Testo e
commento
Capitolo
1 2 3 4 5
6 7
8 9
10 11
12 13
E' molto difficile
sottrarsi al desiderio di sapere chi ha scritto la lettera agli Ebrei, e ognuno
di fatto ci ha provato, pur sapendo che il risultato sarebbe solo probabile.
Quello che è ormai certo è che l’autore della
lettera agli Ebrei non è Paolo,
e ciò per una serie di diversità stilistiche e
anche di vocabolario che non si ritrovano nelle
lettere paoline, rimanendo però fermo che esiste un'innegabile affinità
di pensiero e talvolta di espressione con le lettere di Paolo. Va notato come
l'autore citi sistematicamente e con fedeltà la versione greca detta dei LXX (Septuaginta),
mentre Paolo la cita solitamente in una forma molto vicina, facendo con ciò
sentire la sua conoscenza della Bibbia in ebraico. Paolo è tuttavia un grande
conoscitore della versione dei LXX.
Circa l'autore della
lettera, i nomi più ipotizzati sono quelli di Barnaba, di Apollo, di Luca, di
Clemente Romano, di Sila.
Punto di partenza per un
approdo ad una ricerca congetturale dell'autore della lettera agli Ebrei, è che
l'autore rivela una profonda intesa con Timoteo. A partire da questo dato e
considerando che il pensiero della lettera è paolino, anche se esposto in forma
personale, si può pensare a Sila quale autore della lettera agli Ebrei.
Sila, in greco
Silan:
corrisponde all'aramaico
Séila “domandato”, come pure all'ebraico Saul “domandato”.
Sila è chiamato da Paolo col suo secondo nome: Σιλουανός
(1Tess1,1, 2Tess 1,1, 2Cor
1,19), che deriva dal latino Silvanus. Sila aveva cittadinanza romana (At
16,37) ed era persona autorevole a Gerusalemme. Venne inviato ad Antiochia di
Siria, terza città dell'impero romano, dopo Roma e Alessandria, per comunicare,
insieme a Paolo e Barnaba, le decisioni del Concilio di Gerusalemme (At 15,22).
Sila è stato vicinissimo a san Paolo, che lo scelse per la sua seconda missione
(At 15,40), e lo ebbe compagno di prigionia a Filippi. Sila andò a Tessalonica
con Paolo e a Berea; giunse poi dalla Macedonia a Corinto insieme a Timoteo, che
era stato aggregato da Paolo a Listra (At 16,1); entrambi erano attesi da Paolo
che lavorava nella casa di Aquila e Priscilla. Sila e Timoteo evangelizzarono
con Paolo a Corinto, dove Paolo si rivolse ai pagani (At 18,6), come già con
Barnaba ad Antiochia di Pisidia (At 13,46). Sila, dopo la presenza a Corinto con
Paolo, non viene più nominato negli Atti.
Σιλουανός
lo troviamo a Roma
(63/64) agli inizi della persecuzione di Nerone
(luglio/agosto 64), quale scriba della prima lettera di Pietro (1Pt 5,12) e anche latore della stessa alle Chiese del Ponto, della Galazia, della Cappadocia,
dell'Asia e della Bitinia. Un tempo
(anni 1950) si avanzavano incertezze circa l'identificazione di Sila con il
Silvano della prima lettera di Pietro, ma ora gli studiosi correntemente
avvalorano l'identificazione.
Non
conosciamo la città di origine di Sila, ma il
fatto che avesse cittadinanza romana e che il nome
Silan
sia una grecizzazione dell'aramaico Séilafa pensare che fosse un giudeo
di lingua greca traferitosi a Gerusalemme e quindi non disinformato della
cultura giudaico ellenistica alessandrina.
Si è pensato a Barnaba
come autore della lettera, perché nativo di Cipro e perciò in sicuro possesso di
una cultura giudaico-ellenista. Tuttavia, fa difficoltà che la lettera nomini
Timoteo, presentato molto vicino all'autore della lettera, mentre Barnaba non
ebbe una frequentazione con Timoteo.
Si è pensato ad Apollo quale
autore della lettera perché nativo di Alessandria di Egitto. Il colorito
alessandrino della lettera, l'eloquenza della stessa, ben si armonizzerebbe con
lui. Diversi hanno visto nella lettera agli Ebrei dei riferimenti, nell'uso
allegorico della scrittura, a Filone di Alessandria, che
ricorse sistematicamente all’allegoria. Ma,
piuttosto che l'uso dell'allegoria, nella
lettera agli Ebrei si ha un uso tipologico dei passi scritturistici,
unitamente ad un'aderenza puntuale alla storia dell'economia divina,
mentre in Filone tutto è orientato ad un
impianto filosofico-teologico, di impronta neoplatonica.
Apollo, tuttavia, pur
gravitando attorno a Paolo non ne risulta molto legato (1Cor 16,12), e non
appare vicino a Timoteo, in modo tale da creare una consolidata vicinanza.
Apollo giunse ad Efeso (At 18,24) annunciando Cristo, ma avendo ricevuto solo il
battesimo di Giovanni. Furono Aquila e Priscilla che gli completarono la
formazione (At 18,26). Partì poi, di sua iniziativa,
per l'Acaia. Giunse a Corinto dove ebbe successo, e dove è probabile che
incontrasse Timoteo e Sila, come anche indubbiamente Paolo, ma non ci fu un
cammino missionario comune tra i tre tale da creare un profondo affiatamento.
Si è pensato
all'evangelista Luca perché fu molto vicino a Paolo (Col 4,14; 2Tm 4,11; Fm 24),
ma non vi sono stringenti somiglianze letterarie tra gli scritti di Luca e la
lettera agli Ebrei.
Si è pensato a papa
Clemente Romano poiché la sua lettera ai Corinzi (fine secolo I) ha forma e
contenuti affini alla lettera agli Ebrei, ma la critica ha stabilito che tale
lettera ai Corinzi dipende dalla lettera agli Ebrei.
La grande maggioranza
pensa che la lettera sia stata indirizzata a ebrei cristiani, adducendo che solo
essi erano in grado di capire adeguatamente i riferimenti al culto mosaico.
Questa posizione presenta pure come scelta preferenziale la comunità di
Gerusalemme. L'uso della Septuaginta nella lettera non farebbe difficoltà
a pensare Gerusalemme come destinataria perché vi erano presenti da tempo
delle sinagoghe dove si leggeva la Septuaginta.
Ma che la lettera sia
stata effettivamente indirizzata agli Ebrei comporta una forte obiezione proprio
nel fatto che l'autore presenta che i lettori devono essere istruiti su elementi
del culto veterotestamentario (9,1s): “Fu costruita
infatti una tenda, la prima, nella quale vi erano il candelabro, la tavola...”
.Tale considerazione sposta l'attenzione verso comunità cristiane etnico
miste (giudeo-cristiani e pagani divenuti cristiani) esposte alla propaganda sia
dei Giudei, sia dei cristiani giudaizzanti, che predicavano la necessità delle
pratiche del culto giudaico per la salvezza. Se la lettera è stata scritta da
Sila è molto probabile che sia rivolta ad una comunità tra quelle fondate nel
secondo viaggio apostolico di Paolo.
Alla comunità destinataria
lo scrivente dà l'incarico di trasmettere i suoi saluti: “Salutate
tutti i vostri capi e tutti i santi”.
Il saluto da dare ai capi è segno di riguardo. I capi sono quelli che hanno
responsabilità di governo della comunità.
La comunità
legata allo scrivente la
lettera agli Ebrei sapeva che questi era in una missione, e la lettera li
informa della sua situazione. L'autore della lettera
ha la sicurezza di pensare che la sua restituzione alla comunità sia di
forte gradimento.
E'
trattenuto, ma può dare una valutazione dei giorni che mancano alla fine
della sua situazione. Questo fa pensare ad una malattia in via di guarigione,
oppure ad una fase
di ripresa dopo una fustigazione inflittagli dai
Giudei.
Se l'autore
può dare una valutazione dei giorni del suo impedimento, non può fare
altrettanto per Timoteo, che spera giunga presto.
La situazione
di Timoteo consisteva con tutta probabilità in una liberazione da una
carcerazione romana causata da un'accusa dei Giudei.
“Quelli
dell'Italia” sono forse Aquila e Priscilla (At 18,2): non sarebbe infatti
impossibile che fossero conosciuti dai destinatari della lettera con una tale
designazione. Aquila e Priscilla vennero lasciati da Paolo a Efeso, area
dell'azione apostolica di Timoteo (1Tim 1,3; At 18,19).
Si pensa comunemente che
la lettera agli Ebrei sia stata scritta nell'arco di tempo che va dal martirio
di Giacomo il Minore (62/63 d.C.) alla distruzione del tempio (70 d.C.). Circa
la fondatezza di datare la lettera oltre la distruzione del tempio si sono avute
discussioni argomentando che nella lettera agli Ebrei
non si parla del tempio di Gerusalemme, ma della tenda del deserto, e
quindi il tempio appare distrutto. A questa osservazione si può opporre che il
tempio di Gerusalemme non era altro che l'edizione in pietra e in chiave
monumentale della tenda del deserto.
Si può
presentare pure il fatto che nella distruzione del tempio si attuava la profezia
di Cristo (Mt 24,2): “Non
sarà lasciata qui pietra su pietra che non sarà distrutta”;
così, se la lettera fosse stata scritta dopo il 70 certamente avrebbe fatto leva
su questo per indicare come il giudaismo aveva fallito le sue prospettive sul
Messia, e che il vero Messia, quello annunciato dalla Legge e dai profeti, era
Gesù Cristo. Considerando che Sila fu il latore della prima lettera di Pietro alle comunità Asiatiche si potrebbe dire che, se fu Sila a scrivere la lettera agli Ebrei, la lettera venne scritta dall'Asia a partire dal 64 d.C.
L'occasione della lettera
agli Ebrei era determinata dalla preoccupazione che le comunità cristiane,
probabilmente dell'Asia, subissero il fascino del culto mosaico presentato dai
predicatori giudaizzanti. Accanto a questo, c'era il grave pericolo delle azioni
ereticali rivolte a ledere alla radice il messaggio cristiano. Poco dopo il
martirio di Giacomo il Minore (62/63), ci fu nell'area di Gerusalemme un certo
Tebuthe (Eusebio di Cesarea, Hist. Eccle, IV, 22, che dipende in ciò da
Egisippo), che, apostatando, riconosceva in Gesù il Messia, ma non quale Figlio
di Dio, e affermava che si doveva osservare la legge di Mosè. Probabilmente
Tebuthe fu uno dei promotori, se non l'iniziatore, della setta degli Ebioniti (ebhyonim:
poveri). Le insidie degli Ebioniti si aggiunsero a quelle dei falsi maestri già
denunciati nelle lettere ai Colossesi e agli Efesini, e ne furono probabilmente
l'estremizzazione. Non a caso le due lettere di Paolo ai Colossesi e agli
Efesini sono le più affini alla lettera agli Ebrei.
Dalla mancanza degli
elementi iniziali propri di una lettera e dallo stile, qualche studioso ha
pensato che la lettera agli Ebrei sia da classificarsi come un trattato di
teologia. Va detto che indubbiamente la lettera è densa di contenuti
teologici, ma possiede anche i segni di un dialogo con i destinatari, chiamati “fratelli”
e “carissimi”, e non manca di esortazioni alla perseveranza nel bene. Si
ha così una lettera intonata a “discorso
o parola di esortazione” (13,22).
Il luogo dove fu scritta
la lettera agli Ebrei non lo si conosce e non si può neppure congetturare.
Prologo
1 1
Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri
per mezzo dei profeti,
2
ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio,
che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il
mondo.
Dio “nei
tempi antichi” ha parlato al popolo per mezzo dei profeti “in
diversi modi”: con visioni, con locuzioni interne (udite nel cuore) o esterne
(udite nell'orecchio), con ispirazioni, con sogni, o per mezzo di angeli. Ora
invece ha parlato per mezzo del Figlio, che per questo ha assunto una natura
umana. Questa comunicazione mediante il Figlio è il vertice di tutta la
comunicazione di Dio. Il Figlio, che ha obbedito al disegno del Padre fino alla
morte di croce, ha ricevuto la sovranità su tutte le cose (Mt 28,17): è la
sovranità per conquista ratificata dal Padre.
“Mediante
il quale ha fatto anche il mondo”, oltre la
sovranità per conquista e prima di questa c'è la sovranità che appartiene a
Cristo per la sua natura divina (Gv 1,3; 1; Cor 8,6; Col 1,16). La lettera dà
luce per comprendere perché il Figlio si è incarnato e non il Padre o lo Spirito
Santo. Infatti se tutte le cose sono state create per mezzo di lui, nel senso
che il Padre ha visto nel Figlio, che è il Pensiero persona del Padre,
consustanziale al Padre, era giusto che venissero ricreate, cioè liberate dalla
caducità del peccato, dal Figlio.
3
Egli è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza, e tutto
sostiene con la sua parola potente.
“Irradiazione
della sua gloria”. Il Figlio incarnatosi è irraggiamento della gloria del Padre. La
metafora dell'irraggiamento è ispirata a (Sap 7,26), ma la parola apaugasma
(riflesso, splendore) è usata in senso attivo. L'irraggiamento procede
dalla fonte, mentre il riflesso ha prima incontrato un corpo che riflette il
raggio. Così, la metafora esprime la divinità del Figlio. Il Padre generando da
tutta l'eternità, senza cominciamento, il Figlio gli comunica la sua maestà e la
potenza, cioè la sua gloria, senza per questo perdere nulla di sé, poiché è Luce
che genera Luce: “Lumen de lumine”, si dice nel Credo.
