L'isola di Creta Paolo, durante il primo viaggio da prigioniero a Roma (At 27,8), fece una fugace sosta a Creta a Buoni Porti, vicino alla città di Lasea, ma non poté operare. Fu comunque un approccio con la realtà dell’isola.
Creta ha approssimativamente la forma di un rettangolo di 260 km di lunghezza e circa 60 di larghezza, in tutto 8.261 km².
Creta aveva avuto un passato glorioso, ma dopo il dissolvimento dell’impero di Alessandro Magno (IV sec. a.C) l’isola era entrata in una profonda depressione economica e culturale che aveva dato spazio allo stabilirsi di una potente pirateria. I Romani la conquistarono dopo due anni di lotte (69 a.C – 67 a.C) contro i pirati cretesi.
A Creta veniva ricordato Epimenide di Cnosso (VI sec. a.C), un
indovino-filosofo-storico, ma doveva essere piuttosto dimenticato, conoscendo il versetto che scrisse contro
sui suoi compatrioti: “I
Cretesi sempre bugiardi, brutte bestie e fannulloni”. Epimenide era piuttosto un indovino delle cose che erano già avvenute che di quelle che dovevano avvenire, come dice di lui Aristotele: “Retorica (1418a 21-25)”.
Epimenide era, come risulta da questa lettera a Tito, celebrato come profeta tra i cristiano-giudaici di orientamento gnosticizzante, tanto che lo consideravano
in specifico “loro profeta”. Paolo lesse il versetto di Epimenide: non c’era da trarre gloria da Epimenide per un Cretese. Paolo ratificò la sentenza, ma senza volerla generalizzare (1,12).
Il versetto è un frammento di un’opera andata perduta. Clemente d’Alessandria (150 ca. - 215 d.C.) afferma in “HIERON. comm. in ep. ad Tit. VII 606 Migne” che il versetto è di Epimenide di Cnosso e che apparteneva al libro “Degli Oracoli”. San Gerolamo (347 - 419/420) segue lo stesso parere. La composizione
“Degli oracoli” manca però nell’elenco delle opere di Epimenide che ne diede Diogene (412 a.C. - 323 a.C). La prima parte del versetto di Epimenide è citata da Callimaco (310 a.C. - ca. 240 a.C), poeta alessandrino. Probabilmente, il versetto faceva parte di una composizione poetica di Epimenide su Minosse, citata da Diogene.
La persona di Tito Gli Atti degli Apostoli non citano mai Tito, mentre nelle lettere di san Paolo è citato 12 volte. Con tutta probabilità Luca e Tito si incontrarono solo a Roma al tempo della seconda prigionia di Paolo (2Tm 4,9-10), cioè fuori dal quadro storico degli Atti degli Apostoli che termina con l’arrivo a Roma di Paolo per la prima prigionia.
Dalle sezioni scritte in prima persona degli Atti, che vanno attribuite a Luca, si deduce che Luca accompagnò Paolo nel suo secondo viaggio missionario da Troade a Filippi (At 16,10-40). Seguì poi Paolo durante il ritorno del terzo viaggio missionario da Filippi a Gerusalemme (At 20,6s 21,1-17). Presente nel tempo della carcerazione di Paolo a Cesarea (At 21,18; 26,32; Col 4,14; Fm 24), seguì l’Apostolo a Roma nella prima e poi nella seconda prigionia. A Filippi, nell’ambito del terzo viaggio missionario, ci fu una possibilità per Luca di incontrare Tito, ma questi dovette essere già partito per Corinto, secondo la disposizione di Paolo. Di Tito sappiamo che era di origine pagana, e che andò con Paolo a Gerusalemme, dove non venne obbligato a circoncidersi (Gal 2,1). Pare che questa visita a Gerusalemme coincida con il tempo del primo Concilio (At 25,1s).
