Testo e commento

 

Capitolo   11   13   14   15   16  

 

Il libro dei Giudici narra la resistenza che Israele portò avanti contro l’oppressione di vari popoli tra il 1200 e il 1025 a.C.: i Filistei, i Cananei, i Fenici di Sidone, gli Evei, i Madianiti, gli Amaleciti, gli Ammoniti. I Filistei erano un popolo di origine Egea che si era proposto la conquista dei territori cananei; erano i più temibili. I Filistei possedevano una superiorità culturale rispetto ad Israele ed avevano il monopolio della lavorazione del ferro e quindi una forte superiorità militare. La resistenza di Israele avvenne attraverso degli eroi liberatori: i cosiddetti giudici. Giudici non perché amministravano solo la giustizia, ma perché governavano Israele nell’animazione alla lotta contro gli oppressori. Il libro presenta vari giudici, che mostrano varia indole, ma che tutti sono investiti di un particolare aiuto dall’alto. Il libro dei Giudici riconosce che le oppressioni ebbero come causa le inadempienze di fedeltà a Dio nella conquista della terra promessa, per cui ci furono patteggiamenti con i Cananei e assorbimenti dei loro costumi. In particolare, i giudici rappresentarono una forma intermedia di governo tra quella del quadro delle tribù e quella della monarchica, sotto la quale si compirà la conquista completa della terra promessa, ma si inizierà anche un processo di deterioramento religioso che portò Israele alla disfatta di fronte agli Assiri e ai Babilonesi. L’autorità dei giudici non si estendeva oltre un determinato territorio; indubbiamente di giudici ce ne furono di più dei dodici riportati dal Libro.

 

Il ciclo di Iefte

Il terribile voto

11 29 “Allora lo spirito del Signore venne su Iefte ed egli attraversò Gàlaad e Manàsse, passò a Mizpa di Gàlaad e da Mizpa di Gàlaad raggiunse gli Ammoniti".

 

Iefte fu un uomo con un’infanzia tormentata. I suoi natali che non lo resero accetto dai figli legittimi della sua famiglia perché nato da un’unione extraconiugale con una prostituta. Cacciato dai fratelli diventò un capobanda. Di fronte agli attacchi degli Ammoniti gli “anziani di Gàlaad, territorio della nascita di Iefte, ricorsero a lui. La sua prima azione con gli Ammoniti fu diplomatica per mezzo di messaggeri, ma poi passò alle armi. A questo punto lo spirito del Signore venne su di lui a costituirlo in valido liberatore di Gàlaad dalle insidie degli Ammoniti. Lo scontro, dopo un giro di arruolamento, divenne imminente. Ma Iefte fece un infelice voto, che rivela un residuo di degrado subito dalla sua vita di capobanda errante a contatto con le usanze cananee. Iefte ha ricevuto lo spirito del Signore, cioè fortezza, capacità di comando, di governo, ma di fronte all’imminenza della battaglia teme, è preso da paura, ed è attratto dall’idea di un sacrificio estremo, di un sacrificio umano secondo una pratica cananea; Iefte decide che il primo che uscirà dalla sua casa al suo ritorno vittorioso lo sacrificherà - vien voglia di non scriverlo - a Dio. E’ un voto terribile, che viene concepito nell’oscurità religiosa di quel tempo.

 

30-35 “Iefte fece voto al Signore e disse: <Se tu mi metti nelle mani gli Ammoniti, la persona che uscirà per prima dalle porte di casa mia per venirmi incontro, quando tornerò vittorioso dagli Ammoniti, sarà per il Signore e io l’offrirò in olocausto>. Quindi Iefte raggiunse gli Ammoniti per combatterli e il Signore glieli mise nelle mani. Egli li sconfisse da Aroer fin verso Minnit, prendendo loro venti città, e fino ad Abel-Cheramin. Così gli Ammoniti furono umiliati davanti agli Israeliti. Poi Iefte tornò a Mizpa, verso casa sua; ed ecco uscirgli incontro la figlia, con timpani e danze. Era l’unica figlia: non aveva altri figli, né altre figlie. Appena la vide, si stracciò le vesti e disse: <Figlia mia, tu mi hai rovinato! Anche tu sei con quelli che mi hanno reso infelice! Io ho dato la mia parola al Signore e non posso ritirarmi>”.

 

Iefte risulta vincitore, ma non in ragione del voto, ma bensì dell’iniziativa di Dio che l’aveva chiamato ad organizzare la lotta contro l’oppressore Ammonita.

