VIA! PRIMA DA LEI, POI DA ME!'”  
     
A Salsomaggiore, dopo la morte del parroco per incidente stradale, le cose mutarono e i superiori pensarono di trasferire p. Raffaele in altro convento.  
 
Egli avanzò l'idea che lo trasferissero al santuario di Puianello. Quel santuarietto mariano gli era rimasto nel cuore. I superiori videro che l'idea presentata da p. Raffaele corrispondeva a tante cose opportune, innanzi tutto l'aria buona, poi Raffaele avrebbe dato vita a quel santuario tanto fuori mano e non molto frequentato. Per i problemi infermieristici c'era già il frate infermiere a lui addetto e quindi non c'era bisogno di volontari laici.
A Puianello, dai tempi del primo soggiorno di Raffaele, le cose erano molto migliorate dal punto di vista della sistemazione degli ambienti e del terreno circostante. Nel 1948 l'unica pianta attorno al santuario era un lauro sul retro.
P. Raffaele da Mestre
Ora, invece, attorno al santuario c'era un bel verde piantato nel 1950. Il locale che serviva per friggere lo gnocco (crescente fritta così chiamata nel modenese) durante le feste al santuario era stato trasformato in una sala per conferenze. C'era la luce elettrica, portata nel 1952. Il convento, però, aveva bisogno di nuovi lavori per accogliere p. Raffaele. Così, i superiori provvidero alla strutturazione di locali adatti, al piano terreno. Si fecero due stanze: una da letto con un piccolo bagno; l'altra per ricevere la gente, con una porta all'esterno e una verso l'interno del santuarietto. Si provvide anche ad un cucinino per le diete di padre Raffaele.
Nella stanza da letto venne montato un sollevatore a motore elettrico per sollevare Raffaele e porlo sul letto.
Quando Raffaele giunse al santuario la dolce immagine della Madonna gli si presentò come fonte ristoratrice.
 
La Madonna nell'effige guarda il Bambino, mentre questi le stringe il pollice della mano destra, lasciando libero il palmo della Madre in segno di protezione e di premura verso i suoi figli, noi. Il gesto, studiato dall'artista, forse un certo Giacomo Cavedoni del XVII secolo è ispirato alle parole di Gesù (Gv 19, 26-27): “Donna, ecco tuo figlio; figlio ecco tua madre”.
Dopo aver sostato davanti all'effige della Madonna vide con quanta carità i confratelli gli avevano preparato l'appartamentino.
Di colpo i visitatori aumentarono al santuario: venivano da Cattolica, da Salsomaggiore, da Torino, da Venezia, da Padova, da Ferrara, da Modena, da Bologna e da tanti altri luoghi. Sembrava che il lungo itinerario di dolore, cominciato nel 1949, fosse stato per Raffaele un giro di inviti a quel santuario.
P. Raffaele da Mestre
La gente vi andava soprattutto per incontrare p. Raffaele, ma questi riuscì subito a dirottare l'attenzione al santuario, a Maria.
Un giorno una giovane signora, che si faceva guidare da p. Raffaele, entrò nel suo studiolo senza essere andata in chiesa per una preghiera alla Madonna, ma prima che potesse profferire parola si sentì dire con forza: “Via! Prima da lei, poi da me!”.
 
FIGLIO, ECCO TUA MADRE”  
Di fronte a certi indirizzi teologici del post-concilio che, da un lato si collocavano all'interno della legittima ricerca di un linguaggio teologico attualizzato alla cultura contemporanea, ma dall'altro si allontanavano dalla limpidezza della dottrina cattolica, p. Raffaele rimase saldamente ancorato alla tradizione teologica comprovata e ai documenti del Magistero, cogliendo Cristo e sua Madre nell'inesauribile luce dei Vangeli.
Fin dai primi anni della sua formazione, p. Raffaele aveva trovato una letteratura che presentava san Francesco come un grande innamorato di Maria; ma, quegli scritti non approfondivano il ruolo di Maria nell'insieme della spiritualità francescana. P. Raffaele aveva colto in tanti libri le note della croce, dell'altissima povertà, della fraternità, ma il vedere Maria, nella sua armonizzazione con “Madonna Povertà”, intesa innanzitutto come povertà in spirito, fu una luce che gli venne donata nella preghiera e nella meditazione; tale armonizzazione la colse nel Vangelo, nell'epilogo del Calvario.
Ecco il punto di approdo di p. Raffaele: se Francesco parte da Cristo crocifisso, e su questo non si può dubitare, non può non aver vissuto in tutta la loro pienezza le parole di Gesù: “Figlio, ecco tua Madre”.
 