“Impronta
della sua sostanza”. L'impronta ha in sé i tratti del sigillo che la genera, ed è
fatta su materia diversa (cera, o altro materiale impressionabile). Il testo
parte dall'immagine dell'impronta, ma afferma che il Figlio essendo impronta
sostanziale del Padre, ha in se stesso la natura e le stesse perfezioni del
Padre. Così il Figlio è consustanziale al Padre e nello stesso tempo distinto
dal Padre.
“Tutto
sostiene con la sua parola potente”. Il Figlio
sostiene tutte le cose nell'essere (Col 1,17). Se ciò non fosse vorrebbe dire
che la creazione è diventata sussistente, cioè avendo ragione del proprio essere
in sé, ma ciò non può essere.
Dopo aver compiuto la purificazione dei peccati, sedette alla destra della
maestà nell’alto dei cieli,
4
divenuto tanto superiore agli angeli quanto più eccellente del loro è
il nome che ha ereditato.
“Sedette
alla destra della maestà nell’alto dei cieli”. La
glorificazione del Figlio incarnatosi con la missione di liberare gli uomini dai
peccati, lo rende re plenipotenziario, il che vuol dire che tutto gli è
sottomesso, anche le schiere angeliche. Secondo la natura umana assunta il
Figlio
“fu fatto
di poco inferiore agli angeli” (2,7-8), ma ora nella gloria della destra del Padre è anche
riguardo alla natura umana assunta superiore agli angeli. La divinità di Cristo
ha preso totale possesso dell'umanità assunta per cui nella lettera ai Romani
viene detto (1,4): “Costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità,
in virtù della risurrezione dei morti”.
La lettera agli Ebrei rilancia quanto Paolo ha detto nella lettera ai Colossesi
circa il primato di Cristo sugli angeli. Un errore dei giudaizzanti era quello
di seguire, introducendolo nel pensiero teologico, come già Filone Alessandrino,
il modello platonico, dove il mondo delle idee è intermedio tra l'uomo e l'Uno.
I giudaizzanti mettevano come intermediari necessari per giungere a Dio gli
angeli facendo così venire meno tutta la realtà di Cristo, ridotto a semplice
uomo-Messia. Negando il Figlio non avevano accesso al Padre e negavano parimenti
la divinità dello Spirito Santo che la lettera nomina più volte (2,4; 3,7; 9,14;
10,15.29)
Cristo è superiore agli angeli
5
Infatti, a quale degli angeli Dio ha mai detto:
Tu sei mio figlio, oggi ti
ho generato? (Ps 2,7)
E ancora:
Io sarò per lui padre
ed egli sarà per me figlio?
(2Sam 7,14)
6
Quando invece introduce il primogenito nel mondo, dice:
Lo adorino tutti gli angeli
di Dio. (Dt 32,43; Ps 96/97,7)
7
Mentre degli angeli dice:
Egli fa i suoi angeli simili
al vento,
e i suoi ministri come
fiamma di fuoco, (Ps 103/104,4)
8
al Figlio invece dice:
Il tuo trono, Dio, sta nei
secoli dei secoli;
e:
Lo scettro del tuo regno è
scettro di equità;
9 hai amato la giustizia e
odiato l’iniquità,
perciò Dio, il tuo Dio, ti
ha consacrato
con olio di esultanza, a
preferenza dei tuoi compagni.(Ps 44/45,7-8)
10
E ancora:
In principio tu, Signore,
hai fondato la terra
e i cieli sono opera delle
tue mani.
11
Essi periranno, ma tu
rimani;
tutti si logoreranno come un
vestito.
12
Come un mantello li
avvolgerai,
come un vestito anch’essi
saranno cambiati;
ma tu rimani lo stesso e i
tuoi anni non avranno fine. (Ps 101/102,26-28)
13
E a quale degli angeli poi ha mai detto:
Siedi alla mia destra,
finché io non abbia messo i
tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi? (Ps 109/110,1)
14
Non sono forse tutti spiriti incaricati di un ministero, inviati a servire
coloro che erediteranno la salvezza?
L'autore della lettera presenta come la Scrittura dichiari la supremazia di
Cristo sugli angeli
“Tu
sei mio figlio, oggi ti ho generato”. “Oggi”
si riferisce all'incarnazione del Figlio nel grembo di Maria per potenza di
Spirito Santo. Ma l'oggi include pure la risurrezione e glorificazione
dell'umanità di Cristo (Rm 1,4).
“Il
tuo trono, Dio, sta nei secoli dei secoli”. Questa
citazione è posta in contrapposto agli angeli che sono dei messaggeri soggetti
all'eterno Re, che siede stabile sul trono.
“Perciò Dio, il tuo Dio, ti
ha consacrato con olio di esultanza, a preferenza dei tuoi compagni”.
Il testo viene letto come una dichiarazione della divinità di Cristo, e non più
come un titolo protollare di corte dato al re di Gerusalemme.
“A
preferenza dei tuoi compagni” Nei compagni
sono da vedersi i discendenti dinastici di Davide. La designazione del Padre
trascende la dinastia davidica - interrotta con l'esilio a Babilonia. La
consacrazione di Cristo davanti a Israele avvenne nella discesa dello Spirito
Santo dopo il battesimo nel Giordano.
“In
principio tu, Signore, hai fondato la terra e i cieli sono opera delle tue mani”.
L'autore ispirato passa subito, dopo aver presentato la trascendente investitura
regale di Cristo, all'affermazione, citando la Scrittura, che Cristo possiede
come il Padre la natura divina, essendo l'Essenza rigorosamente una. Il Figlio è
così creatore ed è prima di tutte le cose essendo eterno, anzi la stessa
eternità. “I tuoi anni non avranno fine”.
“Siedi
alla mia destra”. La consacrazione al Giordano ha trovato il suo glorioso
compimento nello stare in cielo alla destra del Padre. Nessun angelo ha mai
avuto una tale grandezza. Essi sono solo dei ministri “inviati
a servire coloro che erediteranno la salvezza”.
Esortazione
2
1
Per questo bisogna che ci dedichiamo con maggiore impegno alle cose che abbiamo
ascoltato, per non andare fuori rotta.
2 Se, infatti, la
parola trasmessa per mezzo degli angeli si è dimostrata salda, e ogni
trasgressione e disobbedienza ha ricevuto giusta punizione,
3
come
potremo noi scampare se avremo trascurato una salvezza così grande? Essa
cominciò a essere annunciata dal Signore, e fu confermata a noi da coloro che
l’avevano ascoltata,
4
mentre Dio ne dava testimonianza con segni e prodigi e miracoli d’ogni genere e
doni dello Spirito Santo, distribuiti secondo la sua volontà.
“Alle
cose che abbiamo ascoltato”, cioè l'annuncio del Vangelo da parte degli apostoli.
“La
parola trasmessa per mezzo degli angeli”. I Sadducei
interpretavano l'angelo di Jahvéh (Gn 18,7; 22,11; 22,15; Es 3,2; 14,19; Nm
22,22; Gdc 2,1; 5,23; 6,11; 13,3.6.9; 13,20; 1Re 19,7; 2Re 1,3.15; 19,35) come
una raffigurazione di Dio. I Farisei invece avevano disunito l'angelo da Jahvéh,
ne seguiva che si doveva trattare di angeli inviati dal Signore. Per accentuare
la trascendenza di Dio avevano poi concluso che a Mosè avevano parlato degli
angeli (At 7,38.53; Gal 3,19). Questa posizione aveva presso i Giudei il favore
maggioritario.
“Fu
confermata a noi da coloro che l’avevano ascoltata”;
cioè dagli apostoli. “Confermata”, perché l'annuncio era accompagnato da “segni
e prodigi e miracoli”. Gesù aveva molte volte insegnato nel tempio di Gerusalemme, così
gli apostoli confermarono a quanti avevano ascoltato Gesù il valore delle sue
parole.
Sovranità di Cristo su tutto il creato
5
Non certo a degli angeli Dio ha sottomesso il mondo futuro, del quale parliamo.
6
Anzi, in un passo della Scrittura qualcuno ha dichiarato:
Che cos’è l’uomo perché di
lui ti ricordi
o il figlio dell’uomo perché
te ne curi?
7
Di poco l’hai fatto
inferiore agli angeli,
di gloria e di onore l’hai
coronato
8
e hai messo ogni cosa sotto
i suoi piedi. (Ps 8,5-7)
Avendo sottomesso a lui tutte le cose, nulla ha lasciato che non gli fosse
sottomesso. Al momento presente però non vediamo ancora che ogni cosa sia a lui
sottomessa.
9
Tuttavia quel Gesù, che fu fatto di poco inferiore agli angeli, lo
vediamo coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto,
perché per la grazia di Dio egli provasse la morte a vantaggio di tutti.
“Il
mondo futuro” è il tempo della nuova alleanza che non ha come l'antica la
mediazione angelica. Il mondo futuro, presentato in confronto a quello passato,
è sottoposto direttamente al Figlio di Dio, e avrà il suo compimento nel
mondo futuro (Mt 12,32; Ef 1,21), cioè quello eterno del cielo.
“Fu
fatto di poco inferiore agli angeli”. Inferiore quanto alla
natura umana assunta, ma questa, immolata sulla croce, nella risurrezione
gloriosa è posta al disopra di quella angelica (Fil 2,10), poiché Cristo siede
alla destra del Padre.
“Perché
per la grazia di Dio egli provasse la morte a vantaggio di tutti”.
La passione sostenuta da Cristo è grazia di Dio per la salvezza di tutti.
Infatti, in quella morte di croce noi siamo salvati e possiamo vedere in essa
l'immisurabile amore di Dio per noi.
La perfezione di Cristo in quanto uomo raggiunta mediante la sofferenza
10
Conveniva infatti che Dio - per il quale e mediante il quale esistono tutte le
cose, lui che conduce molti figli alla gloria - rendesse perfetto per mezzo
delle sofferenze il capo che guida alla
salvezza.
11 Infatti, colui
che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una
stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli fratelli,
12
dicendo:
Annuncerò il tuo nome ai
miei fratelli,
in mezzo all’assemblea
canterò le tue lodi; (Ps 21/22,23)
13
e ancora:
Io metterò la mia fiducia in
lui; (Is 8,17)
e inoltre:
Eccomi, io e i figli che Dio
mi ha dato. (Is 8,18)
“Conveniva
infatti che Dio”; quando si parla di Dio non si parla di necessità, poiché la sua
azione è sempre libera. La salvezza dalla triste condizione dei figli di Adamo
non è dovuta, ma donata.
“Rendesse
perfetto per mezzo delle sofferenze il capo che guida alla
salvezza”.
L'amore si afferma in tutta la sua potenza nella sofferenza. La sofferenza pone
ad un bivio: da una parte c'è la voce della carne e dall'altra c'è l'obbedienza
a Dio attuata nell'amore. Cristo scelse l'obbedienza portando il suo cuore ad un
incendio d'amore per gli uomini, conquistandoli. E' il capo che guida, non come
Mosè che guidò alla liberazione dal faraone terreno per l'ingresso alla terra
promessa, ma alla salvezza, cioè alla liberazione dalle catene del peccato e al
cielo, già chiuso per i peccati. “Perfetto”,
cioè capace di attirare gli uomini distruggendo ogni possibile dubbio circa
l'amore di Dio per gli uomini.
“Colui
che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa
origine”.
Cristo assumendo una natura umana è entrato a far parte della stirpe di Adamo,
nato da donna figlia di Adamo, ma senza la macchia della colpa originale.
“Per
questo non si vergogna di chiamarli fratelli”. La natura
umana assunta dal Figlio lo fa fratello degli uomini.
“Io
metterò la mia fiducia in lui”. Cristo come uomo si è abbandonato alla volontà del Padre.
“Eccomi,
io e i figli che Dio mi ha dato”. Cristo per
la sua obbedienza al Padre è il nuovo Adamo, così da ottenere che la discendenza
di Adamo diventasse secondo la grazia sua discendenza.
Come si vede i testi biblici non si susseguono a caso, ma hanno una
concatenazione logica.
14
Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche Cristo allo
stesso modo ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte
colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo,
15
e liberare così quelli che, per timore della morte, erano soggetti a schiavitù
per tutta la vita.
16 Egli infatti non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di
Abramo si prende cura.
17 Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un
sommo sacerdote misericordioso e degno di fede nelle cose che riguardano Dio,
allo scopo di espiare i peccati del popolo.
18
Infatti, proprio per essere stato messo alla prova e avere sofferto
personalmente, egli è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la
prova.
“Per
ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè
il diavolo”. La morte di croce, sostenuta da Cristo nell'amore, ha reso
impotente il diavolo, cioè gli ha spuntato tutte le armi che può mettere in
campo per portare gli uomini a dubitare dell'amore di Dio. Il diavolo pone il
suo potere sulla morte, sulla morte tragica inflitta dagli uomini che sono sua
stirpe, agli altri uomini.
“Liberare
così quelli che, per timore della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la
vita”. La paura della condanna a morte inflitta dagli empi per
mantenere il loro potere teneva nel timore gli uomini, sottomettendoli loro
malgrado alla schiavitù dell'ingiustizia. Più generalmente, la morte è entrata
nel mondo per invidia del diavolo (Sap 2,24) e su questa continua a far leva il
Maligno affinché gli uomini si appiattiscano al presente.
“Egli
infatti non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo si prende
cura”. L'uomo è così liberato in Cristo dal timore della morte, avendo
cura “della stirpe di Abramo”. I credenti
in Cristo, sono per la fede stirpe vera di Abramo (Gal 3,7).29. Con queste
parole l'autore pone già l'accento sulla fede, che svilupperà verso il termine
della lettera (11,1s).
“Infatti,
proprio per essere stato messo alla prova e avere sofferto personalmente, egli è
in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova”.
Essendo stato sottoposto alla prova dell'obbedienza di fronte alle sofferenze
della morte di croce (5,7) e averla sostenuta, Cristo ha ogni titolo davanti al
Padre per essere nostro aiuto nel momento della prova; il Padre potrà avere
momenti di silenzio su di noi, potrà “abbandonarci”, cioè lasciarci senza
consolazione nel momento della prova, ma Cristo sempre rimane con noi
sostenendoci.