Iefte era stato irriflessivo, inconsulto, nel fare il voto. Chi esce per primo e gli va incontro festante è la sua unica figlia. Il dramma di Iefte è completo, ma fermo al giusto principio della non ritirabilità di un voto fatto al Signore (Nm 30,3), principio condiviso dalla figlia, non sa arrivare a pensare che il Dio della vita non poteva gradire quel sacrificio umano e che il suo voto era per questo assolutamente nullo. Quello di Iefte è un caso di “ignoranza invincibile”.

 

36-40 “Essa gli disse: <Padre mio, se hai dato parola al Signore, fa di me secondo quanto è uscito dalla tua bocca, perché il Signore ti ha concesso vendetta sugli Ammoniti, tuoi nemici>. Poi disse al padre: <Mi sia concesso questo: lasciami libera per due mesi, perché io vada errando per i monti a piangere la mia verginità con le mie compagne>. Egli le rispose: <Va’!>, e la lasciò andare per due mesi. Essa se ne andò con le compagne e pianse sui monti la sua verginità. Alla fine dei due mesi tornò dal padre ed egli fece di lei quello che aveva promesso con voto. Essa non aveva conosciuto uomo; di qui venne in Israele questa usanza. Ogni anno le fanciulle d’Israele vanno a piangere (ndr. le lamentazioni) la figlia di Iefte il Gàlaadita, per quattro giorni”.

 

Tutta la narrazione è rivolta a fissare i termini originari dell’usanza annuale delle lamentazioni sulla figlia di Iefte. Lamentazioni su di una infelice che era morta senza poter avere figli, e in questo aveva subito un’ulteriore condanna secondo la cultura di Israele (Cf. Gn 30,23; 1Sam 1,5-8; 2sam 6,23; Os 9,11; Lc 1,25). Le lamentazioni rievocavano il dramma di quella infelice e affermavano l’assurdità di sacrificare i propri figli, le proprie figlie. Queste lamentazioni si facevano ancora verso il 1030-1010, data della compilazione del libro dei Giudici. La condanna di Dio circa i sacrifici umani è nitida nella Bibbia (Cf. Lv 18,21; ecc.; ecc.).

 

Il ciclo di Sansone

L’annunzio della nascita

13 1-7 “Gli Israeliti tornarono a fare quello che è male agli occhi del Signore e il Signore li mise nelle mani dei Filistei per quarant’anni. C’era allora un uomo di Zorea di una famiglia dei Daniti, chiamato Manoach; sua moglie era sterile e non aveva mai partorito. L’angelo del Signore apparve a questa donna e le disse: <Ecco, tu sei sterile e non hai avuto figli, ma concepirai e partorirai un figlio. Ora guardati dal bere vino o bevanda inebriante e dal mangiare nulla di immondo. Poiché ecco, tu concepirai e partorirai un figlio, sulla cui testa non passerà rasoio, perché il fanciullo sarà un nazireo consacrato a Dio fin dal seno materno; egli comincerà a liberare Israele dalle mani dei Filistei>. La donna andò a dire al marito: <Un uomo di Dio è venuto da me; aveva l’aspetto di un angelo di Dio, un aspetto terribile. Io non gli ho domandato da dove veniva ed egli non mi ha rivelato il suo nome, ma mi ha detto: Ecco tu concepirai e partorirai un figlio; ora non bere vino né bevanda inebriante e non mangiare nulla d’immondo, perché il fanciullo sarà un nazireo di Dio dal seno materno fino al giorno della sua morte>".

 

Il nazireato era uno stato di consacrazione a Dio (Cf. Nm 6,1-21). Il nazireo non doveva bere bevande inebrianti e neppure consumare uva; non doveva rasarsi il capo per tutto il tempo del suo voto di nazireato; non doveva avvicinarsi a cadaveri e anche se uno gli moriva accanto improvvisamente ne restava contaminato; ovviamente non doveva mangiare cibi immondi. Ma nel caso di Sansone non vale la disposizione dell’avvicinarsi a cadaveri perché egli sarà un guerriero. Il non bere bevande inebriati è dettato dal fatto che il nazireo non doveva conoscere alterazione di sé. I capelli lasciati crescere lunghi erano uno stato di integrità per il Signore. Non è da pensare che se il nazireato si protraeva a lungo non si potessero accorciare i capelli per evitare una eccessiva lunghezza.

Nel caso di Sansone si ha uno stato di nazireato fin dal grembo materno e per questo la madre non deve bere bevande alcoliche, né mangiare cibi immondi.