Ritroviamo Tito a Corinto, inviato da Paolo nello svolgersi della terza missione, dopo che l’Apostolo vi aveva già inviato Timoteo (1Cor 4,17; 16,10). Terminata la missione a Corinto, Tito raggiunse Paolo in Macedonia (2 Cor 7,6), con buone notizie. Quindi Paolo inviò di nuovo Tito a Corinto, probabilmente con la seconda lettera (2Cor 2,12-13; 7,5-7) e con la missione di condurre a termine una colletta per i poveri di Gerusalemme (2Cor 8,16-23).
La lettera a Tito presenta l’invito di raggiungere Paolo a Nicapoli d’Epiro (3,12), dove l’Apostolo intendeva passare l’inverno, tappa indubbiamente successiva a quella di Corinto (2Tm 4,20).
Non sappiamo se effettivamente Tito andò a Nicopoli, tuttavia troviamo Tito a Roma (2Tm 4,10s) accanto a Paolo, per poi passare in Dalmazia. Dopo la missione in Dalmazia, secondo Eusebio “Storia ecclesiastica, 3,4” e Teodoreto “Prima ad Timoteo, 3,1”, Tito tornò a Creta dove morì.
L'evangelizzazione nell'isola di Creta Terminata la prima prigionia a Roma, Paolo raggiunse Creta con Tito svolgendo liberamente la sua azione evangelizzatrice. Nell’isola erano già presenti delle comunità cristiane. Erano cristiani provenienti dal giudaismo, ma c’era anche una minoranza proveniente dal paganesimo. Tutti avevano bisogno di essere istruiti di più e soprattutto di avere un’organizzazione di presbiteri e di presbiteri con incarico di governo: episcopi. A Creta Paolo lasciò Tito quale continuatore del lavoro avviato (1,5), dandogli delle istruzioni.
Paolo poi andò a Efeso dove pose Timoteo a capo di quella Chiesa. Paolo progettò poi un viaggio verso la Macedonia, con partenza dal porto di Mileto (2Tm 4,20) per arrivare a Corinto. A Mileto Paolo dovette maggiormente rendersi conto dell’estensione della propaganda dei falsi dottori, fino a sentire la necessità di una lettera a Timoteo e una a Tito, per più accurate indicazioni.
Il pericolo paventato da Paolo era che l’impianto cristiano nell’isola cedesse di fronte alla pressione di un giudaismo isolano molto potente, imbevuto di molte genealogie e tradizioni, nonché di fronte ad un sincretismo giudaico-cristiano-gnostico, di cui aveva visto la virulenza.
Nell’isola era forte la presenza pagana che millantava che la dea Rea avesse portato il figlio Giove a Creta per nasconderlo dal padre Saturno. Dionisio poi si era unito a Creta con Arianna, figlia del mitico Minosse, figlio di Giove e della dea Europa, dea della Luna. Insomma, i pagani di Creta avevano fatto in modo di dare prestigio alla loro isola con un intreccio di miti.
La lettera presenta l’invito a Tito di raggiungere Paolo a Nicapoli d’Epiro (3,12), dove l’Apostolo intendeva passare l’inverno, tappa indubbiamente successiva a quella di Corinto (2Tm 4,20).
L'indole della lettera
La lettera a Tito presenta una grande rassomiglianza con la prima lettera a Timoteo, ma quella di Tito è più concisa, asciutta, benché Paolo non trascuri di chiamare Tito, “Mio vero figlio nella medesima fede”.
Indirizzo e saluto
1
1
Paolo, servo di Dio e apostolo di Gesù Cristo per portare alla fede
quelli che Dio ha scelto e per far conoscere la verità, che è conforme a
un’autentica religiosità,
2
nella speranza della vita eterna - promessa fin dai secoli eterni da
Dio, il quale non mente,
3
e manifestata al tempo stabilito nella sua parola mediante la
predicazione, a me affidata per ordine di Dio, nostro salvatore -,
4
a Tito, mio vero figlio nella medesima fede: grazia e pace da Dio Padre
e da Cristo Gesù, nostro salvatore.
