Testo e
commento
Capitolo
1 2 3 4 5
6 7
8 9
10 11
12 13
14 15
16
La comunità di Roma La comunità
di Roma viene presentata nella lettera ai Romani, forse scritta nella primavera
del 58 a Corinto, come ben formata e ben coordinata in Chiesa. Essa era
celebrata, come dice Paolo (1,8; Cf. 16,19), “In
tutto il mondo”. Quando Paolo venne
condotto prigioniero a Roma, per la prima volta un gruppo di cristiani lo
raggiunse a Foro Appio e alle Tre Taverne (At 28,15), segno che la comunità
aveva capacità di informazioni. Si pone il problema di come si sia originata
tale comunità. Il primo annuncio non poté essere portato a Roma che da quei
Giudei di Roma, presenti a Gerusalemme nel giorno della Pentecoste (At 2,10) e
che accolsero il messaggio di Pietro e il Battesimo da lui amministrato,
diventando cristiani. L'evangelizzazione del mondo giudaico partì subito a
Pentecoste, quella del mondo pagano qualche anno più tardi ad opera di Paolo.
Nacque immediatamente la necessità di avere a Roma dei presbiteri e questi non
poterono che essere istituiti a Gerusalemme. La tradizione presente nella
traduzione in latino del “Chronicon” di Eusebio fatta da Girolamo (380 d.C.)
parla di una presenza di Pietro a Roma di 25 anni, ciò dal 42 d.C. andando a
ritroso dalla data del martirio (67 d.C.), ma indubbiamente non fu una presenza
continuativa. Gerolamo ripete lo stesso numero di anni nel “De viris
illustribus”. Va tuttavia detto che il numero 25 non si trova nel testo
originario di Eusebio, conservato da Giorgio Sincello (… - 810); se ne conclude
che Gerolamo fece confluire nel testo di Eusebio il numero di 25 anni partendo
da un’altra tradizione. Sono certi viaggi apostolici di Pietro lontano da
Gerusalemme essendosene dovuto allontanare in seguito alla persecuzione (42/43
d.C) di Erode Agrippa (At 12,17). Non è impossibile pensare che Pietro, dopo
l’incognito “un altro luogo”
(At 12,17), si dirigesse verso Roma. A Roma un decreto di Claudio (49 d.C) aveva
espulso i Giudei, non ancora ben distinti dai cristiani. Svetonio presenta la
ragione del decreto: “Iudaeos impulsore Chresto assidue tumultuantes Roma
expulsit”. (Espulse da Roma i Giudei che per istigazione di Chresto erano
continua causa di disordine). Chresto non è altro che Christos". Aquila e
Priscilla sono menzionati quali sposi giudeo-cristiani che dovettero lasciare
Roma (At 18,2).
Comunque, Pietro fu presente a Gerusalemme per il Concilio
(autunno 51). Dopo il Concilio, Pietro passò certamente per Corinto (53/55)
poiché nella comunità di Corinto c’era un partito che si rapportava a lui (1Cor
1,12; 3,22). Da Corinto il passaggio in Italia era facile. Quando Paolo scrisse
la lettera ai Romani (58 d.C.) Pietro non doveva essere a Roma, come si deduce
dal fatto che non c’è alcun indirizzo di Paolo a Pietro. Paolo non era andato
mai a Roma, ma era molto noto in quella comunità e, secondo l’interpretazione
che fa del cap. 16 parte integrante della lettera, aveva molte amicizie.
L’esempio di Paolo aveva indubbiamente promosso l’evangelizzazione verso i
pagani, che dovette intensificarsi dopo in Concilio di Gerusalemme. Nella
lettera ai Romani gli etnico cristiani appaiono in netta maggioranza rispetto ai
giudeo-cristiani.
Unità della lettera
Nella tradizione manoscritta esiste
qualche difficoltà circa i capitolo 15 e 16. Origene riferisce che i capitoli
vennero tolti da Marcione (La notizia ci è pervenuta nella traduzione in latino
fatta da Rufino, PG 14, 1290) concludendo con un generico: “Gratia cum omnibus
sanctis”. Marcione (85 - 160) fece a torto questa eliminazione, probabilmente,
perché i due capitoli erano troppo ricchi di riferimenti personali e
comunionali; in tal modo la lettera assumeva un aspetto di enciclica. Tale forma
breve è testimoniata da alcuni sommari (capitula) latini. In tali capitula si
passa direttamente da 14,23 alla dossologia finale della lettera (16,23s).
Tertulliano, Cipriano, Ireneo, conobbero la lettera senza i due capitoli. La
dossologia finale si trova poi in alcuni testimoni (P46; papiro del III sec.)
alla fine del cap 15, che pare la conclusione della lettera: “Il Dio della pace
sia con tutti voi. Amen”. In altri testimoni la dossologia (16,25s) compare alla
fine del cap 14. Questi spostamenti della dossologia finale al termine del cap.
14 dipendono, con tutta probabilità, dall’opera di copisti influenzati
dall’abolizione dei cap 15 e 16 da parte di Marcione. Circa la dossologia al
termine del cap. 15 si deve pensare ad una selezione per la lettura pubblica,
non interessando più di tanto la serie degli auguri, che però rimane importante.
Il cap. 16 è centrato sulla raccomandazione della sorella Febe sorella della
Chiesa di Cencre (Cencre è il porto di Corinto) e sui saluti a 26 persone, che
Paolo doveva conoscere con tanta intensità più facilmente a Efeso che a Roma, dà
spazio all’argomento che si tratti di una parte destinata in specifico alla
Chiesa di Efeso. Paolo da Corinto, dove scrisse la lettera, non aveva il
proposito di visitare Efeso nel suo viaggio a Gerusalemme, poté quindi scrivere
alla comunità di Efeso il cap 16. Così la forma romana sarebbe quella che si
ritrova nel (P46), a questa forma sarebbe stata aggiunta in seguito il biglietto
a Efeso. I due capitoli 15 e 16 sono tuttavia testimoniati ampiamente dalla
tradizione manoscritta. Si rileva la stretta contiguità tra la fine del cap. 14
e l’inizio del cap. 15, dove i primi tredici versetti sono strettamente connessi
ai precedenti, e le notizie che seguono nel cap. 15 sono in piena armonia con la
realtà vissuta da Paolo in quel tempo. L’ipotesi del biglietto a Efeso non è
però dimostrata. Infatti, Aquila e Priscilla sarebbero potuti ritornare a Roma
dopo la morte dell’imperatore Claudio (54 d.C.). I nomi delle persone salutate
potrebbero riferirsi a persone che si spostavano frequentemente. I nomi si
trovano in tutte le iscrizioni romane, mentre pochi se ne sono ritrovati a
Efeso. Paolo del resto doveva avere informazioni precise sulla comunità di Roma
derivate da conoscenze. Ma bisogna anche notare che quando Paolo scriveva a
comunità da lui fondate o a lui ben note non usava inviare saluti circoscritti.
Nella lettera ai Colossesi lo fa perché a Colosse non si era mai recato, così
come a Roma. Se il biglietto di raccomandazione di Febe fosse rivolto alla
comunità di Efeso, fondata da Paolo, avrebbe generato preferenze circa i saluti,
il che sarebbe stato disastroso. La conclusione del cap. 15 appare solo la
conclusione dell’esposizione della lettera a cui segue in particolare la
raccomandazione della “nostra sorella” Febe e i vari saluti.
Alcuni manoscritti
non riportano (1,7.15) “a Roma”.
Con ciò l’ipotesi che la lettera venisse effettivamente indirizzata a Roma,
mentre una copia senza l’indirizzo sarebbe stata inviata a Efeso
congiuntamente al biglietto di raccomandazione e saluti (cap. 16). Ma i
manoscritti che omettono “a Roma”
sono un numero molto esiguo e perciò senza peso probante, e si può pensare
che siano il prodotto di copisti che cercarono di dare alla lettera il
carattere di un’enciclica.
Autenticità della lettera e canonicità
La lettera ai Romani riporta il nome del suo
autore (1,1): “Paolo, servo di Cristo
Gesù…”. Nessuno ha mai messo in dubbio
l’autenticità paolina della lettera, neanche gli autori protestanti e
razionalisti. Solo qualche critico radicale del XIX sec. (W. B. Smith, A.
Pallis, L. G. Rylands), insieme alla cosiddetta “Scuola olandese”
(A. Pierson, S. A. Naber, W. C. Manen, e altri) hanno negato l’autenticità
della lettera, ma non hanno avuto seguito, non meritando considerazione. Vi
sono allusioni a favore dell’autenticità nei Padri Apostolici; citazioni
nelle lettere delle Chiese di Lione e di Vienne, e anche negli scrittori
gnostici del II sec. (Basilide, Valentino, Marcione). Sant’Ireneo, Clemente
Alessandrino, Tertulliano, il frammento Muratoriano (170 d.C. Lista dei
testi del Nuovo Testamento accolti come canonici), ecc, attribuiscono senza
esitazioni la lettera ai Romani all’apostolo Paolo.
Luogo e tempo di
composizione
Dagli Atti e dalla lettera stessa si ricava che Paolo per circa
tre anni stette a Efeso, poi si diresse a Corinto dove vi rimase tre mesi
(At 20,1s). Successivamente si recò a Gerusalemme contando di giungervi
verso la Pasqua, portando il frutto delle collette fatte in Acaia e in
Macedonia. Giunse però a Gerusalemme, per una congiura ordita contro di lui,
solo per la Pentecoste (At 20,3.6.16), E’ durante la breve permanenza a
Corinto che Paolo scrisse la lettera ai Romani, come si deduce da vari
indizi. Fede è di Cencre (Rm 16,1), porto di Corinto; Erasto è il tesoriere
della città (Rm 16,23), Gaio (Rm 16,23) è di Corinto (1Cor 1,14; 2Tm 4,20).
Timoteo e Sosipatro (Rm 16,21) furono compagni di Paolo nel viaggio a
Corinto (At 20,4). Il tempo della composizione della lettera è valutabile
verso la primavera del 58, prima della Pasqua (At 20,6). L’arresto di Paolo
avvenne in questo anno dopo il suo arrivo a Gerusalemme (At 20,16), essendo
partito da Corinto.
Scopo della lettera La lettera
ai Romani oltrepassa la semplice lettera di presentazione per un arrivo
imminente - sperato come tappa per un viaggio di evangelizzazione in Spagna
(Rm 15,24s) -, risultando un vitale apporto alla ricchezza di quella
comunità. La lettera è una fortissima anticipazione dottrinale per
l’evangelizzazione tra i Giudei e i pagani, che Paolo si riprometteva di
fare a Roma. Paolo è certo un teologo, ma è pure un evangelizzatore sul
terreno: un apostolo teologo. Evangelizzazione e dottrina sono in lui
strettamente connesse, e del resto una loro divisione sarebbe disastrosa.
Paolo vuole innanzitutto premunire i cristiani contro le suggestioni del
paganesimo forte del potere imperiale, presentando la situazione di vizio
del paganesimo, e che essa ha come radice la negazione dell'esistenza di
Dio, alla quale si può accedere dalle realtà create. Paolo, tuttavia,
afferma che vi sono in mezzo ai pagani uomini che vivono la Legge, cioè
l'amore verso Dio e verso il prossimo, pur senza provenire dalla Legge.
Essi, seguendo la retta coscienza e con l'aiuto di Dio, sono Legge a se
stessi. Questo è il caso più alto, ma esistono anche casi di onestà, pur non
arrivando a sottrarsi completamente alla cultura religiosa pagana. Paolo
vuole che i cristiani nella loro opera di evangelizzazione vedano la
presenza di segni positivi tra i pagani e li valorizzino. Paolo stesso si
dichiara debitore dei Greci come dei barbari, dei sapienti come degli
ignoranti. Altro obiettivo di Paolo è quello di chiarire quale dev’essere il
rapporto dei cristiani coi Giudei. I cristiani potevano scoraggiarsi
ritenendo invalido l’annuncio evangelico di fronte al rifiuto giudaico,
oppure, al contrario, potevano perseguire comportamenti violenti. La
dottrina relativa alla Legge e alla fede in Cristo viene presentata così che
i cristiani sappiano annunciare la loro fede ai Giudei invitandoli alla
conversione a Cristo. Paolo afferma che i Giudei non hanno alcun titolo per
combattere il Vangelo, poiché rifiutandolo entrano in contraddizione con la
ragione per la quale sono stati costituiti. La giustificazione dai peccati
avviene non per mezzo delle opere, ma per mezzo della fede in Cristo, fede
che comporta il camminare secondo lo Spirito e non secondo la carne. I
Giudei hanno rifiutato Cristo, annunciato dalle Scritture e che dovevano
attendere, e con ciò sono entrati nella disobbedienza. La situazione di
Israele tuttavia non è senza speranza, poiché un giorno si aprirà a Cristo.
Nella lettera ai Romani non si avverte la presenza di particolari
contrapposizioni tra giudeo-cristiani e cristiani provenienti dal
paganesimo. Circa le disposizioni del Concilio riguardo ai cibi, Paolo fa
appello, come già nella prima lettera ai Corinzi (8,1s), alla carità dei
forti verso i deboli, e al rispetto delle opinioni, che, ovviamente, non
intacchino la fede o la morale. Tutto è affidato alla maturazione nella
carità. Paolo vuole denunciare la presenza di cristiani di nome ma non di
fatto, che non servono Cristo, ma “il proprio ventre”, deformando la libertà
data da Cristo come giustificazione di libertinaggio (1Pt 2,16). Non mancano
nella lettera indicazioni sul comportamento dei cristiani verso l'autorità
civile costituita.
Indirizzo e saluto
1 1Paolo,
servo di Cristo Gesù, apostolo per chiamata, scelto per annunciare il vangelo di
Dio - 2
che egli aveva promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture
3 e che riguarda il Figlio suo, nato dal seme di
Davide secondo la carne,
4
costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità, in virtù
della risurrezione dei morti, Gesù Cristo nostro Signore;
5
per mezzo di lui abbiamo ricevuto la grazia di essere apostoli, per suscitare
l'obbedienza della fede in tutte le genti, a gloria del suo nome,
6 e tra queste siete anche voi, chiamati da Gesù Cristo -,
7
a tutti quelli che sono a Roma, amati da Dio e santi per chiamata, grazia a voi
e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo!
Paolo non scrive la lettera ai Romani in un
contesto di difesa come nella lettera ai Galati, tuttavia mette subito in
evidenza la sua elezione ad apostolo da parte di Dio, perché è un'affermazione
della libera azione di Dio. Non sono le opere che piegano Dio all'uomo, ma è Dio
con la sua misericordia che va incontro all'uomo e lo eleva a sé donandogli la
luce e la forza dello Spirito per operare nella carità, la quale non è mai solo
fatto interiore, poiché essa esige la concretezza e quindi le azioni che la
rendono visibile (Mt 25,35).
“Costituito Figlio di Dio con
potenza, secondo lo Spirito di Santità, in virtù della risurrezione dei morti”;
questo passo è di una grande densità teologica e va compreso. Gesù Cristo è
Figlio di Dio per la sua natura divina, ma la sua natura umana doveva
raggiungere, “secondo lo Spirito di santità”,
la perfezione voluta dal Padre perché egli fosse costituito, anche
riguardo alla natura umana assunta, Figlio di Dio.
La santità della natura umana di Cristo, vero Dio e vero
Uomo, è sempre stata perfetta davanti agli uomini, e indubbiamente egli
si è manifestato Figlio di Dio con i miracoli, ma c'era la perfezione che Cristo
doveva raggiungere davanti al Padre, e questa venne raggiunta con la sua
obbedienza fino alla morte di croce (Eb 2,10). Questa perfezione è stata
manifestata mediante la risurrezione gloriosa, così Cristo è stato costituito
Figlio di Dio davanti ad ogni coscienza anche riguardo la natura umana
assunta, poiché essa, per generosissima volontà, unita alla volontà del Verbo,
(in Cristo due sono le nature, l'umana e la divina, mentre rigorosamente una è
la Persona, quella divina), non si è opposta alla generazione voluta dal
disegno del Padre che passava attraverso i dolori della morte di croce per
giungere alla generazione della risurrezione, come dice il salmo (2,7): “Egli
mi ha detto: <Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato>”.