 

8-14 “Allora Manoach pregò il Signore e disse: <Signore, l’uomo di Dio mandato da te venga di nuovo da noi e c’insegni quello che dobbiamo fare per il nascituro>. Dio ascoltò la preghiera di Manoach e l’angelo di Dio tornò ancora dalla donna, mentre stava nel campo, ma Manoach suo marito non era con lei. La donna corse in fretta ad informare il marito e gli disse: <Ecco, mi è apparso quell’uomo che venne da me l’altro giorno>. Manoach si alzò, seguì la moglie e giunto a quell’uomo gli disse: <Sei tu quell’uomo che hai parlato a questa donna?>. Quegli rispose: <Sono io>. Manoach gli disse: <Quando la tua parola si sarà avverata, quale sarà la norma da seguire per il bambino e che si dovrà fare per lui?>. L’angelo del Signore rispose a Manoach: <Si astenga la donna da quanto le ho detto. Non mangi nessun prodotto della vigna, né beva vino o bevanda inebriante e non mangi nulla d’immondo; osservi quanto le ho comandato>.

 

Manoach è preoccupato di come i due possano esercitare la loro autorità di genitori sul figlio promesso e domanda al Signore che l’uomo ritorni per dare spiegazioni. L’uomo ritorna, ma non nel momento in ci è presente anche Manoach. E’ la donna che va a chiamare il marito. La domanda di Manoach trova come risposta la ripresa delle parole già dette alla donna, nelle quali è già contenuto il programma per l’educazione del figlio.

 

15-25 “Manoach disse all’angelo del Signore: <Permettici di trattenerti e di prepararti un capretto!>. L’angelo del Signore rispose a Manoach: <Anche se tu mi trattenessi, non mangerei il tuo cibo; ma se vuoi fare un olocausto, offrilo al Signore>. Manoach non sapeva che quello fosse l’angelo del Signore. Poi Manoach disse all’angelo del Signore: <Come ti chiami, perché quando si saranno avverate le tue parole, noi ti rendiamo onore?>. L’angelo del Signore gli rispose: <Perché mi chiedi il nome Esso è misterioso>. Manoach prese il capretto e l’offerta e li bruciò sulla pietra al Signore, che opera cose misteriose. Mentre Manoach e la moglie stavano guardando, mentre la fiamma saliva dall’altare al cielo, l’angelo del Signore salì con la fiamma dell’altare. Manoach e la moglie, che stavano guardando, si gettarono allora con la faccia a terra e l’angelo del Signore non apparve più né a Manoach né alla moglie. Allora Manoach comprese che quello era l’angelo del Signore. Manoach disse alla moglie: <Noi moriremo certamente, perché abbiamo visto Dio>. Ma sua moglie gli disse: <Se il Signore avesse voluto farci morire, non avrebbe accettato dalle nostre mani l’olocausto e l’offerta; non ci avrebbe mostrato tutte queste cose né ci avrebbe fatto udire proprio ora cose come queste>.

Poi la donna partorì un figlio che chiamò Sansone. Il bambino crebbe e il Signore lo benedisse. Lo spirito del Signore cominciò a investirlo quando era a Macane-Dan, fra Zorea ed Estaol”.

 

L’angelo del Signore è una immagine con la quale Dio si rendeva visibile: una profezia dell’Incarnazione. L’angelo del Signore che sale con la fiamma dell’altare è una figura di Cristo per cui sale a Dio ogni nostra preghiera e sacrificio.

 

Il matrimonio di Sansone

14 1-4 “Sansone scese poi a Timna e a Timna vide una donna tra le figlie dei Filistei. Tornato a casa, disse al padre e alla madre: <Ho visto a Timna una donna, una figlia dei Filistei; ora prendetemela in moglie>. Suo padre e sua madre gli dissero: <Non c’è una donna tra le figlie dei tuoi fratelli e in tutto il nostro popolo, perché tu vada a prenderti una moglie tra i Filistei non circoncisi?>. Ma Sansone rispose al padre: <Prendimi quella, perché mi piace>. Suo padre e sua madre non sapevano che questo veniva dal Signore, il quale cercava pretesto di lite dai Filistei. In quel tempo i Filistei dominavano Israele”.

 

Era usanza pagare una somma ai genitori della donna, per questo Sansone chiede ai genitori: “prendetemela in moglie” (Cf. Gn 29,18; 34,12). Per gli Israeliti era un peso imparentarsi con gli incirconcisi. Questa scelta viene spiegata come proveniente dal Signore, in ordine a trovare in torto i Filistei contro Sansone e quindi a giustificare una sua azione militare contro di loro.