“Paolo, servo di Dio e apostolo di Gesù Cristo per portare alla fede quelli che Dio ha scelto e per far conoscere la verità, che è conforme a un’autentica religiosità”. Paolo afferma che la sua autorità di apostolo proviene da Dio e che essa è finalizzata a “portare alla fede quelli che Dio ha scelto”. Quelli che Dio ha scelto sono gli uomini giusti, sia del mondo giudaico, sia del mondo pagano; essi corrispondono già, per quanto possono nella loro situazione alla grazia, e ora per la sua predicazione hanno accesso alla fede in Cristo, e quindi all’essere tempio di Dio, nella Chiesa. La misericordia di Dio tuttavia si estende anche a coloro che sono traviati, pesantemente vittime dell’idolatria, ma non a livello della corruzione del cuore, per portarli alla conoscenza della verità: un solo Dio creatore e provvido verso le sue creature (Cf. At 14,13; 17,24s; 19,23) e così dare loro accesso al messaggio cristiano e ad essere elevati alla grazia di essere figli di Dio in Cristo. Solo in questa lettera Paolo si definisce “servo di Dio” aggiungendo di essere “apostolo di Gesù Cristo”. Paolo di consueto, infatti, si definisce “servo di Gesù Cristo”. Questa novità obbedisce al fatto che prima di annunciare Cristo è necessario, in terra pagana, presentare il monoteismo per liberare gli uomini dal politeismo e dall’idolatria, poi, in stretta connessione, il Cristo, Figlio di Dio.
Organizzazione delle comunità e correzione delle devianze 5
Per questo ti ho lasciato a Creta: perché tu metta ordine in quello che
rimane da fare e stabilisca alcuni presbiteri in ogni città, secondo le
istruzioni che ti ho dato. 6
Ognuno di loro sia irreprensibile, marito di una sola donna e abbia
figli credenti, non accusabili di vita dissoluta o indisciplinati.
7 Il
vescovo infatti, come amministratore di Dio, deve essere irreprensibile:
non arrogante, non collerico, non dedito al vino, non violento, non
avido di guadagni disonesti, 8
ma ospitale, amante del bene, assennato,
giusto, santo, padrone di sé, 9
fedele alla Parola, degna di fede, che gli è stata insegnata, perché sia
in grado di esortare con la sua sana dottrina e di confutare i suoi
oppositori. 10
Vi sono infatti, soprattutto fra quelli che
provengono dalla circoncisione, molti insubordinati, chiacchieroni e
ingannatori. 11
A questi tali bisogna chiudere la bocca, perché sconvolgono intere
famiglie, insegnando, a scopo di guadagno disonesto, quello che non si
deve insegnare. 12
uno di loro, proprio un loro profeta, ha
detto: “I Cretesi sono sempre bugiardi, brutte bestie e fannulloni”.
13
Questa testimonianza è vera. Perciò correggili con fermezza, perché
vivano sani nella fede 14
e non diano retta a favole giudaiche e a
precetti di uomini che rifiutano la verità.
15 Tutto è
puro per chi è puro, ma per quelli che sono corrotti e senza fede nulla
è puro: sono corrotte la loro mente e la loro coscienza.
16
Dichiarano di conoscere Dio, ma lo rinnegano con i fatti, essendo
abominevoli e ribelli e incapaci di fare il bene.
“Per questo ti ho lasciato a Creta: perché tu metta ordine in quello che rimane da fare e stabilisca alcuni presbiteri in ogni città, secondo le istruzioni che ti ho dato”. A Creta c’erano cristiani sia provenienti dal giudaismo, la parte preponderante, sia provenienti dal paganesimo. Quelli provenienti dal paganesimo erano maggiormente il frutto dell’azione di Paolo, ma non mancavano casi antecedenti. La prima evangelizzazione di Creta non era però ben impiantata. Tra i giudeo-cristiani c’erano molti soggetti insubordinati, e non ne mancavano alcuni tra gli etnico-cristiani. In generale la religiosità doveva essere rettificata in più punti, affinché diventasse (1,1) “autentica religiosità”. Già molto era stato fatto da Paolo e Tito, ma non si era ancora arrivati al completamento del lavoro. In particolare, bisognava creare dei presbiteri-episcopi in ogni città, che presiedessero al governo delle varie comunità. Non mancavano a Creta dei presbiteri, ma mancavano dei presbiteri con incarico e responsabilità di governo, che costituissero una realtà strutturale ben organizzata, e non estemporanea.
