Filemone era un facoltoso cristiano di Colossi. Diventato cristiano per avere incontrato Paolo probabilmente ad Efeso, e con tutta probabilità aver ricevuto per mezzo suo la guarigione da una grave malattia. Filemone si era poi fatto parte attiva nell’evangelizzazione a Colossi dal momento che Paolo lo chiama “nostro collaboratore”; ciò doveva consistere principalmente nell’aver aperto la sua casa alle riunioni di una comunità cristiana di Colossi, guidata da Archippo, poiché Paolo lo chiama: “Nostro compagno nella lotta per la fede”. Archippo doveva essere un presbitero poiché Paolo fece dire ad Archippo (Col 4,17): “Dite ad Archippo: ‹Fa’ attenzione al ministero che hai ricevuto nel Signore, in modo da compierlo bene›”.
Uno schiavo di Filemone, Onesimo, si era ribellato alla sua condizione ed era fuggito per avere libertà e una nuova vita.
Si afferma sovente che Onesimo raggiunse Roma e lì incontrò Paolo presente nella sua prima prigionia, ma Onesimo non poteva aver scelto la via del mare, che imponeva una sosta nella vicina Efeso per trovare un imbarco, con il rischio di venire intercettato, anche perché a Efeso Filemone era conosciuto. Così non dovette dirigersi verso Efeso, ma percorrere i luoghi poco frequentati dell’entroterra, per allontanarsi il più possibile. La sua fuga dovette essere in ogni caso avventurosa, in stato di continuo allarme, se dovette spingersi fino nei pressi di Cesarea, per poi essere condotto dal prigioniero Paolo da qualche cristiano, perché l’Apostolo gli potesse fornire un inserimento sociale.
La lettera che Paolo scrisse a Filemone venne inviata quando aveva ancora speranza di essere in breve liberato (v.22). La stessa speranza l’aveva espressa nella lettera ai Filippesi (1,26). La lettera ai Colossesi è strettamente connessa a quella a Filemone poiché il latore della lettera ai Colossesi è Tichico, incaricato anche di condurre da Filemone lo schiavo Onesimo (Fil 4,7s). Presenti nella lettera a Filemone, Timoteo, Marco, Luca, Dema, Epafra, che si trovano pure nella lettera ai Colossesi.
Proprio il caso di Onesimo conduce a dire che Paolo non era prigioniero a Roma, ma ancora a Cesarea, dove godeva di una certa libertà potendo ricevere persone e averne assistenza (At 24,23). E’ il momento nel quale venne scritta anche la lettera agli Efesini, che più ragioni la dicono diretta ai Laodicesi.
La lettera a Filemone presenta il problema della schiavitù, e fa vedere come Paolo lo affrontò in un caso concreto.
Paolo poteva tenere Onesimo con sé (v.13) secondo il potere della sua autorità apostolica, in quanto Onesimo era diventato cristiano, ma con ciò rimaneva a Filemone la proprietà dello schiavo davanti alla legge romana.
Paolo non sviluppa questa prospettiva che includeva alla fine l’acquisto dello schiavo, e anche un confronto con Filemone.
Paolo poteva anche sancire l’allontanamento di Onesimo da Filemone favorendo in via definitiva la fuga, ma questo comportava creare un esempio per una lotta contro la schiavitù che non era pensabile allora, perché avrebbe portato alla fame e alla morte, alle rappresaglie, moltissimi schiavi, visto che un sistema sociale nuovo a immediato termine era solo possibile desiderarlo.
Bisognava così agire come lievito all’interno della pasta (Mt 13,33), e quindi con la forza della carità, come scrisse nella contemporanea lettera ai Colossesi (3,22 - 4,1).
Paolo rinviò Onesimo a Filemone non per avallare la schiavitù, ma per far risplendere la novità di rapporti che il Vangelo aveva portato, trattandosi di due cristiani. Ciò secondo quanto l’Apostolo già aveva scritto nella lettera ai Galati (Gal 3,28): “Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero…”.