 

5-6 “Sansone scese con il padre e la madre a Timna; quando furono giunti alle vigne di Timna, ecco un leone venirgli incontro ruggendo. Lo spirito del Signore lo investì e, senza niente in mano, squarciò il leone come si squarcia un capretto. Ma di ciò che aveva fatto non disse nulla al padre né alla madre”

 

Lo spirito del Signore investe Sansone in particolari momenti, dandogli una momentanea agilità e forza sovrumana che non è il semplice prodotto estremo delle sue possibilità fisiche, ma un di più che lo rafforza straordinariamente; un misterioso doping dello spirito di Dio. Il leone viene smascellato. Non disse niente ai genitori perché non lo guardassero stupefatti davanti ai Filistei.

 

7-11 “Scese dunque, parlò alla donna e questa gli piacque. Dopo qualche tempo tornò per prenderla e uscì dalla strada per vedere la carcassa del leone: ecco nel corpo del leone c’era uno sciame d’api e il miele. Egli prese di quel miele nel cavo delle mani e si mise a mangiarlo camminando; quand’ebbe raggiunto il padre e la madre, ne diede loro ed essi ne mangiarono; ma non disse loro che aveva preso il miele dal corpo del leone. Suo padre scese dunque da quella donna e Sansone fece ivi un banchetto, perché così usavano fare i giovani. Quando lo ebbero visto presero trenta compagni perché stessero con lui”.

 

Al banchetto parteciparono i parenti dei due sposi, ma i Filistei quando videro che Sansone non beveva vino ed era quindi un nazireo, gli misero accanto trenta giovani per metterlo in soggezione.

 

L’indovinello risolto con la violenza e la seduzione

12-14 “Sansone disse loro: <Voglio proporvi un indovinello; se voi me lo spiegate entro i sette giorni del banchetto e se l’indovinate, vi darò trenta tuniche e trenta mute di vesti, ma se non sarete capaci di spiegarmelo, darete trenta tuniche e trenta mute di vesti a me”. Quelli gli risposero: <Proponi l’indovinello e noi lo ascolteremo>. Egli disse loro.

<Dal divoratore è uscito il cibo

e dal forte è uscito il dolce>.

Per tre giorni quelli non riuscirono a spiegare l’indovinello".

 

Sansone con l’indovinello mette in difficoltà la superiorità culturale dei giovani filistei. Doveva essere lui messo in soggezione ed ecco che sono loro ad essere in difficoltà durante lo svolgersi del banchetto.

 

15-18 “Al quarto giorno dissero alla moglie di Sansone: <Induci tuo marito a spiegarti l’indovinello; se o daremo fuoco a te e alla casa di tuo padre. Ci avete invitati qui per spogliarci?>. La moglie di Sansone si mise a piangergli attorno e a dirgli: <Tu hai per me solo odio e non mi ami; hai proposto un indovinello ai figli del mio popolo e non me l’hai spiegato!>. Le disse: <Ecco, non l’o spiegato a mio padre né a mia madre e dovrei spiegarlo a te?”. Essa gli pianse attorno, durante i sette giorni del banchetto; il settimo giorno Sansone glielo spiegò, perché lo tormentava, ed essa spiegò l’indovinello ai figli del suo popolo. Gli uomini della città, il settimo giorno, prima che tramontasse il sole, dissero a Sansone:

<Che c’è di più dolce del miele?

Che c’è di più forte del leone?>.

Rispose loro:

<Se non aveste arato con la mia giovenca,

non avreste sciolto il mio indovinello>".

 

I giovani terrorizzano la moglie di Sansone e questa comincia a tediarlo mettendo in dubbio il suo amore per lei. Una crisi di finta gelosia, certo con l’aggiunta del rifiuto di sé che si prolunga fino ad ottenere il risultato.

E’ chiaro il torto che Sansone ha subito, ma purtroppo non poteva essere dimostrato. I giovani Filistei hanno così la faccia salva.

 

19-20 “Allora lo spirito del Signore lo investì ed egli scese ad Ascalon; vi uccise trenta uomini, prese le loro spoglie e diede le mute di vesti a quelli che avevano spiegato l’indovinello. Poi acceso d’ira, risalì a casa di suo padre e la moglie di Sansone fu data al compagno che gli aveva fatto da amico di nozze”.

