Testo e
commento
Capitolo
1 2 3 4 5 6
I Galati,
considerati dal punto di vista etnico, derivavano da tribù celtiche, che nel III
secolo a.C. si erano spinte fin nel cuore dell'Asia Minore. Essi, per essersi
mostrati fedeli a Roma nella terza guerra contro Mitridate (74-64 a.C.), ebbero
un loro re concesso da Pompeo e poterono spingere il loro potere a buona parte
dei territori del sud (Pisidia e Licaonia), che vennero poi inclusi nella
provincia imperiale di Galazia. Nella zona nord della Galazia romana c'erano i
Galati, ma essi erano presenti pure nell'area meridionale della Galazia romana,
unitamente a Greci, Gallogreci, Romani, Ebrei.
La lettera ai Galati
presenta il problema di sapere se Paolo, circa il territorio della Galazia,
segue la denominazione amministrativa posta da Roma alla morte di Aminta (36-25
a.C), nella quale viene compresa oltre la Galazia etnico-geografica, la
Licaonia, la Pisidia e l'Isauria e parte della Frigia, oppure, si riferisce solo
alla Galazia etnicamente detta, cioè alla Galazia del Nord. Va detto che gli
autori profani seguono sia la dizione amministrativa romana, sia quella che
designa in specifico i vari territori.
Pare certo che gli Atti
degli Apostoli non seguono la denominazione amministrativa romana, preferendo le
denominazioni etnico-geografiche; scelta che presenta il vantaggio di tracciare
meglio i percorsi delle varie missioni di san Paolo.
Seguendo la denominazione
etnico-geografica presente negli Atti, l'evangelizzazione di Paolo e Barnaba
nella “regione della Galazia” (At 16,6) sarebbe
avvenuta nel secondo viaggio missionario, dopo il Concilio di Gerusalemme
(At 15, 29) (ca. 49-50 d.C.). Ma, bisogna dire che
l'evangelizzazione dei Galati avvenne prima del Concilio, poiché Paolo parla
della battaglia che vi sostenne affinché “la verità
del Vangelo continuasse a rimanere salda tra voi”.
L'evangelizzazione dei Galati va pertanto collocata nel primo viaggio
missionario (ca. 45-46 d.C) fatto con Barnaba. Se l'evangelizzazione fosse
avvenuta nel secondo viaggio missionario, Barnaba sarebbe stato uno sconosciuto
per i Galati, poiché non fu presente in tale secondo viaggio.
Il
Concilio affrontò il
problema di alcuni giudeo-cristiani di provenienza farisaica
che si erano detti incaricati dalla chiesa di
Gerusalemme di sostenere che se non si veniva a far parte del popolo di Israele
mediante la circoncisione la salvezza portata da Cristo non era operante. In
questo si può intravedere come tali giudeo-cristiani non si erano ancora
liberati in tutto dal nazionalismo rabbinico.
Paolo conta molto presumibilmente gli anni partendo
dalla data della sua conversione, così contando a ritroso gli anni (14) a
partire dal Concilio di Gerusalemme (Gal 2,1s) si arriva a porre l'anno della
conversione nel 35-36 d.C.
La prima visita a Gerusalemme - tre anni dopo - va collocata nel 39/40 d.C.
Paolo intende
la Galazia non secondo la denominazione etnico-geografica, ma secondo quella
amministrativa romana. La varietà etnica delle popolazioni dell'area meridionale
della Galazia non poteva entrare nel discorso di Paolo che afferma il primato
dell'essere uni in Cristo (Gal 3,28). Per Paolo i Galati sono
tutti i cittadini della provincia imperiale romana. In tal modo l'espressione “stolti
Galati” (3,1) non contiene nessun risvolto di offesa razzista, come in caso
contrario si dovrebbe
ammettere.
Le Chiese
della Galazia sono così quelle di Antiochia di Pisidia, Iconio, Listra e Derbe
(At 13,14; 14,1s), rivisitate nel secondo viaggio missionario (At 15,36; 16,1);
esse facevano parte della provincia imperiale romana.
Il
gruppo di giudeo-cristiani che sconvolse i Galati era un gruppo settarico,
pronto ad ingannare con molte menzogne, tra le quali, molto probabilmente,
quello di essere autorizzato dall'apostolo Giacomo. La lettera ai Galati venne
scritta poco dopo l'incidente di Antiochia tra Paolo e Pietro (Gal 2,6) e poco
prima del Concilio di Gerusalemme, poiché non viene citato, e sarebbe stato un
grande argomento dirimente.
Indirizzo
1
1
Paolo, apostolo
non da parte di uomini, né per mezzo di uomo, ma per mezzo di Gesù Cristo e di
Dio Padre che lo ha risuscitato dai morti,
2
e tutti i fratelli che sono con me, alle Chiese della Galazia:
3
grazia a voi e
pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo,
4
che ha
dato se stesso per i nostri peccati al fine di strapparci da questo mondo
malvagio, secondo la volontà di Dio e Padre nostro,
5
al quale sia gloria nei secoli dei secoli. Amen.
Le
prime due lettere scritte da Paolo sono la prima e la seconda ai Tessalonicesi,
e non hanno un inizio che pone subito in evidenza che egli è apostolo per
chiamata e invio da parte di Dio. La rivendicazione di autenticità nella prima
ai Tessalonicesi esiste, ma è posta nel corpo della lettera (2,3s) e non ha la
forza perentoria della lettera ai Galati, composta prima delle due lettere ai
Corinzi, datate comunemente nel 56/57 d.C., e prima della lettera ai Romani,
datata verso la primavera del 58. Seguono poi la lettera ai Colossesi
scritta negli anni 61/63, la lettera agli Efesini scritta ancora più tardi. Ora
tutte queste lettere iniziano con l'affermazione di Paolo di essere apostolo per
volontà di Dio. Se ne deduce che è dalla lettera ai Galati che Paolo sente che è
necessario mettere subito in evidenza la sua elezione ad Apostolo da parte di
Dio.
Tutto nella lettera ai Galati dice che Paolo è stato
accusato di aver presentato un messaggio elaborato da una conventicola perversa,
e sarebbe stato inviato dal capo della stessa. Dunque, nessun invio da parte di
Dio e neppure nessuna originalità personale, sì che si potesse avere una qualche
ammirazione per lui. Paolo, pertanto, all'inizio della lettera con forza,
immediatamente, passa alla sua difesa. Lui è apostolo, “inviato”, da parte di
Dio Padre per mezzo di Gesù Cristo, salvatore degli uomini e liberatore dalla
malvagità del mondo.