Cristo è superiore a Mosè
3
1
Perciò, fratelli santi, voi che siete partecipi di una vocazione celeste,
prestate attenzione a Gesù, l’apostolo e sommo sacerdote della fede che noi
professiamo,
2
il quale è degno di fede per colui che l’ha costituito tale, come lo
fu anche Mosè in tutta la sua casa.
3
Ma, in
confronto a Mosè, egli è stato giudicato degno di una gloria tanto maggiore
quanto l’onore del costruttore della casa supera quello della casa stessa.
4
Ogni casa infatti viene costruita da qualcuno; ma colui che ha costruito tutto è
Dio.
5
In verità
Mosè fu degno di fede in tutta la sua casa
come servitore, per dare testimonianza di ciò che doveva essere
annunciato più tardi.
6 Cristo, invece, lo fu come figlio, posto sopra la sua casa. E la sua
casa siamo noi, se conserviamo la libertà e la speranza di cui ci vantiamo.
La lettera qui si riferisce a quanto sostenevano i Sadducei, che
misconoscendo l'esistenza degli angeli ponevano ogni grandezza in Mosè, quale
persona più importante, mediatore dell'alleanza e maestro di Israele per
eccellenza. I Sadducei riconoscevano come scritto da Mosè solo il Pentateuco,
rifiutando così gli altri libri biblici. Essi indubbiamente consideravano l'angelo
del Signore (Gn 16,7; 22,11, ecc. Es 3,2; 14,19; Nm 22,22; Gdc 2,1; ecc)
come un segno, un'immagine, della presenza di Jahvéh, e dunque non un angelo; e
su questo si può essere d'accordo. I Farisei invece accoglievano anche gli altri
libri biblici e sostenevano, giustamente, che esistono gli angeli. Essi
parlavano anche di spiriti distinti dagli angeli (At 23,8), intendendo
con tutta probabilità le anime dei defunti, che potevano, secondo il loro
pensiero, uscire dallo Sheol. Il caso di Samuele (1Sam 28,14) non indica però,
una regola. I Farisei credevano nell'esistenza dell'anima. L'esistenza delle
anime non pare che fosse negata dai Sadducei, anche se Giuseppe Flavio ne pone
il sospetto (Bell. Iud., II, 8, 14), ed è congetturabile quindi che
affermassero semplicemente che gli spiriti non potessero uscire dallo
Sheol. Quello che di più profondo caratterizzava i Sadducei rispetto ai Farisei
era il non credere nella risurrezione dei morti, ed è su questo punto che Paolo
fece leva per uscire da una situazione estremamente difficile.
Ma circa la celebrazione della figura di Mosè c'erano rabbini che
erano giunti a considerarlo addirittura superiore agli angeli per il suo ruolo
in Israele (Cf. Manuel Biblique: Fulcran Vigouroux - Augustin Brassac
-, Vol. IV, pag. 521-522, Paris 1908/1909).
Era dunque necessario che la lettera agli Ebrei ponesse Mosè a diretto confronto
con Cristo mostrando che Mosè non è il costruttore della casa, ma fu
soltanto un servitore della casa. Il costruttore della casa è Cristo, il
Figlio del Padre.
L'obbedienza alla Parola è fonte di pace
7
Per questo, come dice lo Spirito Santo:
Oggi, se udite la sua voce,
8 non indurite i vostri cuori
come nel giorno della
ribellione,
il giorno della tentazione
nel deserto,
9 dove mi tentarono i vostri
padri mettendomi alla prova,
pur avendo visto per
quarant’anni le mie opere.
10 Perciò mi disgustai di
quella generazione
e dissi: hanno sempre il
cuore sviato.
Non hanno conosciuto le mie
vie.
11 Così ho giurato nella mia
ira:
non entreranno nel mio
riposo. (Ps 94/95,7-11)
“Oggi,
se udite la sua voce...”.
Il passo del salmo è usato in senso tipologico per Cristo, Parola
del Padre. Non ascoltare tale Parola equivale ad indurire il cuore “come
nel giorno della ribellione”. La ribellione si
manifestò nel provocare Dio considerandolo inaffidabile (Es 17,1; Nm 14,22;
16,1s; 20,2-13; Dt 6,16; 33,8). Ma Dio è infinitamente affidabile e lo ha
testimoniato, ben oltre la grande e fortemente convincente testimonianza della
liberazione dall'Egitto, con il Figlio inviato per spezzare le catene dei nostri
peccati, tenute in mano dal faraone infernale.
12
Badate, fratelli, che non si trovi in nessuno di voi un cuore perverso e senza
fede che si allontani dal Dio vivente.
13 Esortatevi
piuttosto a vicenda ogni giorno, finché dura questo oggi, perché nessuno di voi
si ostini, sedotto dal peccato.
14
Siamo infatti diventati partecipi di Cristo, a condizione di
mantenere salda fino alla fine la fiducia che abbiamo avuto fin dall’inizio.
15
Quando si dice:
Oggi, se udite la sua voce,
non indurite i vostri cuori
come nel giorno della
ribellione, (Ps 94/95,7s)
16
chi furono quelli che, dopo aver udito la sua voce, si ribellarono? Non furono
tutti quelli che erano usciti dall’Egitto sotto la guida di Mosè?
17
E chi furono coloro di cui si è disgustato per quarant’anni? Non furono quelli
che avevano peccato e poi caddero cadaveri nel deserto?
18
E a chi giurò che non sarebbero entrati nel suo riposo, se non a quelli che non
avevano creduto?
19 E noi vediamo che non poterono entrarvi a causa della loro mancanza
di fede.
Attenzione a non perdere la meta della gioia del Cielo
4
1 Dovremmo dunque avere il timore che, mentre rimane ancora in vigore
la promessa di entrare nel suo riposo, qualcuno di voi ne sia giudicato escluso.
2 Poiché anche noi, come quelli, abbiamo ricevuto il Vangelo: ma a
loro la parola udita non giovò affatto, perché non sono rimasti uniti a quelli
che avevano ascoltato con fede.
3 Infatti noi,
che abbiamo creduto, entriamo in quel riposo, come egli ha detto:
Così ho giurato nella mia
ira:
non entreranno nel mio
riposo! (Ps 94/95,11)
“Ma
a loro la parola udita non giovò affatto”. Sono i
Giudei che ascoltarono il messaggio evangelico direttamente da Cristo e vi
aderirono per un attimo, ma non rimasero uniti a quelli che l'ascoltarono con
fede e perseverarono. Chi si allietò per un attimo della parola di Cristo, non
può entrare nel suo riposo, cioè il cielo. Non più la terra promessa, come
riposo dal lungo cammino nel deserto, ma il cielo come riposo nel premio eterno.
Questo, benché le sue opere fossero compiute fin dalla fondazione del mondo.
4
Si dice infatti in un passo della Scrittura a proposito del settimo giorno:
E nel settimo giorno Dio si
riposò da tutte le sue opere (Gn 2,2). 5 E ancora in questo passo: Non entreranno nel mio riposo! 6 Poiché dunque
risulta che alcuni entrano in quel riposo e quelli che per primi ricevettero il
Vangelo non vi entrarono a causa della loro disobbedienza,
7
Dio fissa
di nuovo un giorno, oggi, dicendo mediante Davide, dopo tanto tempo:
Oggi, se udite la sua voce,
non indurite i vostri cuori!
(Ps 94/95,7s)
8
Se Giosuè infatti li avesse introdotti in quel riposo, Dio non avrebbe parlato,
in seguito, di un altro giorno.
9
Dunque, per il
popolo di Dio è riservato un riposo sabbatico.
10 Chi infatti è
entrato nel riposo di lui, riposa anch’egli dalle sue opere, come Dio dalle
proprie.
11
Affrettiamoci dunque a entrare in quel riposo, perché nessuno cada nello stesso
tipo di disobbedienza.
“Questo,
benché le sue opere fossero compiute fin dalla fondazione del mondo...”.
Al termine della creazione Dio riposò dalle sue opere (Gn 2,2), e questo era il
riferimento del riposo sabbatico ”per il popolo di
Dio è riservato un riposo sabbatico”, e c'era pure il riposo nella terra promessa (Nm 14,30; Ps
94/95,11) al termine del cammino nel deserto e delle battaglie per la conquista
della terra di Canaan “Se Giosuè infatti li avesse
introdotti in quel riposo “. Nonostante il riposo sabbatico riferito alla creazione del
mondo apparisse fondato definitivamente per sempre, come pure il riposo nella
terra di Canaan, Dio nel salmo parla di un oggi, e quindi presenta un
nuovo giorno di riposo (è a questo fine viene ripresentato il versetto del
salmo 94/95), un giorno senza tramonto, che è quello eterno nel cielo: “riposa
anch’egli dalle sue opere, come Dio dalle proprie”.
Questo giorno eterno di riposo sorge dalla morte e risurrezione di Cristo, che
ha aperto i cieli. Il giorno di riposo fissato per il sabato è sostituito dal
giorno dopo il sabato (1Cor 16,2), giorno della risurrezione, primo giorno di
una rinnovata creazione, che prelude ai nuovi cieli e nuova terra (Is 65,17; Ap
21,1).
12
Infatti la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio
taglio; essa penetra fino al
punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle
midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore.
13
Non vi è creatura che possa nascondersi davanti a Dio, ma tutto è nudo e
scoperto agli occhi di colui al quale noi dobbiamo rendere conto.
“Infatti
la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio
taglio...”.
La parola di Dio non è solo letta o ascoltata, ma è fatta brillare dallo Spirito
Santo nell'interiore dell'uomo. La parola di Dio è così penetrante, e quindi
crea situazioni nel cuore (Is 55,10-11). La spada a tue tagli penetra più
facilmente di quella a un solo taglio.
“Punto
di divisione dell’anima e dello spirito”. L'anima è
una, ma si dice spirito, per intenderci, la parte superiore dell'anima:
intelletto e volontà. Il punto di divisione è quello che segna il dominio
dell'intelletto e della volontà sulla parte inferiore dell'anima, che è quella
delle potenze sensitive e vegetative, che si attuano nell'unione col corpo.
Così, la parola di Dio chiama a dominare i bassi istinti della carne.
La parola di Dio è efficace poiché mette l'uomo allo scoperto, lo smaschera, gli
denuncia le ipocrisie e se l'uomo la rifiuta, rifiuta non solo Dio, ma la verità
su se stesso.
Gli effetti della Parola in un cuore non sfuggono a Dio, che vede la risposta
dell'uomo alla sua Parola e su ciò
basa il suo giudizio (Gv 12,48) di premio o di condanna .
Gesù sommo sacerdote della nuova alleanza
14
Dunque, poiché abbiamo un sommo sacerdote grande, che è passato attraverso i
cieli, Gesù il Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della fede.
15
Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre
debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso
il peccato.
16
Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere
misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno.
“Dunque,
poiché abbiamo un sommo sacerdote grande”. La lettera
riprende il tema del sommo sacerdozio di Cristo (3,1), dopo aver dimostrato coi
testi biblici la superiorità di Cristo sugli angeli e su Mosè. La forza di
confutazione dell'argomentazione biblica sta nel fatto che i Giudei conoscevano
quei passi per i quali, insieme a tutti gli altri della Scrittura (Mt 21,13;
22,42; Lc 11,52; 16,19) avrebbero dovuto accogliere Cristo.
“Che
è passato attraverso i cieli, Gesù il Figlio di Dio”.
La lettera fa riferimento al sommo sacerdote dell'antica alleanza, che entrava
una volta all'anno nel Santo dei Santi per il rito di espiazione dei peccati del
popolo (Lv 16,1s; 23,26; Nm 29,7-11). Cristo è passato nel tempio celeste della
gloria e non attraverso il velo del tempio, come il sommo sacerdote della
passata e provvisoria alleanza, ma attraverso i cieli, e non si è posto davanti
all'arca, ma alla destra del Padre.
“Infatti
non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre
debolezze...”. Riprende quanto ha già presentato in (2,18), ma con nuove
profondità. Cristo dall'interno della sua esperienza - “egli
stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi”
-, che non ha conosciuto il peccato, comprende la nostra realtà di uomini e con
ciò la sua grande misericordia nel soccorrerci. Il suo aiuto non consiste solo
nell'esserci misericordiosamente vicino, ma anche nel fatto che lo sentiamo
vicino avendo egli sofferto tutto ciò che si può soffrire: emarginazione,
fraintendimento, insulto, tradimento, abbandono dei discepoli, accusa di essere
più colpevole di un criminale, quale era Barabba, scherni, flagellazione,
coronazione di spine, arsura, morte di croce, silenzio del Padre.
5
1 Ogni sommo sacerdote, infatti, è scelto fra gli uomini e per gli
uomini viene costituito tale nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e
sacrifici per i peccati.
2 Egli è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono
nell’ignoranza e nell’errore, essendo anche lui rivestito di debolezza.
3
A causa di questa egli deve offrire sacrifici per i peccati anche per se stesso,
come fa per il popolo.
4
Nessuno attribuisce a se stesso questo onore, se non chi è chiamato da Dio, come
Aronne.
5 Nello stesso modo Cristo non attribuì a se stesso la gloria di sommo
sacerdote, ma colui che gli disse:
Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato (Ps 2,7), gliela
conferì
6
come è detto in un altro passo:
Tu sei sacerdote per sempre,
secondo l’ordine di
Melchìsedek. (Ps 109/110,4)
7
Nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche, con forti
grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno
abbandono a lui, venne esaudito.
8 Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì
9
e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli
obbediscono,
10 essendo stato proclamato da Dio sommo sacerdote secondo l’ordine di
Melchìsedek.