“L'obbedienza della fede”;
la fede è un atto di adesione libera alla verità rivelata che include
l'obbedienza, poiché l'intelletto si trova di fronte a realtà che sono al di
sopra delle sue capacità di accesso; se, infatti, l'intelletto potesse
raggiungere da solo i dati della rivelazione non ci sarebbe bisogno della fede.
L'intelletto, tuttavia, vede come la fede poggi oltre che sull'autorità di Dio,
su prove di credibilità che l'intelletto percepisce: i miracoli, la
testimonianza eroica degli apostoli, la storicità dei Vangeli, la coerenza
dottrinale della Chiesa lungo i secoli, la santità eroica testimoniata dai
santi. L'atto di fede nella verità rivelata, poggia poi sulla realtà
dell'esistenza di Dio, e qui l'intelletto umano può e deve accedervi (Sap
13,1-9; At 16,23; Rm 1,20).
L'intelletto illuminato dalla fede viene chiamato
intellectus fidei. L'intellectus fidei è ciò che produce e guida il
pensiero teologico, che ha come compito di approfondire le verità rivelate per
coglierne sempre più le ricchezze, senza però pretendere di esaurire il mistero,
che solo verrà svelato nella gloria del cielo (1Cor 13,12).
Ringraziamento e
preghiera
8
Anzitutto rendo grazie al mio Dio per mezzo di Gesù Cristo riguardo a tutti voi,
perché della vostra fede si parla nel mondo intero.
9 Mi è testimone Dio, al quale rendo culto nel mio spirito annunciando
il vangelo del Figlio suo, come io continuamente faccia memoria di voi,
10
chiedendo sempre nelle mie preghiere che, in qualche modo, un giorno, per
volontà di Dio, io abbia l'opportunità di venire da voi.
11 Desidero infatti ardentemente vedervi per comunicarvi qualche dono
spirituale, perché ne siate fortificati,
12 o meglio, per essere in mezzo a voi confortato mediante la
fede che abbiamo in comune, voi e io.
13 Non voglio che ignoriate, fratelli, che più volte mi sono
proposto di venire fino a voi - ma finora ne sono stato impedito - per
raccogliere qualche frutto anche tra voi, come tra le altre nazioni.
14
Sono in debito verso i Greci come verso i barbari, verso i sapienti come verso
gli ignoranti:
15 sono quindi
pronto, per quanto sta in me, ad annunciare il Vangelo anche a voi che siete a
Roma.
16 Io infatti non mi vergogno del Vangelo, perché è potenza di
Dio per la salvezza di chiunque crede, del Giudeo, prima, come del Greco.17
In esso infatti si rivela la giustizia di Dio, da fede a fede, come sta scritto:
Il giusto per fede vivrà (Ab 2,4).
Paolo coltiva da lungo tempo il desiderio di
visitare la comunità cristiana di Roma, proponendosi anche di essere attivo
annunciando il Vangelo, ben sapendo che tale annuncio non sarà di fondazione
della comunità di Roma, già costituita, ma solo di comunicazione, ma solo di
comunicazione di “qualche dono spirituale perché ne siate fortificati
”. Ma ci sarà
reciprocità poiché Paolo ne ricaverà conforto “mediante
la fede che abbiamo in comune”.
L'apostolo si sente pronto, per quanto sta nelle
sue possibilità, ad andare ad una comunità celebrata in tutto il mondo, perché è
stato inviato dalla grazia di Dio, per cui ha il dovere, che ha la forza di un
debito da estinguere, di dare loro il Vangelo.
Annunciare il Vangelo per Paolo è un atto di
culto a Dio, è pregare, è essere in comunione con Dio, è amare, è obbedire a
Cristo, è anche ricevere consolazione dai frutti prodotti dal Vangelo. Parlare
di Cristo è annunciarne le ricchezze, sempre da cogliere poiché inesauribili
(11,33; Ef 3,8; Col 1,27-28). Paolo, non si vergogna del Vangelo, e
quindi non subordina il suo annuncio ad opportunità umane, ma ritiene il Vangelo
un dono di portata incalcolabile che rivela la giustizia di Dio. La fede è
condizione base per essere giustificati, cioè liberati dai peccati e resi figli
adottivi di Dio, poiché è la fede che dà la vita alle anime: “Il
giusto per fede vivrà”.
E la fede non è un fatto statico, ma deve crescere nel cammino della vita: “da
fede a fede”
Tutti sono nel
peccato
18 Infatti l'ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e
ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell'ingiustizia,
19
poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha
manifestato a loro.
20
Infatti le sue perfezioni invisibili, ossia la sua eterna potenza e divinità,
vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da
lui compiute. Essi dunque non hanno alcun motivo di scusa
21 perché, pur avendo conosciuto Dio, non lo hanno glorificato né
ringraziato come Dio, ma si sono perduti nei loro vani ragionamenti e la loro
mente ottusa si è ottenebrata.
22 Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti e hanno
scambiato la gloria del Dio incorruttibile con un'immagine e una figura di uomo
corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili.
Quelli che per agilità mentale, hanno la
possibilità di una teodicea elaborata, cioè di giungere distintamente
all'esistenza di un creatore, dovrebbero agire di conseguenza e liberarsi dalla
cappa opprimente dell'idolatria, ma non lo fanno e condizionano pesantemente i
deboli, che pur con pensiero embrionale avvertono la presenza di un creatore.
Essi sono dunque dei negatori, e come tali non hanno “alcun
motivo di scusa perché pur avendo conosciuto Dio, non lo hanno glorificato né
ringraziato”.
L'annuncio del Vangelo ai pagani richiede che
essi, come prima cosa, giungano a riconoscere, anche aiutati
dall'evangelizzatore, l'esistenza dell'unico Dio, cosa che si può fare con il
lume della ragione.
Paolo ad Atene (At 17,23s) fa leva su quanto
hanno colto gli ateniesi circa l'unico Dio. Dice che essi riconoscono esserci
“un Dio ignoto”, e che se essi non lo conoscono pur viene da loro adorato. Cita
pure il pensiero di alcuni saggi (At 17,28): Arato di Soli poeta della Cilicia
(III sec. a.C.) e lo stoico Cleante (III sec. a.C.) nel suo inno a Zeus 5.
Dio li ha
abbandonati alle loro passioni
24 Perciò Dio li ha abbandonati all'impurità secondo i desideri
del loro cuore, tanto da disonorare fra loro i propri corpi,
25
perché hanno scambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno adorato e
servito le creature anziché il Creatore, che è benedetto nei secoli Amen.
26 Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; infatti,
le loro femmine hanno cambiato i rapporti naturali in quelli contro natura.
27
Similmente anche i maschi, lasciando il rapporto naturale con la femmina, si
sono accesi di desiderio gli uni per gli altri mettendo atti ignominiosi maschi
con maschi, ricevendo così in se stessi la retribuzione dovuta al loro
traviamento. 28
E poiché non ritennero di dover conoscere Dio adeguatamente, Dio li ha
abbandonati alla loro intelligenza depravata ed essi hanno commesso azioni
indegne: 29 sono colmi di ogni ingiustizia, di malvagità, di
cupidigia, di malizia; pieni d’invidia, di omicidio, di lite, di frode, di
malignità; diffamatori,
30
maldicenti, nemici di Dio, arroganti, superbi, presuntuosi, ingegnosi nel male,
ribelli ai genitori, 31 insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia.
32
E, pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano
la morte, non solo le commettono, ma anche approvano chi le fa.
Poiché i pagani sono nella condizione di
riconoscere l'unico Dio e non lo hanno fatto, Dio li ha abbandonati alle loro
voglie. Il quadro presentato da Paolo vale anche per il nostro oggi, con la
differenza che il nostro neopaganesimo è ancora più buio e micidiale.
Il giusto giudizio
di Dio
2 1
Perciò chiunque tu sia, o uomo che giudichi, non hai alcun motivo di scusa
perché mentre giudichi l'altro, condanni te stesso; tu che giudichi, infatti,
fai le medesime cose.
2
Eppure noi sappiamo che il giudizio di Dio contro quelli che commettono tali
cose è secondo verità.
3
Tu che giudichi quelli che commettono tali azioni e intanto le fai tu stesso,
pensi forse di sfuggire al giudizio di Dio?
4 0
disprezzi la ricchezza della sua bontà, della sua clemenza e della sua
magnanimità, senza riconoscere che la bontà di Dio ti spinge alla conversione?
5 Tu, però, con il tuo cuore duro e ostinato, accumuli collera
su di te per il giorno dell'ira e della rivelazione del giusto giudizio di Dio,
6
che renderà a ciascuno secondo le sue opere:
7
la vita eterna a coloro che, perseverando nelle opere di bene, cercano gloria,
onore, incorruttibilità;
8
ira e sdegno contro coloro che, per ribellione, disobbediscono alla verità e
obbediscono all'ingiustizia.
9 Tribolazione e angoscia su ogni uomo che opera il male, sul Giudeo,
prima, come sul Greco;
10
gloria invece, onore e pace per chi opera il bene, per il Giudeo, prima, come
per il Greco:
11 Dio infatti
non fa preferenza di persone.
12 Tutti quelli che hanno peccato senza la Legge, senza la Legge
periranno; quelli invece che hanno peccato sotto la Legge, con la Legge saranno
giudicati. 13
Infatti, non quelli che ascoltano la Legge sono giusti davanti a Dio, ma quelli
che mettono in pratica la Legge saranno giustificati.
14 Quando i pagani, che non hanno la Legge, per natura agiscono secondo
la Legge, essi, pur non avendo Legge, sono legge a se stessi.
15
Essi dimostrano che quanto la Legge esige è scritto nei loro cuori, come risulta
dalla testimonianza della loro coscienza e dai loro stessi ragionamenti, che ora
li accusano ora li difendono.
16 Così avverrà nel giorno in cui Dio giudicherà i segreti degli
uomini, secondo il mio Vangelo, per mezzo di Cristo Gesù.
Paolo si rivolge ai Giudei e anche ai pagani: “Chiunque
tu sia, o uomo che giudichi”.
Il Giudeo che opera il male è meritevole di
condanna come il pagano. Il Giudeo ha la Legge, ma nel cuore di tutti gli uomini
Dio ha posto la legge della coscienza, per cui entrambi, Giudeo e pagano, sono
oggetto di merito o di condanna, anche se il Giudeo si trova “prima”
del pagano, avendo, oltre che la legge della coscienza, il dono della Legge
scritta su tavole di pietra, che conferma la legge dettata dalla coscienza.
Anche i Giudei hanno
colpe
17 Ma se tu ti chiami Giudeo e ti riposi sicuro sulla Legge e
metti il tuo vanto in Dio,
18 ne conosci la volontà e, istruito dalla Legge, sai discernere ciò
che è meglio,
19 e sei
convinto di essere guida dei ciechi, luce di coloro che sono nelle tenebre,
20
educatore degli ignoranti, maestro dei semplici, perché nella Legge possiedi
l'espressione della conoscenza e della verità...
21
Ebbene, come mai tu, che insegni agli altri, non insegni a te stesso? Tu che
predichi di non rubare, rubi? 22
Tu che dici di non commettere adulterio, commetti adulterio? Tu che detesti gli
idoli, ne derubi i templi?
23
Tu che ti vanti della Legge, offendi Dio trasgredendo la Legge!
24 Infatti sta scritto: Il nome di Dio è bestemmiato per causa
vostra tra le genti (Is 52,5).
25 Certo, la circoncisione è utile se osservi la Legge; ma, se
trasgredisci la Legge, con la tua circoncisione sei un non circonciso.
26
Se dunque chi non è circonciso osserva le prescrizioni della Legge, la sua
incirconcisione non sarà forse considerata come circoncisione?
27 E così, chi non è circonciso fisicamente, ma osserva la Legge,
giudicherà te che, nonostante la lettera della Legge e la circoncisione, sei
trasgressore della Legge.
28 Giudeo, infatti, non è chi appare tale all'esterno, e la
circoncisione non è quella visibile nella carne;
29 ma Giudeo è colui che lo è interiormente e la
circoncisione è quella del cuore, nello spirito, non nella lettera; la sua,lode
non viene dagli uomini, ma da Dio.
“Ma se tu ti chiami Giudeo”,
ora Paolo si rivolge in specifico ai Giudei per rilevarne le colpe. Il Giudeo in
virtù della Legge è convinto di “essere guida dei ciechi, luce di coloro che sono nelle tenebre”,
e mentre dice: “Non
rubare”,
ruba anche lui. Mentre dice “Non commettere adulterio”, commette anche lui adulterio. Mentre detesta gli idoli, si
adopera però per derubare gli idoli d'oro e d'argento.
Queste azioni in contraddizione con quanto dice
il Decalogo, fanno sì che “Il nome di Dio è bestemmiato per causa vostra tra le genti
”.
I Giudei giudicavano immondi i pagani, ma i
pagani vedendo le loro incoerenze avevano motivo di giudicarli a loro volta e
anche li giudicavano di falsità, poiché il disprezzo giudaico per i culti agli
dei - culti tutelati da Cesare -, si accompagnava con la menzogna di un profondo
ossequio a Cesare (Gv 19,15), e anche con mire nazionaliste contro Cesare.
Il Giudeo si riteneva discendenza di Abramo per
la circoncisione, ciò era ma se non trasgrediva la Legge. La circoncisione in sé
non è qualifica di giustizia davanti a Dio, dal momento che ci sono degli
incirconcisi che osservano la Legge, cioè dei pagani che seguono la legge,
essendo “legge a se stessi”.
Ne segue che circoncisione che ha valore “è quella del cuore, nello spirito, non nella
lettera”.
La circoncisione che si ferma ad essere ritualità legale, cioè secondo la
lettera e non secondo l'insegnamento spirituale contenuto nella lettera, non ha
valore alcuno.
Le infedeltà dei
Giudei non annullano la fedeltà di Dio
3 1
Che cosa dunque ha in più il Giudeo? E qual è l'utilità della circoncisione?
2
Grande, sotto ogni aspetto. Anzitutto perché a loro sono state affidate le
parole di Dio.
3 Che dunque?
Se alcuni furono infedeli, la loro infedeltà annullerà forse la fedeltà di Dio?
4
Impossibile! Sia chiaro invece che Dio è veritiero, mentre ogni uomo è
mentitore, come sta scritto (Ps 50/51,6):
|
Affinché tu sia riconosciuto giusto nelle tue
parole
e vinca quando sei giudicato.
|
5 Se però la nostra ingiustizia mette in risalto la giustizia di
Dio, che diremo? Dio è forse ingiusto quando riversa su di noi la sua ira? Sto
parlando alla maniera umana.
6 Impossibile! Altrimenti, come potrà Dio giudicare il mondo?
7 Ma se la
verità di Dio abbondò nella mia menzogna, risplende di più per la sua gloria,
perché anch'io sono giudicato ancora come peccatore?
8 E non è come alcuni ci fanno dire: “Facciamo il male perché ne
venga il bene”; essi ci calunniano ed è giusto che siano condannati.
Si impone subito, secondo il genere letterario della diatriba
che Paolo usa senza alcuna aggressività, una domanda: “E
qual è l'utilità della circoncisione?”. La
sua importanza è grande, anzitutto perché al popolo dei circoncisi sono state “affidate
le parole di Dio”, cioè la Legge e i
Profeti e questo rimane perché l'infedeltà di alcuni non annulla “la
fedeltà di Dio” (Cf. Ps 88/89, 33-34).