 

Sansone investito dallo spirito del Signore entra nella grande roccaforte filistea di Ascalon. Si sente umiliato dai giovani che hanno cantato vittoria su di lui, in un vanto di superiorità. Deve dare, come da scommessa ingiustamente perduta, i trenta abiti. Dunque ha motivo per attaccare i Filistei oppressori. Nessuno gli può resistere ad Ascalon: è un’umiliazione cocente per i Filistei. E’ guerra e uccide trenta uomini: sono quanto basta per dare ai trenta giovani di Timna la loro ingiusta vincita. Ma i giovani di Timna lo incolpano di avere ucciso senza motivo. Sansone si sente ancora giocato e pieno d’ira ritorna a casa di suo padre. Questo non spezzava il matrimonio con la donna filistea, infatti era in uso anche un matrimonio in cui non c’era la coabitazione con la donna: il marito andava da lei di quando in quando; inoltre Sansone non fa alcun gesto di ripudio. Ma, ecco, la donna viene data all’amico di nozze. Questo sgarro non poteva essere negato.

 

L’incendio dei campi dei Filistei

15 1-3 “Dopo qualche tempo, nei giorni della mietitura del grano, Sansone andò a visitare sua moglie, le portò un capretto e disse: <Voglio entrare da mia moglie nella camera>. Ma il padre di lei non gli permise di entrare e gli disse: <Credevo proprio che tu l’avessi ripudiata e perciò l’ho data al tuo compagno; la sua sorella minore non è più bella di lei? Prendila dunque al suo posto>. Ma Sansone rispose loro: <Questa volta non sarò colpevole verso i Filistei, se farò loro del male>”.

 

Il padre della moglie cerca di aggiustare le cose offrendo a Sansone la sorella minore, ma Sansone rifiuta. Per lui una moglie non è solo questione di bellezza, sarebbe stato deriso dai Filistei se avesse posto le cose su questo piano. La realtà è che il padre della donna si era sentito incoraggiato da tutti a fare questo, in chiara offesa a Sansone. Ora Sansone non sarà più zittito di colpa se combatterà i Filistei.

 

4-8 “Sansone se ne andò e catturò trecento volpi; prese delle fiaccole, legò coda a coda e mise una fiaccola tra le due cose. Poi accese le fiaccole, lasciò andare le volpi per i campi di grano dei Filistei e bruciò i covoni ammassati, il grano tuttora in piedi e perfino le vigne e gli oliveti. I Filistei chiesero: <Chi ha fatto questo?>. Fu risposto: <Sansone, il genero dell’uomo di Timna, perché costui gli ha ripreso la moglie e l’ha data al compagno di lui>. I Filistei salirono e bruciarono tra le fiamme lei e suo padre. Sansone disse loro: <Poiché agite in questo modo, io non la smetterò finché non mi sia vendicato di voi>. Li batté l’uno sull’altro, facendone una grande strage. Poi scese e si ritirò nella caverna della rupe di Etam”.

 

Sansone incendia i campi dei Filistei con un esercito di volpi legate a due a due e trascinanti delle fiaccole. I Filistei danneggiati vengono a sapere chi ha operato questo e il perché. Ed ecco scatta una crudele e vile azione che vorrebbe essere di giustizia. Ma i Filistei non rimuovono l’azione di Sansone poiché la donna era palesemente innocente e ancora moglie di lui, e inoltre era loro correttezza che costringessero il padre della moglie a riconsegnargliela.

Sansone entrò in contatto con i Filistei che avevano ucciso padre e madre, e li uccise sbattendoli l’uno sull’altro. Si ritirò quindi lontano in una grotta in attesa degli eventi.

 

Una mascella d’asino come arma

9-13 “Allora i Filistei vennero, si accamparono in Giuda e fecero una scorreria fino a Lechi. Gli uomini di Giuda dissero loro: <Perché siete venuti contro di noi?>. Quelli risposero: <Siamo venuti per legare Sansone; per fare a lui quelle che ha fatto a noi>. Tremila uomini di Giuda scesero alla caverna della rupe di Etam e dissero a Sansone: <Non sai che i Filistei ci dominano? Che cosa hai fatto?>. Egli rispose loro: <Quello che hanno fatto a me, io l’ho fatto loro>. Gli dissero: <Siamo scesi per legarti e metterti nelle mani dei Filistei>. Sansone replicò loro: <Giuratemi che voi non mi colpirete>. Quelli risposero: <No, ti legheremo soltanto e ti metteremo nelle loro mani; ma certo non ti uccideremo>. Lo legarono con due funi nuove e lo fecero salire dalla rupe”.