“Ogni
sommo sacerdote”. La lettera pone ora l'accento sui punti che provano come Cristo
sia veramente Sommo sacerdote.
Il sommo sacerdote era eletto tra gli uomini, dunque un uomo e Cristo era vero
Dio e vero uomo, membro dell'umanità, e quindi non un angelo.
Il sommo sacerdote deve compatire quelli che sono nell'ignoranza e nell'errore,
essendo anche lui rivestito di debolezza. La debolezza del sommo sacerdote
dell'antica alleanza comprendeva anche la debolezza verso il peccato, per questo
doveva offrire sacrifici di espiazione per se stesso.
Il nuovo e grande sacerdote non ha conosciuto il peccato, e la sua debolezza è
stata quella di non usare della sua onnipotenza di fronte agli accusatori e
crocifissori, volendo avere la debolezza di un uomo indifeso, difeso solo
dall'obbedienza al Padre, ma in tal modo ha sperimentato la debolezza della
carne di fronte al dolore e anche di fronte alla tentazione, e dunque è un sommo
sacerdote che comprende le debolezze umane.
Il sommo sacerdote è preposto alle “cose che riguardano Dio, per
offrire doni e sacrifici per i peccati”. Ora Cristo non ha
offerto sacrifici di immolazione di animali per i peccati, ma ha offerto se
stesso in espiazione dei peccati del mondo.
Il sommo sacerdote ebraico aveva la radice della sua chiamata nella chiamata di
Aronne e dei suoi figli ad un sacerdozio che sarebbe stato ereditario (Es 28,1s;
29,4s; Nm 3,10; 17,6.8, ecc). Ora Cristo è stato eletto Sommo sacerdote dal
Padre (2,17-18; 4,15): “Nello stesso modo Cristo non attribuì a se stesso la gloria di sommo
sacerdote”.
“Tu
sei sacerdote per sempre, secondo l’ordine di Melchìsedek”.
Ma il sacerdozio di Cristo non è secondo quello di Aronne, ma secondo l'ordine
di Melchìsedek.
“Nei
giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche, con forti grida
e lacrime”. Cristo sommo sacerdote perseguitato e messo a morte ha offerto
con ciò un sacrificio perfetto a Dio Padre in espiazione dei peccati del mondo.
Egli ha sentito nella sua umanità la ripulsione per la morte di croce, e pregò
il Padre con forti grida e lacrime: il riferimento è l'agonia dell'orto degli
ulivi (Mt 26,37s; Mc 14,34s; Lc 22,42s). I particolari che la lettera agli Ebrei
riferisce sono del tutto drammatici e ben concordano col la sudorazione di
sangue.
“A
Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne
esaudito”.
Dio poteva liberarlo dalla morte di croce e Gesù lo chiese: “Padre
mio, se è possibile, passi via da me questo calice”; ma
poi si abbandonò alla volontà del Padre: “Però non come voglio io, ma
come vuoi tu”.
“Per
il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito”. Venne
esaudito secondo il disegno del Padre, mediante la risurrezione gloriosa.
“Pur
essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì”.
Cristo poteva presentarsi al Padre nell'orto degli ulivi presentando il sangue
sparso come sufficiente alla redenzione, e perciò come uguale al Padre poteva
sottrarsi alla morte di croce. Ma non lo fece poiché in realtà non ci avrebbe
salvati dandoci come esempio la fuga dalla sofferenza. Per questo il Padre volle
che il Figlio non si sottraesse alla morte di croce. Con ciò egli divenne
perfetto salvatore: “Reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che
gli obbediscono”.
“Essendo
stato proclamato da Dio sommo sacerdote secondo l’ordine di Melchìsedek”.
Cristo è stato Sommo sacerdote fin dalla nascita e ha esercitato il suo
sacerdozio mediante l'accettazione, nell'obbedienza al Padre, della sua
immolazione sul calvario: vittima, ma anche sacerdote, e non secondo l'ordine di
Aronne, ma secondo un nuovo ordine che aboliva il primo..
Esortazione
11
Su questo argomento abbiamo molte cose da dire, difficili da spiegare perché
siete diventati lenti a capire.
12 Infatti voi, che a motivo del tempo trascorso dovreste essere
maestri, avete ancora bisogno che qualcuno v’insegni i primi elementi delle
parole di Dio e siete diventati bisognosi di latte e non di cibo solido.
13
Ora, chi si nutre ancora di latte non ha l’esperienza della dottrina della
giustizia, perché è ancora un bambino.
14 Il nutrimento
solido è invece per gli adulti, per quelli che, mediante l’esperienza, hanno le
facoltà esercitate a distinguere il bene dal male.
“Infatti
voi, che a motivo del tempo trascorso dovreste essere maestri”.
La comunità dopo il primo fervore non ha sfruttato il tempo per crescere
nell'assimilazione della verità. E' bisognosa ancora che qualcuno le insegni “i
primi elementi delle parole di Dio”. Questa
situazione fa pensare che l'autore della lettera sia stato assente dalla
comunità per diversi anni.
“Ora,
chi si nutre ancora di latte non ha l’esperienza della dottrina della giustizia”.
Non basta conoscere gli elementi della dottrina cristiana “dottrina
della giustizia”, bisogna tradurli in realtà di vita. In tal modo la dottrina di
giustizia viene compresa nella sua bellezza e forza di cambiamento per
esperienza vissuta. L'esperienza fa comprendere quanto sia buio il male e
luminoso il bene fino ad avere nausea del male e desiderio ardente del bene: “Il
nutrimento solido è invece per gli adulti, per quelli che, mediante
l’esperienza, hanno le facoltà esercitate a distinguere il bene dal male”.
6
1 Perciò, lasciando da parte il discorso iniziale su Cristo, passiamo
a ciò che è completo, senza gettare di nuovo le fondamenta: la rinuncia alle
opere morte e la fede in Dio,
2 la dottrina dei
battesimi, l’imposizione delle mani, la risurrezione dei morti e il giudizio
eterno.
3
Questo noi lo faremo, se Dio lo permette.
“Perciò,
lasciando da parte il discorso iniziale su Cristo”.
Il rimprovero lascia il posto alla comunicazione di “ciò
che è completo”. La comunità avrebbe dovuto arrivarci con i mezzi che aveva, cioè
“le parole di Dio”, l'annuncio di Cristo da
parte degli apostoli: “il discorso iniziale su Cristo (...) la dottrina dei battesimi...(la
distinzione del Battesimo di Cristo, da quello di Giovanni e dalle varie
abluzioni rituali giudaiche)”, i Sacramenti, la preghiera, i doni dello Spirito
Santo, ma aveva rallentato la sua corsa iniziale di fronte alle difficoltà che i
Giudei e i cristiani giudaizzanti e anche i seguaci di Tebuthe le ponevano
dinanzi.
“Questo
noi lo faremo, se Dio lo permette”. Cioè
passare”
a ciò che è completo”.
Dramma dell'indurimento del cuore
4
Quelli, infatti, che sono stati una volta illuminati e hanno gustato il dono
celeste, sono diventati partecipi dello Spirito Santo
5
e hanno gustato la buona parola di Dio e i prodigi del mondo futuro.
6
Tuttavia, se sono caduti, è impossibile rinnovarli un’altra volta portandoli
alla conversione, dal momento che, per quanto sta in loro, essi crocifiggono di
nuovo il Figlio di Dio e lo espongono all’infamia.
7
Infatti, una terra imbevuta della pioggia che spesso cade su di essa, se produce
erbe utili a quanti la coltivano, riceve benedizione da Dio;
8
ma se produce spine e rovi, non vale nulla ed è vicina alla maledizione: finirà
bruciata!
“Tuttavia,
se sono caduti, è impossibile rinnovarli un’altra volta portandoli alla
conversione”. L'apostasia è la rottura con la Verità. Qui si ha il “peccato
contro lo Spirito Santo” (Mt 12,31; Mc 3,29; Lc
12,10), che non può essere perdonato perché il soggetto si radica nel ritenere
vero ciò che è falso e falso ciò che è vero. Tale peccato non comporta un blocco
della misericordia da parte di Dio, ma ne impedisce l'esercizio. L'apostasia è
il vertice devastante di un'eresia, poiché l'eresia, se pervicacemente
trattenuta e giustificata, come un virus micidiale viene a vulnerare, anche
sottilmente, le verità ancora presenti in un cuore. San Paolo ci rammenta
infatti che “un
po' di lievito fa fermentare tutta la pasta” (Gal 5,9).
Non si vuole parlare dei fratelli separati che hanno ereditato delle dottrine
eretiche e sono in buona fede, ma di quelli che le hanno introdotte e
propugnate.
“Dal
momento che, per quanto sta in loro, essi crocifiggono di nuovo il Figlio di Dio”.
Il crocifiggere di nuovo Cristo equivale a rifiutarlo, a deriderlo e a soffocare
l'orientamento a lui dato dal carattere ricevuto nel Battesimo.
Motivi di speranza
9
Anche se a vostro riguardo, carissimi, parliamo così, abbiamo fiducia che vi
siano in voi cose migliori, che portano alla salvezza.
10 Dio
infatti non è ingiusto tanto da dimenticare il vostro lavoro e la carità che
avete dimostrato verso il suo nome, con i servizi che avete reso e che tuttora
rendete ai santi.
11
Desideriamo soltanto che ciascuno di voi dimostri il medesimo zelo perché la sua
speranza abbia compimento sino alla fine,
12
perché non diventiate pigri, ma piuttosto imitatori di coloro che, con la fede e
la costanza, divengono eredi delle promesse.
13
Quando infatti Dio fece la promessa ad Abramo, non potendo giurare per uno
superiore a sé, giurò per se stesso
14 dicendo: Ti benedirò con ogni benedizione e renderò molto
numerosa la tua discendenza (Gn 22,17).
15 Così
Abramo, con la sua costanza, ottenne ciò che gli era stato promesso.
16
Gli uomini infatti giurano per qualcuno maggiore di loro, e per loro il
giuramento è una garanzia che pone fine a ogni controversia. 17 Perciò
Dio, volendo mostrare più chiaramente agli eredi della promessa l’irrevocabilità
della sua decisione, intervenne con un giuramento,
18
affinché,
grazie a due atti irrevocabili, nei quali è impossibile che Dio mentisca, noi,
che abbiamo cercato rifugio in lui, abbiamo un forte incoraggiamento ad
afferrarci saldamente alla speranza che ci è proposta.
19 In essa
infatti abbiamo come un'ancora sicura e salda per la nostra vita: essa entra
fino al di là del velo del santuario,
20
dove Gesù è entrato come precursore per noi, divenuto sommo sacerdote per sempre
secondo l’ordine di Melchìsedek.
“Imitatori
di coloro che, con la fede e la costanza, divengono eredi delle promesse”.
Si tratta di coloro che mediante la fede e la costanza di vita, fondata
sull'obbedienza vera alla Legge, ora riconoscono e accolgono Cristo e diventano
eredi delle promesse fatte ai patriarchi che si attuano in Cristo e per mezzo di
Cristo. Il loro esempio sollecita un impegno coraggioso per quei giudei divenuti
cristiani, ora intimiditi dalle situazioni di ostilità giudaica.
“Quando
infatti Dio fece la promessa ad Abramo, non potendo giurare per uno superiore a
sé, giurò per se stesso”. Le promesse di Dio non
vengono mai meno, bisogna avere fede e costanza. Così Abramo ebbe fede nel
giuramento fatto da Dio su se stesso (Gn 22,16s), poiché nessuno è al di sopra
di lui. Abramo fondò la sua vita sulle promesse fatte a lui da Dio e fu costante
nel vivere alla presenza di Dio.
“Così
Abramo, con la sua costanza, ottenne ciò che gli era stato promesso”.
Gli era stato promesso un figlio e lo ebbe dopo circa 25 anni dalla promessa (Gn
12,4). Ma anche ebbe una numerosa discendenza, la quale è formata da quelli che
al pari di Abramo, che vide il giorno di Cristo (Gv 8,56) attraverso il
significato profondo della richiesta dell'immolazione di Isacco, credono, e
credono in Cristo.
“Grazie
a due atti irrevocabili, nei quali è impossibile che Dio mentisca”.
I due atti irrevocabili sono la promessa e il giuramento.
“Al
di là del velo del santuario, dove Gesù è entrato come precursore per noi”.
L'ancora è sicuro ormeggio della nave. Essa è presa a simbolo della stabilità
data dalla speranza che rende stabile il cuore nell'attesa di accedere oltre il
velo - ci si riferisce al velo del tempio -, che è il cielo, dove Gesù è entrato
come precursore a preparaci un posto (Gv 14,2).
“Divenuto
sommo sacerdote per sempre secondo l’ordine di Melchìsedek”.
L'accesso oltre il velo è fondato nel sacerdozio di Cristo che vittima, oltre
che sacerdote, ha aperto i cieli agli uomini.
Superiorità del sacerdozio di Cristo su quello levitico
7
1 Questo Melchìsedek infatti, re di Salem, sacerdote del Dio
altissimo, andò incontro ad Abramo mentre ritornava dall’avere sconfitto i re e
lo benedisse; 2 a lui Abramo diede la decima di ogni cosa (Gn 14,17-20).
Anzitutto il suo nome significa “re di giustizia”; poi è anche re
di Salem, cioè “re di pace”.
3 Egli, senza padre, senza madre, senza genealogia, senza
principio di giorni né fine di vita, fatto simile al Figlio di Dio,
rimane sacerdote per sempre.
4
Considerate dunque quanto sia grande costui, al quale Abramo, il
patriarca, diede la decima del suo bottino.
5
In verità anche quelli tra i figli di Levi che assumono il sacerdozio hanno il
mandato di riscuotere, secondo la Legge, la decima dal popolo, cioè dai loro
fratelli, essi pure discendenti da Abramo. 6 Egli invece,
che non era della loro stirpe, prese la decima da Abramo e benedisse colui che
era depositario delle promesse. 7 Ora, senza alcun dubbio, è l’inferiore che è benedetto dal
superiore.