Non mancavano nel paganesimo casi di clemenza verso uno schiavo per intercessione di un amico o di lode per il padrone che aveva perdonato allo schiavo, ma non sono casi diffusi, e i rapporti padrone schiavo rimanevano inalterati. (Due lettere di Plinio il Giovane all’amico Sabiniano: “Epistolarium lib. IX, 21.24”).
La filosofia degli stoici, proclamando la liberta naturale di ogni uomo, contribuì a mitigare la dura condizione della schiavitù romana.
Paolo fa riferimento al diritto naturale quando afferma di inviare Onesimo perché venga accolto sia
come uomo, sia come fratello (v.16).
Rimandando Onesimo a Filemone Paolo non trascurò i danni materiali subiti eventualmente da quest'ultimo, nel senso che l’assenza dello schiavo poteva avere determinato dei deficit economici e anche un’eventuale sottrazione di denaro
- Onesimo poteva avere avuto in gestione del denaro dal suo padrone: la
cosa era possibile -, e avrebbe pagato lui, e di ciò ne dava garanzia il biglietto scritto di propria mano. Paolo dunque si preoccupò in tutto della dignità dello schiavo Onesimo, affinché fosse trattato, benché secondo il diritto romano schiavo, come un liberto in Cristo. Paolo non solo si preoccupò di Onesimo, ma anche di Filemone, affinché con suo atto di accoglienza potesse crescere nella carità. Con questo esito la schiavitù veniva, in concreto, a cessare
in ragione di Cristo, pur rimanendo giuridicamente. Paolo agì in questo senso. Rimaneva il vincolo della dimora presso Filemone e il servizio alla sua casa, ma questo era anche garanzia di sostentamento per Onesimo.
In un mondo cristiano la schiavitù decadeva di per sé, con tutte le sue aberrazioni.
1
1
Paolo, prigioniero di Cristo Gesù, e il fratello Timoteo al carissimo Filemone, nostro collaboratore,
2
alla sorella Apfìa, ad Archippo nostro compagno nella lotta per la fede e alla comunità che si raduna nella tua casa:
3
grazia a voi e pace da Dio nostro Padre e dal Signore Gesù Cristo.
4
Rendo grazie al mio Dio, ricordandomi sempre di te nelle mie preghiere,
5
perché sento parlare della tua carità e della fede che hai nel Signore Gesù e verso tutti i santi.
6
La tua partecipazione alla fede diventi operante, per far conoscere tutto il bene che c’è tra noi per Cristo.
7
La tua carità è stata per me motivo di
grande gioia e consolazione, fratello, perché per opera tua i santi sono stati profondamente confortati.
8
Per questo, pur avendo in Cristo piena libertà di ordinarti ciò che è opportuno,
9
in nome della carità piuttosto ti esorto, io, Paolo, così come sono, vecchio, e ora anche prigioniero di Cristo Gesù.
10
Ti prego per Onesimo, figlio mio, che ho generato nelle catene,
11
lui, che un giorno ti fu inutile, ma che ora è utile a te e a me.
12
Te lo rimando, lui che mi sta tanto a cuore.
13
Avrei voluto tenerlo con me perché mi assistesse al posto tuo, ora che sono in catene per il Vangelo.
14
Ma non ho voluto fare nulla senza il tuo parere, perché il bene che fai non sia forzato, ma volontario.
15
Per questo forse è stato separato da te per un momento: perché tu lo riavessi per sempre;
16
non più però come schiavo, ma molto più che schiavo, come fratello carissimo, in primo luogo per me, ma ancora più per te, sia come uomo sia come fratello nel Signore.
17
Se dunque tu mi consideri amico, accoglilo come me stesso.
18
E se in qualche cosa ti ha offeso o ti è debitore, metti tutto sul mio conto.
19
Io, Paolo, lo scrivo di mio pugno: pagherò io. Per non dirti che anche tu mi sei debitore, e proprio di te stesso!
20
Sì, fratello! Che io possa ottenere questo favore nel Signore; da’ questo sollievo al mio cuore, in Cristo!