Chiaro che Dio nel suo agire è veritiero e al
contrario non è veritiero l'uomo.
Paolo, proseguendo il discorso sul Giudeo, si
pone ora come loro consanguineo (9,3), ma guarda anche a tutti gli uomini.
L'ingiustizia degli uomini mette in risalto la giustizia di Dio, cioè la fedeltà
al suo disegno di salvezza. Ma se l'ingiustizia dell'uomo mette in risalto la
giustizia di Dio, cioè la sua fedeltà, questo dovrebbe bastare a Dio (è un
ragionamento secondo la carne: “sto parlando alla maniera umana”)
poiché trova in ciò gloria, invece egli riversa i suoi castighi sugli uomini
infedeli. Ma pensare alla misericordia scartando la giusta sanzione di Dio porta
a questo: “Facciamo
il male perché ne venga il bene”. Un pensiero del genere diventa una calunnia alla Chiesa (“ci
calunniano”),
che afferma che Dio ha il diritto di giudicare il mondo, e se ciò non fosse,
verrebbe annullata non solo la possibilità della condanna, ma anche del premio
poiché il premio viene dato a seguito di un giudizio.
Tutti sono colpevoli
9 Che dunque? Siamo forse noi superiori? No! Infatti abbiamo già
formulato che, Giudei e Greci, tutti sono sotto il dominio del peccato,
10
come sta scritto (Ps 13/14,1-3; 5,6; 139/140,4; 9B/10,7; Is 59,7-8; Ps 35/36,2:
|
Non c'è nessun giusto, nemmeno uno,
11
non c'è chi comprenda,
non c'è nessuno che cerchi Dio!
12
Tutti hanno smarrito la via, insieme si sono
corrotti;
non c'è chi compia il bene, non ce n'è
neppure uno.
13
La loro gola è un sepolcro spalancato,
tramavano inganni con la loro lingua,
veleno di serpenti è sotto le loro
labbra,
14
la loro bocca è piena
di maledizione e di amarezza.
15
I loro piedi corrono a versare sangue;
16
rovina e sciagura è sul loro cammino
17
e la via della pace non l'hanno conosciuta.
18
Non c'è timore di Dio davanti ai loro occhi.
|
19
Ora, noi sappiamo che quanto la Legge dice, lo dice
per quelli che sono sotto la Legge, di modo che ogni bocca sia chiusa e il mondo
intero sia riconosciuto colpevole di fronte a Dio.
20
Infatti in base alle opere della Legge nessun vivente sarà giustificato davanti
a Dio, perché per mezzo della Legge si ha conoscenza del peccato.
“Siamo forse noi superiori?”.
“Noi”
riguarda i Giudei. La superiorità del Giudeo non esiste poiché “Giudei e Greci, tutti sono sotto il dominio
del peccato”. La Legge alla quale sono tenuti i Giudei denuncia le loro
inadempienze. La Legge non opera la giustificazione, ma dà la conoscenza del
peccato, cosicché tutti gli uomini devono riconoscersi peccatori.
Dunque, la superiorità di Paolo in quanto
Israelita non esiste, e questo è un punto importante per i cristiani venuti da
paganesimo, che non vedono in lui nessun vanto di superiorità.
La giustificazione
si ottiene mediante la fede in Gesù Cristo
21
Ora invece, indipendentemente dalla Legge, si è
manifestata la giustizia di Dio, testimoniata dalla Legge e dai Profeti:
22
giustizia di Dio per mezzo della fede in Gesù, per tutti quelli che credono.
Infatti non c'è differenza,
23
perché tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio,
24 ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, per
mezzo della redenzione che è in Cristo Gesù.
25 E' lui che Dio ha stabilito apertamente come
strumento di espiazione, per mezzo della fede, nel suo sangue, a manifestazione
della sua giustizia per la remissione dei peccati passati
26
mediante la clemenza di Dio, al fine di manifestare la sua giustizia nel tempo
presente, così da risultare lui giusto e renderti colui che si basa sulla fede
in Gesù.
27 Dove dunque sta il vanto? È stato escluso! Da quale legge? Da
quella delle opere? No, ma dalla legge della fede.
28
Noi riteniamo infatti che l'uomo è giustificato per la fede, indipendentemente
dalle opere della Legge.
29
Forse Dio è Dio soltanto dei Giudei? Non lo è anche delle genti? Certo, anche
delle genti! 30
Poiché unico è il Dio che giustificherà i circoncisi in virtù della fede e gli
incirconcisi per mezzo della fede.
31
Togliamo dunque ogni valore alla Legge mediante la fede? Nient'affatto, anzi
confermiamo la Legge.
La giustificazione giunge agli uomini non per le
opere della Legge, cioè tutte le prescrizioni mosaiche e le minuzie giudaiche,
ma per la fede in Cristo.
“Dove dunque sta il vanto”
per chi è stato giustificato? Esso è escluso davanti a Dio (Ger 9,22-23).
Tale esclusione si attua per mezzo della legge delle opere? Assolutamente
no, perché chi pretende la giustificazione in base alle sue opere si vanta di
fronte a Dio (Cf. Lc 18,10s). Allora l'esclusione del vanto avviene per mezzo
della “legge
della fede”. Sia i circoncisi che gli incirconcisi sono giustificati, cioè
resi graditi a Dio con il perdono dei peccati e con la liberazione dalla colpa
originale, per mezzo della fede.
Sembrerebbe che il procedere del discorso tolga
valore alla Legge, ma non è così, poiché la Legge dà coscienza del peccato (7,7)
spingendo l'Israelita ad attendere il Cristo, istitutore di una nuova ed eterna
alleanza (Dt 18,15; Ger 31,31; Ez 16,60; 37,26; Os 2,20; Ml 3,1).
4 1
Che diremo dunque di Abramo, nostro progenitore secondo la carne? Che cosa ha
ottenuto? 2
Se infatti Abramo è stato giustificato per le opere, ha di che gloriarsi, ma non
davanti a Dio.
3 Ora, che
cosa dice la Scrittura? Abramo credette a Dio e ciò gli fu accreditato come
giustizia (Gn 15,6).
4
A chi lavora, il salario non viene calcolato come dono, ma come debito;
5 a chi invece non lavora, ma crede in Colui che
giustifica l'empio, la sua fede gli viene accreditata come giustizia.
6
Così anche Davide proclama beato l'uomo a cui Dio accredita la giustizia
indipendentemente dalle opere (Ps 31/32, 1-2):
|
7
Beati quelli le cui iniquità sono state perdonate
e i peccati sono stati ricoperti;
8 beato l'uomo al quale il Signore non mette in
conto il peccato!
|
Abramo è detto “nostro
progenitore secondo la carne”,
il che vuol dire che Paolo
continua a solidarizzare col popolo ebraico, al quale appartiene
come consanguineo (9,3). L'esempio di Abramo conferma pienamente la dottrina
esposta. Infatti la giustificazione del patriarca avvenne per mezzo della fede
(Gn 15,6). Le opere ottengono il salario, che non “viene
calcolato come dono, ma come debito”, cioè come cosa dovuta, mentre la giustificazione, cioè la
remissione dei peccati non può essere che un dono ricevuto per mezzo della fede.
Dio per la giustificazione chiede che crediamo nella sua bontà, e questo avviene
indipendentemente dalle opere della Legge, ma ciò non conduce alla
negazione della necessità delle opere poiché “la
fede si rende operosa per mezzo della carità” (Gal 5,6), cioè la preghiera, il sacrificio, la diffusione
della verità, la misericordia, le opere di solidarietà sociale (14,19; 2Cor 9,8;
Gc 2,14.26).
Il giustificato è beato perché è riconciliato con
Dio, con i fratelli, con se stesso, con la natura.
9 Ora, questa beatitudine riguarda chi è circonciso o anche chi
non è circonciso? Noi diciamo infatti che la fede fu accreditata ad Abramo come
giustizia. 10
Come dunque gli fu accreditata? Quando era circonciso o quando non lo era? Non
dopo la circoncisione, ma prima.
11
Infatti egli ricevette il segno della circoncisione come sigillo della
giustizia, derivante dalla fede, già ottenuta quando non era ancora circonciso.
In tal modo egli divenne padre di tutti i non circoncisi che credono, cosicché
anche a loro venisse accreditata la giustizia
12 ed egli fosse padre anche dei circoncisi, di
quelli che non solo provengono dalla circoncisione ma camminano anche sulle orme
della fede del nostro padre Abramo prima della sua circoncisione.
13 Infatti non in virtù della Legge fu data ad Abramo, o alla sua
discendenza, la promessa di diventare erede del mondo, ma in virtù della
giustizia che viene dalla fede.
14 Se dunque diventassero eredi coloro che provengono dalla
Legge, sarebbe resa vana la fede e inefficace la promessa.
15
La Legge infatti provoca l'ira; al contrario, dove non c'è Legge, non c'è
nemmeno trasgressione.
16
Eredi dunque si diventa in virtù della fede, perché sia secondo la grazia, e in
tal modo la promessa sia sicura per tutta la discendenza: non soltanto per
quella che deriva dalla Legge, ma anche per quella che deriva dalla fede di
Abramo, il quale è padre di tutti noi -
17
come sta scritto: Ti ho costituito padre di molti popoli (Gn 17,5) -
davanti al Dio nel quale credette, che dà vita ai morti e chiama all'esistenza
le cose che non esistono.
18 Egli credette, saldo nella speranza contro ogni speranza, e
così divenne padre di molti popoli, come gli era stato detto: Così sarà la
tua discendenza (Gn 15,5).
19 Egli non vacillò nella fede, pur vedendo già come morto il proprio
corpo - aveva circa cento anni - e morto il seno di Sara.
20
Di fronte alla promessa di Dio non esitò per incredulità, ma si rafforzò nella
fede e diede gloria a Dio,
21
pienamente convinto che quanto egli aveva promesso era anche capace di portarlo
a compimento.
22 Ecco perché
gli fu accreditato come giustizia.
23 E non soltanto per lui è stato scritto che gli fu accreditato,
24
ma anche per noi, ai quali deve essere accreditato: a noi che crediamo in colui
che ha risuscitato dai morti Gesù nostro Signore,
25 il quale è stato consegnato alla morte a causa delle nostre colpe ed
è stato risuscitato per la nostra giustificazione.
Abramo non ebbe la giustificazione per la
circoncisione, poiché la fede gli fu accreditata a giustizia, prima che
fosse circonciso. La circoncisione è solo un “sigillo della giustizia, derivante dalla
fede”, e
non la fonte della giustificazione.
Il libro della Genesi (17,11-12) afferma che la
circoncisione era il segno dell'alleanza tra Dio e Abramo e la sua
discendenza dopo di lui, alla quale con la circoncisione poteva essere
accorpato anche chi era di altra stirpe, non dunque dava la giustificazione, ma
l'appartenenza, e il vincolo ad osservare gli obblighi conseguenti.
La circoncisione maschile era un segno rituale
che richiamava all'uso corretto della sessualità, e affermava che l'iniziativa
sessuale non poteva essere data alla donna in modo da lasciarle dominio
sull'uomo come già avvenne per il peccato originale (Cf. Gn 3,16). In tal modo
Dio veniva riconosciuto il Creatore dell'uomo e l'uomo procreatore, così da
Abramo procedeva una discendenza che era “popolo di Dio”.
Essendo che la giustificazione di Abramo e la
promessa di un immensa discendenza (Gn 13,15; 15,6) si ebbero prima della
circoncisione e per la fede, ad Abramo fanno capo quale padre nella fede
anche coloro che credono e non sono circoncisi, cosicché il popolo di Dio
è uno solo, anche se una parte di esso è morto, mentre l'altra, la Chiesa, è
viva.
“Se dunque diventassero eredi coloro che provengono
dalla Legge”, non avrebbe senso la fede di Abramo e sarebbe inefficace la
promessa - poiché legata alla fede - di una discendenza nella quale si
diranno benedette tutte le nazioni della terra (Gn 22,18), e con ciò Abramo
sarà padre di molti popoli (Gn 17,4-5). Questa visione è universale e
perciò va ben oltre i confini della terra di Canaan, assegnata alla discendenza
di Abramo secondo la circoncisione (Gn 17,10). Dalla terra di Canaan gli Ebrei
erano stati deportati a Babilonia (607 a.C). Ritornati avevano dovuto
forzatamente andarsene per sopravvivere (La diaspora è un movimento forzato
di una popolazione, e non una migrazione) alla persecuzione (135) di Publio
Elio Adriano (76 - 138), e quelle che seguirono. La comunità ebraica di Roma, la
più antica di Europa, ha avuto inizio con la diaspora di quel tempo. Seguirà un
rafforzamento della comunità ebraica di Roma con la diaspora dovuta alla
conquista della Giudea da parte di Pompeo (63 a.C.).
I frutti della
giustificazione
5 1
Giustificati
dunque per fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore Gesù Cristo.
2
Per mezzo di lui abbiamo anche, mediante la fede, l'accesso a questa grazia
nella quale ci troviamo e ci vantiamo, saldi nella speranza della gloria di Dio.
3
E non solo: ci vantiamo anche nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione
produce pazienza,
4
la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza.
5 La speranza poi non delude, perché l'amore di Dio è stato
riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato.
6 Infatti, quando eravamo ancora deboli, nel tempo stabilito
Cristo morì per gli empi.
7
Ora, a stento qualcuno è disposto a morire per un giusto; forse qualcuno
oserebbe morire per una persona buona.
8 Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che,
mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi.
9
A maggior ragione ora, giustificati nel suo sangue, saremo salvati dall'ira per
mezzo di lui.
10 Se infatti,
quand'eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del
Figlio suo, molto più, ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la
sua vita. 11 Non solo, ma ci gloriamo pure in Dio, per mezzo del Signore
nostro Gesù Cristo, grazie al quale ora abbiamo ricevuto la riconciliazione.
La giustificazione per mezzo della fede in Gesù
Cristo pone il cristiano in stato di riconciliazione con Dio: “
siamo in pace con Dio
per mezzo del Signore Gesù Cristo”, ricevendo la grazia di essere dimora di Dio: “Questa
grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo, saldi nella speranza della gloria
di Dio”.
Tale condizione di grazia include la partecipazione alla passione di Cristo e
quindi la conformità a Cristo. Le tribolazioni sofferte per Cristo sono
desiderabili perché producono pazienza, virtù provata, speranza viva che non
delude, perché sostenuta dalla forza che proviene dall'amore di Dio, cioè
dall'amore soprannaturale infuso dallo Spirito Santo (5,5).
Adamo e Cristo
12 Quindi, come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel
mondo e, con il peccato, la morte, e così in tutti gli uomini si è propagata la
morte, poiché tutti hanno peccato…
13 Fino alla Legge infatti c'era il peccato nel mondo e, anche se
il peccato non può essere imputato quando manca la Legge, 14 la morte regnò da
Adamo fino a Mosè anche su quelli che non avevano peccato a somiglianza della
trasgressione di Adamo, il quale è figura colui che doveva venire.
15 Ma il dono di grazia non è come la caduta: se infatti per la
caduta di uno solo tutti morirono, molto di più la grazia di Dio, e il dono
concesso in grazia del solo uomo Gesù Cristo, si sono riversati in abbondanza su
tutti. 16
E nel caso del dono non è come nel caso di quel solo che ha peccato: il giudizio
infatti viene da uno solo, ed è per la condanna, il dono di grazia invece da
molte cadute, ed è per la giustificazione.
17
Infatti se per la caduta di uno solo la morte ha regnato a causa di quel solo
uomo, molto di più quelli che ricevono l'abbondanza della grazia e del dono
della giustizia regneranno nella vita per mezzo del solo Gesù Cristo.
18 Come dunque per la caduta di uno solo si è riversata su tutti
gli uomini la condanna, così anche per l'opera giusta di uno solo si riversa su
tutti gli uomini la giustificazione, che dà vita.