8 Inoltre, qui riscuotono le decime uomini mortali; là invece, uno di
cui si attesta che vive. 9 Anzi, si può dire che lo stesso Levi, il quale
riceve le decime, in Abramo abbia versato la sua decima:
10
egli infatti, quando gli venne incontro Melchìsedek, si trovava ancora nei lombi
del suo antenato.
“Egli,
senza padre, senza madre, senza genealogia, senza principio di giorni né fine di
vita, fatto simile al Figlio di Dio, rimane sacerdote per sempre”.
Il sacerdozio di Melchìsedek - “sacerdote del
Dio altissimo”
- non è ereditario come quello di Aronne. La persona di Melchìsedek, che non ha
rapporti di sangue con Abramo, è presentata dalla Scrittura senza antenati, e
non essendo neppure menzionata la sua morte non ha successori e perciò non ha
passato ad altri il suo sacerdozio. Melchìsedek è così figura di Cristo, sommo
ed eterno sacerdote.
Inoltre, Melchìsedek è figura di Cristo in quanto senza padre e senza madre.
Infatti Cristo secondo la natura umana non ha padre e secondo la natura divina
non ha madre.
Il sacerdozio di Melchìsedek venne riconosciuto da Abramo ricevendo da lui una
benedizione e dandogli la decima di tutto il bottino, e questo molto tempo prima
che Mosè la prescrivesse per il sacerdozio aronitico.
“Uno
di cui si attesta che vive”. Vive non perché non sia morto, ma perché il suo sacerdozio non
fu soggetto a trasmissione ereditaria: esso fu totalmente fondato sull'elezione
divina. Così, il sacerdozio di Cristo procede non da trasmissione ereditaria
come quello dei figli di Aronne, ma totalmente dall'elezione divina (5,8).
“Anzi,
si può dire che lo stesso Levi, il quale riceve le decime, in Abramo abbia
versato la sua decima (...) si trovava ancora nei lombi del suo antenato”.
Levi stesso, essendo discendenza di Abramo, in Abramo versò la decima a
Melchìsedek, e ciò indica la superiorità di Melchisedek su Aronne perché chi
riceve le decime è superiore a chi le dà.
Provvisorietà e imperfezione del sacerdozio levitico
11
Ora, se si fosse realizzata la perfezione per mezzo del sacerdozio levitico -
sotto di esso il popolo ha ricevuto la Legge -, che bisogno c’era che sorgesse
un altro sacerdote secondo l’ordine di Melchìsedek, e non invece secondo
l’ordine di Aronne?
12 Infatti, mutato il sacerdozio, avviene necessariamente anche un
mutamento della Legge.
13 Colui del quale si dice questo, appartiene a un’altra tribù, della
quale nessuno mai fu addetto all’altare.
14 È noto
infatti che il Signore nostro è germogliato dalla tribù di Giuda, e di essa Mosè
non disse nulla riguardo al sacerdozio.
15
Ciò risulta ancora più evidente dal momento che sorge, a somiglianza di
Melchìsedek, un sacerdote differente,
16 il quale
non è diventato tale secondo una legge prescritta dagli uomini, ma per la
potenza di una vita indistruttibile.
17
Gli è resa infatti questa testimonianza:
Tu sei sacerdote per sempre
secondo l’ordine di Melchìsedek. (Ps 109/110,4)
18
Si ha così l’abrogazione di un ordinamento precedente a causa della sua
debolezza e inutilità -
19 la Legge infatti non ha portato nulla alla perfezione - e si ha
invece l’introduzione di una speranza migliore, grazie alla quale noi ci
avviciniamo a Dio.
“Un
sacerdote differente, il quale non è diventato tale secondo una legge prescritta
dagli uomini, ma per la potenza di una vita indistruttibile”.
La lettera continua a evidenziare come la Scrittura presentava per il Messia un
sacerdozio differente da quello aronitico. Quello aronitico prevedeva la
trasmissione del sacerdozio tra padre e figlio, poiché subentrava la morte, e
ciò era una legge fondata sulla realtà degli uomini: “legge prescritta
dagli uomini”.
Il sacerdozio di Cristo, invece, è fondato su di una vita indistruttibile, che
gli appartiene da sempre come Dio e che, in quanto uomo, ha per la “potenza”
della risurrezione gloriosa; “Tu sei sacerdote per sempre”.
“Si
ha così l’abrogazione di un ordinamento precedente a causa della sua debolezza e
inutilità”. Nel libro dell'Esodo si afferma che il sacerdozio di Aronne
apparteneva a lui e ai suoi figli per decreto perenne (Es 29,9), ma ciò a
riguardo della catena di successione e non perché non potesse essere abrogato
subentrando “una
speranza migliore”, che è radicata nel sacrificio compiuto da Cristo. Infatti “la
Legge non ha portato nulla alla perfezione” perché il
sacerdozio che essa istituiva non era in grado di purificare gli uomini dalle
colpe e unirli a Dio.
“Noi
ci avviciniamo a Dio”. Avvicinarsi è usato nel V.T per il servizio sacerdotale. Tutto
il popolo redento ora ha caratteristiche sacerdotali e si può avvicinare a Dio
offrendo come culto la propria esistenza.
Cristo garante di un'alleanza nuova ed eterna
20
Inoltre ciò non avvenne senza giuramento. Quelli infatti diventavano sacerdoti
senza giuramento;
21
costui al contrario con il giuramento di colui che gli dice:
Il Signore ha giurato e non si pentirà:
tu sei sacerdote per sempre. (Ps 109/110,4)
22
Per questo Gesù è diventato garante di un’alleanza migliore.
23
Inoltre, quelli sono diventati sacerdoti in gran numero, perché la morte
impediva loro di durare a lungo.
24
Egli invece, poiché resta per sempre, possiede un sacerdozio che non
tramonta. 25 Perciò può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si
avvicinano a Dio: egli infatti è sempre vivo per intercedere a loro
favore.
“Inoltre
ciò non avvenne senza giuramento”.
L'istituzione del sacerdozio aronitico non fu sigillato da un giuramento, e
perciò non aveva il sigillo di eterna esistenza, cioè di non essere sottoposto
ad abrogazione. Il giuramento si ha per le cose di più alta importanza affinché
restino stabili e invariabili.
“Egli
infatti è sempre vivo per intercedere a loro favore”.
Aronne e i suoi successori terminavano il loro sacerdozio con la morte, Cristo
invece “è sempre vivo”. Egli, sommo ed eterno
sacerdote, intercede a favore di coloro che si avvicinano al Padre per mezzo di
lui.
Cristo, sommo sacerdote, offerente se stesso sulla croce
26
Questo era il sommo sacerdote che ci occorreva: santo, innocente, senza macchia,
separato dai peccatori ed elevato sopra i cieli.
27 Egli non
ha bisogno, come i sommi sacerdoti, di offrire sacrifici ogni giorno, prima per
i propri peccati e poi per quelli del popolo: lo ha fatto una volta per tutte,
offrendo se stesso.
28 La Legge infatti costituisce sommi sacerdoti uomini soggetti a
debolezza; ma la parola del giuramento, posteriore alla Legge, costituisce
sacerdote il Figlio, reso perfetto per sempre.
“Questo
era il sommo sacerdote che ci occorreva: santo, innocente (...) ed elevato sopra
i cieli”. Per avere accesso al Padre, nel perdono dei peccati e nella
liberazione dalla colpa originale per mezzo del Battesimo, occorreva un sommo
sacerdote perfetto, separato dai peccatori ed elevato sopra i cieli, quale Re
dell'universo (Cf. Ef 4,10).
“Egli
non ha bisogno, come i sommi sacerdoti, di offrire sacrifici ogni giorno (...):
lo ha fatto una volta per tutte, offrendo se stesso”. I
sacrifici sono tutto l'insieme dei sacrifici prescritti dalla Legge. Il
sacrificio sull'altare della croce. Questo sacrificio, avendo un valore
infinito, non è necessario che venga ripetuto. Esso ha infinitamente soddisfatto
la giustizia del Padre.
Essendo Cristo sommo sacerdote eterno esercita questo suo sacerdozio mediante i
ministri dell'altare che agiscono in persona Cristi. Il sacrificio
Eucaristico è lo stesso della croce, diverso ne è solo il modo. Il Concilio di
Trento si è espresso al proposito con grande chiarezza (Sessione 22, cap. 2):
“In questo divino sacrificio, che si compie nella Messa, è contenuto e
immolato in modo incruento lo stesso Cristo, che si offerse una sola volta in
modo cruento sull'altare della croce. Si tratta, infatti, di una sola e identica
vittima e lo stesso Gesù la offre ora per il ministero dei sacerdoti, egli che
un giorno offrì se stesso sulla croce: diverso è solo il modo di offrirsi”.
Cristo ministro del vero santuario non costruito da mano di uomo
8
1
Il punto capitale delle cose che stiamo dicendo è questo: noi abbiamo
un sommo sacerdote così grande che si è assiso alla destra del trono della
Maestà nei cieli,
2 ministro del santuario e della vera tenda, che il Signore, e non un
uomo, ha costruito.
3
Ogni sommo sacerdote, infatti, viene costituito per offrire doni e sacrifici: di
qui la necessità che anche Gesù abbia qualcosa da offrire.
4
Se egli fosse sulla terra, non sarebbe neppure sacerdote, poiché vi sono quelli
che offrono i doni secondo la Legge.
5 Questi
offrono un culto che è immagine e ombra delle realtà celesti, secondo quanto fu
dichiarato da Dio a Mosè, quando stava per costruire la tenda: “Guarda -
disse - di fare ogni cosa secondo il modello che ti è stato mostrato sul
monte (Es 25,40).
“Ministro
del santuario e della vera tenda, che il Signore, e non un uomo, ha costruito”.
Ogni sacerdote esercita il culto in un luogo, che per Aronne e i suoi figli era
la tenda del deserto. Cristo esercita il suo sommo sacerdozio non in un luogo
costruito dall'uomo, ma nella “vera tenda”,
che è il cielo.
“Se
egli fosse sulla terra, non sarebbe neppure sacerdote, poiché vi sono quelli che
offrono i doni secondo la Legge”. Infatti,
Cristo è sommo ed eterno sacerdote, che offre il sacrificio di se stesso,
compiuto una volta per sempre sulla croce, per mezzo del ministero dei
sacerdoti. Se non fosse stato innalzato sopra i cieli avrebbe voluto dire che la
tomba non avrebbe mollato la presa su di lui. Ora, non essendo della tribù di
Levi, alla quale appartenevano Aronne e i suoi figli, ma della tribù di Giuda
non avrebbe potuto essere sacerdote.
“Questi
offrono un culto che è immagine e ombra delle realtà celesti”.
Dunque, il sacerdozio aronitico offre un culto che non è la realtà, ma solo
un'immagine, una figura “delle realtà celesti”.
Cristo mediatore di un'alleanza migliore dell'antica
6
Ora invece egli ha avuto un ministero tanto più eccellente quanto migliore è
l’alleanza di cui è mediatore, perché è fondata su migliori promesse.
7
Se la prima alleanza infatti fosse stata perfetta, non sarebbe stato il caso di
stabilirne un’altra.
8 Dio infatti, biasimando il suo popolo, dice:
Ecco: vengono giorni, dice il Signore,
quando io concluderò un’alleanza nuova
con la casa d’Israele e con la casa di Giuda.
9
Non sarà come l’alleanza che feci con i loro padri,
nel giorno in cui li presi per mano
per farli uscire dalla terra d’Egitto;
poiché essi non rimasero fedeli alla mia alleanza,
anch’io non ebbi più cura di loro, dice il Signore.
10
E questa è l’alleanza che io stipulerò con la casa d’Israele
dopo quei giorni, dice il Signore:
porrò le mie leggi nella loro mente
e le imprimerò nei loro cuori;
sarò il loro Dio
ed essi saranno il mio popolo.
11
Né alcuno avrà più da istruire il suo concittadino,
né alcuno il proprio fratello, dicendo:
“Conosci il Signore!”.
Tutti infatti mi conosceranno,
dal più piccolo al più grande di loro.
12
Perché io perdonerò le loro iniquità
e non mi ricorderò più dei loro peccati. (Ger
31,31-34)
13
Dicendo alleanza nuova, Dio ha dichiarato antica la prima: ma, ciò che diventa
antico e invecchia, è prossimo a scomparire.
“Ecco:
vengono giorni, dice il Signore, quando io concluderò un’alleanza nuova”.
Se fosse stata perfetta la prima alleanza non sarebbe stato necessario
annunciarne una nuova.
“Porrò
le mie leggi nella loro mente e le imprimerò nei loro cuori”.
Non si hanno più leggi che toccano la scorza dell'uomo come quelle del V.T, ma
leggi che toccano il cuore dell'uomo, rinnovato dalla grazia.
“Né
alcuno avrà più da istruire il suo concittadino”. La
conoscenza è data dalla fede. La fede, dono di Dio, ha come presupposto
l'annuncio di Cristo da parte della Chiesa (Rm 10,17), la quale anche conferma i
credenti nella fede (Lc 22,32) e li aiuta ad approfondirla, poiché “chi
conosce Dio ascolta noi”
(1Gv 4,6).
“Perché
io perdonerò le loro iniquità e non mi ricorderò più dei loro peccati”.
La conoscenza di Dio è dono di Dio, poiché egli si è fatto conoscere per mezzo
di Cristo, parola suprema di Dio (1,1) e ci ha dato lo Spirito che ci conduce a
lui, che è la Verità (Gv 14,26).
“Dicendo
alleanza nuova...”. Dichiarata da Dio la nuova alleanza futura, ne segue che
l'antica è prossima a scomparire.