Ammonizione
6
Mi meraviglio che, così in fretta, da colui che vi ha chiamati con la grazia di
Cristo voi passiate a un altro vangelo.
7
Però non ce n'è un altro, se non che vi sono alcuni che vi turbano e vogliono
sovvertire il Vangelo di Cristo.
8
Ma se anche noi stessi, oppure un angelo dal cielo vi annunciasse un vangelo
diverso da quello che vi abbiamo annunciato, sia anàtema!
9
L'abbiamo già detto e ora lo ripeto: se qualcuno vi annuncia un vangelo diverso
da quello che avete ricevuto, sia anàtema!
10
Infatti, è forse il consenso degli uomini che cerco, oppure quello di Dio? O
cerco di piacere agli uomini? Se cercassi ancora di piacere agli uomini, non
sarei servitore di Cristo!
Le chiese
della Galazia avevano prestato fede al messaggio di un gruppo di
fariseo-cristiani che sosteneva che per essere salvi bisognava farsi
circoncidere. Paolo nel suo dolore è sferzante e si meraviglia di come i Galati
siano passati in breve ad altro annuncio di Cristo, dopo quello che era
intercorso tra lui e loro e dopo aver avuto l'opportunità di vedere bene che
egli non era mosso da nessuna mira umana. L'affermazione che il Vangelo da
lui annunciato è quello vero è tanto forte che giunge a dire che se egli, o un
angelo dal cielo, andasse da loro con Vangelo diverso da quello che aveva
annunciato sarebbe meritevole di anàtema, cioè di consegna al
distruttore, cioè Satana: è la scomunica. Anàthema traduce la parola
ebraica herem che significa votare una cosa o una persona alla
distruzione.
La chiamata di
Dio
11
Vi dichiaro, fratelli, che il Vangelo da me annunciato non segue un modello
umano; 12
infatti io non l'ho ricevuto né l'ho imparato da uomini, ma per rivelazione di
Gesù Cristo.
13
Voi avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo nel
giudaismo: perseguitavo ferocemente la Chiesa di Dio e la devastavo,
14
superando nel giudaismo la maggior parte dei miei coetanei e connazionali,
accanito com'ero nel sostenere le tradizioni dei padri.
15
Ma quando Dio, che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua
grazia, si compiacque
16
di rivelare in me il Figlio suo perché lo annunciassi in mezzo alle genti,
subito, senza chiedere consiglio a nessuno,
17
senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me, mi recai in
Arabia e poi ritornai a Damasco.
La chiamata di
Paolo è collocata attorno al 36 d.C.
18
In seguito, tre anni dopo, salii a Gerusalemme per andare a conoscere Cefa e
rimasi presso di lui quindici giorni;
19
degli apostoli non vidi nessun altro, se non Giacomo, il fratello del Signore.
20
In ciò che vi scrivo - lo dico davanti a Dio - non mentisco.
21
Poi andai nelle regioni della Siria e della Cilicia.
22
Ma non ero personalmente conosciuto dalle Chiese della Giudea che sono in
Cristo; 23
avevano soltanto sentito dire: “Colui che una volta ci perseguitava, ora va
annunciando la fede che un tempo voleva distruggere”,
24
E glorificavano Dio per causa mia.
Questa visita
è riportata in Atti 9,27. Dopo partì per Tarso (Siria e Cilicia).
L'assemblea di
Gerusalemme
2
1
Quattordici anni
dopo, andai di nuovo a Gerusalemme in compagnia di Barnaba, portando con me
anche Tito:
2
vi andai però in seguito ad una rivelazione. Esposi loro il Vangelo che io
annuncio tra le genti, ma lo esposi privatamente alle persone più autorevoli,
per non correre o aver corso invano.
3
Ora neppure Tito, che era con me, benché fosse greco, fu obbligato a farsi
circoncidere;
4
e questo contro i falsi fratelli intrusi, i quali si erano infiltrati a spiare
la nostra libertà che abbiamo in Cristo Gesù, allo scopo di renderci schiavi;
5
ma a loro non cedemmo, non sottomettendoci neppure per un istante, perché la
verità del Vangelo continuasse a rimanere salda tra voi.
6
Da parte dunque delle persone più autorevoli - quali fossero allora non
m'interessa, perché Dio non guarda in faccia ad alcuno - quelle persone
autorevoli a me non imposero nulla.
7
Anzi, visto che a me era stato affidato il Vangelo per i non circoncisi, come a
Pietro quello per i circoncisi -
8
poiché colui che aveva agito in Pietro per farne un apostolo dei circoncisi
aveva agito anche in me per le genti -
9
e riconoscendo la grazia a me data, Giacomo, Cefa e Giovanni, ritenuti le
colonne, diedero a me e a Barnaba la destra in segno di comunione, perché noi
andassimo tra le genti e loro tra i circoncisi.
10
Ci pregarono soltanto di ricordarci dei poveri, ed è quello che mi sono
preoccupato di fare.
Barnaba andò a
cercare Paolo a Tarso e lo trovò. I due ad Antiochia vennero incaricati di
provvedere alle chiese della Giudea essendovi un carestia (At 11,29). E' in
questo tempo che Paolo va a Gerusalemme a presentare il suo vangelo ai pagani ai
quali non chiedeva la circoncisione. Questa visita fatta in veste privata e
circospetta, generò la reazione di farisei diventati cristiani (At 15,4) con la
conseguenza di determinare la necessità del Concilio.
Il decreto del
Concilio non fu di carattere dogmatico, se non nel fatto di dichiarare non
necessaria la circoncisione per essere salvi. Con ciò venivano sconfessati
coloro che dichiaravano necessaria la circoncisione. Della legge di Mosè
rimasero alcune disposizioni, in particolare quella di non mangiare carni
sacrificate agli idoli, di astenersi dal consumare sangue (cotto) e animali
soffocati, cioè non dissanguati (Gn 9,4; Es 22,31; Lv 17,15). Inoltre venne
esclusa la possibilità di contrarre matrimoni con consanguinei entro un certo
grado (Lv 18,6-18). Ovviamente questa prescrizione era solo di tipo apprensivo,
poiché il messaggio di Cristo non lasciava dubbi sulla santità del matrimonio,
che escludeva poligamia, divorzio e concubinato e incesto (Mt 5,32; 19,9).