19
Infatti, come per la disobbedienza di un solo uomo tutti sono stati costituiti
peccatori, così anche per l'obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti
giusti.
20 La Legge poi sopravvenne perché abbondasse la caduta; ma dove
abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia.
21 Di modo che, come regnò il peccato nella morte, così regni
anche la grazia mediante la giustizia per la vita eterna, per mezzo di Gesù
Cristo nostro Signore.
La propagazione tra gli uomini degli effetti del
peccato originale avviene attraverso la procreazione. Adamo ed Eva senza la
colpa avrebbero ricevuto da Dio l'impulso d'amore all'unione per dare origine ad
un nuovo essere umano. In tale situazione il nuovo nato avrebbe avuto lo stato
di grazia. L'unione tra i due a seguito del peccato, poiché si destò in loro la
concupiscenza, non avviene più al livello dell'innocenza primordiale, ma a un
livello inferiore dove la carne ha una forza trascinante. Il coniugio rimane
luce, ma non più in quella luce dove Dio l'aveva posto. Il peccato originale
tolse a Dio la gioia di essere il creatore dell'uomo. Ne segue che ogni nato è
segnato dalla colpa originale.
Conseguenza del peccato originale non è solo la
morte, ma anche l'assenza della grazia e la perdita dei doni preternaturali
(assenza della concupiscenza, e della morte). La colpa di uno ha causato la
morte di tutti. “Di uno solo”, cioè di Adamo, con ciò si afferma che se avesse ceduto
solo Eva, ma Adamo avesse resistito, la prole nata sarebbe stata senza colpa e
solo Eva sarebbe morta.
Adamo è figura di Cristo, con ciò viene detto che
Il Verbo si sarebbe incarnato anche in assenza della colpa. Infatti anche se
Adamo non avesse peccato non sarebbe potuto essere lui all'origine dell'essere
l'uomo figlio adottivo di Dio, ma poteva esserlo soltanto il Figlio incarnato.
Ora Cristo si è incarnato e ha espiato le colpe dell'uomo per liberare l'uomo
dal peccato riaffermando il disegno dell'elevazione dell'uomo a figlio adottivo
di Dio.
“La Legge poi sopravvenne perché abbondasse la
caduta”,
Paolo afferma ancora l'invalidità della Legge a conferire la giustificazione,
tuttavia la Legge rientra nel disegno salvifico di Dio poiché manifesta all'uomo
il peccato e lo rende pronto ad accogliere la salvezza di Cristo.
“Dove abbondò il peccato sovrabbondò la grazia”.
La morte, cioè l'assenza della grazia, (5,5) intesa come presenza di Dio con i
suoi doni nell'anima, come era stato per Adamo, è vinta, e di nuovo, nell'anima
rigenerata in Cristo, si ha la presenza di Dio con i suoi doni. E' una realtà
nuova rispetto agli aiuti della grazia dati a chi viveva nella Legge (e anche ad
ogni uomo), la quale Legge faceva però abbondare la caduta. Questa nuova realtà
della grazia Paolo desidera ardentemente che regni in ogni cuore per mezzo della
giustificazione in Cristo.
Rinati a vita nuova
nel Battesimo
6
1
Che diremo dunque? Rimaniamo nel peccato perché
abbondi la grazia?
2 È
assurdo!? Noi, che già siamo morti al peccato, come potremo ancora vivere in
esso? 3
O non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati
battezzati nella sua morte?
4
Per mezzo del battesimo dunque siamo stati sepolti insieme a lui nella morte
affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre,
così anche noi possiamo camminare in una vita nuova.
5 Se infatti siamo stati intimamente uniti a lui a somiglianza della
sua morte, lo saremo anche a somiglianza della sua risurrezione.
6
Lo sappiamo: l'uomo vecchio che è in noi è stato crocifisso con lui, affinché
fosse reso inefficace questo corpo di peccato, e noi non fossimo più schiavi del
peccato. 7
Infatti chi è morto, è liberato dal peccato.
8 Ma se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con
lui, 9
sapendo che Cristo, risorto dai morti, non muore più; la morte non ha più potere
su di lui. 10
Infatti egli morì, e morì per il peccato una volta per tutte; ora invece vive, e
vive per Dio.
11 Così anche
voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù.
12 Il peccato dunque non regni più nel vostro corpo mortale, così
da sottomettervi ai suoi desideri.
13 Non offrite al peccato le vostre membra come strumenti di
ingiustizia, ma offrite voi stessi a Dio come viventi, ritornati dai morti, e le
vostre membra a Dio come strumenti di giustizia.
14
Il peccato infatti non dominerà su di voi, perché non siete sotto la Legge, ma
sotto la grazia.
Paolo, che conosce l'arte della diatriba, pone la
domanda prima che venga posta dal lettore: “Rimaniamo
nel peccato perché abbondi la grazia?”. La risposta è che se siamo morti al peccato non possiamo
ancora vivere in esso. Le due cose si escludono: o il peccato o la grazia.
Paolo presenta il Battesimo come sepoltura con
Cristo nella morte per essere rigenerati in lui, che è risuscitato da morte, a
vita nuova. Se il Battesimo è sepoltura con Cristo morto, ma poi risorto e
quindi datore di vita, allora non solo si ha la nuova vita per mezzo della
grazia, cioè la presenza di Dio con i suoi doni nei cuori, ma anche la
risurrezione del corpo a somiglianza della sua.
Liberati dal peccato
e a servizio della giustizia
15 Che dunque? Ci metteremo a peccare perché non siamo sotto la
Legge, ma sotto la grazia? È assurdo!
16 Non sapete che, se vi mettete a servizio di qualcuno come
schiavi per obbedirgli, siete schiavi di colui al quale obbedite: sia del
peccato che porta alla morte, sia dell'obbedienza che conduce alla giustizia?
17
Rendiamo grazie a Dio, perché eravate schiavi del peccato, ma avete obbedito di
cuore a quella forma di insegnamento alla quale siete stati affidati.
18 Così, liberati dal peccato, siete stati resi
schiavi della giustizia.
19 Parlo un linguaggio umano a causa della vostra debolezza. Come
infatti avete messo le vostre membra a servizio dell'impurità e dell'iniquità,
per l'iniquità, così ora mettete le vostre membra a servizio della giustizia per
la santificazione.
20 Quando infatti eravate schiavi del peccato, eravate liberi nei
riguardi della giustizia.
21
Ma quale frutto raccoglievate allora da cose di cui ora vi
vergognate? Il loro traguardo infatti è la morte.
22
Ora invece, liberati dal peccato e fatti servi di Dio, raccogliete il frutto per
la vostra santificazione e come traguardo avete la vita eterna.
23
Perché il salario del peccato è la morte; ma il dono di Dio è la vita eterna in
Cristo Gesù, nostro Signore.
Ancora Paolo precorre il lettore dicendo: “Ci
metteremo a peccare perché non siamo sotto la Legge, ma sotto la grazia?”.
La domanda presenta l'assurdo che essendo sotto la grazia, cioè la redenzione
operata da Cristo, si può peccare, poiché appunto si è liberati dalla Legge. Ma
se uno pecca non può sperare nella libertà poiché diventa schiavo del peccato.
Chi invece si fa schiavo della giustizia portata da Cristo è liberato dal
peccato, di cui ora si vergogna, e raccoglie il frutto della santificazione e ha
come traguardo la vita eterna.
Liberati dalla Legge
per appartenere a Cristo
7 1
O forse
ignorate, fratelli - parlo a gente che conosce la legge - che la legge ha potere
sull'uomo solo per il tempo in cui egli vive?
2 La donna sposata, infatti, per legge è legata al marito finché egli
vive; ma se il marito muore, è liberata dalla legge che la lega al marito.
3
Ella sarà dunque considerata adultera se passa a un altro uomo mentre il marito
vive; ma se il marito muore ella è libera dalla legge, tanto che non è più
adultera se passa a un altro uomo.
4
Alla stessa maniera, fratelli miei, anche voi, mediante il corpo di Cristo,
siete stati messi a morte quanto alla Legge per appartenere a un altro, cioè a
colui che fu risuscitato dai morti, affinché noi portiamo frutti per Dio.
5 Quando infatti eravamo nella debolezza della
carne, le passioni peccaminose, stimolate dalla Legge, si scatenavano nelle
nostre membra al fine di portare frutti per la morte.
6
Ora invece, morti a ciò che ci teneva prigionieri, siamo stati liberati dalla
Legge per servire secondo lo Spirito, che è nuovo, e non secondo la lettera, che
è antiquata.
La Legge è un legame duraturo per tutta la vita,
ma come la morte scioglie il coniuge dalla fedeltà, sicché può passare a nuove
nozze, cosi mediante una morte, che è quella salvifica e rigeneratrice di
Cristo, il cristiano si trova sciolto dal legame con la legge venendo ad
appartenere per la fede ad un altro, cioè a
Cristo.
E ciò determina di servire Dio secondo lo Spirito, e ciò è novità di vita. Non
più secondo la lettera, secondo il formalismo dei rabbini, che rimaneva nella
lettera non percependo la profondità spirituale della Parola. “Voi
non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi l'avete impedito”
(Lc 11,52), disse Gesù agli scribi e ai farisei.
La Legge non è
peccato, ma manifesta il peccato
7 Che diremo dunque? Che la Legge è peccato? No, certamente!
Però io non ho conosciuto il peccato se non mediante la Legge. Infatti non avrei
conosciuto la concupiscenza, se la Legge non avesse detto: Non desiderare
(Es 20,7). 8
Ma, presa l'occasione, il peccato scatenò in me, mediante il comandamento, ogni
sorta di desideri. Senza la Legge infatti il peccato è morto.
9 E un tempo io vivevo senza la Legge ma, sopraggiunto il
precetto, il peccato ha preso vita
10 e io sono morto. Il comandamento, che doveva servire per la
vita, è divenuto per me motivo di morte.
11 Il peccato infatti, presa l'occasione, mediante il
comandamento mi ha sedotto e per mezzo di esso mi ha dato la morte.
12
Così la Legge è santa, e santo, giusto e buono è il comandamento.
13 Ciò che è bene allora è diventato morte per me? No davvero! Ma
il peccato, per rivelarsi peccato, mi ha dato la morte servendosi di ciò che è
bene, perché il peccato risultasse oltre misura peccaminoso per mezzo del
comandamento.
“Non desiderare” è il punto del Decalogo dove l'individuo
viene posto davanti alla debolezza che è in lui. Paolo presenta bene come quel
“non
desiderare”
metta a nudo ben oltre che il semplice desiderare una proprietà altrui: “scatenò
in me ogni sorta di desideri”. L'insegnamento degli scribi e dei farisei (Mt 5,20), preoccupato
di presentare come l'osservanza della Legge, con tutte le prescrizioni mosaiche,
desse la giustizia davanti a Dio, non toccava la profondità di quel “non desiderare”. In particolare il non desiderare la donna d'altri era
stato inteso come il non desiderare una proprietà altrui, il che era rimanere
nella lettera, ma non giungere a considerare che tale “non
desiderare”
suscita nel cuore dell'uomo una realtà ben diversa dal desiderare una cosa: la
donna non è infatti una cosa.
Ognuno poteva benissimo cogliere le implicazioni
di quel “non
desiderare” e Paolo, pur fervente fariseo fino al fanatismo, lo percepiva.
I farisei esaminavano la Legge fermandosi alla
lettera (2Cor 3,6), e non giungevano allo spirito, e quindi sbagliavano poiché
la Legge “è spirituale” (7,14). Illudendosi di essere giusti davanti a Dio
per l'osservanza della norma, ma non dello spirito della norma, che è la carità,
in loro si scatenavano le passioni peccaminose non contenute dall'argine
di un'umile richiesta di aiuto a Dio. Il risultato era che nonostante questo il
fariseo giungeva ad autocompiacersi e addirittura davanti a Dio (Lc 18,10s), non
confrontandosi con la Legge come era suo dovere, ma con chi all'esterno appariva
peggiore di lui, gloriandosi di essere migliore, mentre era solo un sepolcro
imbiancato.
L'uomo sotto il peso
della carne
14 Sappiamo infatti che la Legge è spirituale, mentre io sono
carnale, venduto come schiavo del peccato.
15 Non riesco a capire ciò che faccio: infatti io faccio non
quello che voglio, ma quello che detesto.
16 Ora, se faccio quello che non voglio, riconosco che la Legge è
buona; 17
quindi non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me.
18 Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il
bene: in me c'è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo;
19
infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio.
20 Ora se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo,
ma il peccato che abita in me.
21 Dunque io trovo in me questa legge: quando voglio fare il bene, il
male è accanto a me.
22
Infatti nel mio intimo acconsento alla legge di Dio,
23
ma nelle mie membra vedo un'altra legge, che combatte contro la legge della mia
ragione e mi rende schiavo della legge del peccato, che è nelle mie membra.
24
Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte?
25 Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro
Signore! Io dunque, con la mia ragione, servo la legge di Dio, con la mia carne
invece la legge del peccato.
“La Legge è spirituale” e con ciò Paolo, già fariseo, dice che la Legge non sta nelle prescrizioni formalistiche, ma nell’amore a Dio e al prossimo.
Qui Paolo presenta se stesso rigenerato da Cristo, infatti non parla al passato. Va dunque ben inteso quello che Paolo vuole dire.
“Io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Ora se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me”. Il bene che Paolo voleva fare era compiere bene, perfettamente, la Legge portata a compimento da Cristo; ne vedeva bene, guardando all’esempio di Cristo, i confini sconfinati, ma “schiavo del peccato”, cioè delle conseguenze della colpa originale, che permangono; ma Paolo non
é vinto dal peccato.
Paolo non vorrebbe sentire il peso della carne, ma lo sente. Già ai Galati scrisse questo (Gal. 5,16-17) “Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne. La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste”.
L'uomo rigenerato dal Battesimo avverte, pur lui, la debolezza della
carne, ma la può combattere con successo crescente, poiché ha in sé la novità della vita in Cristo. (1Gv 3,9): “Chiunque è stato generato da Dio non commette peccato, perché un germe divino rimane in lui, e non può peccare perché è stato generato da Dio”.
Il cristiano ha nel suo cuore la vita nuova in Cristo, e ciò che non vuole fare, col vigore della grazia dello Spirito, non lo fa; tuttavia rimane in lui quello che tecnicamente si chiama
fomite della concupiscenza, per cui deve rinnegare se stesso (Mt 16,24; Mc 8,34; Lc 9,23), incessantemente. Non peccati mortali, ma neppure veniali deve fare con la grazia. Tuttavia, tante volte cade colpevolmente, a volte però tutto è molto attutito nella gravità, quando vi sia ignoranza per una inadeguata evangelizzazione.
Rimangono in lui le imperfezioni, ma con continuità senza limite cerca la perfezione, sapendo che la raggiungerà in cielo, quando la carne non peserà più sull’anima. E Paolo grida: “Chi mi libererà da questo corpo di morte?”. Egli vorrebbe avere una carne docile allo spirito ed ecco che ne sperimenta i moti, pur senza cedere ai moti. Vorrebbe pregare senza alcuna distrazione ed ecco invece la distrazione, che non vuole, si affaccia. Nella carità non vorrebbe avvertire alcun richiamo dell'egoismo, ma mentre ne rigetta il richiamo, pur ne avverte l’agguato.
Questo limpido esame della condizione del rigenerato in Cristo è stato svisato da Lutero e dai quietisti. Essi dicono: “Il peccato io non lo voglio fare, ma lo faccio. Non devo dunque preoccuparmene, perché non è colpa mia se lo faccio, è colpa del peccato che abita in me”.