 

La caverna si trovava nel territorio occupato dalla tribù di Giuda. La mossa dei Filistei è rivolta a mettere gli uomini di Giuda contro Sansone, in modo che non abbia difesa. Dicono che lo stanno andando a prendere, ma nel mentre compiono un’azione di devastazione; non era difficile da capire, se gli uomini di Giuda volevano liberarsi in fretta di quella presenza devastatrice dovevano consegnare Sansone ai Filistei. Tremila uomini si mossero contro Sansone in modo da potere accerchiare la caverna. Sansone non può combattere quelli del suo popolo e fornisce alla fine la via d’uscita dalla situazione: lo legheranno e lo consegneranno ai Filistei.

 

14-20 Mentre giungeva a Lechi e i Filistei gli venivano incontro con grida di gioia, lo spirito del Signore lo investì; le funi che aveva alle braccia divennero come fili di lino bruciacchiati dal fuoco e i legami gli caddero disfatti dalle mani. Trovò allora una mascella d’asino ancora fresca, stese la mano, l’afferrò e uccise con essa mille uomini.

Sansone disse:

<Con la mascella dell’asino,

li ho ben macellati!

Con la mascella dell’asino,

ho colpito mille uomini!>.

Quand’ebbe finito di parlare, gettò via la mascella; per questo, quel luogo fu chiamato Ramat-Lechi. Poi ebbe gran sete e invocò il Signore dicendo: <Tu hai concesso questa grande vittoria mediante il tuo servo; ora dovrò morire di sete e cader nelle mani dei non circoncisi?>. allora Dio spaccò la roccia concava che è a Lechi e ne scaturì acqua. Sansone bevve, il suo spirito si rianimò ed egli riprese vita. Perciò quella fonte fu chiamata En-Korè: essa esiste a Lechi fino ad oggi. Sansone fu giudice d’Israele, al tempo dei Filistei, per venti anni”.

 

Con una mascella d’asino fresca Sansone abbatte un gran numero di Filistei. Mille è indubbiamente una esagerazione celebrativa popolare. Comunque la lotta si svolse non in attacco, ma in momenti di attacco durante una strategia di fuga se alla fine Sansone si trovò in un luogo tanto deserto da non avere acqua da bere, e da temere di essere raggiunto dai Filistei, così stremato dalla sete. L’efficacia della mascella d’asino risulta non solo dalla forza e dall’agilità di Sansone nella lotta, ma va detto che la forza straordinaria di Sansone non lo metteva al riparo dall’essere colpito da frecce o da giavellotti, quindi i Filistei che riuscì ad uccidere non erano in assetto di guerra e, d’altra parte, erano quelli che più agilmente potevano inseguirlo nella corsa.

Ramat-Lechi: alla lettera vuol dire “la parte alta della mascella”. En-Korè: alla lettera “la fonte della pernice”, dove “pernice” in ebraico significa: “colui che chiama”; si riferisce al grido di preghiera di Sansone.

Sansone da questo momento viene riconosciuto eroe liberatore contro i Filistei.

 

16 1-3 “Sansone andò a Gaza, vide una prostituta e andò da lei. Fu detto a quelli di Gaza. <E’ venuto Sansone>. Essi lo circondarono, stettero in agguato tutta la notte presso la porta della città e tutta quella giornata rimasero quieti, dicendo: <Attendiamo lo spuntar del giorno e allora lo uccideremo>. Sansone riposò fino a mezzanotte; a mezzanotte si alzò, afferrò i battenti della porta della città e i due stipiti, li divelse insieme con la sbarra, se li mise sulle spalle e li portò in cima al monte che guarda in direzione di Ebron”.

 

Sansone a Gaza - altra città Filistea - vide una prostituta e andò da lei. Certamente va detto che Sansone non andò a Gaza con lo scopo di trovare una prostituta, poiché ce n’erano anche altrove, e andare a Gaza costituiva un grande pericolo per lui. La cosa deve perciò essere pensata come uno stratagemma del momento per far perdere le sue tracce una volta avvertito di essere pedinato. La vigilanza militare di Gaza apprestò una trappola coscienziosa, nella prospettiva che Sansone sarebbe uscito dalla casa la mattina, quando la porta della città era aperta e ignaro di essere stato pedinato. Ma Sansone, contro tutte le previsioni - ragionevoli nel caso che fosse andato a Gaza per cercare una prostituta, e i Filistei lo credettero -, a mezzanotte uscì dalla casa; arrivò alla porta della città e, investito dallo spirito del Signore, superò la vigilanza sonnecchiante e scardinò la porta, che si caricò sulle spalle e che, senza che alcuno osasse inseguirlo, portò sulla cima del monte che guardava verso Ebron, quale trofeo dedicato al Signore; non bisogna dimenticare che ad Ebron c’erano le Querce di Mamre dove Abramo aveva avuto un’apparizione di Dio (Gn 18,1s), e dove aveva costruito un altare e fissato la sua dimora (Gn 13,18). Proprio questa azione, che non ha nulla che sappia di ingloriosa e stentata fuga, porta a concludere che Sansone non cadde nel pesante cedimento che a prima vista sembrerebbe, ma che - diversamente - fu capace di ordire una solenne beffa ai Filistei; forse lo stesso scopo del suo ingresso a Gaza.