21
Ti ho scritto fiducioso nella tua docilità, sapendo che farai anche più di quanto ti chiedo.
22
Al tempo stesso preparami un alloggio, perché, grazie alle vostre preghiere, spero di essere restituito a voi.
23
Ti saluta Epafra, mio compagno di prigionia in Cristo Gesù,
24
insieme con Marco, Aristarco, Dema e Luca, miei collaboratori.
25 La grazia del Signore Gesù Cristo sia con il vostro spirito.
"Paolo prigioniero di Cristo Gesù, e il fratello Timòteo al carissimo Filèmone, nostro collaboratore”. Paolo ha accanto a sé Timoteo, indubbiamente conosciuto nell’area Efesina (At 20,4). Filemone è un collaboratore di Paolo perché è un cardine della presenza cristiana a Colossi. Filemone doveva essere stato convertito da Paolo a Efeso, poiché Paolo a Colossi non c’era mai stato. Filemone doveva avere ricevuto anche una grazia di guarigione per mezzo della preghiera di Paolo (v.19).
“Alla
sorella Apfìa, ad Archippo nostro compagno nella lotta per la fede”.
La lettera è indirizzata a Filemone, ma è partecipabile anche ad Apfia e
ad Archippo, nonché alla comunità cristiana, poiché si tratta di
accogliere quale cristiano Onesimo. La “sorella
Apfia” è intesa comunemente come
la moglie di Filemone, ma poiché Paolo non la chiama moglie, come ci si
aspetterebbe, è da intendersi una vergine consacrata che alloggiava
presso Filemone svolgendo un’attività caritativa nella comunità
cristiana di Colossi (Cf. Rm 16,1). Archippo è sicuramente un presbitero
(Col 4,17). “E alla comunità
che si raduna nella tua casa”. Le
prime comunità cristiane si radunavano presso una qualche casa. Filemone
aveva dato disponibilità della sua. “La
tua partecipazione alla fede diventi operante, per far conoscere tutto
il bene che c’è tra noi per Cristo”.
Non basta che Filemone fornisca l’ospitalità della comunità cristiana
nella sua casa, occorre che contribuisca a sviluppare i legami di
fraternità in Cristo “La tua
carità è stata per me motivo di grande gioia e consolazione, fratello,
perché per opera tua i santi sono stati profondamente confortati”.
Filemone tuttavia elargiva dei suoi beni ai cristiani e
probabilmente offriva per intero l’agape fraterna che si svolgeva nella
sua casa prima dell’Eucaristia. “Per
questo, pur avendo in Cristo piena libertà di ordinarti ciò che è
opportuno, in nome della carità piuttosto ti esorto, io, Paolo, così
come sono, vecchio, e ora anche prigioniero di Cristo Gesù”.
Paolo potrebbe avvalersi della sua autorità di apostolo per tenere con
sé Onesimo, dal momento che si era convertito a Cristo e facente parte
della Chiesa, ma non vuole dare un ordine. Paolo si muove sul piano
della comunione nella carità, per ottenere il favore di Filemone verso
Onesimo. Paolo, va notato, si presenta con grande umiltà, quale vecchio
e anche prigioniero, dichiarando tuttavia che la causa delle sue catene
è Cristo. “Ti prego per
Onesimo, figlio mio, che ho generato nelle catene”.
Paolo giunge al punto. Onesimo aveva accolto Cristo per mezzo di Paolo,
da qui la generazione (1Cor 4,15): “figlio
mio”. Le catene non sono di
impedimento alla diffusione del Vangelo. “Lui,
che un giorno ti fu inutile, ma che ora è utile a te e a me. Te lo
rimando, lui che mi sta tanto a cuore”.
Onesimo è nome greco che vuol dire “utile, vantaggioso”.