L'espressione “quali fossero allora non
m'interessa, perché Dio non guarda in faccia ad alcuno” non vuole essere
irriverente verso gli Apostoli, ma solo rimarcare che Paolo non si lasciò
intimidire dal loro prestigio cercando il favore umano.
Ad Antiochia:
contrasto fra Paolo e Pietro
11 Ma quando Cefa venne ad Antiòchia, mi opposi a lui a viso
aperto perché aveva torto.
12 Infatti, prima che giungessero alcuni da parte di Giacomo, egli
prendeva cibo insieme ai pagani; ma, dopo la loro venuta, cominciò a evitarli e
a tenersi in disparte, per timore dei circoncisi.
13 E anche gli altri Giudei lo imitarono nella simulazione, tanto
che pure Bàrnaba, si lasciò attirare nella loro ipocrisia.
14
Ma quando vidi
che non si comportavano rettamente secondo la verità del Vangelo, dissi a Cefa
in presenza di tutti: “Se tu, che sei Giudeo, vivi come i pagani e non alla
maniera dei Giudei, come puoi costringere i pagani a vivere alla maniera dei
Giudei?”.
Molti giudeo-cristiani erano ancora legati alle pratiche giudaiche,
quali la circoncisione. Giacomo, vescovo di Gerusalemme, aveva a che
fare con questa situazione ed era frainteso quale paladino della difesa
delle prescrizioni di Mosè, ma le cose erano altrimenti visto che non
costrinse Tito a farsi circoncidere (2,3). Si è al tempo immediatamente
precedente al Concilio di Gerusalemme.
Giacomo è
uno dei dodici apostoli (Giacomo, figlio di Alfeo: Mt 10,3; Mc
3,18; Lc 6,12), e non vi sono dubbi perché detto (Gal 2,9) una delle colonne
della Chiesa ed è stato grande protagonista del Concilio di Gerusalemme (At
15,13). Egli non è l'apostolo Giacomo, figlio di Zebedeo (Mt 4,21),
poiché questi era stato martirizzato da Erode (42 d.C.) (At 12,2), che regnò
sulla Giudea e sulla Samaria dal 41 al 44 d.C. E' detto (Gal 1,19) “fratello
del Signore”, cioè parente di Gesù; certamente non tra quelli che gli
erano ostili (Mc 3,21.31; Gv 7,5). Una lunga tradizione identifica Giacomo
con colui che Marco (Mc 6,3) presenta quale fratello del Signore, e
poi come Giacomo il minore (Mc 15,40). L'apostolo Giacomo figlio di
Zebedeo viene chiamato dalla tradizione Giacomo il maggiore.
Visto che ad Antiochia le cose erano viste diversamente per la presenza di
etnico-cristiani ai quali non si erano richieste la pratica delle prescrizioni
di Mosè, un gruppo di giudeo-cristiani, abusivamente "da parte di Giacomo",
andò a osservare il comportamento di Pietro. Pietro vide la situazione e si
impaurì e cominciò a evitare di prendere cibo con i cristiani provenienti dal
paganesimo.
Paolo
non poteva che opporsi ad un comportamento che avallava in qualche modo la
necessità della circoncisione e dell’osservanza delle norme della Legge come
fatto necessario alla salvezza portata da Cristo.
Si deve notare come Paolo ha piena consapevolezza dell'autorità di Pietro.
Pietro era in contraddizione, poiché neppure lui osservava le norme
giudaiche riguardo alla distinzione tra cibi mondi e immondi, non i riti di
purificazione delle abluzioni giudaiche, non riteneva impuro l'avvicinare un
pagano, l'entrare nella sua casa, il toccare un morto. L'esempio di Pietro
trascinò anche Barnaba e altri giudeo-cristiani, che prima prendevano cibo
con gli etnico-cristiani senza problemi di sorta.
E' ovvio che l'incidente di Antiochia avvenne poco prima del Concilio di
Gerusalemme, perché altrimenti l'incidente non avrebbe senso.
15 Noi, che per nascita siamo Giudei e non pagani peccatori,
16
sapendo tuttavia che l’uomo non è giustificato per le opere della Legge, ma
soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo, abbiamo creduto anche noi in
Cristo Gesù per essere giustificati per la fede in Cristo e non per le opere
della Legge; poiché per le opere della Legge non verrà mai giustificato nessuno.
17 Se pertanto noi che cerchiamo la giustificazione in Cristo
siamo trovati peccatori come gli altri, Cristo è forse ministro del peccato?
Impossibile! 18
Infatti se torno a costruire quello che ho distrutto, mi denuncio come
trasgressore.
19 In realtà
mediante la Legge io sono morto alla Legge, affinché io viva per Dio. Sono stato
crocifisso con Cristo,
20
e non vivo più io, ma
Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del
Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me.
21
Dunque non rendo vana la grazia di Dio; infatti; se la giustificazione viene
dalla Legge, Cristo è morto invano.
Paolo
affermò davanti a tutti i presenti che la circoncisione non porta alla
giustificazione, poiché anche i giudei provenienti dalla Legge sono stati
trovati peccatori, come i pagani peccatori, e quindi bisognosi di essere
giustificati mediante la fede in Cristo.
Ora se Cristo riproponesse le
prescrizioni mosaiche come vincolo di salvezza sarebbe ministro di peccato,
poiché esse non producono la giustificazione, né sono un vincolo di
perfezione cristiana.
La realtà è che il cristiano è stato rigenerato nel Battesimo in Cristo,
nella croce di Cristo: “Sono
stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me”.
Chi si fa invece “figlio della Legge”, credendo che le norme di Mosè diano
la giustificazione, è nella morte.
Sembra di comprendere il perché Giovanni Marco (l'evangelista) durante il
primo viaggio, di fronte alla prospettiva di entrare in terra pagana col
vangelo di Paolo, tornasse indietro a Gerusalemme (At 13,13) credendo
fosse necessaria la circoncisione. Una tale prospettiva, oltre il fatto
dottrinale, poneva problemi immediati di praticità nell'acquisto delle carni
nei mercati, dove non si distinguevano le carni immolate agli idoli. Il
Concilio di Gerusalemme giunse al compromesso di osservare solo il non
cibarsi del sangue e delle carni immolate agli idoli.
