Commento
Il salmo è stato composto nel postesilio durante la ricostruzione morale ed economica di Gerusalemme, che era di invito ad altri esuli di intraprendere il viaggio di rientro in patria. Il salmista invita alla lode dicendo che “È bello cantare inni al nostro Dio, è dolce innalzare la lode". A lui conviene la lode, e una lode adeguata, cioè che sgorga da un cuore aperto a lui, senza donazioni parziali di sé. Lodare è celebrare la bontà del Signore manifestata nelle sue opere. Lodare è rivolgersi a lui pieni di fede, compresi della sua misericordia, della sua giustizia, della sua provvidenza, della sua volontà di comunione con l'uomo; anzi è riconoscere che lui è la misericordia, la giustizia, la comunione, la bontà, la bellezza, il perdono, la vita (Vedi le lodi a Dio di san Francesco). Lodare è amare; è il ritorno a lui - mai sufficiente e perciò sempre da far crescere - dell'amore che ci dona incessantemente nel dono dello Spirito Santo (Rm 5,5). Lodare è aver sperimentato la potenza della sua Parola, accolta nella fede e nell'obbedienza. Lodare è desiderare lui; è volere lui, perciò non è sospensione del domandare a lui di crescere nell'amore verso lui. Lodare è aver sperimentato la gioia di amare i fratelli, è pregare per loro. Lodare non è sospensione del ringraziar, poiché il lodare Dio porta con sé il ringraziare di poterlo lodare, perché “è dolce innalzare la lode”. Lodare Dio è umiltà, è riconoscere che si è sue creature, bisognose di salvezza, di aiuto, e che salvezza e aiuto si riversano su ciascuno di noi inesauste e sovrabbondanti (Rm 5,20; 1Tm 1,14). “Il Signore ricostruisce Gerusalemme”; ciò non riguarda la ricostruzione delle mura, ma l'organizzazione interna della città, la sua solidità economica, la sua capacità difensiva. “Risana i cuori affranti e fascia le loro ferite”; con l'avvento di una normalità di vita i cuori ritornano a guardare con serenità al futuro. Il pietoso Dio che fascia le ferite dei cuori affranti è anche colui che è sovrano dell'universo, poiché “Egli conta il numero delle stelle e chiama ciascuna per nome”. Egli conosce il numero sterminato degli astri (in Terra Santa le condizioni atmosferiche permettono di vedere un cielo denso di stelle) e ogni stella è conosciuta da lui nella sua realtà: “chiama ciascuna per nome”. Dallo sguardo all'immensità del numero delle stelle, il salmista sale a considerare la grandezza, l'onnipotenza e la sapienza di Dio: “Grande è il Signore nostro, grande nella sua potenza; la sua sapienza non si può calcolare”. Il salmista prosegue considerando come Dio sostiene gli umili, e abbatte gli empi. Perché l'umiltà è il porsi giusto davanti al Creatore, che è pure salvatore; è il vincere il voler essere come Dio; è gioia e gratitudine di essere amati e perdonati. L'umile sa amare, sa lodare, sa riconoscere i benefici ricevuti; così il salmista invita a cantare un “canto di grazie” a Dio perché regola le stagioni a favore dell'uomo: “Egli copre il cielo di nubi, prepara la pioggia per la terra, fa germogliare l'erba sui monti”. Il bestiame tenuto al pascolo ha così cibo, ma anche gli uccelli di cui nessuno se ne cura hanno cibo dalla provvidenza di Dio. Inutile pensare che Dio deleghi la sua assistenza contro i nemici del suo popolo alla forza dei cavalli e all'agilità dei guerrieri, quasi che non potesse agire in altro modo che per mezzo di un esercito. Questo Dio l'aveva dimostrato molte volte, e di recente sventando la coalizione armata contro Gerusalemme mentre stava ricostruendo le sue mura (Ne 4,9). Dio non si compiace dell'autosufficienza di chi crede di salvarsi per la forza dei cavalli o l'abilità dei guerrieri, ma si compiace di “chi lo teme, chi spera nel suo amore”. |