Questi episcopi che Tito doveva stabilire erano dei presbiteri sorveglianti, dei custodi della disciplina, oltre che dei promotori della fede. Questi episcopi facevano capo a Tito, che aveva il potere di ordinarli quali presbiteri e tra essi stabilire a quali dare la loro specifica
missio di episcopi.
“Ognuno di loro sia irreprensibile, marito di una sola donna e abbia figli credenti, non accusabili di vita dissoluta o indisciplinati”. Le caratteristiche richieste sono le stesse che Paolo indicò a Timoteo nella prima lettera (3,1s) sia per i presbiteri-episcopi e che per i diaconi.
“Il vescovo infatti, come amministratore di Dio, deve essere irreprensibile: non arrogante (…), fedele alla Parola, degna di fede, che gli è stata insegnata, perché sia in grado di esortare con la sua sana dottrina e di confutare i suoi oppositori”. Appare molto chiaro che la figura del presbitero-episcopo era una realtà residenziale, destinata al governo di una comunità e al coordinamento operativo tra i presbiteri, non disgiunta dall’iniziativa evangelizzatrice. Essi non avevano il potere di ordinare né presbiteri, né diaconi, poiché solo Tito, in quanto vescovo nel senso sacramentale lo aveva.
“Vi sono infatti, soprattutto fra quelli che provengono dalla circoncisione, molti insubordinati, chiacchieroni e ingannatori”. Non mancava a Creta chi si faceva araldo di sue idee, e le voleva sostenere con molte chiacchiere. L’elemento cristiano-giudaico era quello più disposto a idee di propria invenzione, sulla base di favole e genealogie. All’interno del gruppo di questi chiacchieroni, a cui si poteva attribuire l’ignoranza, Paolo non aveva individuato
durante la presenza nell'isola una realtà drammatica, ma quando scrisse la lettera a Tito era informato che tra i chiacchieroni si erano depositati dei semi dell’ideologia gnostica. Paolo comunicò a Tito questa realtà.
“A questi tali bisogna chiudere la bocca, perché sconvolgono intere famiglie, insegnando, a scopo di guadagno disonesto, quello che non si deve insegnare”. Ai giudeo-cristiano-gnostici “bisogna chiudere la bocca”, affinché non divulghino le loro false posizioni sconvolgendo intere famiglie.
“Uno di loro, proprio un loro profeta, ha detto: ‹I Cretesi sono sempre bugiardi, brutte bestie e fannulloni›”. Il versetto di Epimenide Paolo lo presenta come un’aspra citazione ad hoc di un Cretese sui Cretesi, ma anche perché diversi giudeo-cristiani di Creta ritenevano Epimenide un “loro profeta”, credendo di disporre di suoi oracoli su di un futuro glorioso dell’isola, contro la dominazione romana. La determinazione "loro profeta" si riferisce a "questi tali ai quali bisogna chiudere la bocca".
“Perciò correggili con fermezza, perché vivano sani nella fede e non diano retta a favole giudaiche e a precetti di uomini che rifiutano la verità”. Costoro andavano corretti con fermezza, per sottrarli ai nemici della verità: “Uomini che rifiutano la verità”, e questi sono i falsi dottori giudeo-cristiani-gnostici.
“Tutto è puro per chi è puro, ma per quelli che sono corrotti e senza fede nulla è puro: sono corrotte la loro mente e la loro coscienza. Dichiarano di conoscere Dio, ma lo rinnegano con i fatti, essendo abominevoli e ribelli e incapaci di fare il bene”. Paolo dichiara che l’impurità di certi cibi non ha più ragione di essere, essendo stata superata dall’avvento di Cristo. E’ quelli che sono corrotti nella fede che rendono tutto impuro perché usato nel vizio. Ci sono pure coloro che hanno corrotto il loro pensiero, ma anche hanno selciata la loro coscienza. Con loro Tito dovrà usare ogni fermezza. Come si vede, la situazione a Creta era molto complessa e necessitava di molta determinazione.