La norma relativa al sangue, presente da Noè in poi, e non prima, voleva
sottolineare che l'uomo può sì cibarsi di animali, ma non esercitando su
di essi un dominio violento come lo si esercitava nelle stragi di caccia di
divertimento; e nei combattimenti tra animali, o tra uomini e animali,
presenti nelle arene dell'impero romano. Il sangue, segno empirico della
vita, doveva essere riservato al Signore per questo. Poi la norma decadde di
fronte alla realtà dell'uomo rinnovato in Cristo.
La salvezza mediante la fede
3
1
O stolti Gàlati, chi vi ha incantati? Proprio voi, agli occhi dei quali fu
rappresentato al vivo Gesù Cristo crocifisso!
2
Questo solo vorrei sapere da voi: è per le opere della Legge che avete ricevuto
lo Spirito o per aver ascoltato la parola della fede?
3
Siete così privi d'intelligenza che, dopo aver cominciato nel segno dello
Spirito, ora volete finire nel segno della carne?
4 Avete tanto sofferto invano? Se almeno fosse invano!
5
Colui dunque
che vi concede lo Spirito e opera portenti in mezzo a voi, lo fa grazie alle
opere della Legge o perché avete ascoltato la parola della fede?
Affermato che il suo messaggio non proveniva da
una conventicola ereticale, ma da Dio, e che era stato verificato autentico da
Cefa e dal Concilio di Gerusalemme, e dopo aver sventato il pericolo che stava
sorgendo ad Antiochia, Paolo passa a pronunciare un nuovo rimprovero nel quale è
contenuto tutto il suo dolore e anche il suo amore per i Galati: “O stolti
Gàlati”.
La predicazione di Paolo era stata centrata su
Cristo crocifisso, unica sorgente di giustificazione, nella fede in lui. Paolo
lo aveva presentato al vivo, cioè nella sua immolazione, mossa dall'amore per la
salvezza degli uomini. Era stato coinvolgente, appassionato, un vero testimone
di Cristo. Battezzati e Cresimati, i Galati avevano ricevuto lo Spirito con le
sue manifestazioni carismatiche. Essi avevano anche sofferto persecuzione dai
pagani, ma ora si erano lasciati disorientare da gruppi di fariseo-cristiani. “Chi
vi ha incantati?”, dice Paolo. Dei fascinatori? No, gente triste che li ha
trascinati “nel segno della carne”, cioè nella circoncisione.
I veri discendenti
di Abramo
6
Come Abramo ebbe fede in Dio e gli fu accreditato come giustizia
(Gn 15,6),
7 riconoscete dunque che figli di Abramo sono quelli
che vengono dalla fede.
8 E la Scrittura, prevedendo che Dio avrebbe giustificato i pagani per
la fede, preannunciò ad Abramo: In te saranno benedette tutte le nazioni
(Gn 12,3; 18,18).
9
Di conseguenza, quelli che vengono dalla fede sono benedetti insieme ad Abramo,
che credette.
10 Quelli
invece che si richiamano alle opere della Legge stanno sotto la maledizione,
poiché sta scritto: Maledetto chiunque non rimane fedele a tutte le cose
scritte nel libro della Legge per metterle in pratica (Dt 27,26).
11
E che nessuno sia giustificato davanti a Dio per la Legge risulta dal fatto che
il giusto per fede vivrà (Ab 2,4).
12
Ma la Legge non si basa sulla fede; al contrario dice: Chi metterà in pratica
queste cose, vivrà grazie ad esse (Lv 18,5).
13
Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della Legge, diventando lui stesso
maledizione per noi, sta scritto: Maledetto chi è appeso al legno (Dt
21,23), 14
perché in Cristo Gesù la benedizione di Abramo passasse ai pagani e noi,
mediante la fede, ricevessimo la promessa dello Spirito.
I giudeo-cristiani integralisti sostenevano che
la circoncisione era necessaria per far parte della discendenza di Abramo, e
quindi del beneficio dell'alleanza stipulata con Mosè senza la quale non si
poteva accedere a Cristo.
Innanzi tutto, Paolo afferma che si è figli di
Abramo per la fede, perché è per la fede nella promessa di una discendenza che
Abramo ne fu all'origine (Gn 15,6). Si è figli di Abramo non per discendenza di
carne di Abramo (Mt 3,9; Gv 8,39s), ma per la fede. Sono figli di Abramo coloro
“che vengono dalla fede”. La fede di Abramo e dei suoi figli nella fede è
alla radice della benedizione di Dio a lui e a tutte le nazioni: “In te
saranno benedette tutte le nazioni”.
Paolo ha davanti a sé il quadro farisaico che
faceva dell'osservanza legale delle opere della Legge la condizione per essere
giustificati, scartando la fiducia nella misericordia di Dio, annunciata dai
profeti e manifestatasi in Cristo.
“Quelli che si richiamano alle opere della
Legge stanno sotto la maledizione”, poiché volendo avere da essa la
giustizia non la possono avere, poiché la Legge tutta intera, senza mancanza,
nessuno la può osservare. E' la fede in Cristo che dà la vita. Vedere la Legge
come la fonte della giustificazione significa chiudersi al disegno di Dio,
poiché la giustificazione viene dalla fede nel disegno misericordioso di Dio,
disegno che è Cristo.
“Chi metterà in pratica queste cose, vivrà
grazie ad esse” (Lv 18,15). Questa proposizione doveva essere il punto
forte per affermare che la Legge dà la vita; ma Paolo afferma che se anche se la
promette la Legge non la può dare perché deve essere tutta osservata. Ovviamente
c'è un senso positivo nel passo di (Lv 18,15), ed è che la Legge è stata data ad
Israele come una guida, che mentre distanziava l'uomo dal peccato, gli faceva
prendere coscienza del peccato e quindi la consapevolezza del bisogno di una
giustificazione che fosse dono di Dio e non un risultato della sola osservanza
della Legge.
Chi si rifà alle opere della Legge e non alla
fede è, dunque, sotto la maledizione e non nella giustificazione. La liberazione
dalla maledizione della Legge, avviene per mezzo di Cristo, il quale si è fatto
maledizione per noi, cioè si è addossata la nostra maledizione, affinché fossimo
giustificati davanti al Padre e avessimo il dono dello Spirito per vivere nella
carità, che è “il termine della Legge” (Rm 10,4).
Paolo termina questo primo argomento affermando
che la benedizione di Abramo passa ai pagani per mezzo della fede in Gesù, senza
bisogno di passare attraverso la Legge, la quale non dà la giustificazione e
quindi il dono dello Spirito.