Tali eretici dicono pure che il peccato originale ha causato una profonda
devastazione nel cuore dell’uomo, per cui non è più in grado di volere il
bene. Paolo invece vuole il bene e vorrebbe attuarlo con piena perfezione,
che, ripeto, ci sarà solo in cielo: qua sulla terra il compito di tendere all’infinito alla perfezione. L’anima è rigenerata dalla grazia, ma pur deve sempre sottomettere la carne, designando in tal modo il
corpo come “corpo di morte”. Il linguaggio di Paolo conduce all’immediata intuizione del senso profondo del termine
carne.
C'è tutto un processo di purificazione del cuore, il quale ha una tendenza, non ineluttabile, ad accogliere i
moti della carne. Paolo sente il peso della carne, l'attrazione della carne che però rifiuta con recisa pazienza ponendo la carne sotto i piedi, e così da peso che trascina in basso fa della carne gradino che lo eleva in alto
La vita nello
Spirito
8 1
Ora, dunque, non c'è nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù.
2
Perché la legge dello Spirito, che dà vita in Cristo Gesù, ti ha liberato dalla
legge del peccato e della morte.
3
lnfatti ciò che era impossibile alla Legge, resa impotente a causa della carne,
Dio lo ha reso possibile: mandando il proprio Figlio in una carne simile a
quella del peccato e a motivo del peccato, egli ha condannato il peccato nella
carne, 4
perché la giustizia della Legge fosse compiuta in noi, che camminiamo non
secondo la carne ma secondo lo Spirito.
5
Quelli infatti che vivono secondo la carne, tendono verso ciò
che è carnale; quelli invece che vivono secondo lo Spirito, tendono verso ciò
che è spirituale.
6
Ora, la carne tende alla morte, mentre lo Spirito tende alla vita e alla pace.
7
Ciò a cui tende la carne è contrario a Dio, perché non si sottomette alla legge
di Dio, e neanche lo potrebbe.
8
Quelli che si lasciano dominare dalla carne non possono piacere a Dio.
9 Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello
Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo
Spirito di Cristo, non gli appartiene.
10 Ora, se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto per il
peccato, ma lo Spirito è vita per la giustizia.
11 E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù
dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita
anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi.
12 Così dunque, fratelli, noi siamo debitori non verso la carne,
per vivere secondo i desideri carnali,
13 perché, se vivete secondo la carne, morirete. Se, invece,
mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, vivrete.
14
Infatti tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di
Dio. 15
E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma
avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale
gridiamo: “Abbà! Padre!”.
16
Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio.
17
E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero
prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria
futura.
La legge dello Spirito, è legge di carità e dona
la vita a chi è in Cristo. La legge dello Spirito ha liberato l'uomo dalle
Legge, che è di peccato poiché togliendo l'ignoranza circa i peccati creava la
responsabilità delle colpe, dando così la morte. La Legge è buona, ma è resa
impotente ad elevare l'uomo a causa della carne, ma ora avendo lo Spirito non si
è più sotto il dominio della carne, la giustizia presente nella Legge (Il
Decalogo) può compiersi: “Perché la giustizia della Legge fosse compiuta in noi”.
Come si vede, la Legge è buona e Cristo non l'ha abolita, ma l'ha portata a
compimento (Mt 5,17), tuttavia essa può essere messa in pratica solo nell'unione
a Cristo che dona lo Spirito.
Il cristiani non sono sotto il dominio della
carne, ma dello Spirito, che abita in loro. Lo Spirito rende figli adottivi di
Dio in Cristo, e apre il cristiano al Padre potendogli far dire con amore, forza
gioiosa nell'adorazione: “Abbà! Padre”. L'aramaico
Abbà
non è precisamente il nostro familiare papà, ma è più ricco, poiché senza
diminuzione di confidenza, ha in sé il riconoscimento della grandezza del Padre.
Paolo, vista l'importanza semantica del termine, procura di presentare la
traduzione di Abbà, cioè Padre, così come ha già fatto nella
lettera ai Galati (4,6), e come anche ha fatto Marco nel suo Vangelo (14,36).
La caducità e
l'attesa di liberazione della creazione
18 Ritengo infatti che le sofferenze del tempo presente non siano
paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi.
19
L'ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione
dei figli di Dio.
20
La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità - non per sua volontà, ma
per volontà di colui che l'ha sottoposta - nella speranza
21 che la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della
corruzione per entrare libertà della gloria dei figli di Dio.
22
Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del
parto fino ad oggi.
Il racconto della Genesi (3,14s) descrive le
origini della caducità. Il peccato ha introdotto un disordine profondo;
il paradiso terrestre è demeritato e con ciò quella provvidenza che rendeva
all'uomo facili le cose. “Maledetto il suolo per causa tua (...). Spine e
cardi produrrà per te”. La maledizione sul serpente è diretta a Satana, ma
coinvolge pure l'animale: “Maledetto tu fra tutto il bestiame e fra tutti gli
animali selvatici!”. Satana ha contaminato il serpente usandolo per sedurre,
ma pure Adamo ed Eva lo hanno reso inviso a Dio perché i due, costituiti
dominatori su tutti gli animali, accettarono che un serpente li dominasse, non
fuggendo di fronte all'anomalia di un serpente che parlava. Il mondo animale da
quel momento conoscerà un suolo avaro, e per il cibo e il predominio sui branchi
giungerà a comportamenti di ferocia. Il serpente striscerà per terra, non
sull'erba, e non si avvolgerà più sui rami degli alberi del giardino, e mangerà
polvere. E' chiaro che l'autore sacro riferisce la situazione etologica da lui
conosciuta circa i serpenti.
Solo l'uomo e la donna non vengono maledetti,
perché per loro c'era un misericordioso futuro si salvezza.
La maledizione del suolo e degli animali, non è
però senza mai più alcuna benedizione, poiché suolo e animali avranno
benedizioni quando l'uomo vivrà nella giustizia, ma sul suolo e sugli animali
peserà in modo grave l'antica maledizione, con carestie ed epidemie, quando
l'uomo persisterà nei peccati. Anche molti uomini conosceranno la maledizione di
Dio, quando non solo avranno disamore verso Dio, ma anche verso il prossimo,
come Caino che uccise Abele e per questo venne maledetto.
A questa caducità, che viene dalla
primordiale maledizione, la realtà attuale ci fa vedere in modo estremamente
tangibile la caducità che è direttamente prodotta da uno sbagliato
dominio dell'uomo sulle cose: inquinamento atmosferico e delle acque, scorie
radioattive sepolte o inabissate nei mari in modo criminale, terreni lasciati
alle frane, fiumi assediati da case e quindi pronti a devastare interi territori
con esondazioni. Alterazioni dell'habitat di molte specie animali, con
conseguenze comportamentali, ed estinzione di parecchie specie, stragi di
animali fatte dall'uomo, alteranti gli equilibri numerici.
Quando un leone o più leoni vincono i maschi
rivali di un branco e prendono il loro posto, spesso uccidono i cuccioli che
trovano, per avere le femmine libere per loro, che non si arrendono se non dopo
aver strenuamente difeso i loro cuccioli, venendo a volte uccise, e spesso i
cuccioli uccisi vengono mangiati dai maschi vincitori, ecco, questo è un esempio
di caducità. Quando un gatto uccide un topo per mangiarlo è secondo le
disposizioni della natura, ma è ferocia, caducità, quello di ucciderlo
senza collegamento al nutrirsi.
Poi c'è la caducità terribile che l'uomo getta
sull'uomo: guerre di aggressione, armi di distruzione di massa, criminalità,
perversioni, condizioni di vita inumane. Questa è la caducità più
tremenda, la corruzione più grave che intacca la terra.
Tuttavia, il creato, nonostante le tare della
caducità che ne offuscano lo splendore, rimane pieno di bellezza.
La creazione, presentata con una
personificazione, desidera di essere liberata dalla caducità. Già potenzialmente
rinnovata nel giorno della risurrezione, l'ottavo giorno, il giorno dell'inizio
della ricreazione, la creazione geme e soffre nelle doglie del parto, in attesa
della manifestazione gloriosa dei figli di Dio per potere accedere, per
l'onnipotenza di Dio, alla sua rinnovazione finale, quella eterna e gloriosa.
L'attesa della redenzione del corpo
23 Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello
Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del
nostro corpo.
24 Nella
speranza infatti siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se è visto, non è
più oggetto di speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe sperarlo?
25
Ma, se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza.
26 Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra
debolezza; non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito
stesso intercede con gemiti inesprimibili;
27 e colui che scruta i cuori sa che cosa desidera lo Spirito,
perché egli intercede per i santi secondo i disegni di Dio.
“L'adozione a figli”
è già presente, ma nello stesso tempo non è giunta al compimento che avrà con la
risurrezione dei corpi. Le primizie dello Spirito, cioè i suoi doni dati al
credente nella sua condizione di essere in cammino verso il cielo, portano a
desiderare con gemito interiore la pienezza dello Spirito nella gloria
della risurrezione.
Il credente in certe situazioni non sa che cosa
sia conveniente chiedere. La salute? O l'accettazione del male? Il consenso o la
persecuzione? Ma lo Spirito viene in aiuto orientando l'anima secondo le
intenzioni di Dio, e non solo, poiché lo Spirito agisce accendendo e sostenendo
la preghiera intima del cuore fatta di gemiti (2Cor 5,2) inesprimibili, cioè di
desideri di salvezza di fronte alla debolezza della carne e alle prove; di
desiderio di sempre maggiore unione con Dio, fino a possederlo eternamente nella
gloria, espressi in palpiti d'amore, che sono “inesprimibili”.
E' così che lo Spirito “intercede
per i santi secondo i disegni di Dio”.
Il disegno della salvezza
28 Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene, per quelli
che amano Dio, per coloro che sono stati chiamati secondo il suo disegno.
29
Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto, li ha anche predestinati a
essere conformi all'immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra
molti fratelli;
30
quelli poi che ha predestinato, li ha anche chiamati; quelli che ha chiamato, li
ha anche giustificati; quelli che ha giustificato, li ha anche glorificati.
“Tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio”;
anche il male fatto diventa fonte di bene, una volta rigettato. Esso insegna
l'umiltà, spinge al ringraziamento per il perdono ricevuto, aumenta la volontà
di corrispondenza a Dio. Tutto procede dall'iniziativa misericordiosa di Dio.
Dio non è debitore verso nessuno, l'uomo è invece debitore verso di lui,
tuttavia Dio ha colmato il debito dell'uomo, che l'uomo non poteva soddisfare
poiché le sue colpe benché in se stesse siano entità finite, hanno una gravità
immisurabile essendo disprezzo a Dio di maestà infinita, con la morte espiatrice
del Figlio.
Dio conosce
tutto da sempre; quelli che Dio da sempre ha conosciuto sono quelli che credono
nella sua esistenza e si sforzano di vivere i comandamenti, o colti nelle tavole
della Legge, oppure nel profondo del proprio cuore. Tutti gli uomini sono
predestinati alla grazia, poiché Cristo è morto per tutti; ma non tutti
accolgono Cristo. Chi lo accoglie fa parte dei predestinati ad essere “conformi
all'immagine del Figlio”, il
che vuol dire che il dono della grazia è rivolto alla conformità a Cristo.
Quelli che ha predestinato alla conformità a Cristo li ha chiamati, perché
l'iniziativa è sua. I chiamati sono stati giustificati nella fede in Cristo e i
giustificati sono stati glorificati, cioè sono entrati nella gloria. Così esiste
una predestinazione alla grazia che è universale e include in sé la
predestinazione alla conformità a Cristo. Chi poi vive nella grazia di
Cristo è predestinato alla gloria nel cielo.
Inno all'amore di
Dio
31
Che diremo dunque di queste cose? Se Dio è per noi,
chi sarà contro di noi?
32
Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato
per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui?
33
Chi muoverà accuse contro coloro che Dio ha scelto? Dio è colui che giustifica!
34
Chi condannerà? Cristo Gesù è morto, anzi è risorto, sta alla destra di Dio e
intercede per noi!
35 Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione,
l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?
36
Come sta scritto (Ps 43/44,23):
|
Per causa tua siamo
messi a morte tutto il giorno,
siamo considerati
come pecore da macello.
|
37
Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori
grazie a colui che ci ha amati.
38 Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né
principati, né presente né avvenire, né potenze,
39 né altezza né profondità, né alcun'altra creatura
potrà mai separarci dall'amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore.
Dio ci ha amato per primo e ci ha chiamati nel
dono dello Spirito alla conformità con Cristo al fine di farci giungere alla
gloria eterna. Dunque, nessuna cosa ci può separare dall'amore di Cristo. Solo
un nostro disgraziatissimo no a Cristo ci può separare da lui, ma per il resto “la
tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la
spada”
nulla avrà la forza di separarci da lui, che ci sostiene; anzi: “noi siamo più che vincitori grazie a colui
che ci ha amati
”.
Il disegno di Dio
fondato sull'elezione
9
1
Dico la verità in Cristo, non mento, e la mia coscienza me ne dà testimonianza
nello Spirito Santo:
2
ho nel cuore un grande dolore e una sofferenza continua.
3
Vorrei infatti essere io stesso anàtema, separato da Cristo a vantaggio dei miei
fratelli, miei consanguinei secondo la carne.
4
Essi sono
Israeliti e hanno l'adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione,
il culto, le promesse;
5
a loro
appartengono i patriarchi e da loro proviene Cristo secondo la carne, egli che è
sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli. Amen.
6
Tuttavia la parola di Dio non è venuta meno. Infatti non tutti i discendenti
d'Israele sono Israele,
7
né per il fatto di essere discendenza di Abramo sono tutti suoi figli, ma: In
Isacco ti sarà data una discendenza (Gn 21,12);
8
cioè: non i figli della carne sono figli di Dio, ma i figli della promessa sono
considerati come discendenza.
9
Questa infatti è la parola della promessa: Io verrò in questo tempo e Sara
avrà un figlio (Gn 18,10.14).
10
E non è tutto: anche Rebecca ebbe figli da un solo uomo, Isacco nostro padre;
11
quando essi non erano ancora nati e nulla avevano fatto di bene o di male -
perché rimanesse fermo il disegno divino fondato sull'elezione, non in base alle
opere, ma alla volontà di colui che chiama -,
12
le fu dichiarato: Il maggiore sarà sottomesso al minore (Gn 25,23),
13
come sta scritto (Ml 1,2-3):
|
Ho amato Giacobbe
e ho
odiato Esaù.
|
Discendere da
Abramo secondo la carne e il sangue non costituisce nessuno come vera
discendenza di Abramo se non ha fede in Dio e nelle sue promesse secondo
l'esempio di Abramo. Ismaele era vera discendenza di Abramo finché ebbe fede.
Prima cominciò a pareggiarsi al figlio della promessa, avuto da Abramo con Sara
e quindi primo erede. Punito per questo con l'allontanamento dal campo di Abramo
era ancora discendenza di Abramo (Gn 21,13) con davanti a sé la benedizione di
diventare una grande nazione, ma poi si perse nell'idolatria sposando una donna
“della terra d'Egitto”, e quindi idolatra (Gn 21,21). Ne seguì che non fu
più discendenza di Abramo. Dio nelle sue scelte non tiene conto dei diritti di
primogenitura, poiché egli è sovranamente libero. L'elezione non è condizionata
neppure dalle opere, nel senso che le opere dell'uomo non possono essere esibite
davanti a Dio, sicché Dio sia come asservito all'uomo. Correttamente le opere
vanno fatte nella fede e nell'obbedienza a Dio e nell'umile richiesta di aiuto a
Dio. Paolo guarda all'illusione farisaica di essere graditi a Dio per opere
buone, ma fatte nell'aridità della superbia, e considera il caso di Esaù e
Giacobbe, argomentando che essi non avevano fatto ancora nessuna opera, sicché
Dio potesse essere vincolato dalle opere nella scelta di chi fosse il maggiore.
Dire a Rebecca che “il
maggiore sarà sottomesso al minore”
era orientare Rebecca verso Giacobbe, e Rebecca agirà in questo senso, e questo
è il punto dell'argomentazione di Paolo: “Le
fu dichiarato: Il maggiore sarà sottomesso al minore”.
