenne a Parma una conferenza in duomo, volle andare fino a Salsomaggiore per incontrare padre Raffaele. I due si abbracciarono come fratelli, poi cenarono insieme e si intrattennero in conversazione per circa due ore. |
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“IO SONO E RIMANGO CON QUESTI RAGAZZI” |
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P. Raffaele non si risparmiava mai e non faceva pesare sugli altri momenti di acuta sofferenza. Fu visto a volte svenire per la stanchezza o il dolore, mantenendo sul volto un sorriso veramente da crocifisso. Certo, non voleva essere oggetto di compassione: lui era in carrozzella per Cristo e non per una disgrazia, anche se umanamente considerando le cose era per disgrazia, anzi per tante disgrazie. Una volta disse, in una vigilia di Natale, davanti a una quarantina di persone: “Pensiamo a chi soffre; io sto bene”.
Tutto questo colpiva gli amici di Cattolica, specie i pescatori, che un giorno toccarono con mano quanto era grande l'affetto di Raffaele per loro. Erano tutti andati a Montecatini e ad un certo momento un distinto signore lo volle invitare a pranzo, in albergo. La risposta di padre Raffaele fu questa: “No, no! Io rimango con questi ragazzi: se vuol venire con noi anche lei, bene. Io in albergo non vengo”. |
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P. Raffaele stava bene con i pescatori: erano pazzi, allegri, sinceri. La sua più grande gioia era quando gli dicevano: “Ho pregato; ho fatto una buona azione”. Il suo più grande divertimento era poi quando lo portavano in barca. L'imbarco, com'è facile immaginare, avveniva in maniera particolare. Raffaele era issato a bordo con la carrozzella agganciata all'arganello. Una cosa simpaticissima che lo faceva sorridere e gli diede lo spunto per dire una volta: “Io sono lo scarabocchio di Gesù”.
Il rapporto che c'era a bordo era spiccio ed essenziale. Perciò se il sole scottava non si stava lì a cercare un ricamo da mettere sul capo di Raffaele: il primo cencio che capitava andava bene; una volta il cencio fu un mutandone. |
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Quando p. Raffaele saliva su di un peschereccio portava con sé un'immagine della Madonna da far collocare nella cabina, con la raccomandazione: “Quando c'è burrasca, getta uno sguardo alla Madonna e non bestemmiare”.
Allo svago di Raf, così lo chiamavano in tanti, si provvedeva pure con un furgoncino, al cui reperimento seguiva l'esigenza di una pulitura. Preso in prestito, capitò che un sabato sera il furgoncino venisse consegnato più tardi e più sporco del solito. Chi lo dovette pulire fu preso dal nervoso e si lasciò uscire di bocca quello che non avrebbe dovuto dire. Al mattino: “Padre, il pulmino è pronto; è tutto pulito!”. “Non è vero, che tutto è pulito. Quante ne hai dette ieri sera? Vieni qui a confessarti!”. |
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Le strade che il furgoncino percorreva erano sempre buone, ma poteva capitare di incontrare dei tratti sconnessi, e allora la carrozzella traballava. Il conducente si voltava allora per vedere come andavano le cose, e p. Raffaele: “Questo fa bene per il mal di schiena”.
In piena gita sapeva raccogliersi in preghiera, stabilendo un momento di silenzio. Una volta fu visto in raccoglimento con le mani sul volto per un'ora intera.
L'assistenza a p. Raffaele continuava ad essere fatta da persone volonterose e lo stesso avveniva nel convento di Salsomaggiore; ma poi i superiori gli assegnarono un frate infermiere e non si pensò più di inviarlo in infermeria. Una vera svolta: i superiori promuovevano l'apostolato di Raffaele in pieno e lui ne fu loro grato. Mai a corto di iniziative, decise con il consenso dei superiori di costruire sul terreno della parrocchia cappuccina di Salsomaggiore una casa per giovani disadattati, in modo da poterli seguire continuamente e dare loro fiducia in se stessi e negli altri. |
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