La
promessa e la Legge
15 Fratelli, ecco, vi parlo da uomo: un testamento legittimo, pur
essendo solo un atto umano, nessuno lo dichiara nullo o vi aggiunge qualche
cosa. 16
Ora è appunto ad Abramo e alla sua discendenza che furono fatte le promesse. Non
dice la Scrittura: “E ai discendenti”, come se si trattasse di molti, ma: E
alla tua discendenza (Gn 12,7; 13,15; 17,7; 22,18; 24,7), come a uno solo,
cioè Cristo. 17
Ora io dico: un testamento stabilito in precedenza da Dio stesso, non può
dichiararlo nullo una Legge che è venuta quattrocentotrenta anni dopo,
annullando così la promessa.
18 Se infatti l'eredità si ottenesse in base alla Legge, non sarebbe
più in base alla promessa; Dio invece ha fatto grazia ad Abramo mediante la
promessa.
Paolo passa dalla precedente parola veemente,
piena di dolore, ad un tono più dolce, e chiama i Galati, fratelli; e presenta
loro un argomento giuridico per affermare che la Legge, venuta secoli più tardi,
non ha nessun potere abrogativo rispetto alla promessa fatta ad Abramo e alla
sua discendenza. La promessa venne fatta ad Abramo e alla sua discendenza
al singolare e non al plurale. Se fosse al plurale “discendenti” sarebbero
rimarcati i discendenti nel tempo secondo la carne. Paolo afferma che il
singolare conduce a dire che la discendenza è uno solo: Cristo. Certamente la
parola “discendenza” ha in sé anche il concetto di pluralità, ma Paolo
pensa anche all'unità in Cristo di coloro che credono in lui; è il Cristo totale
(1Cor 12,12): Capo e corpo (Chiesa). Ne segue che il bene della giustificazione
ha la sua radice nella grazia della promessa e non nella Legge.
Funzione e scopo
della Legge
19 Perché allora la Legge? Essa fu aggiunta a motivo delle
trasgressioni, fino alla venuta della discendenza per la quale era stata fatta
la promessa, e fu promulgata per mezzo di angeli attraverso un mediatore.
20
Ma non si dà mediatore per una sola persona: ora, Dio è uno solo.
21 La Legge è dunque contro le promesse di Dio? Impossibile! Se
infatti fosse stata data una Legge capace di dare la vita, la giustizia verrebbe
davvero dalla Legge;
22 la Scrittura invece ha rinchiuso ogni cosa sotto il peccato, perché
la promessa venisse data ai credenti mediante la fede in Gesù Cristo.
23 Ma prima che venisse la fede, noi eravamo custoditi e
rinchiusi sotto la Legge, in attesa della fede che doveva essere rivelata.
24
Così la Legge
è stata per noi un pedagogo, fino a Cristo, perché fossimo giustificati per la
fede. 25
Sopraggiunta
la fede, non siamo più sotto un pedagogo.
26 Tutti voi infatti siete figli di Dio mediante la fede in Cristo
Gesù, 27
poiché quanti
siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo.
28
Non c’è Giudeo né Greco; non c'è schiavo né libero; non c'è maschio e femmina,
perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù.
29
Se appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la
promessa.
Paolo ora deve spiegare il perché della Legge. La
risposta è limpida: “Essa fu aggiunta a motivo delle trasgressioni”. La
Legge infatti mentre vuole arginare il peccato, lo mette nel contempo in
evidenza, lo rende cosciente, e così responsabile; con ciò, vista l’incapacità
umana di vivere secondo la giustizia della Legge, sospinge alla fede nel Cristo
liberatore, annunciato dai profeti e anche intravisto da Abramo (Cf. Gv 8,56).
La Legge non può poi essere messa a confronto con
la promessa, poiché fu promulgata per mezzo di angeli (secondo una tradizione
corrente nei circoli rabbinici) attraverso un mediatore (Mosè). Un mediatore, o
garante, non è necessario quando si tratta di una promulgazione fatta da una
persona sola (per la Legge ci furono angeli). Ora, dice Paolo, trasferendosi dal
piano della delucidazione a quello della realtà, “Dio è uno solo”. Dunque
il modo in cui venne promulgata la promessa ha un carattere di massima autorità,
ben superiore a quella della promulgazione della Legge.
Se la Legge avesse la capacità di dare la vita,
la giustificazione verrebbe dalla Legge, e ci sarebbe contrasto con le promesse
salvifiche di Dio mediante la fede in colui che doveva venire ed è venuto:
Cristo. Ma la Legge producendo la consapevolezza del peccato e quindi la
responsabilità conduce a desiderare l'attuazione delle promesse, che si ha nella
fede in Gesù Cristo.
La Legge è stata dunque un pedagogo, poiché ha
dato consapevolezza del peccato, fino a Cristo. Con Cristo la Legge pedagogo
cessa la sua funzione poiché nella fede in Cristo si ha la rigenerazione nello
Spirito Santo. L'evento è avvenuto nel Battesimo nel quale i battezzati deposte
le brutture del peccato si sono “rivestiti di Cristo”. La realtà nuova in Cristo
fa sì che siano annullate le pretese etniche dei giudaizzanti di essere
depositari di salvezza, poiché la salvezza è Cristo. Dunque “Non c'è Giudeo
né Greco...perché tutti voi siete uni in Cristo”.
Figli di Dio ed
eredi
4
1
Dico ancora: per tutto il tempo che l'erede è fanciullo, non è per nulla
differente da uno schiavo, benché sia padrone di tutto, ma
2 dipende da tutori e amministratori fino al termine prestabilito dal
padre. 3
Così anche noi,
quando eravamo fanciulli, eravamo schiavi degli elementi del mondo.
4
Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna,
nato sotto la Legge,
5
per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l'adozione a
figli. 6
E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo
Spirito del suo Figlio, il quale grida: “Abbà! Padre”.
7
Quindi non sei più schiavo, ma figlio e, se figlio, sei anche erede
per grazia di Dio.
Paolo presenta ora un punto importante. La Legge
non rende “adulti e liberi” cosicché in questa prospettiva sia desiderabile
osservarla, pur fermo restando che la giustificazione viene per la fede. La
propaganda dei giudaizzanti presentava la circoncisione e l'osservanza delle
prescrizioni giudaiche come un qualcosa in più desiderabile. Paolo afferma
invece che la Legge è stata data a fanciulli sottoposti a tutori: dunque nessuna
emancipazione nell'osservanza della Legge, ma una regressione.
“Gli elementi del mondo” sono i “tutori”
e consistono nelle realtà usate dalla Legge per esprimere il culto a Dio.