Così diceva riguardo alla consacrazione a Maria, che tante volte aveva fatto, ma che ora coglieva nella sua sorgente evangelica: “La consacrazione alla Madonna è dire di sì alle parole di Cristo, per vivere pienamente il mistero dell'Incarnazione”.
Espresse poi plasticamente il suo pensiero nel Crocifisso di ceramica che attualmente è collocato nella cappelletta dove riposano i suoi resti mortali. Quel Crocifisso, ideato da lui, si richiama direttamente a quello della chiesa di S. Damiano ad Assisi; ha però la particolarità che sul petto del Cristo è raffigurata l'Immacolata. Il crocifisso lo aveva fatto collocare al centro della cantoria, in alto, di fronte all'altare. Così mentre Gesù si rendeva presente sull'altare, p. Raffaele trovava impulso, nel linguaggio di quell'immagine, ad aprirsi per ricevere, dal cuore di Cristo, la Madre e l'amore da dare alla Madre.
La donna del cuore di Raffaele era Maria.
La Messa p. Raffaele la celebrava su di un piccolo altare portatile.
Celebrava con profonda adesione del cuore, senza accentuazioni misticheggianti.
P. Raffaele da Mestre
L'unica cosa che affiorava dal suo interno era un sorriso, appena percettibile, al momento della consacrazione e della comunione. Si notava anche che quando poneva l'Ostia consacrata sulla patena lo faceva con dolcezza; lo stesso faceva quando poggiava il calice.  
Poi, durante il ringraziamento, teneva stretto tra le mani il rosario. La Comunione p. Raffaele la faceva con Maria, in Maria. Una preghiera di ringraziamento che il Messale presenta per la “Gratiarum actio post Missam” ci è certamente di guida per cogliere quanto p. Raffaele aveva nel cuore:  
O Maria, Vergine e Madre santissima, ecco che io ho ricevuto il tuo dilettissimo Figlio che concepisti nel tuo seno immacolato, che generasti, allattasti e stringesti con soavissimi amplessi. Ecco Colui la cui vista ti allietava e formava ogni tua delizia, io, con umiltà e amore, te lo presento, perché tu lo stringa fra le tue braccia, lo ami col tuo cuore, lo offra alla SS. Trinità in suprema adorazione, ad onore e gloria di te medesima e per i miei bisogni e di quelli del mondo intero. Ti prego, dunque, piissima Madre: impetrami il perdono di tutti i miei peccati, abbondante grazia di servire il tuo Figlio d'ora in poi con maggior fedeltà e, infine, la grazia della perseveranza finale, affinché io lo possa lodare in eterno. Così sia”. P. Raffaele da Mestre
Quando p. Raffaele parlava dell'amore a Maria dei santi dell'Ordine serafico incantava. Parlava dell'amore a Maria di san Bernardino da Siena, di san Lorenzo da Brindisi, di san Francesco Maria da Camporosso, di san Felice da Cantalice, di santa Veronica Giuliani, e di tanti altri.
Parlando di san Bernardino da Siena sottolineava che cantava canzoni alla Madonna. A quell'esempio si ispirava quando componeva e cantava preghiere-canzoni a Maria.
Eccone una, traboccante d'amore:
 
 
  Stendi il Tuo manto,
o Vergine,
stendilo sul mio cuor,
Madre del mio Signore,
non voglio amar che
Te!
Stendi il tuo manto,
o Madre!
E accogli questo canto;
io voglio amarti tanto,
voglio morir per Te.
Io voglio amarti tanto,
voglio morir per Te
”.
 
Volentieri parlava dell'amore a Maria che aveva visto in padre Pio; diceva che recitava ogni giorno 33 rosari tutti interi. Ora con più precisione sappiamo che padre Pio diceva sì 33 e più corone, ma dell'Ave Maria diceva solo la salutazione angelica: lo dichiarò egli stesso ad una precisa domanda di un frate che lo accudiva.
 