L'offerta sacrificale di Cristo
9
1
Certo, anche la prima alleanza aveva norme per il culto e un
santuario terreno.
2
Fu costruita infatti una tenda, la prima, nella quale vi erano il
candelabro, la tavola e i pani dell’offerta; essa veniva chiamata il Santo.
3
Dietro il secondo velo, poi, c’era la tenda chiamata Santo dei Santi, con
4
l’altare d’oro per i profumi e l’arca dell’alleanza tutta ricoperta d’oro, nella
quale si trovavano un’urna d’oro contenente la manna, la verga di Aronne, che
era fiorita, e le tavole dell’alleanza.
5
E sopra
l’arca stavano i cherubini della gloria, che stendevano la loro ombra sul
propiziatorio. Di queste cose non è necessario ora parlare nei particolari.
6
Disposte in tal modo le cose, nella prima tenda entrano sempre i sacerdoti per
celebrare il culto;
7
nella seconda invece entra solamente il sommo sacerdote, una volta
all’anno, e non senza portarvi del sangue, che egli offre per se stesso e per
quanto commesso dal popolo per ignoranza.
8 Lo
Spirito Santo intendeva così mostrare che non era stata ancora manifestata la
via del santuario, finché restava la prima tenda.
9 Essa infatti è figura del tempo presente e secondo essa vengono
offerti doni e sacrifici che non possono rendere perfetto, nella sua coscienza,
colui che offre:
10
si tratta soltanto di cibi, di bevande e di varie abluzioni, tutte
prescrizioni carnali, valide fino al tempo in cui sarebbero state riformate.
11
Cristo, invece, è venuto come sommo sacerdote dei beni futuri, attraverso una
tenda più grande e più perfetta, non costruita da mano d’uomo, cioè non
appartenente a questa creazione.
12 Egli entrò una volta per sempre nel santuario, non mediante il
sangue di capri e di vitelli, ma in virtù del proprio sangue, ottenendo così una
redenzione eterna.
13 Infatti, se il sangue dei capri e dei vitelli e la cenere di una
giovenca, sparsa su quelli che sono contaminati, li santificano purificandoli
nella carne,
14
quanto più il sangue di Cristo - il quale, mosso dallo Spirito
eterno, offrì se stesso senza macchia a Dio - purificherà la nostra coscienza
dalle opere di morte, perché serviamo al Dio vivente?
“Certo,
anche la prima alleanza aveva norme per il culto e un santuario terreno (...).
Di queste cose non è necessario ora parlare nei particolari”.
La lettera prosegue presentando sommariamente gli elementi del culto antico.
Proprio questo presentare gli elementi del culto antico fa pensare che la
lettera fosse rivolta ad una comunità etnico-cristiana che non li conosceva se
non per sommi capi e che per questo era esposta ad essere sorpresa dall'azione
dei giudaizzanti ereticali.
“Lo
Spirito Santo intendeva così mostrare che non era stata ancora manifestata la
via del santuario, finché restava la prima tenda”. Lo Spirito
Santo è l'ispiratore delle Scritture. La via che conduce al santuario celeste
era in figura nel percorso di ingresso del sommo sacerdote ebraico nel Santo dei
Santi, una volta all'anno, per il rito dell'espiazione (Lv 16,12s).
“Cristo,
invece, è venuto come sommo sacerdote dei beni futuri, attraverso una tenda più
grande e più perfetta, non costruita da mano d’uomo, cioè non appartenente a
questa creazione”. La lettera riprende con più estensione quanto già detto (8,2).
Cristo è entrato nel santuario celeste in “virtù del
proprio sangue”.
Il sangue di Cristo purifica la “nostra coscienza
dalle opere di morte”.
“Mosso
dallo Spirito eterno”. Lo Spirito Santo, Spirito d'amore, mosse Cristo a offrire se
stesso sulla croce. La profondità vitale
del sacrificio di Cristo è l'amore.
Cristo stabilisce la nuova alleanza con il suo sangue
15
Per questo egli è mediatore di un’alleanza nuova, perché, essendo intervenuta la
sua morte in riscatto delle trasgressioni commesse sotto la prima alleanza,
coloro che sono stati chiamati ricevano l’eredità eterna che era stata promessa.
16
Ora, dove c’è un testamento, è necessario che la morte del testatore sia
dichiarata,
17
perché un testamento ha valore solo dopo la morte e rimane senza effetto finché
il testatore vive.
18 Per questo neanche la prima alleanza fu inaugurata senza sangue.
19
Infatti, dopo che tutti i comandamenti furono promulgati a tutto il popolo da
Mosè, secondo la Legge, questi, preso il sangue dei vitelli e dei capri con
acqua, lana scarlatta e issòpo, asperse il libro stesso e tutto il popolo,
20
dicendo: Questo è il sangue dell’alleanza che Dio ha stabilito per voi (Es
24,8).
21
Alla stessa maniera con il sangue asperse anche la tenda e tutti gli arredi del
culto.
22 Secondo la Legge, infatti, quasi tutte le cose vengono purificate
con il sangue, e senza spargimento di sangue non esiste perdono.
23
Era dunque necessario che le cose raffiguranti le realtà celesti fossero
purificate con tali mezzi; ma le stesse realtà celesti, poi, dovevano esserlo
con sacrifici superiori a questi.
24
Cristo infatti non è entrato in un santuario fatto da mani d’uomo,
figura di quello vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio
in nostro favore.
25 E non deve offrire se stesso più volte, come il sommo sacerdote che
entra nel santuario ogni anno con sangue altrui:
26
in questo caso egli, fin dalla fondazione del mondo, avrebbe dovuto soffrire
molte volte. Invece ora, una volta sola, nella pienezza dei tempi, egli è
apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso.
27
E come per gli uomini è stabilito che muoiano una sola volta, dopo di che viene
il giudizio,
28 così Cristo, dopo essersi offerto una sola volta per togliere il
peccato di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione con il
peccato, a coloro che l’aspettano per la loro salvezza.
“Invece
ora, una volta sola, nella pienezza dei tempi, egli è apparso per annullare il
peccato mediante il sacrificio di se stesso”.
L'autore ispirato riprende il punto dell'unico sacrificio di Cristo (7,27)
notando che se Cristo fosse assimilabile al sacerdozio aronitico avrebbe dovuto
“soffrire
molte volte”, cioè morire e risorgere per poi morire e risorgere di nuovo.
“E
come per gli uomini è stabilito che muoiano una sola volta, dopo di che viene il
giudizio”. Il pensiero del “soffrire molte
volte”
di Cristo poteva trovare consenso nella dottrina della reincarnazione. Cristo,
secondo questa erronea concezione, presente nell'orfismo, nel pitagorismo, nel
platonismo e nello stoicismo, avrebbe potuto assumere più corpi per molti
sacrifici. L'autore della lettera afferma che gli uomini muoiono una sola volta
e perciò non esiste reincarnazione. Il corpo dell'uomo non è un contenitore
mutabile. L'uomo è una unità di anima spirituale e di corpo materiale.
“Così
Cristo, dopo essersi offerto una sola volta per togliere il peccato di molti,
apparirà una seconda volta”. Cristo si è offerto una
sola volta per i peccati, e apparirà una seconda volta alla fine dei tempi nella
potenza e nella gloria, “senza alcuna relazione al peccato”.
Inefficacia dei sacrifici antichi ed efficacia del sacrificio di Cristo
10
1 La Legge infatti, poiché possiede soltanto un’ombra dei beni futuri
e non la realtà stessa delle cose, non ha mai il potere di condurre alla
perfezione per mezzo di sacrifici - sempre uguali, che si continuano a offrire
di anno in anno - coloro che si accostano a Dio.
2
Altrimenti, non si sarebbe forse cessato di offrirli, dal momento che gli
offerenti, purificati una volta per tutte, non avrebbero più alcuna coscienza
dei peccati?
3
Invece in quei sacrifici si rinnova di anno in anno il ricordo dei
peccati.
4 È impossibile infatti che il sangue di tori e di capri elimini i
peccati. 5 Per questo, entrando nel mondo, Cristo dice:
Tu non hai voluto né sacrificio né offerta,
un corpo invece mi hai preparato.
6
Non hai gradito
né olocausti né sacrifici per il peccato.
7
Allora ho detto: “Ecco, io vengo
- poiché di me sta scritto nel rotolo del libro -
per fare, o Dio, la tua volontà”. (Ps 39/40,7-9)
8
Dopo aver detto: Tu non hai voluto e non hai gradito né sacrifici né offerte,
né olocausti né sacrifici per il peccato, cose che vengono offerte secondo
la Legge, 9 soggiunge: Ecco, io vengo a fare la tua volontà. Così egli
abolisce il primo sacrificio per costituire quello nuovo.
10
Mediante quella volontà siamo stati santificati per mezzo dell’offerta
del corpo di Gesù Cristo, una volta per sempre.
11
Ogni sacerdote si presenta giorno per giorno a celebrare il culto e a offrire
molte volte gli stessi sacrifici, che non possono mai eliminare i peccati.
12
Cristo, invece, avendo offerto un solo sacrificio per i peccati, si è assiso per
sempre alla destra di Dio,
13 aspettando ormai che i suoi nemici vengano posti a sgabello dei
suoi piedi.
14
Infatti, con un’unica offerta egli ha reso perfetti per sempre quelli
che vengono santificati.
15
A noi lo
testimonia anche lo Spirito Santo. Infatti, dopo aver detto:
16
Questa è l’alleanza che io stipulerò
con loro
dopo quei giorni, dice il Signore:
io porrò le mie leggi nei loro cuori
e le imprimerò nella loro mente, (Ger 31,33-33)
dice:
17
e non mi ricorderò più dei loro peccati e delle loro iniquità. (Ger
31,34)
18
Ora, dove c’è il perdono di queste cose, non c’è più offerta per il peccato.
19
Fratelli, poiché abbiamo piena libertà di entrare nel santuario per mezzo del
sangue di Gesù,
20 via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il
velo, cioè la sua carne,
21 e poiché abbiamo un sacerdote grande nella casa di Dio,
22
accostiamoci con cuore sincero, nella pienezza della fede, con i cuori
purificati da ogni cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura.
23
Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è degno
di fede colui che ha promesso.
24
Prestiamo attenzione gli uni agli altri, per stimolarci a vicenda nella carità e
nelle opere buone.
25 Non disertiamo le nostre riunioni, come alcuni hanno l’abitudine di
fare, ma esortiamoci a vicenda, tanto più che vedete avvicinarsi il giorno del
Signore.
“Con
i cuori purificati da ogni cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura”.
La cattiva coscienza non è altro che un illudersi su di sé. La cattiva coscienza
non abolisce la coscienza, ma la vuole far tacere. La cattiva coscienza deve
essere rimossa. Essa lo è per il sangue di Cristo e per la Parola di Dio, che “è
viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino
al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle
midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore”
(4,12). Il corpo lavato con acqua pura è in riferimento al Battesimo, il quale
purifica l'interno dell'uomo, ma il suo segno esterno fa vedere come anche il
corpo sia purificato dalle sozzure del senso.
Le tenebre dell'apostasia
26
Infatti, se pecchiamo volontariamente dopo aver ricevuto la conoscenza della
verità, non rimane più alcun sacrificio per i peccati,
27
ma
soltanto una terribile attesa del giudizio e la vampa di un fuoco che dovrà
divorare i ribelli.
28
Quando qualcuno ha violato la legge di Mosè, viene messo a morte senza
pietà sulla parola di due o tre testimoni (Dt 17,6).
29
Di quanto peggiore castigo pensate che sarà giudicato meritevole chi avrà
calpestato il Figlio di Dio e ritenuto profano quel sangue dell’alleanza, dal
quale è stato santificato, e avrà disprezzato lo Spirito della grazia?
30
Conosciamo infatti colui che ha detto: A me la vendetta! Io darò la
retribuzione! (Dt 32,35) E ancora: Il Signore giudicherà il suo popolo (Dt
32,36).
31 È terribile cadere nelle mani del Dio vivente!
“È
terribile cadere nelle mani del Dio vivente!”. Dio non si
lascia immobilizzare da coloro che lo sfidano con il peccato (Gal 6,7), infatti
per essi c'è l'attesa di un terribile ”giudizio e la
vampa di un fuoco che dovrà divorare i ribelli”.
Esortazione alla perseveranza
32
Richiamate alla memoria quei primi giorni: dopo aver ricevuto la luce di Cristo,
avete dovuto sopportare una lotta grande e penosa,
33
ora esposti pubblicamente a insulti e persecuzioni, ora facendovi solidali con
coloro che venivano trattati in questo modo.
34
Infatti avete preso parte alle sofferenze dei carcerati e avete accettato con
gioia di essere derubati delle vostre sostanze, sapendo di possedere beni
migliori e duraturi.
35
Non abbandonate dunque la vostra franchezza, alla quale è riservata
una grande ricompensa. 36 Avete solo bisogno di perseveranza, perché, fatta la
volontà di Dio, otteniate ciò che vi è stato promesso.
37
Ancora un poco, infatti, un poco appena,
e colui che deve venire, verrà e non tarderà. (Is 26,20)
38
Il mio giusto per fede vivrà;
ma se cede, non porrò in lui il mio amore. (Ab 2,3-4)
39
Noi però non siamo di quelli che cedono, per la propria rovina, ma uomini di
fede per la salvezza della nostra anima.
“Richiamate
alla memoria quei primi giorni: dopo aver ricevuto la luce di Cristo, avete
dovuto sopportare una lotta grande e penosa”. La
comunità appena fondata aveva dovuto sopportare forti prove. Quale sia questa
comunità non è possibile dirlo, probabilmente è una comunità dell'Asia Minore,
dove l'elemento giudaico, che aizzava il potere romano, era molto persecutorio.
La
forza della fede
11
1 La fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si
vede.