Animali uccisi, carni consumate al fuoco degli olocausti, offerte di olio e
farina, primizie della terra, abluzioni, uso del sangue di animali per la
purificazione del popolo, riti di purificazione per i lebbrosi fatti con
particolarità complesse (Lv 14,4s), presentazioni di pani, cibi mondi e immondi,
contaminazioni da cadaveri, noviluni da osservare, stagioni, anni.
Ma venuto Cristo tutto ciò è caduto, perché la
realtà è Cristo. Non sangue di capri, ma del Cristo, non abluzioni, ma il
Sacramento rinnovatore del Battesimo, non ritualità con sangue di animali per
l'espiazione dei peccati, ma la riconciliazione con Dio mediante Cristo nel
ministero della Chiesa.
Cristo nato da donna, sotto la Legge, passo
passo, nell'insegnamento ai discepoli, ha tolto dalla Legge tutte le minuzie
mosaiche di carattere umano, caduco, restando il Decalogo presentato in tutta la
sua ricchezza di legge d'amore, portato a compimento da una carità che aveva
come modello Cristo stesso. Tutto l'insieme rituale mosaico con Cristo ha
cessato il suo compito di tutore. Esiste ora la novità di essere in Cristo figli
adottivi del Padre; e che sia così lo dimostra lo Spirito che grida nel cuore
dei fedeli: “Abba, Padre”.
La precedente
schiavitù
8 Ma un tempo, per la vostra ignoranza di Dio, voi eravate
sottomessi a divinità che in realtà non lo sono.
9
Ora invece che avete conosciuto Dio, anzi da lui siete stati
conosciuti, come potete rivolgervi di nuovo a quei deboli e miserabili elementi,
ai quali di nuovo come un tempo volete servire?
10
Voi infatti osservate scrupolosamente giorni, mesi, stagioni e anni!
11 Temo per voi di essermi affaticato invano a vostro
riguardo.
Paolo ricorda ai Galati che erano sottomessi a
divinità che non erano altro che invenzioni. Le divinità erano le varie cose
create. Il vento, l'acqua, il fuoco, la vegetazione, gli animali sacri alle
divinità. Ora Cristo li ha liberati da questo e non possono ritornare a questo
pur nella diversità indubbiamente presente nella Legge. I Galati si erano tanto
impegnati nell'osservanza dei giudaismo che osservavano scrupolosamente: “giorni,
mesi, stagioni e anni”.
L'affetto di Paolo
verso i Gàlati
12 Siate come me - ve ne prego, fratelli -, poiché anch'io sono
stato come voi. Non mi avete offeso in nulla.
13
Sapete che durante una malattia del corpo vi
annunciai il Vangelo la prima volta;
14 quella che, nella mia carne, era per voi una prova, non
l'avete disprezzata né respinta, ma mi avete accolto come un angelo di Dio, come
Cristo Gesù.
15 Dove sono dunque le vostre manifestazioni di gioia? Vi do
testimonianza che, se fosse stato possibile, vi sareste cavati anche gli occhi
per darli a me.
16
Sono dunque diventato vostro nemico dicendovi la verità?
17
Costoro sono premurosi verso di voi, ma non onestamente; vogliono invece
tagliarvi fuori, perché vi interessiate di loro.
18
È bello invece essere circondati di premure nel bene sempre, e non solo quando
io mi trovo presso di voi,
19
figli miei, che io di nuovo partorisco nel dolore finché Cristo non
sia formato in voi!
20
Vorrei essere
vicino a voi in questo momento e cambiare il tono della mia voce, perché sono
perplesso a vostro riguardo.
Paolo presenta i momenti di grande affetto che
hanno segnato il suo incontro con loro. Parla al loro cuore e lasciando da parte
il tono deciso presenta il dolore di un parto spirituale che si attua in
situazioni difficili, tanto che manifesta un'umile incertezza di riuscire a
farli ritornare a sé: “sono perplesso a vostro riguardo”.
Le due alleanze:
Agar e Sara
21 Ditemi, voi che volete essere sotto la Legge: non sentite che
cosa dice la Legge?
22
Sta scritto infatti che Abramo ebbe due figli, uno dalla schiava e uno dalla
donna libera (Gn 16,15; 21,3).
23 Ma il figlio della schiava è nato secondo la carne; il figlio della
donna libera, in virtù della promessa.
24
Ora, queste cose sono dette per allegoria: le due donne infatti
rappresentano le due alleanze. Una, quella del monte Sinai, che genera nella
schiavitù, è rappresentata da Agar
25 - il Sinai è un monte dell'Arabia -; essa corrisponde alla
Gerusalemme attuale, che di fatto è schiava insieme ai suoi figli.
26
Invece la
Gerusalemme di lassù è liberà madre di tutti noi.
27 Sta scritto infatti (Is 54,1):
Rallegrati, sterile,
tu che non partorisci,
grida di gioia, tu
che non conosci i dolori del parto,
perché molti sono i
figli dell'abbandonata,
più di quelli della
donna che ha marito.
28 E voi, fratelli, siete figli della promessa, alla maniera di
Isacco. 29
Ma come allora colui che era nato secondo la carne perseguitava quello nato
secondo lo spirito, così accade anche ora.
30
Però, che cosa dice la Scrittura? Manda via la schiava e suo figlio, perché
il figlio della schiava non avrà eredità col figlio della donna libera.
31 Così, fratelli, noi non siamo figli di una schiava, ma della
donna libera.
Paolo continua a dimostrare come la Legge non dia
l'eredità dei beni messianici.
Per “la Legge”, qui san Paolo intende
tutto il Pentateuco, che costituiva la Torah (insegnamento, legge). I Galati che
vogliono stare sotto la Legge dovrebbero ascoltare quanto dice la Legge.
Il procedere esegetico di san Paolo parte dal
concetto che al di là di un fatto che sembra una semplice narrazione di cronaca
c'è un insegnamento profondo. Il che vuol dire che quel fatto ha in sé un'
allegoria che va colta. Questa esegesi che andava oltre il senso
storico-letterale era molto praticata dai rabbini in maniera disinvolta e
arbitraria.
L'episodio è quello del figlio secondo la carne
avuto da Abramo dalla schiava (Agar) e quello avuto secondo la promessa dalla
donna libera, la moglie Sara.