Gli stipiti erano due pali di legno fissati ai battenti della porta; essi ruotavano in cavità scavate in pietre. Le porta delle città allora non erano molto grandi.

 

Il cedimento di Sansone con Dalila

4 “In seguito si innamorò di una donna della valle di Sorek, che si chiamava Dalila. Allora i capi dei Filistei andarono da lei e le dissero: <Seducilo e vedi da dove proviene la sua forza così grande e come potremmo prevalere su di lui per legarlo e domarlo; ti daremo ciascuno mille e cento sicli d’argento>".

 

Dalila è una donna libera da vincoli, probabilmente una vedova. E’ una filistea o una cananea loro simpatizzante. 

 

7-21 “Dalila dunque disse a Sansone: <Spiegami: da dove proviene la tua forza così grande e in che modo ti si potrebbe legare per domarti?>. Sansone le rispose: <Se mi si legasse con sette corde d’arco fresche, non ancora secche, io diventerei debole e sarei come un uomo qualunque>. Allora i capi dei Filistei le portarono sette corde d’arco fresche, non ancora secche, ed essa lo legò con esse. L’agguato era teso in una camera interna. Essa gli gridò: <Sansone, i Filistei ti sono addosso!>. Ma egli spezzò le corde come si spezza un fil di stoppa, quando sente il fuoco. Così il segreto della sua forza non fu conosciuto.

Poi Dalila disse a Sansone: <Ecco tu ti sei burlato di me e mi hai detto menzogne; ora spiegami come ti si potrebbe legare>.  Le rispose: <Se mi si legasse con funi nuove non ancora adoperate, io diventerei debole e sarei come un uomo qualunque>. Dalila prese dunque funi nuove, lo legò e gli gridò: <Sansone, i Filistei ti sono addosso!>. L’agguato era teso nella camera interna. Egli ruppe come un filo le funi che aveva alle braccia. Poi Dalila disse a Sansone: <Ancora ti sei burlato di me e mi hai detto menzogne; spiegami come ti si potrebbe legare>. Le rispose: <Se tu tessessi le sette trecce della mia testa nell’ordito e le fissassi con il pettine del telaio, io diventerei debole e sarei come un uomo qualunque>. Essa dunque lo fece addormentare, tessé le sette trecce della sua testa nell’ordito e le fissò con il pettine, poi gli gridò: <Sansone, i Filistei ti sono addosso!>. Ma egli si svegliò dal sonno e strappo il pettine del telaio e l’ordito. Allora essa gli disse: <Come puoi dirmi: Ti amo, mentre il tuo cuore non è con me? Già tre volte ti sei burlato di me e non mi hai spiegato da dove proviene la tua forza così grande>. Ora poiché essa lo importunava ogni giorno con le sue parole e lo tormentava, egli ne fu annoiato fino alla morte e le aprì tutto il cuore e le disse: >Non è mai passato rasoio sulla mia testa perché sono un nazireo di Dio dal seno di mia madre; se fossi rasato la mia forza si ritirerebbe da me, diventerei debole e sarei come un uomo qualunque>.  Allora Dalila vide che egli le aveva aperto tutto il cuore, mandò a chiamare i capi dei Filistei e fece dir loro: <Venite su questa volta, perché egli mi ha aperto tutto il cuore>. Allora i capi dei Filistei vennero da lei e portarono con sé il denaro. Esso lo addormentò sulle sue ginocchia, chiamò un uomo adatto e gli fece radere le sette trecce del capo. Egli cominciò a infiacchirsi e la sua forza si ritirò da lui. Allora essa gli gridò: <Sansone, i Filistei ti sono addosso!>. Egli, svegliatosi dal sonno, pensò: <Io ne uscirò come ogni altra volta e mi svincolerò>. Ma non sapeva che il Signore si era ritirato da lui. I Filistei lo presero e gli cavarono gli occhi; lo fecero scendere a Gaza e lo legarono con catene di rame. Egli dovette girare la macina nella prigione”.

