Commento
Questo salmo presenta un Giudeo, che, subito dopo il ritorno dall'esilio di Babilonia, ricorda le sofferenze subite in schiavitù, e si vincola ad una fermissima speranza nella ricostruzione di Gerusalemme, pur in mezzo alle ostilità dei popoli vicini, tra i quali gli Edomiti: (L'elenco dei popoli forniti dal libro di Esdra (9,1) non è quello preciso del tempo, ma è un'inserzione postuma che si rifà a Dt 7,1). L'orante presenta il pianto degli esiliati, le umiliazioni, la determinazione con la quale appesero le cetre ai salici, vincolandosi di non cantare mai davanti agli oppressori i Canti di Sion. Lo scherno, l'insulto, l'attentato alla fede, sono espressi in maniera estremamente efficace: “Là ci chiedevano parole di canto coloro che ci avevano deportato...”. Poi, di fronte alla tentazione di tanti di imparentarsi con popoli stranieri per via di matrimoni (Esd 9,1.12; Nm 9,2), l'orante afferma che, dopo aver provato tanto dolore in terra straniera, non potrebbe pensare di cantare i Canti di Sion fuori della Palestina, e dimenticando Gerusalemme: “Mi si attacchi la lingua al palato (...) se non innalzo Gerusalemme al di sopra di ogni mia gioia”. L'orante ricorda quanto con vile crudeltà fece Edom, già conquistato da Nabucodonosor, nel pieno della distruzione di Gerusalemme:”<Spogliatela, spogliatela fino alle sue fondamenta>”, e invoca su di lui la giustizia divina. La “Figlia di Babilonia” è Bozra, la città principale di Edom (Cf. Is 34,6; 63,1; Ger 48,24; 49,13s; Am 1,12). Su questa città il salmista invoca una distruzione vendicativa: “Beato chi ti renderà quanto ci hai fatto...”. |