L’azione pastorale
2
1 Tu però insegna quello che è conforme alla sana dottrina.
2 Gli uomini
anziani siano sobri, dignitosi, saggi, saldi nella fede, nella carità e
nella pazienza.
3 Anche le
donne anziane abbiano un comportamento santo: non siano maldicenti né
schiave del vino; sappiano piuttosto insegnare il bene,
4 per
formare le giovani all’amore del marito e dei figli,
5 a essere prudenti, caste, dedite alla famiglia, buone, sottomesse ai propri mariti, perché la parola di Dio non venga screditata.
6 Esorta
ancora i più giovani a essere prudenti,
7 offrendo
te stesso come esempio di opere buone: integrità nella dottrina,
dignità,
8 linguaggio
sano e irreprensibile, perché il nostro avversario resti svergognato,
non avendo nulla di male da dire contro di noi.
9 Esorta gli
schiavi a essere sottomessi ai loro padroni in tutto; li accontentino e
non li contraddicano,
10
non rubino, ma dimostrino fedeltà assoluta,
per fare onore in tutto alla dottrina di Dio, nostro salvatore.
“Tu però insegna quello che è conforme alla sana dottrina”. Più che confutare errore per errore, cosa utile, bisogna proporre il vero insegnamento. Su questo deve puntare Tito, nella certezza che la verità, con l’azione dello Spirito Santo, si fa strada nelle menti disposte a trovare la verità.
“Gli uomini anziani siano sobri, dignitosi, saggi, saldi nella fede, nella carità e nella pazienza”. Il comportamento dei cristiani anziani sia conforme alla loro dignità di figli adottivi di Dio, e alla loro età. Perciò non devono essere sguaiati, ridanciani, chiacchieroni e futili.
“Anche le donne anziane abbiano un comportamento santo: non siano maldicenti né schiave del vino (…); per formare le giovani all’amore del marito e dei figli, a essere prudenti, caste, dedite alla famiglia, buone, sottomesse ai propri mariti, perché la parola di Dio non venga screditata”. Anche le donne anziane devono essere dignitose, sante. Esse hanno il compito di formare le giovani all’amore per il marito. Le donne maritate devono essere “sottomesse ai propri mariti”, per non percorrere strade di emancipazione false, quali erano quelle delle matrone romane, e senza privare la donna della sua pari dignità con l’uomo, resta la differenza dei ruoli nella famiglia.
“Esorta ancora i più giovani a essere prudenti”. I giovani devono essere riflessivi, prudenti, in quanto mancando di esperienza, soggetti a strumentalizzazioni, ed anche perché devono sapere prepararsi al momento nel quale avranno responsabilità forti.
“Offrendo te stesso come esempio di opere buone: integrità nella dottrina, dignità, linguaggio sano e irreprensibile”, Non basteranno affatto le parole, occorrerà che in primo luogo Tito dia il buon esempio.
“Perché il nostro avversario resti svergognato, non avendo nulla di male da dire contro di noi”.
L’avversario è il negatore della divinità di Cristo. Questi negatori di
Cristo, nella loro propaganda, presentavano i cristiani come dei
menzogneri, dei disonesti. “Esorta
gli schiavi a essere sottomessi ai loro padroni in tutto; li
accontentino e non li contraddicano, non rubino, ma dimostrino fedeltà
assoluta, per fare onore in tutto alla dottrina di Dio,nostro salvatore”.
La sottomissione non è perdita della propria dignità, ma ordine. La
schiavitù era diffusa, un dato di fatto, che non poteva essere travolta
con ribellioni, ma estinta dall’interno con la fraternità e il senso del
dovere.
Il nucleo dell’insegnamento
11
E' apparsa infatti la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini
12 e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà,
13 nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo.
14 Egli ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone.
15 Questo devi insegnare, raccomandare e rimproverare con tutta autorità.
Nessuno ti disprezzi!
“È apparsa infatti la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini”. La schiavitù non può essere giustificata poiché la salvezza è data a tutti gli uomini, e ciò comporta il rispetto della dignità di ogni uomo.