 

Dalida conosce l’arte di avvolgere un uomo innamorato appena questi gli dà una parola. Sansone crede di essere lui a condurre il gioco mentre è lei che lo conduce fino al risultato voluto. Sansone ormai coabita con Dalida, ne cerca il cuore, ma questa mentre lo affascina si nega ponendo una condizione al dargli il cuore, che le riveli il segreto della sua forza. Sansone la prende in giro, ma lei è tenace e ad ogni burla di Sansone prende sempre più forza per rinfacciargli il dubbio sul suo amore. E’ la stessa tecnica che usò la moglie quando gli strappò la soluzione dell’indovinello; ma in fondo è una tecnica universale, facile da applicare su di un uomo innamorato.

Dalila lo fa riposare nella stanza più interna in modo da farlo sentire al sicuro, protetto. Poi mette le funi, ma poi queste Sansone le rompe. Arriva a tessere le sette grosse e lunghe trecce in un telaio e a fissarvele, ma Sansone strappa con le mani il pettine e l’ordito e si libera. Dalila gli grida: <Sansone i Filistei ti sono addosso!>, per controllare la sua forza e nello stesso tempo per fargli sembrare di essere dalla sua parte, e quindi poter protrarre la sua seduzione. Poi il risultato drammatico.

Sansone, rivelando il suo essere consacrato alla sua pagana seduttrice, per averla, era giunto a preferire lei a Dio, per questo, responsabile dell’inganno subito, perse il carisma che aveva. Sansone viene condotto proprio a Gaza, dove aveva inflitto ai Filistei la grande beffa.

 

22-31 “Intanto la capigliatura che gli avevano rasata, cominciava a ricrescergli. Ora i capi dei Filistei si radunarono per offrire un gran sacrificio a Dagon loro dio e per far festa. Dicevano:

<Il nostro dio ci ha messo nelle mani

Sansone nostro nemico>.  

Quando il popolo lo vide (ndr. l’idolo), cominciò a lodare il suo dio e a dire:

<Il nostro Dio ci ha messo nelle mani

Sansone nostro nemico,

che ci devastava il paese

e che ha ucciso tanti dei nostri>.

Nella gioia del loro cuore dissero: <Chiamate Sansone perché ci faccia divertire!>. Fecero quindi uscire Sansone dalla prigione ed egli si mise a far giochi alla loro presenza. Poi lo fecero stare tra le colonne Sansone disse al fanciullo che lo teneva per mano: <Lasciami pure; fammi solo toccare le colonne sulle quali posa la casa, così che io possa appoggiarmi ad esse>. Ora la casa era piena di uomini e di donne; vi erano tutti i capi dei Filistei e sul terrazzo circa tremila persone fra uomini e donne, che stavano a guardare, mentre Sansone faceva giochi. Allora Sansone invocò il Signore e disse: <Signore ricordati di me! Dammi forza per questa volta soltanto, Dio, e in un colpo solo mi vendicherò dei Filistei per i miei due occhi!>. Sansone palpò le due colonne di mezzo sulle quali posava la casa; si appoggiò ad esse, all’una con la destra, all’altra con la sinistra. Sansone disse: <Che io muoia insieme con i Filistei>. Si curvò con tutta la forza e la casa rovinò addosso ai capi e a tutto il popolo che vi era dentro. Furono più i morti che egli causò con la sua morte di quanti aveva uccisi in vita. Poi i suoi fratelli e tutta la casa di suo padre scesero e lo portarono via; risalirono e lo seppellirono fra Zorea ed Estaol nel sepolcro di Manoach suo padre. Egli era stato giudice d’Israele per venti anni”.

 

L’entusiasmo dei Filistei è al massimo e attribuiscono a Dagon la cattura di Sansone. Il loro dio - pensano - è risultato superiore a quello di Israele.

Sansone è costretto a divertire la folla, ma ha un piano. La capigliatura gli era ormai ricresciuta e aveva ripreso la sua identità di nazireo e pensa che il Signore gli darà la forza straordinaria di prima al momento opportuno. Cieco e stanco per i giochi, venne affidato ad un ragazzino, che su sua umile richiesta lo condusse alle colonne portanti il grande fabbricato del tempio di Dagon; colonne antistanti il cortile nel quale aveva fatto i giochi. Sul terrazzo del colonnato del cortile e del tempio c’era molta gente, così pure sotto il colonnato. Le colonne del complesso templare crollano con grande strage di Filistei. La cifra di tremila è una esagerazione proveniente dalla celebrazione popolare del ciclo di Sansone.