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(12,42-50) |
Gesù non è venuto per condannare
42 Tuttavia, anche tra i capi, molti credettero in lui, ma, a causa dei farisei, non lo dichiaravano, per non essere espulsi dalla sinagoga.
43 Amavano infatti la gloria degli uomini più che la gloria di Dio.
44 Gesù allora esclamò: “Chi crede in me, non crede in me ma in colui che mi ha mandato;
45 chi vede me, vede colui che mi ha mandato.
46 Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre.
47 Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo.
48 Chi mi rifiuta e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho detto lo condannerà nell’ultimo giorno.
49 Perché io non ho parlato da me stesso, ma il Padre, che mi ha mandato, mi ha ordinato lui di che cosa parlare e che cosa devo dire.
50 E io so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico così come il Padre le ha dette a me”.
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“Tuttavia, anche tra i capi, molti credettero in lui, ma, a causa dei farisei, non lo dichiaravano, per non essere espulsi dalla sinagoga. Amavano infatti la gloria degli uomini più che la gloria di Dio”. L’ingresso
trionfale di Gesù creò dei moti di adesione a lui. Molti capi cominciarono a credere in lui, ma non si decisero per lui. Così per paura di essere espulsi dalla sinagoga non testimoniavano la loro fede. La gloria degli uomini, cioè il consenso, gli apprezzamenti, gli onori, le ricchezze, le posizioni sociali, li tenevano bloccati. Per seguire Gesù bisognava non tener conto della gloria data dagli uomini per possedere quella data da Dio (12,25)
“Gesù allora esclamò: ‹Chi crede in me, non crede in me ma in colui che mi ha mandato; chi vede me, vede colui che mi ha mandato›”. Gesù si rivolge a coloro che non si decidevano di testimoniare la loro fede. Lo fa affermando che credere in lui significa credere in “colui che mi ha mandato”, cioè in colui al quale la sinagoga dovrebbe obbedire. L’accesso al Padre lo si ha vedendo il Figlio, perché ne è l’immagine perfetta, e ne è il rivelatore, scartando il Figlio si scarta pure il Padre, rimanendo ancorati alla teofania del Sinai, dove Dio non rivela pienamente il suo essere misericordioso.
“Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre”. Gesù è venuto come luce e chi crede in lui vede scomparire le tenebre che lo circondano, cioè tutte le distorsioni rabbiniche sui testi sacri.
“Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo”.
Assolutamente Gesù non è il Messia giustiziere delle genti, come pensavano i Giudei (Ps 20/21, 1017/18, 38-43); è invece il Salvatore. “Chi mi rifiuta e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho detto lo condannerà nell’ultimo giorno”. La sinagoga non è la depositaria conclusiva del disegno di Dio, poiché c’è ora una parola più alta di quella di Mosè, quella del Figlio di Dio. E tale parola è luce perché parla al cuore. Essa comanda l’amore e rifiutarla significa aderire all’odio. La parola che è di vita, di amore è stata donata. Chi la rifiuta è condannato dalla parola data perché essa è irrifiutabile se non a prezzo di una perversione di sé.
“Perché io non ho parlato da me stesso, ma il Padre, che mi ha mandato, mi ha ordinato lui di che cosa parlare e che cosa devo dire. E io so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico così come il Padre le ha dette a me”. Gesù non ha parlato per iniziativa propria, ma per ordine del Padre, che gli ha detto ciò che doveva dire agli uomini per la loro salvezza. La parola del Figlio è dono di salvezza. Non è semplice conoscenza, ma conoscenza che vuole corrispondenza d’amore per diventare ciò che è: salvezza. Il Verbo conosce ogni cosa e non ha bisogno di accrescere la sua conoscenza e il Verbo incarnato poteva comunicare alla sua umanità ogni cosa, ma non lo ha fatto perché egli non ha “parlato da se stesso”. Egli ha detto quanto il Padre voleva che dicesse quanto alla conoscenza di Dio amore e della sua legge d’amore, nel sigillo della testimonianza del Figlio fino alla morte di croce..
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