2 Per questa fede i nostri antenati sono stati approvati da Dio.
3
Per fede, noi sappiamo che i mondi furono formati dalla parola di Dio, sicché
dall’invisibile ha preso origine il mondo visibile.
“La
fede è fondamento di ciò che si spera”. Senza la
fede la speranza non ha fondamento e perciò è pura illusione. Dio ha fatto delle
promesse e la speranza che esse si compiano è fondata sulla fede (Gal 5,5). La
fede esclude il dubbio, poiché è prova di ciò che non si vede, cioè delle verità
che costituiscono il deposito della Rivelazione. La fede è una virtù infusa da
Dio, che ha in sé il riconoscimento dell'autorità e credibilità di Dio, quali
realtà assolute, e testimoniate dal Figlio. La fede è offerta a tutti gli
uomini, tuttavia è accolta solo da coloro che si sottomettono alla verità. La
fede non è un atto irrazionale poiché è promossa dalle prove di credibilità: la
testimonianza di Cristo, degli apostoli, dei santi e delle persone sante; i
miracoli, l'indefettibilità della Chiesa, la storicità intrinseca dei Vangeli.
La sua potenza e bellezza è tale che sarà vista in tutta la sua forza e bellezza
solo in cielo, mentre qui in terra ci guida all'adesione viva a Cristo, via che
conduce, nel dono dello Spirito Santo, al Padre, e nella carità verso gli
uomini. La fede è realtà di vita, e perciò è operosa per mezzo della carità
(Gal 5,6; 1Tm 1,5).
“Per
fede, noi sappiamo che i mondi furono formati dalla parola di Dio”.
L'autore della lettera si riferisce direttamente alla Rivelazione (Gn 1,1), dove
viene detto che Dio creò il cielo e la terra con la potenza della sua Parola.
Dunque, l'universo non è coeterno con Dio, ma ha avuto un inizio. L'autore della
lettera aveva di fronte le dottrine stoiche di un universo animato da cicli
fissati in un finire e ricominciare all'infinito e questo creava un problema
filosofico che richiedeva un'acutezza non comune e discussioni difficili per
essere confutato, per cui l'autore della lettera si appella direttamente alla
fede basata sulla Parola. La Rivelazione tuttavia (Sap 13,1s; Rm 1,20) presenta
come l'uomo col lume naturale della ragione possa salire con certezza
all'esistenza di Dio attraverso le opere da lui compiute (Conc. Vaticano I, “Dei
Filus” cap. 2; Conc. Vaticano II, “Dei Verbum” cap 2, n° 6).
San Tommaso, benché vedesse la soluzione razionale del problema dell'eternità o
meno della creazione nella libertà con cui Dio creò l'universo, e quindi non per
la necessità di una sua attuazione come Dio, che porterebbe ad un
universo coeterno con Dio, appunto perché Dio ne avrebbe avuto bisogno da sempre
per attuare se stesso, affermò che l'inizio della creazione è un dato di fede (Summa
Teologica I, q. 46, a. 2). La posizione di San Tommaso era dettata dalla
necessità di confutare le tesi dei filosofi arabi (Averroisti) che affermavano
che l'universo era creato da Dio, ma era coeterno a Dio. Per non suscitare
aggrovigliate discussioni disse che i cristiani credono che l'universo non sia
coeterno con Dio per fede.
Oggi la scienza ci dice che l'universo conoscerà la morte per la legge
dell'entropia, e rivolgendosi al passato si arriva necessariamente ad un inizio.
Questo dato di contingenza sfata alla radice la tesi del susseguirsi dei
cicli eterni del panteismo e dello stoicismo; infatti per ridare rilancio al
cosmo occorre una forza esterna allo stesso. Esattamente come per rimettere in
agitazione l'acqua divenuta calma dentro a una bacinella occorre una forza
esterna. L'acqua non si rimetterà in agitazione per sua vitalità interna, ma per
un intervento esterno. L'entropia come dato di contingenza sfata pure la
posizione degli Averroisti.
Filosoficamente si rileva che alla volontà eterna di Dio di creare segue un
effetto distinto da Dio, e tale effetto può essere voluto da Dio con
tutte le condizioni da lui volute, anche la temporalità. Dio può quindi
volere ab aeterno una creatura che sia nel tempo e perciò abbia un inizio
(Cf. Sofia Vanni Rovighi; “Elementi di Filosofia”, vol II, pag. 176, Ed.
“La Scuola”, 1962 Brescia.
4
Per fede, Abele offrì a Dio un sacrificio migliore di quello di Caino e in base
ad essa fu dichiarato giusto, avendo Dio attestato di gradire i suoi doni; per
essa, benché morto, parla ancora.
5
Per fede, Enoc fu portato via, in modo da non vedere la morte; e non lo si trovò
più, perché Dio lo aveva portato via. Infatti, prima di essere portato altrove,
egli fu dichiarato persona gradita a Dio.
6
Senza la
fede è impossibile essergli graditi; chi infatti si avvicina a Dio, deve credere
che egli esiste e che ricompensa coloro che lo cercano.
7
Per fede, Noè, avvertito di cose che ancora non si vedevano, preso da sacro
timore, costruì un’arca per la salvezza della sua famiglia; e per questa fede
condannò il mondo e ricevette in eredità la giustizia secondo la fede.
8
Per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva
ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava.
9
Per fede, egli soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera,
abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima
promessa.
10
Egli aspettava infatti la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e
costruttore è Dio stesso.
11
Per fede, anche Sara, sebbene fuori dell’età, ricevette la possibilità di
diventare madre, perché ritenne degno di fede colui che glielo aveva promesso.
12
Per questo da un uomo solo, e inoltre già segnato dalla morte, nacque una
discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia che si trova
lungo la spiaggia del mare e non si può contare.
13
Nella fede morirono tutti costoro, senza aver ottenuto i beni promessi, ma li
videro e li salutarono solo da lontano, dichiarando di essere stranieri e
pellegrini sulla terra.
14
Chi parla così, mostra di essere alla ricerca di una patria.
15
Se avessero pensato a quella da cui erano usciti, avrebbero avuto la possibilità
di ritornarvi;
16
ora invece essi aspirano a una patria migliore, cioè a quella celeste. Per
questo Dio non si vergogna di essere chiamato loro Dio. Ha preparato infatti per
loro una città.
17
Per fede, Abramo, messo alla prova, offrì Isacco, e proprio lui, che aveva
ricevuto le promesse, offrì il suo unigenito figlio,
18
del quale
era stato detto: Mediante Isacco avrai una tua discendenza (Gn 21,12).
19
Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per
questo lo riebbe anche come simbolo.
20
Per fede, Isacco benedisse Giacobbe ed Esaù anche in vista di beni futuri.
21
Per fede, Giacobbe, morente, benedisse ciascuno dei figli di Giuseppe e si
prostrò, appoggiandosi sull’estremità del bastone (Gn 47,31).
22
Per fede, Giuseppe, alla fine della vita, si ricordò dell’esodo dei figli
d’Israele e diede disposizioni circa le proprie ossa.
23
Per fede, Mosè, appena nato, fu tenuto nascosto per tre mesi dai suoi genitori,
perché videro che il bambino era bello; e non ebbero paura dell’editto del re.
24
Per fede, Mosè, divenuto adulto, rifiutò di essere chiamato figlio della figlia
del faraone,
25
preferendo essere maltrattato con il popolo di Dio piuttosto che
godere momentaneamente del peccato.
26
Egli
stimava ricchezza maggiore dei tesori d’Egitto l’essere disprezzato per Cristo;
aveva infatti lo sguardo fisso sulla ricompensa.
27
Per fede, egli lasciò l’Egitto, senza temere l’ira del re; infatti rimase saldo,
come se vedesse l’invisibile.
28
Per fede, egli celebrò la Pasqua e fece l’aspersione del sangue, perché colui
che sterminava i primogeniti non toccasse quelli degli Israeliti.
29
Per fede, essi passarono il Mar Rosso come fosse terra asciutta. Quando gli
Egiziani tentarono di farlo, vi furono inghiottiti.
30
Per fede, caddero le mura di Gerico, dopo che ne avevano fatto il giro per sette
giorni.
31
Per fede, Raab, la prostituta, non perì con gli increduli, perché aveva accolto
con benevolenza gli esploratori.
32
E che dirò ancora? Mi mancherebbe il tempo se volessi narrare di Gedeone, di
Barak, di Sansone, di Iefte, di Davide, di Samuele e dei profeti;
33
per fede, essi conquistarono regni, esercitarono la giustizia, ottennero ciò che
era stato promesso, chiusero le fauci dei leoni,
34
spensero la violenza del fuoco, sfuggirono alla lama della spada, trassero
vigore dalla loro debolezza, divennero forti in guerra, respinsero invasioni di
stranieri.
35
Alcune donne riebbero, per risurrezione, i loro morti. Altri, poi, furono
torturati, non accettando la liberazione loro offerta, per ottenere una migliore
risurrezione.
36 Altri, infine, subirono insulti e flagelli, catene e prigionia.
37
Furono lapidati, torturati, tagliati in due, furono uccisi di spada, andarono in
giro coperti di pelli di pecora e di capra, bisognosi, tribolati, maltrattati -
38
di loro il mondo non era degno! -, vaganti per i deserti, sui monti, tra le
caverne e le spelonche della terra.
39
Tutti costoro, pur essendo stati approvati a causa della loro fede, non
ottennero ciò che era stato loro promesso:
40 Dio infatti per
noi aveva predisposto qualcosa di meglio, affinché essi non ottenessero la
perfezione senza di noi.
“Per
fede, Abele offrì a Dio un sacrificio migliore di quello di Caino e in base ad
essa fu dichiarato giusto, avendo Dio attestato di gradire i suoi doni; per
essa, benché morto, parla ancora”. La fede diventata
realtà di vita fu il fondamento dell'agire di Abele, il quale per la fede fu
giustificato. Abele continua a parlare ancora mediante il suo sangue, segno del
suo martirio per mano dell'invidioso Caino (Cf. Gn 4,4).
“Per
fede, Enoc fu portato via, in modo da non vedere la morte”.
La fede vissuta rese gradito Enoc a Dio (Gn 5,24; Sir 44,16).
“Dio
infatti per noi aveva predisposto qualcosa di meglio, affinché essi non
ottenessero la perfezione senza di noi”. I giusti del Vecchio
Testamento sostarono nel Limbo (Inferi, Ade o Sheol) in attesa che il Salvatore
universale aprisse i cieli e ottenessero così la perfezione mediante l'adesione
a Cristo da loro atteso. Cristo, infatti, discese nel Limbo ad annunciare che la
loro attesa era finita e che in lui avevano l'accesso al cielo (1Pt 3,19). I
cieli si aprirono per tutti i giusti del passato, sia per i rigenerati dal
sangue di Cristo mediante la fede e l'appartenenza alla Chiesa.
Nessuno poteva entrare nei cieli prima di Cristo. Ora quel Limbo non esiste più,
e neppure per i bambini morti senza il Battesimo, per la semplice ragione che
Cristo, Sommo Sacerdote impartisce egli stesso, senza rito di acqua, il
Battesimo.
La perfezione della salvezza, cioè il suo compimento completo, si avrà con la
risurrezione, dove non ci sarà solo la glorificazione dell'anima, ma anche del
corpo. E in quell'evento glorioso nessuno avrà un vantaggio di precedenza
sull'altro (1Ts 4,15).
L'esempio di Gesù Cristo
12 1 Anche noi dunque, circondati da tale moltitudine di testimoni,
avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con
perseveranza nella corsa che ci sta davanti,
2
tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a
compimento. Egli, di fronte alla gioia che gli era posta dinanzi, si sottopose
alla croce, disprezzando il disonore, e siede alla destra del trono di Dio.
3
Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande
ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d’animo.
4
Non avete ancora resistito fino al sangue nella lotta contro il peccato
5
e avete già dimenticato l’esortazione a voi rivolta come a figli:
Figlio mio, non disprezzare la correzione del Signore
e non ti perdere d’animo quando sei ripreso da lui;
6
perché il Signore corregge colui che egli ama
e percuote chiunque riconosce come figlio. (Pr
3,11-12)
“Tenendo
fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento”. La fede è un dono di Dio che è originato dal sacrificio di
Cristo. Anche nel Vecchio Testamento la fede trovava la sua origine nel
sacrificio di Cristo, che si sarebbe compiuto nella pienezza dei tempi. Con la
venuta del Figlio di Dio la fede dei giusti del Vecchio Testamento è stata
perfezionata dalla presenza di Cristo, testimone perfetto dell'amore di Dio,
suprema Parola di Dio (1,1) e realizzatore col suo sangue della riconciliazione
degli uomini con Dio. La fede in lui permette che la salvezza da lui ottenuta
sulla croce operi in noi. Tale fede è un dono offerto a tutti, che però deve
essere accolto, e di fatto non tutti accolgono questo immisurabile dono.
La pedagogia di Dio
7
È per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è
il figlio che non viene corretto dal padre?
8
Se invece
non subite correzione, mentre tutti ne hanno avuto la loro parte, siete
illegittimi, non figli!
9 Del resto noi abbiamo avuto come educatori i nostri padri terreni e
li abbiamo rispettati; non ci sottometteremo perciò molto di più al Padre
celeste, per avere la vita?
10 Costoro infatti
ci correggevano per pochi giorni, come sembrava loro; Dio invece lo fa per il
nostro bene, allo scopo di farci partecipi della sua santità.
11
Certo,
sul momento, ogni correzione non sembra causa di gioia, ma di tristezza; dopo,
però, arreca un frutto di pace e di giustizia a quelli che per suo mezzo sono
stati addestrati.
12
Perciò, rinfrancate le mani inerti e le ginocchia fiacche
13
e camminate diritti con i vostri piedi, perché il piede che zoppica non abbia a
storpiarsi, ma piuttosto a guarire.