L’assenza di Onesimo per Filemone significò il divenire svantaggioso, ma
ora, il già inutile, diventava utile per l’esercizio della carità sia
per Paolo che per Filemone. “Avrei
voluto tenerlo con me perché mi assistesse al posto tuo, ora che sono in
catene per il Vangelo”. Paolo
poteva tenere Onesimo con sé, ma non sottrarlo alla proprietà di
Filemone; così l’avrebbe tenuto presso di sé a titolo di sostituzione di
quanto Filemone avrebbe sicuramente fatto per lui. “Ma
non ho voluto fare nulla senza il tuo parere, perché il bene che fai non
sia forzato, ma volontario”.
Paolo avrebbe potuto fare un’azione d’autorità, ma avrebbe sbagliato se
prima non avesse chiesto il parere di Filemone. L’obiettivo di Paolo è
più alto di quello della semplice riaccettazione di Onesiforo da parte
del padrone, poiché Paolo si adopera, con passaggi precisi, per la
riconciliazione, il perdono, la fratellanza in Cristo. “Per
questo forse è stato separato da te per un momento: perché tu lo
riavessi per sempre non più però come schiavo, ma molto più che schiavo,
come fratello carissimo, in primo luogo per me, ma ancora più per te”.
Quel “forse”
indica che rimane il peso della fuga di Onesimo, ma da ciò si è prodotto
del bene, e anzi ora Filemone lo potrà riavere per sempre, perché
fratello in Cristo. “Sia come
uomo sia come fratello nel Signore”.
Le parole “come uomo”
indicano che Onesimo deve essere reintegrato nella sua dignità di uomo e
deve essere rispettata, ma c’è ancora un livello più alto: quello
dell’essere fratello nel Signore. “Se
dunque tu mi consideri amico, accoglilo come me stesso”.
Paolo non ordina, si muove sul piano dei vincoli di amicizia, affinché
Onesimo venga accolto con carità e rinnovata stima “E
se in qualche cosa ti ha offeso o ti è debitore, metti tutto sul mio
conto”. Se Onesimo aveva offeso
Filemone non lavorando adeguatamente, e quindi procurando danno, oppure
aveva tenuto per sé una cifra di cui poteva disporre per le sue cose
(era il peculium), che però era del padrone, Paolo se ne
assumeva il carico. “Io,
Paolo, lo scrivo di mio pugno: pagherò io”.
La lettera diventa la cedola di addebito a Paolo di ogni questione
economica circa Onesimo. “Per
non dirti che anche tu mi sei debitore, e proprio di te stesso!”.
Il debito riguarda la vita di Filemone: con tutta probabilità proprio la
guarigione da una grave malattia ottenuta per la preghiera di Paolo.
“Sì,
fratello! Che io possa ottenere questo favore nel Signore; da’ questo
sollievo al mio cuore, in Cristo!”.
Paolo in carcere ha bisogno di essere sollevato con la gioia di un’opera
andata a buon fine. “Ti ho
scritto fiducioso nella tua docilità, sapendo che farai anche più di
quanto ti chiedo”. La docilità
che Paolo invoca non è nei confronti della sua persona, poiché non usa
il comando, ma verso Cristo. “Al
tempo stesso preparami un alloggio, perché, grazie alle vostre
preghiere, spero di essere restituito a voi”.
Paolo aveva la speranza di essere prosciolto a breve da ogni accusa e di
poter andare a Colossi. Anche questa speranza di una soluzione a breve
termine depone per la prigionia di Paolo a Cesarea. “Ti
saluta Epafra, mio compagno di prigionia in Cristo Gesù, insieme con
Marco, Aristarco, Dema e Luca, miei collaboratori”.
Epafra (Col 4,12) era andato accanto a Paolo, e si adoperava per inviare
a Colossi, Laodicea e Gerapoli aiuti economici per sostenere le comunità
cristiane in difficoltà a causa del terremoto del 60 d.C. Epafra era
stato conquistato alla fede in Cristo da Paolo probabilmente a Efeso (At
19,8) nel terzo viaggio missionario, ed era stato inviato da Paolo ad
evangelizzare la città di Colosse (Col 1,7). Paolo, pur prigioniero, era
a capo di un gruppo di evangelizzatori: Marco, Aristarco, Dema e Luca.
|