Il significato profondo che san Paolo vi scorge è
che le due donne sono simbolo delle due alleanze. L'alleanza del Sinai genera
nella schiavitù se intesa come il fatto definitivo salvifico. San Paolo rivela
che se la Legge è il termine di tutto essa è stata data nel territorio del
figlio della schiava, poiché l'Arabia, dove sorge il Sinai, era la terra di
Ismaele (Gn 25,13-18). La Gerusalemme attuale che fa del Sinai il suo caposaldo
definitivo si dichiara così procedente dalla schiava, ed è perciò schiava
insieme ai suoi figli, in quanto la libertà dal peccato viene dalla promessa che
si attua in Cristo. Se invece l'alleanza del Sinai fosse stata intesa come una
tappa provvisoria nel cammino verso colui che Mosè aveva annunciato (Dt 18,15),
nulla avrebbe voluto significare l'essere il monte Sinai in Arabia, nella terra
del figlio della schiava, se non come un passaggio finalizzato al compimento
della liberazione dal peccato, che si ha per mezzo di Cristo.
C'è tuttavia la Gerusalemme libera, che è di
lassù, in quanto procede dal dono salvifico di Dio in Cristo, ed è la Chiesa, la
madre di “tutti noi”.
La Gerusalemme attuale, che è schiava, è stata
feconda di figli secondo la carne, mentre la Chiesa, che non genera secondo la
carne deve rallegrarsi poiché la sua fecondità è immensa, e san Paolo afferma
questo concetto ricorrendo alla citazione di un passo di Isaia: “Rallegrati,
sterile, tu che non partorisci, grida di gioia, tu che non conosci i dolori del
parto, perché molti sono i figli dell'abbandonata, più di quelli della donna che
ha marito”.
San Paolo conduce fino in fondo la sua esegesi
allegorica. Ismaele, nato secondo la carne, non poteva in virtù della sua
primogenitura soppiantare Isacco nato secondo la promessa, esercitando su di
esso una pressione psicologica suggerita indubbiamente dalla madre (Gn 20,9-10),
e per questo fu allontanato con Agar. Similmente ora i figli della schiava
perseguitano i figli della donna libera.
Non lasciarsi turbare
5
1
Cristo ci ha liberati per la libertà! State dunque saldi e non lasciatevi
imporre di nuovo il giogo della schiavitù.
2 Ecco, io, Paolo, vi dico: se vi fate circoncidere, Cristo non
vi gioverà a nulla.
3
E dichiaro
ancora una volta a chiunque si fa circoncidere che egli è obbligato ad osservare
tutta quanta la Legge.
4
Non avete più nulla a che fare con Cristo voi che cercate la giustificazione
nella Legge; siete decaduti dalla grazia.
5
Quanto a noi, per lo Spirito, in forza della fede, attendiamo
fermamente la giustizia sperata.
6 Perché in Cristo Gesù non è la circoncisione che vale o la non
circoncisione, ma la fede che si rende operosa per mezzo della carità.
7 Correvate così bene! Chi vi ha tagliato la strada, voi che non
obbedite più alla verità? 8 Questa persuasione non viene sicuramente da colui che vi chiama!
9
Un po' di lievito fa fermentare tutta la pasta.
10 Io
sono fiducioso per voi, nel Signore, che non penserete diversamente; ma chi vi
turba subirà la condanna, chiunque egli sia.
11 Quanto a me, fratelli, se predico ancora la
circoncisione, perché sono tuttora perseguitato? Infatti, sarebbe annullato lo
scandalo della croce.
12
Farebbero meglio a farsi mutilare quelli che vi gettano nello scompiglio!
“Chi vi ha tagliato la strada?”; Paolo
ancora si domanda chi possa essere stato. Non pensa ai giudeo-cristiani di
Giacomo, che guarda con positività, sebbene disposti con fatica ad accogliere la
chiamata dei pagani per mezzo della fede in Cristo, e con pieno titolo di
santificazione nello Spirito Santo, senza passare attraverso le norme giudaiche,
ma a qualcosa di perverso.
Quei cristiano-giudaizzanti, ereticali, avevano
gettato su Paolo non solo l'ombra che il suo Vangelo provenisse da una qualche
oscura conventicola che lo aveva confezionato (1,1s), ma anche il fango di dire
che in realtà quando avvicinava i Giudei nelle sinagoghe, egli predicava la
circoncisione, ma poi coi pagani, per avere con facilità proseliti, non
presentava la circoncisione e l'osservanza delle disposizioni mosaiche, quasi
che la carità verso tutti, anche i nemici, il perdono dato settanta volte sette
e di cuore, il rinnegamento di sé, il prendere la propria croce, il seguire
Cristo accettando con gioia (Mt 5,11) le croci che il mondo dà ai testimoni
dell'amore, non sorpassasse di gran lunga quello che le pratiche della Legge
chiedevano, tanto che il Signore disse (Gv 15,5): “Senza di me non potete far
nulla” .
Ma se Paolo avesse predicato la circoncisione
allora non sarebbe stato perseguitato costantemente dai Giudei, perché di fronte
alle tante fustigazioni subite avrebbe cessato da un pezzo, proprio perché
pauroso secondo l'accusa, di predicare lo scandalo della croce di Cristo (1Cor
1,23). Scandalo perché per i Giudei era assurdo che il Messia potesse morire
così.
Paolo arriva ad affermare che quei giudaizzanti,
visto che hanno in massimo onore la circoncisione, farebbero bene, in coerenza a
quanto dicono, a mutilarsi (evirarsi) secondo l'esempio degli aderenti al culto
della dea Cibele.
Nel secondo viaggio Paolo farà circoncidere
Timoteo, figlio di madre giudea convertita al cristianesimo (2Tm 1,5) e di padre
greco. Timoteo di per sé apparteneva al popolo ebraico per via di madre, ma il
matrimonio misto era proibito dalla Legge e perciò era un illegittimo (Dt 7,3).
La circoncisione, alla quale doveva essersi opposto il padre, gli dava
legittimità sociale presso i Giudei, e così lo rendeva credibile nella missione
di presentare ai giudeo-cristiani le norme del Concilio, affinché non facessero
più pressioni circa la circoncisione e l'osservanza delle norme giudaiche sui
cristiani non circoncisi, ed essi stessi nel futuro si attenessero solo alle
decisioni del Concilio.
Libertà e carità
13
Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Che questa
libertà non divenga però un pretesto per la carne; mediante l'amore siate invece
a servizio gli uni degli altri.
14 Tutta la Legge infatti trova la sua pienezza in un solo
precetto: Amerai il tuo prossimo come te stesso (Lv 19,18).