Tuttavia Dio sapeva che Esaù avrebbe liberamente costruito la sua rovina
attaccandosi alle cose della terra. Ciò lo portò a disprezzare la primogenitura
per un piatto di lenticchie, a cui la perdita della benedizione paterna, e poi
Esaù giunse a separarsi (Gn 36,2) dalla discendenza di Abramo dando vita al
popolo di Edom, separato dal popolo della Promessa.“ Ho
odiato Esaù”;
odiare si deve intendere come non scegliere, scartare, non però dalla salvezza,
ma dall'elezione ad essere depositario della trasmissione delle promesse fatte
ad Abramo e alla sua discendenza. Paolo
considera i suoi consanguinei, cioè Israele secondo l'etnia (Rm 9,6-7;
1Cor 10,18),
secondo la carne,
e afferma che essi sono comunque Israeliti, cioè provenienti da Giacobbe,
chiamato da Dio Israele. Essi hanno “l'adozione
a figli”
- intesa nel senso analogico del rapporto tra un padre un figlio - (Es 4,22; Dt
1,37; 7,6; 14,1; Ger 31,9). Essa resta pur avendo essi rifiutato di diventare
realmente figli adottivi (8,15; Ef 1,5) nell'unigenito Figlio del Padre. “ La
gloria”;
è la specifica conoscenza di Dio avuta da Israele nella liberazione dall'Egitto
e nella teofania del Sinai (Cf. Ps 105/106,20). Paolo non parla della “gloria”
presente nel santo dei santi del tempio, poiché tale gloria, già assente
altre volte (Ger 26,6s; 2Re 21,4s; 25,9s; 1Mac 1,45s), era cessata per sempre
quando il velo venne lacerato quale drammatico segno di anàtema (Mt
27,51), cioè di consegna alla distruzione (herem); e la “gloria”
era passata alla Chiesa, nuovo, vivo e definitivo tempio del Dio vivente. “Gloria”
non più in un segno, quale era la nube, ma nella sua realtà effettiva, che è
lo Spirito della gloria (1Pt 4,14). “Le
alleanze” sono quelle fatte con Abramo, con Giacobbe, con Mosè. Dio è fedele
alle alleanze anche se una parte di Israele non le vive più nella loro piena
verità. “Il culto”,
cioè il culto reso all'unico Dio secondo le norme della Legge, Legge intesa
senza tutte le impraticabili (Gal 3,10) minuzie rabbiniche (613 precetti) alle
quali Israele si era affidato credendo di raggiungere per esse la perfezione
della giustizia. Quando il tempio verrà distrutto resterà il culto, cioè
l'adorazione a Dio sebbene non secondo una retta conoscenza (10,2; 2Cor 3,15). “Le
promesse”, sono quelle messianiche. Dio non ritira le sue promesse di
salvezza poiché mentre sa essere giudice rigoroso, non sospende mai il suo
essere misericordioso (11,29). “A loro
appartengono i patriarchi”, e dunque per amor loro Israele secondo la carne
continua a sussistere. “Da loro
proviene Cristo secondo la carne”, e questo è il massimo titolo di Israele
anche se attualmente lo rigetta. Ma egli, della stirpe di Davide, è al di sopra
di ogni cosa, cioè di ogni confine etnico o nazionale.
Dio non è ingiusto
14
Che diremo dunque? C'è forse ingiustizia da parte di Dio? No, certamente!
15
Egli infatti dice a Mosé (Es 33,19):
|
Avrò misericordia per chi vorrò averla,
e
farò grazia a chi vorrò farla.
|
16
Quindi non dipende dalla volontà né dagli sforzi dell'uomo, ma da Dio che ha
misericordia.
17
Dice infatti la Scrittura al faraone: Ti ho fatto sorgere per manifestare in
te la mia potenza e perché il mio nome sia proclamato in tutta la terra (Es
9,15-16).
18 Dio
quindi ha misericordia verso chi vuole e rende ostinato chi vuole.
Ora Dio ha
amato Giacobbe e odiato Esaù, ma non si deve concludere, alterando i termini del
ragionamento, che c'è ingiustizia in Dio poiché non tratterebbe tutti alla
stessa maniera. La verità è che nessuno può costringere Dio alla misericordia: “Avrò
misericordia per chi vorrò averla, e farò grazia a chi vorrò farla”;
ma Dio è misericordioso anche prima di fare misericordia, da sempre è
misericordioso. E' l'uomo che ha il drammatico potere di bloccare la
misericordia di Dio, rifiutandola. Dunque l'ingiustizia è nell'uomo. Mosè aveva
osato dire (Es 33,18): “Mostrami
la tua gloria!”
e Dio gli aveva risposto che alla misericordia non lo si può costringere, perché
egli è misericordia: “Quindi
non dipende dalla volontà né dagli sforzi dell'uomo, ma da Dio che ha
misericordia”. Il faraone si
era ostinato sempre più, poiché vedeva che non era colpito da Dio, e ancora
poteva illudersi di vincere la lotta contro di lui. Da tale indurimento Dio ne
trasse però l’opportunità di manifestare la sua potenza, poiché l'Egitto venne
fiaccato castigo dopo castigo fino alla disfatta nelle acque del mar Rosso, e al
faraone venne dato tempo per riconoscere la potenza dell'unico Dio. Dio poteva
colpire il faraone fin dall'inizio per mezzo della peste e farlo scomparire
dalla terra, ma non lo fece “per manifestare in te la mia potenza e perché il
mio nome sia proclamato in tutta la terra”. Dio permette il male poiché dal
male sa ricavarne il bene, sia per il suo popolo, sia per il mondo intero.
L'ostinazione del faraone scaturiva dalla sua colpevole illusione di vittoria su
Dio, ma in tal modo rientrava nel disegno della vittoria di Dio.
19
Mi potrai però dire: “Ma allora perché ancora rimprovera? Chi infatti può
resistere al suo volere?”.
20
O uomo,
chi sei tu, per contestare Dio? Oserà forse dire il vaso plasmato a colui che
lo plasmò: “Perché mi hai fatto così?”.
21
Forse il vasaio non è padrone dell'argilla, per fare con la medesima pasta un
vaso per uso nobile e uno per uso volgare?
22
Anche Dio, volendo manifestare la sua ira e far conoscere la sua potenza, ha
sopportato con grande magnanimità gente meritevole di collera, pronta per la
perdizione.
23
E questo, per far conoscere la ricchezza della sua gloria verso gente meritevole
di misericordia, da lui predisposta alla gloria,
24
cioè verso di noi, che egli ha chiamato non solo tra i Giudei ma anche tra i
pagani.
Qualcuno,
fraintendendo quanto Paolo sta dicendo, potrebbe sollevare la blasfema
insinuazione che poiché Dio fa misericordia a chi vuole e indurisce chi vuole,
non ha ragione di rimproverare gli uomini. E quindi rimprovera ingiustamente.
Paolo risponde
subito troncando l'insinuazione: “O uomo, chi sei tu, per contestare Dio?”.
Paolo presenta la sovrana libertà di Dio nell'agire. Poi spiega che il vasaio
plasma con la medesima argilla vasi di diverso uso. Il vasaio è Dio, i vasi sono
gli uomini. La destinazione del vaso procede dalla pazienza di Dio, che
sopportando “gente meritevole di collera, pronta per la perdizione”
produce vasi ignobili, già “pronti per la perdizione”, ma non senza un
fine di bene che è quello di manifestare la sua gloria. Gloria mostrata verso “gente
meritevole di collera”, e verso “gente meritevole di misericordia”,
perché non giunta ad un voluto e perseverante indurimento.
25
Esattamente come dice Osea (2,25; 2,1):
|
Chiamerò mio popolo quello che non era mio popolo
e
mia amata quella che non era l'amata.
26
E avverrà che, nel luogo stesso dove fu detto loro:
“Voi
non siete mio popolo”,
là
saranno chiamati figli del Dio vivente. |
La citazione
(2,25; LXX, 2,23) proviene dalla versione dei LXX ed è trattata da Paolo
liberamente. Osea parlava del regno del Nord, che si era lasciato prendere
dall'idolatria di due vitelli d'oro (uno a Dan e l'altro a Betel; 2Re 10,29), e
quindi avevano sbandato verso il paganesimo. Ciò giustifica l'applicazione di
Paolo alla conversione dei pagani. La citazione (2,1) proviene anch'essa dai
LXX, ma è riferita da Paolo con maggiore aderenza. Il passo di per sé si
riferisce anch'esso alle tribù del Nord, ma Paolo lo usa in senso tipologico
estendendolo alla chiamata dei pagani.
27
E quanto a Israele, Isaia esclama (10,22-23):
|
Se anche il numero dei figli di Israele
fosse come la sabbia del mare,
solo
il resto sarà salvato;
28
perché con pienezza e rapidità
il
Signore compirà la sua parola sulla terra.
|
Anche questo
testo è preso dai LXX, con delle abbreviazioni. Paolo lo riferisce per
dimostrare che ciò che è accaduto è stato annunciato da Isaia: solo un resto di
Israele è salvato. E' l'Israele secondo lo spirito, in contrasto con l'Israele
secondo la discendenza della carne.
29
E come predisse Isaia (1,9):
|
Se il Signore degli eserciti
non
ci avesse lasciato una discendenza,
saremmo divenuti come Sodoma
e
resi simili a Gomorra.
|
Questo
versetto è aderente al testo ebraico. Riguarda il popolo fedele all'alleanza,
dopo le catastrofi punitive operate dagli Assiri e dai Babilonesi. Il testo ha
un contenuto profetico che non si ferma a quell'evento, ma riguarda anche un
futuro più lontano, cioè a quanto è accaduto circa la fede in Cristo: una parte
di Israele (gli apostoli, i discepoli, tanti e tanti altri) ha creduto a Cristo.
La colpa d'Israele
30
Che diremo dunque? Che i pagani, i quali non cercavano la giustizia, hanno
raggiunto la giustizia, la giustizia però che deriva dalla fede;
31
mentre Israele, il quale cercava una Legge che gli desse la giustizia, non
raggiunse lo scopo della Legge.
32
E perché mai? Perché agiva non mediante la fede, ma mediante le opere. Hanno
urtato contro la pietra d'inciampo,
33
come sta scritto (Is 8,14; 28,16):
|
Ecco, io pongo in Sion una pietra d'inciampo
e un
sasso che fa cadere;
ma
chi crede in lui non sarà deluso.
|
Israele “cercava
una Legge”
nel senso che desumendo dalla Torah aveva codificato ben 613 precetti da
osservare. Ma proprio ciò portò Israele lontano dallo scopo per il quale era
stata data la Legge, cioè essere un supporto in attesa del Cristo.
Il testo di
Isaia è la fusione di due passi, nel primo si parla di “pietra d'inciampo”,
nel secondo, testo pienamente messianico, si parla della pietra che dà saldezza
a chi crede (Cf. Mt 21,42; 1Pt 2,6).
Amore di Paolo per
Israele
10 1
Fratelli, il desiderio del mio cuore e la mia preghiera salgono a Dio per la
loro salvezza.
2 Infatti
rendo loro testimonianza che hanno zelo per Dio, ma non una retta conoscenza.
3
Perché, ignorando la giustizia di Dio e cercando di stabilire la propria, non si
sono sottomessi alla giustizia di Dio.
4
Ora, il termine della Legge è Cristo, perché la giustizia sia data a chiunque
crede.
L'amore di Paolo per i suoi consanguinei è grande
e continuamente prega per la loro salvezza, cioè per la loro apertura a Cristo.
Paolo riconosce che essi hanno zelo per Dio, ma questo non è compiuto con retta
coscienza. Tuttavia, rimane il caso di ignoranza invincibile per i
condizionamenti avuti dal Sinedrio e dai padri che formularono la pretesa di
giungere alla giustizia davanti a Dio con le opere della Legge e non con la fede
in Dio che salva a partire dalla gratuità del suo amore.
La salvezza è per
tutti
5 Mosè descrive così la giustizia che viene dalla Legge:
L'uomo che la mette in pratica, per mezzo di essa vivrà (Lv 18,5).
6
Invece, la giustizia che viene dalla fede parla così: Non dire nel tuo cuore:
Chi salirà al cielo? - per farne cioè discendere Cristo -;
7
oppure: Chi scenderà nell'abisso? (Dt 30,12-13) - per fare cioè risalire
Cristo dai morti.
8
Che cosa dice dunque? Vicino a te è la Parola, sulla tua bocca e nel tuo
cuore (Dt 30,14), cioè la parola della fede che noi predichiamo.
9 Perché se
con la tua bocca proclamerai: “Gesù è il Signore!”, e con il tuo cuore crederai
che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo.
10 Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia, e con
la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza.
11
Dice infatti la Scrittura: Chiunque crede in lui non sarà deluso (Is
28,16). 12
Poiché non c'è distinzione fra Giudeo e Greco, dato che lui stesso è il Signore
di tutti, ricco verso tutti quelli che lo invocano.
13 Infatti: Chiunque invocherà il nome del Signore sarà
salvato (Gl 2,32).
La fede esclude il dubbio, essa crede
all'annuncio della Chiesa testimone di Cristo e inviata da Cristo, che Cristo è
venuto nella carne, è morto ed è disceso agli inferi e il terzo giorno è
risuscitato dai morti. La non fede vuole scartare l'annuncio della Chiesa, e si
esprime nell'oscuro pensiero che ci dovrebbe essere qualcuno che andasse a
verificare se Gesù è risorto ed è in cielo quindi lo faccia discendere perché se
ne ascolti da lui stesso la parola. Oppure se Cristo non è risorto ed è negli
inferi ci debba essere qualcuno che ci vada e lo accerti e faccia salire Cristo
per avere da lui direttamente la parola. Ma Cristo ha già donato la sua parola
ed essa è continuamente annunciata.
Già in passato, nel tempo del Vecchio Testamento,
qualcuno aveva cercato di mettere in dubbio la parola di Dio avuta nella
teofania del Sinai, dove Dio aveva dato su tavole di pietra le sue dieci
parole e le disposizioni per il culto, pensando che fosse necessario che
qualcuno salisse in cielo o nel profondo del mare per averla e per crederla
divina, ma la parola era già scesa dal cielo sul Sinai ed era “sulla tua bocca e nel tuo cuore
”.
La fede viene
dall'annuncio del Vangelo
14 Ora, come invocheranno colui nel quale non hanno creduto? Come
crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare? Come ne sentiranno
parlare senza qualcuno che lo annunci?
15
E come lo annunceranno, se non sono stati inviati? Come sta scritto: Quanto sono
belli i piedi di coloro che recano un lieto annuncio di bene! (Is 52,7).
16 Ma non tutti hanno obbedito al Vangelo. Lo dice Isaia :
Signore, chi ha creduto dopo averci ascoltato? (53,1).
17
Dunque, la fede viene dall'ascolto e l'ascolto riguarda la parola di Cristo.
18
Ora io dico: forse non hanno udito? Tutt'altro (Ps 18/19,5):
|
Per tutta la terra è corsa la loro
voce,
e fino agli estremi confini del mondo
le loro parole.
|
19 E dico ancora: forse Israele non ha compreso? Per primo Mosè
dice (Dt 32,21):
|
Io vi renderò gelosi di una nazione
che nazione non è;
susciterò il vostro sdegno contro una
nazione senza intelligenza.
|
20 Isaia poi arriva fino a dire (65,1):
|
Sono stato trovato da quelli che non
mi cercavano,
mi sono manifestato a quelli che non
chiedevano di me,
|
21
mentre d'Israele dice (65,2):
|
Tutto il giorno ho steso
le mani
verso un popolo disobbediente e
ribelle!
|
La predicazione del Vangelo è di necessità
assoluta poiché “la fede viene dall'ascolto e l'ascolto riguarda la parola di Cristo
“.