“Questo devi insegnare, raccomandare e rimproverare con tutta autorità”. A Creta bisognava essere fermi. Le parole vacillanti, eludenti non avevano speranza di presa. Solo l’autorità, che è totalmente tale perché accetta tutte le conseguenze dell’annuncio della verità, poteva risolvere i problemi dell’isola.
“Nessuno ti disprezzi!”. Tito non deve accettare di essere disprezzato dai fedeli. Deve reagire con determinazione contro chi volesse travolgerne l’autorità. Accettare la croce non è affatto abdicare alla propria missione, ma al contrario renderla sommamente autentica.
Disposizioni generali per i fedeli e prospettive apostoliche. Saluti e augurio finale
3
1
Ricorda loro di essere sottomessi alle autorità che governano, di obbedire, di essere pronti per ogni opera buona;
2
di non parlare male di nessuno, di evitare le liti, di essere mansueti, mostrando ogni mitezza verso tutti gli uomini.
3 Anche noi un tempo eravamo insensati, disobbedienti, corrotti, schiavi di ogni sorta di passioni e di piaceri, vivendo nella malvagità e nell’invidia, odiosi e odiandoci a vicenda.
4
Ma quando apparvero la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini,
5 egli ci ha salvati, non per opere giuste da noi compiute, ma per la sua misericordia, con un’acqua che rigenera e rinnova nello Spirito Santo,
6
che Dio ha effuso su di noi in abbondanza per mezzo di Gesù Cristo, salvatore nostro,
7 affinché, giustificati per la sua grazia, diventassimo, nella speranza, eredi della vita eterna.
8 Questa parola è degna di fede e perciò voglio che tu insista su queste cose, perché coloro che credono a Dio si sforzino di distinguersi nel fare il bene. Queste cose sono buone e utili agli uomini.
9 Evita invece le questioni sciocche, le genealogie, le risse e le polemiche intorno alla Legge, perché sono inutili e vane.
10
Dopo un primo e un secondo ammonimento sta’ lontano da chi è fazioso,
11 ben sapendo che persone come queste sono fuorviate e continuano a peccare, condannandosi da sé.
12
Quando ti avrò mandato Àrtema o Tìchico, cerca di venire subito da me a Nicòpoli, perché là ho deciso di passare l’inverno.
13 Provvedi con cura al viaggio di Zena, il giurista, e di Apollo, perché non manchi loro nulla.
14
Imparino così anche i nostri a distinguersi nel fare il bene per le necessità urgenti, in modo da non essere gente inutile.
15 Ti salutano tutti coloro che sono con me. Saluta quelli che ci amano nella fede. La grazia sia con tutti voi!
“Ricorda loro di essere sottomessi alle autorità che governano, di obbedire, di essere pronti per ogni opera buona”. Le ribellioni all’autorità civili non portano all’estensione del Vangelo, la cui forza sta nella preghiera e nella carità. Con ciò è salvo il diritto-dovere di presentare la richiesta di una migliore giustizia nel mondo.
“Di non parlare male di nessuno, di evitare le liti, di essere mansueti, mostrando ogni mitezza verso tutti gli uomini”. Le mormorazioni, le detrazioni, creano solo delle ostilità. La vittoria, a breve o a lunga scadenza, è assicurata dalla fedeltà di Dio e non dall’odio.
“Anche noi un tempo eravamo insensati, disobbedienti, corrotti, schiavi di ogni sorta di passioni e di piaceri, vivendo nella malvagità e nell’invidia, odiosi e odiandoci a vicenda. (…), egli ci ha salvati, non per opere giuste da noi compiute, ma per la sua misericordia”. Paolo ricorda che anche lui (ebreo) e Tito (pagano) un tempo erano stati gravi peccatori, e perciò non devono dimenticarselo per usare sempre misericordia verso tutti, anche nell’energica riprensione, Essi sono stati salvati non per le loro opere, ma per l’iniziativa misericordiosa di Dio. Molto forte è l’accento di Paolo al suo passato di fariseo quando credeva di trovare la giustificazione delle sue colpe nelle opere della legge, mentre essa passa attraverso la fede in Cristo, fede che è dono di Dio, ma che deve essere però accolta e vissuta nella carità operosa.
