Salmo 61 (62)  Solo in Dio è la nostra pace

 

Al maestro del coro. Su “Iedutùn”. .

Miktam. Salmo. Di Davide
 
Solo in Dio riposa l'anima mia:
da lui la mia salvezza.

Lui solo è mia roccia e mia salvezza,
mia difesa: mai potrò vacillare.

Fino a quando vi scaglierete contro un uomo,
per abbatterlo tutti insieme
come un muro cadente,
come un recinto che crolla?

Tramano solo di precipitarlo dall'alto,
godono della menzogna.
Con la bocca benedicono,
nel loro intimo maledicono.

Solo in Dio riposa l'anima mia:
da lui la mia speranza.

Lui solo è mia roccia e mia salvezza,
mia difesa: non potrò vacillare.

In Dio è la mia salvezza e la mia gloria;
il mio riparo sicuro, il mio rifugio è in Dio.

Confida in lui, o popolo, in ogni tempo;
davanti a lui aprite il vostro cuore:
nostro rifugio è Dio.

Sì, sono un soffio i figli di Adamo,
una menzogna tutti gli uomini:
tutti insieme, posti sulla bilancia,
sono più lievi di un soffio.

Non confidate nella violenza,
non illudetevi della rapina;
alla ricchezza, anche se abbonda,
non attaccate il cuore.

Una parola ha detto Dio,
due ne ho udite:

la forza appartiene a Dio,
tua è la fedeltà, Signore;
secondo le sue opere
tu ripaghi ogni uomo.

Commento

 

Il salmista, molto probabilmente un levita, presenta “il segreto” della sua forza di fronte alle difficoltà, “il segreto” della sua pace: “Solo in Dio riposa l’anima mia: da lui la mia salvezza”.

Egli poi si rivolge con forza agli empi, che uniti nell’odio si scagliano contro il giusto, dopo averlo colpito come un ariete martella un muro. Quando vedono che il muro è ormai cadente, essi si scagliano per abbatterlo completamente. Così gli uomini si sono accaniti contro il Cristo quando lo hanno visto debole, senza pensare che quella debolezza era essenziale alla vittoria di Dio.

Il salmista dice alcune parole agghiaccianti circa gli intimi pensieri degli empi: “Tramano solo di precipitarlo dall’alto, godono della menzogna. Con la bocca benedicono, nel loro intimo maledicono”.

Il salmista dopo aver presentato l’orrore del cuore degli empi che si accordano contro il giusto, ripete il suo pensiero forza: “Solo in Dio riposa l’anima mia…”. Poi si rivolge al popolo esortandolo alla confidenza in Dio e alla preghiera: “Davanti a lui aprite il vostro cuore”. L’esortazione del salmista diventa sempre più didattica: “Non confidate nella violenza, non illudetevi della rapina; alla ricchezza, anche se abbonda, non attaccate il cuore”.

 

Alla ricchezza, anche se abbonda, non attaccate il cuore” La ricchezza è un segno della benevolenza di Dio (Gb 1,2s; 1Re 10,1s), ma non bisogna che il cuore vi si attacchi. La ricchezza, dono di Dio, riguarda, infatti, non solo i singoli, ma anche gli altri. Salomone fu grande fin tanto che la sua ricchezza si riversava su tutto il suo regno (1Re 19,8), ma poi declinò, perché la ricchezza diventò avere molte donne, in contrasto con l’avviso che il re non poteva avere un gran numero di donne (Cf. Dt 17,17); e ciò divenne fatale per lui (Sir 47,19).

La ricchezza è fortemente esposta al pericolo dell’attaccamento ad essa, con il risultato di negarla agli altri, per esercitare il dominio sugli altri, per i propri piaceri, per l’abbassamento degli altri.

Esempio tipico è quello dell’uomo ricco (Lc 12,16-21), che preso dall’avidità tenne tutto l’abbondante raccolto per sé, senza tenere conto che il raccolto era frutto della benedizione di Dio, e doveva essere partecipato agli operai dei suoi campi, che avevano pregato Dio. La notte stessa morì; indubbiamente per la sua ingiustizia: qualcuno insorse contro di lui e lo uccise. L’avarizia delle ricchezze crea scompensi sociali e infine ribellioni.

La ricchezza viziata dall’attaccamento la inquina di ingiustizia (Qo 5,9; Lc 1,14; 1Tim 6,10), così ha bisogno di essere redenta dalla carità di Cristo.

Zaccheo subito donò metà dei suoi beni a poveri, pronto a rendere quattro volte tanto chi avesse frodato (Lc 19,5s).

L’attaccamento alla ricchezza presso i farisei arrivava a coinvolgere Dio, dicendo che gli esclusi erano esclusi da Dio; infatti nessuna preoccupazione il ricco epulone ebbe per il povero Lazzaro (Lc 16,20).

Il diritto naturale della proprietà non va interpretato come assoluto, poiché va collocato all’interno del principio della destinazione universale dei beni della terra, fondato sulla stessa natura sociale dell’uomo, creato a immagine e somiglianza con Dio (Gn 1,26).

Il mio e il nostro sono due componenti fondanti il vivere umano. Quando il mio prevale si hanno gli squilibri sociali dell’individualismo, illusoriamente corretti dalle elemosine della filantropia. Individualismo indotto dal lasciar fare di uno Stato, nei suoi vasi estremi. Quando il nostro prevale si ha la privazione della libera iniziativa dell’uomo sotto l’imperativo di uno Stato compressore e collettivista.

In una parola pronunciata da Dio, il salmista ne coglie due. La prima è che “la forza appartiene a Dio, tua è la fedeltà, Signore”, cioè Dio è sovrano di ogni cosa; l'uomo deve attingere da lui la forza per superare nell'amore le difficoltà. Così anche la fedeltà appartiene a Dio, perché egli è assolutamente fedele alla sua alleanza con l'uomo, e gli dona di perseverare nell'amore verso di lui e il prossimo, compendio di tutta la Legge (Mt 22,40). La seconda è che Dio darà lode o riprovazione a ciascun uomo in base a quanto ha compiuto, poiché non c'è premio senza le opere che l'amore richiede e spinge a fare: “Secondo le sue opere tu ripaghi ogni uomo”.