15
Ma se vi mordete e vi divorate a vicenda, badate almeno di non distruggervi del
tutto gli uni gli altri!
Paolo precisa, contro ogni equivoco, in che cosa
debba consistere la libertà. Essa è libertà dall'egoismo, che impedisce il dono
di sé. La libertà data da Cristo non è la libertà di dare spazio all'egoismo, ma
di stabilire la propria vita nell'amore.
Purtroppo presso i Galati, presi dalle idee sulla
necessità dell'osservanza delle norme giudaiche, erano subentrate durezze di
cuore: “Ma se vi mordete e vi
divorate a vicenda, badate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli
altri!”.
Sotto la guida dello
Spirito di Dio
16 Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete
portati a soddisfare il desiderio della carne.
17
La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito
ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi
non fate quello che vorreste.
18
Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete
sotto la Legge.
19
Del resto sono
ben note le opere della carne: fornicazione, impurità, dissolutezza,
20
idolatria,
stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni,
21
invidie, ubriachezze, orge e cose del genere. Riguardo a queste cose vi
preavviso, come già ho detto: chi le compie non erediterà il regno di Dio.
22 Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace,
magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé;
23
contro queste cose
non c'è Legge.
24 Quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la carne con
le sue passioni e i suoi desideri.
25 Perciò se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo
Spirito. 26
Non cerchiamo la vanagloria, provocandoci e invidiandoci gli uni gli altri.
“Sicché voi non fate quello che vorreste”,
cioè osservare la Legge, poiché volendo osservare le minuzie mosaiche
esplicitate dai rabbini in ben 613 precetti, non potevano riuscirci e quindi
erano sotto la maledizione della Legge. Il risultato era che si stavano
allontanando dalla carità, frutto dello Spirito. La loro condizione era quella
di coloro che avevano perso Cristo per la Legge, perciò non erano dei Giudei, ma
dei decaduti dalla grazia e come tali esposti alle opere della carne, “ben
note”
Quelli che invece sono di Gesù Cristo “hanno
crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri”, in virtù del
sacrificio di Cristo e del dono dello Spirito.
Paolo esorta a mutare i rapporti con i fratelli
all'insegna della carità e non dell'invidia, prodotta dalla vanagloria.
L'invidia è la fonte dell'anticarità.
Portate i pesi gli uni degli altri
6
1
Fratelli, se uno viene sorpreso in qualche colpa, voi, che avete lo Spirito,
correggetelo con spirito di dolcezza. E tu vigila su te stesso, per non essere
tentato anche tu.
2
Portate i pesi gli uni degli altri: così adempirete la legge di Cristo.
3 Se infatti uno pensa di essere qualcosa, mentre non è nulla, inganna
se stesso. 4
Ciascuno esamini invece la propria condotta e allora troverà motivo di vanto
solo in se stesso e non in rapporto agli altri.
5 Ciascuno infatti porterà il proprio fardello.
6 Chi viene istruito nella Parola, condivida tutti i suoi beni
con chi lo istruisce.
7
Non fatevi illusioni: Dio non si lascia ingannare. Ciascuno raccoglierà quello
che avrà seminato.
8
Chi semina nella sua carne, dalla carne raccoglierà corruzione; chi semina nello
Spirito, dallo Spirito raccoglierà vita eterna.
9
E non stanchiamoci di fare il bene; se infatti non desistiamo, a suo tempo
mieteremo. 10
Poiché dunque ne abbiamo l'occasione, operiamo il bene verso tutti, soprattutto
verso i fratelli nella fede.
Non tutto è compromesso nelle chiese della
Galazia, rimane l'azione dello Spirito presso i buoni, che hanno il dovere di
correggere chi sta deviando. Paolo esorta alla carità, alla condivisione. Paolo
esorta ad esaminarsi di fronte alla Parola e non al confronto con gli altri
ritenendosi migliore. Ognuno ha infatti il proprio fardello di peccati: “Ciascuno
infatti porterà il proprio fardello”
Raccomandazioni e
preghiera finale di augurio
11 Vedete con che grossi caratteri vi scrivo, di mia mano.
12
Quelli che vogliono fare bella figura nella carne, vi costringono a farvi
circoncidere, solo per non essere perseguitati a causa della croce di Cristo.
13
Infatti neanche gli stessi circoncisi osservano la Legge, ma vogliono la vostra
circoncisione per trarre vanto dalla vostra carne.
14
Quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella
croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è
stato crocifisso, come io per il mondo.
15
Non è infatti la circoncisione che conta, né la non
circoncisione, ma l'essere nuova creatura.
16 E su quanti seguiranno questa norma sia pace e misericordia,
come su tutto l'Israele di Dio.
17 D'ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: io porto le stigmate
di Gesù sul mio corpo.
18 La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con il vostro spirito,
fratelli. Amen.
Paolo termina la lettera di sua mano, con
caratteri più grossi per dare il sigillo alla sua fortissima determinazione,
nella verità che è Cristo, riguardo la falsità di coloro che hanno turbato così
profondamente i Galati.
Paolo presenta la sua calligrafia quale autentica della lettera.
L'apostolo segue l'uso del tempo che consisteva nel
dettare ad uno scriba la lettera.
Con ciò lo scriba a cui Paolo dettò la lettera rientra nell'azione
dell'ispirazione, affinché ciò che ha udito lo
riporti con esattezza.
I giudaizzanti vogliono “trarre vanto dalla
vostra carne”, così come Davide traeva vanto dal numero doppio di quello
richiesto da Saul dei prepuzi dei Filistei uccisi (1Sam 18,27).
Paolo ha un solo vanto quello nella croce di Gesù
Cristo. Per quella croce, aderendo a quella croce, il mondo per lui è
crocifisso, cioè impossibilitato ad allontanarlo da Cristo, e lui stesso è stato
crocifisso nel confronti del mondo, poiché il mondo da lui nulla può più
prendere, se non la testimonianza della croce di Cristo.
L'Israele di Dio è la Chiesa, che ha vita per la
fede in Cristo.
Poi Paolo conclude presentando, quale sigilli
della sua autenticità, i segni delle fustigazioni e lapidazioni sofferte per
Cristo. “D'ora
innanzi
nessuno mi procuri fastidi: io porto le stigmate di Gesù sul mio corpo”.
La lettera termina con una preghiera per i
fratelli Galati: “La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con il vostro
spirito, fratelli. Amen”.