Israele ha udito l'annuncio poiché “Per tutta la terra è corsa la loro voce”
e, riguardo a Israele, “Tutto
il giorno ho steso le mani verso un popolo disobbediente e ribelle!”.
Paolo ha compreso perché Israele è diventato geloso, ora si diventa gelosi di un
valore. Ma Israele nello stesso tempo si è sdegnato illudendosi di credersi nel
giusto rifiutando il Vangelo: “Io vi renderò gelosi di una nazione che nazione non è;
susciterò il vostro sdegno contro una nazione senza intelligenza”.
Dio non ha ripudiato
il suo popolo
11 1
Io domando dunque: Dio ha forse ripudiato il suo popolo? Impossibile! Anch'io
infatti sono Israelita, della discendenza di Abramo, della tribù di Beniamino.
2
Dio non ha ripudiato il suo popolo, che egli ha scelto fin da principio.
Non sapete ciò che dice la Scrittura, nel passo in
cui Elia ricorre a Dio contro Israele?
3
Signore, hanno ucciso i tuoi profeti, hanno rovesciato i
tuoi altari, sono rimasto solo e ora vogliono la mia vita (1Re 19,10.14).
4 Che cosa gli
risponde però la voce divina? Mi sono riservato settemila uomini che non
hanno piegato il ginocchio davanti a Baal (1Re 19,18).
5 Così anche nel tempo presente vi è un resto, secondo una
scelta fatta per grazia. 6
E se lo è per grazia, non lo è per le opere; altrimenti la grazia non sarebbe
più grazia.
7 Che dire dunque? Israele non ha ottenuto quello che cercava;
lo hanno ottenuto invece gli eletti. Gli altri invece sono stati resi ostinati,
8
come sta scritto (Dt 29,3; Is 29,10):
|
Dio ha dato loro uno spirito di
torpore,
occhi per non vedere
e orecchi per non sentire,
fino al giorno d'oggi.
|
9 E Davide dice (Ps 68/69,23):
|
Diventi la loro mensa un laccio, un
tranello,
un inciampo e un giusto castigo!
10 Siano accecati i loro occhi in modo che non vedano
e fa' loro curvare la schiena per
sempre!
|
Israele ha udito e compreso e una parte di esso
ha creduto. Questa parte costituisce “un resto” come al tempo di Elia. L'altra parte è caduta
nell'ostinazione perché ha rifiutato ciò che ha udito e visto. L'azione di
Cristo ha svelato molti cuori in Israele, che sono finiti per il loro rifiuto
nell'ostinazione (Lc 2,34).
La caduta di Israele
ha dato spazio alla salvezza dei pagani
11 Ora io dico: forse inciamparono per cadere per sempre?
Certamente no. Ma a causa della loro caduta la salvezza è giunta alle genti, per
suscitare la loro gelosia.
12 Se la loro caduta è stata ricchezza per il mondo e il loro
fallimento ricchezza per le genti, quanto più la loro totalità!
13
A voi, genti, ecco che cosa dico: come apostolo
delle genti, io faccio onore al ministero,
14 nella speranza di suscitare la gelosia di quelli del mio
sangue e di salvarne alcuni.
15 Se infatti il loro essere rifiutati è stata una riconciliazione del
mondo, che cosa sarà loro riammissione se non una vita dai morti?
16 Se le primizie sono sante, lo sarà anche l'impasto; se è santa
la radice, lo saranno anche i rami.
17 Se però alcuni rami sono stati tagliati e tu, che sei un olivo
selvatico, sei innestato fra loro, diventando così partecipe della radice e
della linfa dell'olivo,
18
non vantarti contro i rami! Se ti vanti, ricordati che non sei tu che porti la
radice, ma è la radice che porta te.
19 Dirai certamente: i rami sono stati tagliati perché io vi
fossi innestato!
20
Bene; essi però sono stati tagliati per mancanza di fede, mentre tu rimani
innestato grazie alla fede. Tu non insuperbirti, ma abbi timore!
21
Se infatti Dio non ha risparmiato quelli che erano rami naturali, tanto meno
risparmierà te!
22 Considera dunque la bontà e la severità di Dio: la severità
verso quelli che sono caduti; verso di te invece la bontà di Dio, a condizione
però che tu sia fedele a questa bontà. Altrimenti anche tu verrai tagliato via.
23
Anch'essi, se non persevereranno nell’incredulità, saranno innestati; Dio
infatti ha il potere di innestarli di nuovo!
24
Se tu infatti, dall’olivo selvatico, che eri secondo la tua natura, sei stato
tagliato via e, contro natura, sei innestato su un olivo buono, quanto più essi,
che sono della medesima natura, potranno venire di nuovo innestati sul proprio
olivo!
Ma se sono caduti nell'ostinazione questo è per
sempre? Paolo perentoriamente dice di no.
L'apostolo passa ad affermare che la caduta di
Israele ha favorito l'ingresso dei pagani alla fede, poiché il Cristo non è
apparso ai pagani legato ad una nazione, che poteva creare ostacolo, ma è
apparso a loro nella sua entità universale. L'accoglienza di Cristo da parte dei
pagani ha a sua volta suscitato la gelosia dei Giudei. Israele dunque è stato
involontariamente ricchezza per le genti, e lo sarà ancora di più quando entrerà
nella salvezza nella sua totalità.
“Se le primizie sono sante, lo sarà anche l'impasto;
se è santa la radice, lo saranno anche i rami”.
Infatti le primizie sono i patriarchi. Ora la primizia santa (Cf. Nm 15,19-21) è
ancora capace di portare Israele ad accogliere Cristo. La radice santa, sono
ancora i patriarchi, non potrà che avere rami santi. Una parte di quei rami ha
accolto Cristo, un'altra parte è stata tagliata perché ha rifiutato Cristo. Al
posto dei rami tagliati sono stati innestati i rami dell'olivo selvatico, cioè i
pagani, che sono diventati per la fede in Cristo partecipi della radice santa.
Ma i rami innestati nell'olivo buono non devono inorgoglirsi di fronte ai rami
tagliati perché Dio ha il potere di reinnestarli “sul
proprio olivo”.
La salvezza di tutto
Israele
25 Non voglio infatti che ignoriate, fratelli, questo mistero,
perché non siate presuntuosi: l'ostinazione di una parte d'Israele è in atto
fino a quando non saranno entrate tutte quante le genti.
26
Allora tutto Israele sarà salvato, come sta scritto (Is 59,20-21):
|
Da Sion uscirà il
liberatore,
egli
toglierà l'empietà da Giacobbe.
27
Sarà questa la mia alleanza con loro
quando
distruggerò i loro peccati.
|
28 Quanto al Vangelo, essi sono nemici, per vostro vantaggio; ma
quanto alla scelta di Dio, essi sono amati, a causa dei padri,
29
infatti i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili!
30 Come voi un tempo siete stati disobbedienti a Dio e ora avete
ottenuto misericordia a motivo della loro disobbedienza,
31
così anch'essi ora sono diventati disobbedienti a motivo della misericordia da
voi ricevuta, perché anch'essi ottengano misericordia.
32 Dio infatti ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per essere
misericordioso verso tutti!
33 O profondità della ricchezza, della sapienza e della
conoscenza di Dio! Quanto insondabili sono i suoi giudizi e inaccessibili le sue
vie! 34
Infatti (Gb 15,8; Is 40,13),
|
chi mai ha conosciuto
il pensiero del Signore?
O chi mai
è stato suo consigliere?
35 O chi gli ha dato qualcosa per primo
tanto da
riceverne il contraccambio?
|
36 Poiché da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose.
A lui la gloria nei secoli. Amen.
Il rifiuto di Cristo di una parte di Israele ha
facilitato l'ingresso dei pagani alla fede (“Ora avete ottenuto misericordia a motivo
della loro disobbedienza”), ma nello stesso tempo Israele si è chiuso nella
disobbedienza rifiutando di ascoltare la gelosia che nasceva spontanea nel suo
cuore. Così Israele chiuso nella disobbedienza conoscerà la misericordia di Dio,
quando tutte le nazioni saranno entrate a far parte della Chiesa, allora la
gelosia opererà il suo positivo effetto sbloccando Israele.
“O profondità della ricchezza, della sapienza e
della conoscenza di Dio! Quanto insondabili sono i suoi giudizi e inaccessibili
le sue vie”.
Paolo ha spinto la sua speculazione agli estremi delle sue possibilità sulla
base dell'esperienza della gelosia provata dai Giudei, ma deve fermarsi
riconoscendo che i giudizi di Dio e le sue vie sono inaccessibili alla mente
umana.
Precetti generali:
fedeltà e modestia
12 1
Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi
come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto
spirituale. 2
Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro
modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui
gradito e perfetto.
3 Per la grazia che mi è stata data, io dico a ciascuno di voi:
non valutatevi più di quanto conviene, ma valutatevi in modo saggio e giusto,
ciascuno secondo la misura di fede che Dio gli ha dato.
4
Poiché, come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno
tutte la medesima funzione,
5
così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e, ciascuno per
la sua parte, siamo membra gli uni degli altri.
6 Abbiamo doni diversi secondo la grazia data a ciascuno di noi:
chi ha il dono della profezia la eserciti secondo ciò che detta la fede;
7
chi ha un ministero attenda al ministero; chi insegna si dedichi
all'insegnamento;
8
chi esorta si dedichi all'esortazione. Chi dona, lo faccia con semplicità; chi
presiede, presieda con diligenza; chi fa opere di misericordia, le compia con
gioia.
“Per la grazia che mi è stata data”,
cioè per la grazia dell'autorità apostolica ricevuta da Cristo e dagli apostoli,
che esercita nella fermezza e insieme nell'umiltà e nella carità, Paolo invita a
valutarsi “secondo
la misura di fede che Dio gli ha dato”. “La misura della fede” è la misura con la quale valutare se stessi,
cioè la saggia valutazione deve partire dalla fede che dice che i doni vengono
da Dio, e che quindi non ci si deve inorgoglire per essi. E la fede stessa è
dono. Paolo qui non afferma che la grazia santificante è presente nei cuori in
misura diversa - questo è vero per la diversa corrispondenza degli uomini alla
grazia -, ma che i doni sono diversi e dati per l'edificazione dell'unico corpo
di Cristo che è la Chiesa.
La carità verso tutti
9 La carità non sia ipocrita: detestate il male, attaccatevi al
bene; 10
amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a
vicenda.
11 Non siate pigri nel fare il bene, siate invece ferventi nello
spirito; servite il Signore.
12 Siate lieti nella speranza, costanti nella tribolazione,
perseveranti nella preghiera.
13 Condividete le necessità dei santi; siate premurosi nell'ospitalità.
14 Benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite.
15
Rallegratevi con quelli che sono nella gioia; piangete con quelli che sono nel
pianto. 16
Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri; non nutrite desideri di
grandezza; volgetevi piuttosto a ciò che è umile. Non stimatevi sapienti da voi
stessi.
17 Non rendete a nessuno male per male. Cercate di compiere il
bene davanti a tutti gli uomini.
18 Se possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con
tutti. 19
Non fatevi giustizia da voi stessi, carissimi, ma lasciate fare all'ira divina.
Sta scritto infatti: Spetta a me fare giustizia, io darò a ciascuno il suo
(Dt 32,35), dice il Signore.
20
Al contrario, se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete, dagli
da bere; facendo questo, infatti, accumulerai carboni ardenti sopra il suo capo
(Pr 25,21-22).
21
Non lasciarti vincere
dal male, ma vinci il male con il bene.
“Se possibile, per quanto dipende da voi, vivete in
pace con tutti”. Il cristiano deve aspirare ad essere in pace con tutti,
tuttavia questo “se è possibile”, infatti il cristiano di fronte a chi combatte
con ostinazione la fede deve sapere prendere posizione, accettando che l'altro
si scagli contro di lui (Mt 5,11). Ma con ciò non deve cercare di farsi
giustizia da solo, ma deve affidare la sua causa a Dio (1Pt 2,23). Facendo del
bene al nemico “accumulerai carboni ardenti sopra il suo capo”.
“I carboni
ardenti sul capo”
rappresentano la stretta cocente del rimorso, che sospinge al pentimento come
liberazione.
Doveri verso
l'autorità civile
13 1
Ciascuno sia sottomesso alle autorità costituite. Infatti non c'è autorità se
non da Dio: quelle che esistono sono stabilite da Dio.
2 Quindi chi si oppone all’autorità, si oppone all'ordine stabilito da
Dio. E quelli che si oppongono attireranno su di sé la condanna.
3
I governanti infatti non sono da temere quando si fa il bene, ma quando si fa il
male. Vuoi non aver paura dell'autorità? Fa' il bene e ne avrai lode,
4
poiché essa è al servizio di Dio per il tuo bene. Ma se fai il male, allora devi
temere, perché non invano essa porta la spada; è infatti al servizio di Dio per
la giusta condanna di chi fa il male. 5
Perciò è necessario stare sottomessi, non solo per timore della punizione, ma
anche per ragioni di coscienza.
6 Per questo infatti voi pagate anche le tasse: quelli che svolgono
questo compito sono a servizio di Dio.
7 Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi si devono le
tasse, date le tasse; a chi l'imposta, l'imposta; a chi il timore, il timore; a
chi il rispetto, il rispetto.
L'autorità civile viene da Dio, ma essa può
essere gestita malamente e ottenuta con il sopruso. Paolo presenta una
situazione nella quale il potere è esercitato secondo giustizia, invitando in
tal modo i cristiani a rinunciare a contestazioni e contrapposizioni che abbiano
mire politiche. La correttezza dei cristiani nei confronti del potere civile
costituito è però consapevole della missione di portare il potere ad esercitarsi
secondo il Vangelo, e ciò include anche la tolleranza verso chi non è cristiano,
purché rispetti le regole della convivenza civile (Mt 13,24s).
La carità compendio
della Legge
8 Non siate debitori di nulla a nessuno, se non dell'amore
vicendevole; perché chi ama l'altro ha adempiuto la Legge.
9
Infatti: Non commetterai adulterio, non ucciderai, non desidererai (Es
20,13-17; Dt 5,17,21), e qualsiasi altro comandamento, si ricapitola in questa
parola: Amerai il tuo prossimo come te stesso (Lv 19,18).
10 "La carità non fa alcun male al prossimo: pienezza della Legge
infatti è la carità.
Il cristiano ha ricevuto da Dio il perdono e il
dono dello Spirito, poiché tanto è stato amato egli diventa debitore
(dovere da assolvere) verso il fratello (1Gv 4,11.21).
Indossare le armi
della luce
11 E questo voi farete, consapevoli del momento: è ormai tempo di
svegliarvi dal sonno, perché adesso la nostra salvezza è più vicina di quando
diventammo credenti.
12 La notte è avanzata, il giorno è vicino. Perciò gettiamo via le
opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce.
13 Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno:
non in mezzo a orge e ubriachezze, non fra lussurie e impurità, non in litigi e
gelosie. 14
Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo e non lasciatevi prendere dai
desideri della carne.
“Consapevoli del momento”;
il “momento”
è l'era della salvezza inaugurata dall'avvento di Cristo.
“La nostra salvezza è più vicina di quando
diventammo credenti”; la fatica maggiore nell'ascesi per i cristiani provenienti dal
paganesimo è all'inizio della conversione quando si tratta di purificarsi dalle
abitudini contratte. Dunque, essi sono più forti e devono perseverare senza
vacillamenti.
“La notte è avanzata il giorno è vicino”;
il buio del paganesimo sta per cessare e il giorno nel quale l'impero romano si
aprirà a Cristo è vicino (16,20), dunque non bisogna scoraggiarsi e lasciarsi
prendere dai “desideri
della carne” ritornando di nuovo ai costumi pagani. Bisogna combattere contro
le tenebre del peccato con le “armi della luce”, cioè l'obbedienza alla Parola, la
preghiera, ecc. (Cf. 1Ts 5,8; Ef 6,13).
“Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo”,
cioè bisogna rinnovarsi guardando a Gesù Cristo, nostro modello di
comportamento.
Non contrapporsi
sulle opinioni personali, ma esercitare sempre la carità
14 1
Accogliete chi è debole nella fede, senza discuterne le opinioni.
2
Uno crede di poter mangiare di tutto; l'altro, che invece è debole, mangia solo
legumi. 3
Colui che mangia, non disprezzi chi non mangia; colui che non mangia, non
giudichi chi mangia: infatti Dio ha accolto anche lui. 4 Chi sei tu, che giudichi un servo che non è tuo? Stia in piedi
o cada, ciò riguarda il suo padrone. Ma starà in piedi, perché il Signore ha il
potere di tenerlo in piedi.
5 C'è chi distingue giorno da giorno, chi invece li giudica
tutti uguali; ciascuno però sia fermo nella propria convinzione.
6
Chi si preoccupa dei giorni, lo fa per il Signore; chi mangia di tutto, mangia
per il Signore, dal momento che rende grazie a Dio; chi non mangia di tutto, non
mangia per il Signore e rende grazie a Dio.
7 Nessuno di noi, infatti, vive per se stesso e nessuno muore per se
stesso, 8
perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il
Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore.
9 Per questo infatti Cristo è morto ed è ritornato
alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi.
10 Ma tu, perché giudichi il tuo fratello? E tu, perché disprezzi
il tuo fratello? Tutti infatti ci presenteremo al tribunale di Dio, 11 perché
sta scritto (Is 45,23; 49,18):
|
Io vivo, dice il
Signore:
ogni
ginocchio si piegherà davanti a me
e ogni lingua renderà
gloria a Dio.
|
12 Quindi ciascuno di noi renderà conto di se stesso a Dio.
13 D'ora in poi non giudichiamoci più gli uni gli altri;
piuttosto fate in modo di non essere causa di inciampo o di scandalo per il
fratello.
14 Io so, e ne sono persuaso nel Signore Gesù, che nulla è impuro
in se stesso; ma se uno ritiene qualcosa come impuro, per lui è impuro.
15
Ora se per un cibo il tuo fratello resta turbato, tu non ti comporti più secondo
carità. Non mandare in rovina con il tuo cibo colui per il quale Cristo è morto!
16
Non divenga motivo di rimprovero il bene di cui godete!
17 Il regno di Dio infatti non è cibo o bevanda, ma giustizia,
pace e gioia nello Spirito Santo:
18
chi si fa servitore di Cristo in queste cose è bene
accetto a Dio e stimato dagli uomini.
19 Cerchiamo dunque ciò che porta alla pace e alla edificazione
vicendevole. 20
Non distruggere l'opera di Dio per una questione di cibo! Tutte le cose sono
pure; ma è male per un uomo mangiare dando scandalo.
21 Perciò è bene non mangiare carne né bere vino né altra cosa per la
quale il tuo fratello possa scandalizzarsi.
22 La convinzione che tu hai, conservala per te stesso davanti a
Dio. Beato chi non condanna se stesso a causa di ciò che approva.
23
Ma chi è nel dubbio, mangiando si condanna, perché non agisce secondo coscienza;
tutto ciò, infatti, che non viene dalla coscienza è peccato.
Alcuni mangiavano solo legumi per paura di
mangiare le carni immolate agli idoli, che venivano vendute ai mercati insieme
alle altre carni. Paolo non si rifà alle regole alimentari del Concilio di
Gerusalemme (At 15,28), poiché nei fatti le considera impraticabili
nell'acquisto delle carni nei mercati. Per Paolo non c'è nulla di impuro, ma
tuttavia per carità fraterna non bisogna scandalizzare il fratello debole (1Cor
10, 19.25)
“C'è chi distingue giorno da giorno”,
astenendosi in essi dalla carne o dal vino, secondo pratiche giudaiche. Anche in
questo caso vale la regola della carità e del rispetto dell'opinione altrui, in
attesa che i residui delle pratiche alimentari giudaiche cadessero in disuso.
L'esempio di Cristo
15 1
Noi, che siamo i forti, abbiamo il dovere di portare le infermità dei deboli,
senza compiacere noi stessi.
2
Ciascuno di noi cerchi di piacere al prossimo nel bene, per edificarlo.
3 Anche Cristo infatti non cercò di piacere a se
stesso, ma, come sta scritto: Gli insulti di chi ti insulta ricadano su di
me (Ps 68/69,10).
4
'Tutto ciò che è stato scritto prima di noi,è stato scritto per nostra
istruzione, perché, in virtù della perseveranza e della consolazione che
provengono dalle Scritture, teniamo viva la speranza.
5 E
il Dio della perseveranza e della consolazione vi conceda di avere gli uni verso
gli altri gli stessi sentimenti, sull'esempio di Cristo Gesù,
6
perché con un solo animo e una voce sola rendiate gloria a Dio, Padre del
Signore nostro Gesù Cristo.
7 Accoglietevi perciò gli uni gli altri come anche Cristo
accolse voi, per la gloria.
8 Dico infatti che Cristo è diventato servitore dei circoncisi per
mostrare la fedeltà nel compiere le promesse dei padri;
9
le genti invece glorificano Dio per la sua misericordia, come sta scritto (Ps
17/18,50):
|
Per questo ti loderò
fra le genti
e canterò
inni al tuo nome.
|
10 E ancora (Dt 32,43):
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Esultate, o nazioni,
insieme al suo popolo. |
11 E di nuovo(Ps 1167117,1):
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Genti tutte, lodate
il Signore;
i popoli
tutti lo esaltino.
|
12 E a sua volta Isaia dice (11,10):
|
Spunterà il rampollo
di Lesse,
colui che
sorgerà a governare le nazioni:
in lui le
nazioni spereranno.
|
13 Il Dio della speranza vi riempia, nel credere, di ogni gioia e
pace, perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito Santo.
“Cristo infatti non cercò di piacere a se stesso”,
innalzandosi sopra gli uomini autoglorificandosi, ma ha invece servito
nell'obbedienza il disegno del Padre, attendendo da lui la glorificazione della
risurrezione.
Cristo ha cercato di piacere al Padre, non a se
stesso, e per questo si è caricato dei peccati degli uomini: “Gli insulti di chi ti insulta ricadano su di me”.
“Per mostrare la fedeltà nel compiere le promesse
dei padri; 9 le genti invece glorificano Dio per la sua misericordia”;
le Scritture (Legge e Profeti) parlano di Cristo e sono la strada per i Giudei
per giungere a Cristo, che è colui che le avvera (Lc 16,19). Le genti invece
credono a partire direttamente dalla misericordia di Dio manifestata in Cristo.
Il ministero di
Paolo
14 Fratelli miei, sono anch'io convinto, per quel che vi
riguarda, che voi pure siete pieni di bontà, colmi di ogni conoscenza e capaci
di correggervi l'un l'altro.
15 Tuttavia, su alcuni punti, vi ho scritto con un po' di audacia, come
per ricordarvi quello che già sapete, a motivo della grazia che mi è stata data
da Dio 16
per essere ministro di Cristo Gesù tra le genti, adempiendo il sacro ministero
di annunciare il vangelo di Dio perché le genti divengano un'offerta gradita,
santificata dallo Spirito Santo.
17
Questo dunque è il mio vanto in Gesù Cristo nelle cose che riguardano Dio.
18
Non oserei infatti dire nulla se non di quello che Cristo ha operato per mezzo
mio per condurre le genti all'obbedienza, con parole e opere,
19
con la. potenza di segni e di prodigi, con la forza
dello Spirito. Così da Gerusalemme e in tutte le direzioni fino all'Illiria, ho
portato a termine la predicazione del vangelo di Cristo.
20
Ma mi sono fatto un punto di onore di non annunciare il Vangelo dove era già
conosciuto il nome di Cristo, per non costruire su un fondamento altrui,
21
ma, come sta scritto (Is 52,15):
|
Coloro ai quali non
era stato annunciato, lo vedranno,
e coloro
che non ne avevano udito parlare, comprenderanno.
|
“Perché le genti divengano un'offerta gradita,
santificata dallo Spirito Santo”; “un'offerta gradita” per l'unione al sacrificio di Cristo, nella
santificazione dello Spirito Santo.
Progetti di viaggio
22 Appunto per questo fui impedito più volte di venire da voi.
23
Ora però, non trovando più un campo d'azione in queste regioni e avendo già da
parecchi anni un vivo desiderio di venire da voi,
24 spero di vedervi, di passaggio, quando andrò in Spagna, e di essere
da voi aiutato a recarmi in quella regione, dopo avere goduto un poco della
vostra presenza.
25 Per il momento vado a Gerusalemme, a rendere un servizio ai
santi di quella comunità;
26
la Macedonia e l'Acaia infatti hanno voluto realizzare una forma di comunione
con i poveri tra i santi che sono a Gerusalemme.
27 L'hanno voluto perché sono ad essi debitori:
infatti le genti, avendo partecipato ai loro beni spirituali, sono in debito di
rendere loro un servizio sacro anche nelle loro necessità materiali.
28
Quando avrò fatto questo e avrò consegnato sotto garanzia quello che è stato
raccolto, partirò per la Spagna passando da voi.
29
So che, giungendo presso di voi, ci verrò con la pienezza della benedizione di
Cristo. 30
Perciò, fratelli, per il Signore nostro Gesù Cristo e l'amore dello Spirito, vi
raccomando: lottate con me nelle preghiere che rivolgete a Dio,
31 perché io sia liberato dagli infedeli della Giudea e il mio
servizio a Gerusalemme sia bene accetto ai santi.
32
Così, se Dio lo vuole, verrò da voi pieno di gioia per riposarmi in mezzo a voi.
33
Il Dio della pace sia con tutti voi. Amen.
Paolo andrà a Gerusalemme (At 19,21) portando i
proventi di una colletta, ma già sospetta che avrà insidie da parte dei Giudei e
per questo chiede preghiere: “perché
io sia liberato dagli infedeli della Giudea”. Il pensiero di andare in Spagna è quindi subordinato a non
cadere nelle mani dei Giudei. Quello che Paolo temeva gli venne annunciato poi
da un profeta di nome Agabo (At 21,10). A Roma ci andrà, ma da prigioniero,
godendo tuttavia nella città di un tempo di relativa libertà prima di subire il
martirio (At 28,30).
Raccomandazioni e
saluti
16 1
Vi raccomando Febe, nostra sorella, che è al servizio della Chiesa di Cencre (At
18,18): 2
accoglietela nel Signore, come si addice ai santi, e assistetela in qualunque
cosa possa avere bisogno di voi; anch'essa infatti ha protetto molti, e anche me
stesso.
3 Salutate Prisca e Aquila, miei collaboratori in Cristo Gesù.
Essi per salvarmi la vita hanno rischiato la loro testa, e a loro non io
soltanto sono grato, ma tutte le Chiese del mondo pagano.
5
Salutate anche la comunità che si riunisce nella loro casa.
Salutate il mio amatissimo Epèneto, che è stato il
primo a credere in Cristo nella provincia dell'Asia.
6
Salutate Maria, che ha faticato molto per voi.
7 Salutate Andrònico e Giunia, miei parenti e compagni di
prigionia: sono insigni tra gli apostoli ed erano in Cristo già prima di me.
8
Salutate Ampliato, che mi è molto caro nel Signore.
9
Salutate Urbano, nostro collaboratore in Cristo, e il mio carissimo Stachi.
10
Salutate Apelle, che ha dato buona prova in Cristo. Salutate quelli della casa
di Arisistòbulo.
11
Salutate Erodione, mio parente. Salutate quelli della casa di Narciso che
credono nel Signore.12
Salutate Trifena e Trifosa, che hanno faticato per il Signore. Salutate la
carissima Pèrside, che ha tanto faticato per il Signore.
13 Salutate Rufo, prescelto nel Signore, e sua madre, che è una madre
anche per me.
14 Salutate
Asincrito, Flegonte, Erme, Pàtroba, Erma e i fratelli che sono con loro.
15
Salutate Filòlogo e Giulia, Nereo e sua sorella e Olimpas e tutti i santi che
sono con loro.
16 Salutatevi
gli uni gli altri con il bacio santo. Vi salutano tutte le Chiese di Cristo.
17 Vi raccomando poi, fratelli, di guardarvi da coloro che
provocano divisioni e ostacoli contro l'insegnamento che avete appreso: tenetevi
lontani da loro.
18
Costoro, infatti, non servono Cristo nostro Signore, ma il proprio ventre e, con
belle parole e discorsi affascinanti, ingannano il cuore dei semplici.
19 La fama della vostra obbedienza è giunta a tutti: mentre
dunque mi rallegro di voi voglio che siate saggi nel bene e immuni dal male.
20
Il Dio della pace schiaccerà ben presto Satana sotto i vostri piedi. La grazia
del Signore nostro Gesù sia con voi.
21 Vi saluta Timoteo mio collaboratore, e con lui Lucio, Giasone,
Sosípatro, miei parenti.
22 Anch'io, Terzo, che ho scritto la lettera, vi saluto nel
Signore. 23
Vi saluta Gaio, che ospita me e tutta la comunità. Vi salutano Erasto, tesoriere
della città, e il fratello Quarto.
Febe - si crede vera l’interpretazione che il cap.16 non sia stato indirizzato a Efeso -, è stata probabilmente la latrice della lettera ai Romani.
Dai saluti, secondo la medesima interpretazione, si vede come Paolo aveva molte conoscenze a Roma le quali operavano per il Vangelo.
Non mancano pericoli nella comunità di Roma. Non
si tratta dei giudeocristiani coi quali Paolo ebbe a che fare nelle chiese di
Galazia, ma di cristiani in posizione sincretista con la filosofia stoica ed
epicurea. Costoro, probabilmente, sono da identificarsi con quei falsi
cristiani rigettati nella lettera di Giuda, nella seconda lettera di Pietro,
nella lettera agli Efesini (5,6-7) e in quella ai Colossesi (2,8). La lettera è stata dettata a Terzo, il quale
invia di persona i suoi saluti. La velocità dello scriba era notevole per
l'introduzione di segni tachigrafici a cui si aggiungevano le abbreviazioni.
Molto noti sono i segni tachigrafici tironiani
introdotti da Marco Tullio Tirone, scriba di Cicerone. I segni
tachigrafici tironiani in breve passarono da 4000 a circa 5000. Il loro
utilizzo risale al 63 a.C., secondo quanto riferisce Plutarco. Ma, Orazio
presenta capacità stenografiche anche all'epoca di Lucilio Gaio (180 a.C. - 103
a.C.), riferendo che Lucilio riusciva a dettare ben 200 versi in una sola ora.
Una volta che la dettatura era stata tachigrafata, lo scriba passava a
scrivere per esteso tutto il dettato. L'ispirazione investiva non soltanto
Paolo, ma anche lo scriba, affinché eseguisse fedelmente il dettato; del resto
l'apostolo aveva modo di garantirsi del risultato revisionando la lettera. Il
saluto finale è scritto da Paolo, secondo la sua consuetudine. Il passo: "Anch'io, Terzo, che ho scritto questa
lettera, vi saluto nel Signore", è un inserto che Paolo, con grande
sensibilità, ha fatto apporre direttamente dallo scriba che era accanto a lui.
Dossologia
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25 A colui che ha il potere di confermarvi
nel mio Vangelo, che annuncia Gesù
Cristo,
secondo la rivelazione del mistero,
avvolto nel silenzio per secoli eterni,
26
ma ora manifestato mediante le scritture dei Profeti,
per ordine dell'eterno Dio, annunciato
a tutte le genti
perché giungano all'obbedienza della
fede,
27
a Dio, che solo è sapiente,
per mezzo di Gesù Cristo,
la gloria nei secoli. Amen.
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