“Con un’acqua che rigenera e rinnova nello Spirito Santo, che Dio ha effuso su di noi in abbondanza per mezzo di Gesù Cristo, salvatore nostro, affinché, giustificati per la sua grazia, diventassimo, nella speranza, eredi della vita eterna”. E’ il Battesimo nel quale agisce lo Spirito Santo, che proviene da Cristo e unisce a Cristo, nell’apertura al Padre, nell’unità della Chiesa. La giustificazione giunge così agli uomini mediante la fede e viene sigillata nella sua pienezza di liberazione dalla colpa originale nel Battesimo.
“Questa parola è degna di fede e perciò voglio che tu insista su queste cose, perché coloro che credono a Dio si sforzino di distinguersi nel fare il bene”. Rigenerati per mezzo del Battesimo quali figli di Dio i cristiani devono essere conseguenti nelle loro opere, distinguendosi nel fare il bene (Mt 5,20).
“Evita invece le questioni sciocche, le genealogie, le risse e le polemiche intorno alla Legge, perché sono inutili e vane”. Le questioni sciocche provenivano dai cristiani dubitosi. Le genealogie le vantavano i Giudei, con il risultato di risse e polemiche con i cristiani. Non è questo il modo di diffondere la Verità, poiché essa si estende nei cuori mediante la grazia e la testimoniata cristiana coerente.
“Dopo un primo e un secondo ammonimento sta’ lontano da chi è fazioso, ben sapendo che persone come queste sono fuorviate e continuano a peccare, condannandosi da sé”. Non bisogna ingaggiare battaglia con i faziosi. Non solo non bisogna seguire chi dà il cattivo esempio e snerva la dottrina, ma neppure inseguirlo dopo averlo ammonito una volta o due. Certamente bisogna inseguirlo con la preghiera.
“Quando ti avrò mandato Àrtema o Tìchico, cerca di venire subito da me a Nicopoli, perché là ho deciso di passare l’inverno”. Paolo ha il programma di andare a Nicopoli d’Epiro dopo essere stato a Corinto. Questo per passare l’inverno evangelizzando in una città importante e per tale motivo chiede a Tito di raggiungerlo prima dell’inverno, garantendo un suo sostituto a Creta. In seguito, a stagione buona, passerà nella Macedonia.
“Provvedi con cura al viaggio di Zena, il giurista, e di Apollo, perché non manchi loro nulla”. Apollo era di Alessandria ed è da pensare che la meta del suo viaggio era Corinto. La nave doveva fare sosta a Creta. Ad andare di nuovo a Corinto Paolo lo aveva già invitato (1Cor 13,12), ma Apollo aveva rimandato tutto ad altro tempo, forse ritenendosi un po’ responsabile della formazione dei partiti a Corinto (At 18,24; 19,1; 1Cor 1,12; 3,4s). Zena ci è sconosciuto, ma doveva essere molto utile come giurista per stabilire una relazione attenta della comunità cristiana con l’ordinamento romano.
“Imparino così anche i nostri a distinguersi nel fare il bene per le necessità urgenti, in modo da non essere gente inutile”. Aiutando la missione di Apollo e Zena i cristiani di Creta potranno uscire dalla loro cerchia isolana e partecipare utilmente all’azione della Chiesa.
“Ti salutano tutti coloro che
sono con me. Saluta quelli che ci amano nella fede”.
La lettera termina con i saluti e l’invito a trasmetterli a tutti quelli
“che ci amano nella fede”, cioè sono veri credenti (Cf. Mt 10,40). “La
grazia sia con tutti voi!”. Di
fatto i saluti e questa benedizione autorizzano Tito a rendere pubblica
tra “quelli che ci amano nella
fede” la lettera. In tal modo, si
potrà constatare che il comportamento di Tito è in obbedienza alle
indicazioni di Paolo.
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