SI VEDE CHE NON LA CONOSCI ABBASTANZA”  
Tutto quello che si sviluppava attorno al santuario p. Raffaele lo attribuiva a Maria, ponendosi all'interno dell'animazione del santuario come un umile servitore.
Egli aveva chiaro che Maria stava organizzando nel mondo un suo piano di vittoria sul male, per un tempo di vera pace, cioè di quella che scaturisce dalla riconciliazione con Dio. Questo ha scritto p. Raffaele: “La pace è frutto della redenzione di Cristo, Maria si dichiara depositaria di questa pace, che promette all'umanità, se questa - attraverso il suo Cuore Immacolato - con la preghiera e la penitenza tornerà a Dio, che è già tanto offeso. Maria per la pace, per il mondo intero; non più un fatto devozionale o individuale, ma legato alla maturità cristiana e dell'individuo e della società. Il piano di Maria è chiaro: 1) attirare le anime al suo cuore; 2) farle morire a se stesse e ricolmarle di Gesù, e così riunirle nell'unico ovile, nell'unica legge dell'amore”.
Egli, così, nella luce di questo piano, lanciava il santuario della Madonna della Salute, ben oltre i confini devozionali individuali, ben oltre la richiesta di salute a Maria. Questa la sua precisa posizione al riguardo: “I santuari devono essere fortezze per la difesa della pace”.
Così, partendo dalla forza ecclesiale del santuario, si studiava di portare le anime a Maria, attraverso una precisa presentazione della sua maternità.
Il messaggio della Madonna di Fatima con i suoi squarci profetici era al centro del suo pensiero, per questo istituì presso il santuario le “Marce penitenziali della fede”, ogni tredici del mese, da maggio ad ottobre.
Così ha lasciato scritto: “Con la pratica dei tredici del mese, fatta in spirito di preghiera e di penitenza, sono i figli che, volendo ascoltare la Madre, salgono alla casa di lei, per chiedere pace e diventare, attraverso una vera conversione a Dio, autentici portatori di pace. Ogni santuario una fortezza, ogni santuario una piccola Fatima”.
Tutto ciò si sintonizzava con la consacrazione che Pio XII aveva fatto del mondo a Maria, e con la visita di Paolo VI a Fatima nel 1967, allorché pronunciò queste parole: “Noi vogliamo chiedere a Maria una Chiesa viva, una Chiesa vera, una Chiesa unita”.
Partendo dal 1917, data dell'apparizione di Fatima, p. Raffaele vedeva un susseguirsi di eventi mariani di grande importanza: la “Milizia Mariana” di san Massimiliano Kolbe, iniziata poco dopo le apparizione di Fatima, la “Legio Maria” di Frank Duff, nata nel 1921, poi l'”Armata Azzurra”, l'”Armata del Rosario”, poi i “Volontari della sofferenza”, che in Maria trasformano il loro dolore in forza corredentrice, poi il “Movimento dei Focolari” con le sue Mariapoli, poi il grande esempio di p. Pio, raccolto dai suoi “Gruppi di preghiera”, e tante altre iniziative di impronta mariana.
Tutto ciò era segno di grande vitalità nella Chiesa, ma p. Raffaele vedeva anche le tante lentezze e le tante divagazioni teologiche, che volevano vedere Maria come sorella, come modello, come immagine della Chiesa trascurando la sua azione di Madre. Così, accolse con gioia la dichiarazione di Paolo VI del 21 novembre 1966, al termine della terza sessione del Concilio: “Noi proclamiamo Maria Santissima Madre della Chiesa, cioè di tutto il popolo di Dio, tanto dei fedeli come dei Pastori, che la chiamano Madre amorosissima; e vogliamo che con tale titolo soavissimo d'ora innanzi la Vergine venga ancor più onorata ed invocata da tutto il popolo cristiano”.
Così p. Raffaele sintetizzò la situazione di indebolimento della devozione a Maria, che persistette anche dopo la proclamazione del nuovo titolo dato da Paolo VI: “Maria invece di essere posta sul piano redentivo come Madre della Chiesa secondo l'indirizzo papale, è stata messa là come modello e niente più”. Da ciò si vede come non dava per scontato che la devozione a Maria fosse una realtà assodata nei cuori. Vedeva bene p. Raffaele come tante anime restavano lontane da Maria perché prese dai dubbi e dalle ironie seminate dal Maligno. L'antidoto era quello di far conoscere Maria. Un giorno una signora durante un colloquio con lui gli disse: “Io prego il Signore, invece della Madonna”. Lui di rimando le rispose: “Si vede che non la conosci abbastanza”.
Le “marce della fede” furono subito molto frequentate; centinaia e centinaia di persone vi partecipavano.,
 
La predicazione a compimento delle marce la faceva p. Raffaele, ma presto cominciò ad invitare Vescovi e Cardinali. Lui stava in disparte, ma non rinunciò a pensare cose grandi per il futuro di quelle marce. Una sera, mentre con due o tre persone attendeva l'arrivo della marcia della fede che, come un nastro luminoso si snodava dalla valle verso il santuario, disse, guardando la vallata ad anfiteatro che si estende a sud del santuario: “Quando verrà il Papa, si potrà sistemare l'altare là, in fondo, e la gente potrà stare attorno”. Coloro che ascoltarono quelle parole non le giudicarono fuori luogo o eccessive. Va detto che anche quando Raffaele si lanciava a pensare cose grandi, aveva poi sempre la capacità di lasciarsi attrarre dalle piccole cose.
Era inoltre attento ai “segni dei tempi”, guardava all'azione dello Spirito nella storia. Riferendosi alla ventata americana degli hippies alla “ricerca di Gesù”, scrisse: “L'uomo vede non con gli occhi fisici, ma con la propria maturità di amare. E forse questi giovani sono partiti da molto lontano ... Per questo possono vedere Gesù solo così; con parametri umani, come gli eroi del West ... E' fede? No, almeno fede come virtù soprannaturale, come coscienza di essa. Ma può essere una preparazione ad essa, poco ortodossa, ma adatta ai tempi”.
P. Raffaele da Mestre