“È
per la vostra correzione che voi soffrite!”. Dio castiga
con situazioni di dolore solo per correggere, cioè con intento positivo,
e dunque il castigo va accolto perché è utile al progresso nel bene (Cf. Ps
118/119,71).
Punizione dell'infedeltà
14
Cercate la pace con tutti e la santificazione, senza la quale nessuno vedrà mai
il Signore;
15 vigilate perché nessuno si privi della grazia di Dio. Non spunti
né cresca in mezzo a voi alcuna radice velenosa (Dt 29,17), che
provochi danni e molti ne siano contagiati.
16
Non vi
sia nessun fornicatore, o profanatore, come Esaù che, in cambio di una sola
pietanza, vendette la sua primogenitura.
17
E voi ben sapete
che in seguito, quando volle ereditare la benedizione, fu respinto: non trovò,
infatti, spazio per un cambiamento, sebbene glielo richiedesse con lacrime.
Le due alleanze
18
Voi infatti non vi siete avvicinati a qualcosa di tangibile né a un fuoco
ardente né a oscurità, tenebra e tempesta,
19 né a squillo di
tromba e a suono di parole, mentre quelli che lo udivano scongiuravano Dio di
non rivolgere più a loro la parola. 20 Non potevano infatti sopportare quest’ordine: Se anche una bestia
toccherà il monte, sarà lapidata.
21 Lo
spettacolo, in realtà, era così terrificante che Mosè disse: Ho paura e
tremo.
Sul monte Sinai Dio si mostrò nella sua maestà altissima e assoluta. Nessuno
poteva avvicinarsi al monte, neppure gli animali appartenenti al popolo - ciò
sarebbe stato segno della trascuratezza degli uomini – potevano avvicinarsi al
monte. La pena era che l'uomo o l'animale doveva essere messo a morte. Dio in
tal modo sottolineava la distanza infinita che c'è tra lui e l'uomo afflitto dal
peccato e privato della grazia santificante.
22
Voi invece vi siete accostati al monte Sion, alla città del Dio vivente, alla
Gerusalemme celeste e a migliaia di angeli, all’adunanza festosa
23
e all’assemblea dei primogeniti i cui nomi sono scritti nei cieli, al Dio
giudice di tutti e agli spiriti dei giusti resi perfetti,
24
a Gesù, mediatore dell’alleanza nuova, e al sangue purificatore, che è più
eloquente di quello di Abele.
Le Scritture connettevano la nuova ed eterna alleanza al monte Sion (Is 46,13;
60,14; 2,3; Gl 3,5; Mi 4,7) e non al Sinai.
“Voi
invece vi siete accostati al monte Sion”. Il monte
Sion fa parte della striscia montuosa situata tra la pianura che fiancheggia la
costa mediterranea e il fiume Giordano. Sul monte sorge la città di Gerusalemme.
Il monte ha due collinette separate da un piccolo avvallamento, il Tiropeon.
Sulla collinetta orientale, che propriamente è il monte Sion (Sion deriva
probabilmente da sin: difendere), nell'antico passato c'era la
Cittadella di Davide. Poi Salomone, estendendosi verso nord ad una quota più
alta sulla medesima collinetta, costruì il tempio. Nella stessa area, al tempo
di Gesù, c'era il tempio fatto costruire da Erode. Il rialzo dove sorgeva il
tempio veniva identificato dalla tradizione con il monte Moria (Gn 22,2), ma era
considerazione pia perché il testo biblico non la avalla parlando di
territorio di Moria e non di monte di Moria.
Il monte Sion inteso in senso geograficamente più ampio è delimitato a oriente,
occidente e mezzogiorno da tre vallate. A oriente il monte scende a precipizio
nel torrente Cedron (la vallata separa Gerusalemme dal Monte degli Ulivi). Ad
occidente si ha la vallata dello Hinnom, che girando attorno alla parte
meridionale del monte confluisce nella valle del Cedron. La parte meridionale
dello Hinnom era chiamata Geenna.
Il monte Sion era la sede del trono di Davide, spettante al Messia. Il trono di
Cristo non fu però uno scranno dorato, bensì la croce (Ap 14,1). Sulla croce
Cristo attirò tutti a sé (Gv 12,32), quale conquistatore del genere umano. Il
Calvario (Golgota) era una collinetta rocciosa fuori delle mura di Gerusalemme,
ad occidente delle stesse, e non molto lontano dal fronte delle mura
settentrionali.
“Alla
città del Dio vivente”, questa città della nuova alleanza è la Chiesa.
“Alla
Gerusalemme celeste”. Cristo è salito al cielo e siede alla destra del Padre, per cui
il suo trono è in cielo e per conseguenza la vera Gerusalemme è quella celeste.
La Gerusalemme terrena rimane, ma solo come città della Palestina. Il suo valore
antico, centrato nel tempio e nel trono di Davide, è tramontato e lo sarà
tangibilmente con la sua distruzione ad opera delle legioni romane. Essa aveva
un grande valore, ma ora è rimasta schiava delle prescrizioni dell'antica
alleanza del Sinai (Gal 4,25).
“All’assemblea
dei primogeniti”. I primogeniti non sono quelli secondo la carne, ma sono tutti
coloro che hanno accolto Cristo: essi hanno tutti la dignità di primogeniti.
Essi sono stati liberati dalla schiavitù del faraone infernale, sconfitto dalla
croce di Cristo.
“Agli
spiriti dei giusti resi perfetti”, cioè i
giusti liberati dagli Limbo (Inferi, Ade o Sheol).
25
Perciò guardatevi bene dal rifiutare Colui che parla, perché, se quelli non
trovarono scampo per aver rifiutato colui che proferiva oracoli sulla terra, a
maggior ragione non troveremo scampo noi, se volteremo le spalle a Colui che
parla dai cieli.
26 La sua voce un giorno scosse la terra; adesso invece ha fatto questa
promessa: Ancora una volta io scuoterò non solo la terra (Ag 2,6),
ma anche il cielo.
27 Quando
dice ancora una volta, vuole indicare che le cose scosse, in quanto
create, sono destinate a passare, mentre rimarranno intatte quelle che non
subiscono scosse.
28
Perciò noi, che possediamo un regno incrollabile, conserviamo questa grazia,
mediante la quale rendiamo culto in maniera gradita a Dio con riverenza e
timore;
29
perché il nostro Dio è un fuoco divorante.
“La
sua voce un giorno scosse la terra; adesso invece ha fatto questa promessa:
Ancora una volta io scuoterò non solo la terra, ma anche il cielo”.
Scosse la terra nella teofania del Sinai (Es 19,18) in segno di cambiamento
dalle cose nella luce dell'alleanza sinaitica. Ora non solo la terra verrà
scossa ma anche i cieli perché la nuova eterna alleanza non solo ha segnato un
cambiamento della cose della legge, ma anche ha aperto i cieli, cambiando così
la realtà antecedente.
“Quando
dice ancora una volta, vuole indicare che le cose scosse, in quanto create, sono
destinate a passare”. Le cose scosse non sono inamovibili, e non era inamovibile
l'alleanza del Sinai.
“Mentre
rimarranno intatte quelle che non subiscono scosse”.
La nuova realtà del regno è stabilita nel sangue di Cristo e non può subire
scosse perché eterna.
“Rendiamo
culto in maniera gradita a Dio con riverenza e timore;
perché il nostro
Dio è un fuoco divorante”. Non si può abusare della misericordia di Dio, perché presso di
lui c'è anche l'ira (Sir 5,6), essendo “un fuoco
divorante”
i suoi nemici (Es 24,17; Dt 4,24; 9,3 2Sam 22,9; Ps 49/50,3, ecc.).
Ultime raccomandazioni
13
1
L’amore fraterno resti saldo.
2
Non
dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto
degli angeli.
3
Ricordatevi dei carcerati, come se foste loro compagni di carcere, e di quelli
che sono maltrattati, perché anche voi avete un corpo.
4
Il matrimonio sia rispettato da tutti e il letto nuziale sia senza macchia. I
fornicatori e gli adulteri saranno giudicati da Dio.
5
La vostra condotta sia senza avarizia; accontentatevi di quello che avete,
perché Dio stesso ha detto: Non ti lascerò e non ti abbandonerò (Dt 31,6.8).
6
Così possiamo dire con fiducia:
Il Signore è il mio aiuto, non avrò paura.
Che cosa può farmi l’uomo? (Ps 117/118,6; 26/27,1-3)
“Il
Signore è il mio aiuto, non avrò paura. Che cosa può farmi l’uomo?”.
Dall'ansietà bisogna passare alla fiducia per giungere alla santità (Mt 6,24).
Fedeltà a Cristo
7
Ricordatevi dei vostri capi, i quali vi hanno annunciato la parola di Dio.
Considerando attentamente l’esito finale della loro vita, imitatene la fede.
8
Gesù Cristo è lo stesso ieri e oggi e per sempre!
9
Non lasciatevi sviare da dottrine varie ed estranee, perché è bene che il cuore
venga sostenuto dalla grazia e non da cibi che non hanno mai recato giovamento a
coloro che ne fanno uso.
10 Noi abbiamo un
altare le cui offerte non possono essere mangiate da quelli che prestano
servizio nel tempio.
11 Infatti i corpi degli animali, il cui sangue viene portato nel
santuario dal sommo sacerdote per l’espiazione, vengono bruciati fuori
dell’accampamento.
12
Perciò anche Gesù, per santificare il popolo con il proprio sangue,
subì la passione fuori della porta della città.
13
Usciamo dunque verso di lui fuori dell’accampamento, portando il suo disonore:
14
non abbiamo quaggiù una città stabile, ma andiamo in cerca di quella futura.
15
Per mezzo di lui dunque offriamo a Dio continuamente un sacrificio di lode, cioè
il frutto di labbra che confessano il suo nome.
16
Non dimenticatevi della beneficenza e della comunione dei beni, perché di tali
sacrifici il Signore si compiace.
“Ricordatevi
dei vostri capi”. I capi sono coloro che governarono con zelo la comunità ai suoi
albori. Questi capi non sono più vivi. Essi hanno ricevuto la Parola e l'hanno
trasmessa alla nuova generazione. Se la comunità è una di quelle fondate nel
secondo viaggio missionario di Paolo (50/51) si può dire che siano passati 15/18
anni dal tempo della fondazione. Questo tempo si può ritenere valido, vista la
brevità delle aspettative di vita in quel tempo, con l'avvenuta morte dei primi
capi, per morte non violenta (le aspettative di vita allora erano minori
delle odierne), infatti è da escludere il martirio, perché la lettera non
dice che la comunità ha ancora resistito fino al sangue (12,4).
“E'
bene che il cuore venga sostenuto dalla grazia e non da cibi che non hanno mai
recato giovamento a coloro che ne fanno uso”. Le
prescrizioni giudaiche circa i cibi, compresi i cibi provenienti dai sacrifici
del tempio, non hanno in sé stessi la capacità di dare forza al cammino della
santità interiore. Essi sono stati abrogati dalla nuova alleanza, ma i cristiani
giudaizzanti cercavano di mantenerli presso i cristiani.
“Noi
abbiamo un altare le cui offerte non possono essere mangiate da quelli che
prestano servizio nel tempio”. L'altare è certamente la mensa Eucaristica, poiché si parla di
mangiare. Non si tratta dell'altare della croce dove Cristo ha consumato il suo
sacrificio. Tuttavia, la croce è nel sacrificio dell'altare, poiché il
sacrificio di Cristo è uno solo. Sull'altare si ha solo diversità di modo
(Concilio di Trento, Sessione 22, cap. 2: “sola offerendi
ratione diversa”).
Il Corpo e Sangue di Cristo, non possono essere assunti dai sacerdoti leviti che
volessero unire il culto antico con quello istituito da Cristo, poiché la Legge
lo impedisce, dal momento che dice che non si possono mangiare i corpi delle
vittime portate fuori dell'accampamento e bruciati (Lv 16,17). Ora Cristo è
stato portato fuori dell'accampamento, “fuori della
porta della città”,
ed ha consumato lì sulla croce il suo sacrificio. Dunque, non ci può essere
commistione tra l'altare del tempio e il nuovo altare istituito da Cristo, come
i giudaizzanti tentavano di fare, presentando “dottrine
varie ed estranee” (13,9).
Raccomandazioni finali con benedizione e notizie personali
17
Obbedite ai vostri capi e state loro sottomessi, perché essi vegliano su di voi
e devono renderne conto, affinché lo facciano con gioia e non lamentandosi. Ciò
non sarebbe di vantaggio per voi.
18
Pregate per noi; crediamo infatti di avere una buona coscienza, desiderando di
comportarci bene in tutto.
19 Con maggiore insistenza poi vi esorto a farlo, perché io vi sia
restituito al più presto.
20
Il Dio della pace, che ha ricondotto dai morti il Pastore grande delle pecore,
in virtù del sangue di un’alleanza eterna, il Signore nostro Gesù,
21
vi renda perfetti in ogni bene, perché possiate compiere la sua volontà,
operando in voi ciò che a lui è gradito per mezzo di Gesù Cristo, al quale sia
gloria nei secoli dei secoli. Amen.
22
Vi esorto, fratelli, accogliete questa parola di esortazione; proprio per questo
vi ho scritto brevemente.
23 Sappiate che il nostro fratello Timoteo è stato rilasciato; se
arriva abbastanza presto, vi vedrò insieme a lui.
24 Salutate tutti i vostri capi e tutti i santi. Vi salutano quelli
dell’Italia.
25 La grazia sia con tutti voi.
“Perché
io vi sia restituito al più presto”. La comunità
alla quale è indirizzata la lettera seguiva le vicende dell'autore della lettera
e certamente ne conosceva le situazioni. Possiamo pensare che egli fosse assente
dalla comunità per una missione, e l'assenza si era prolungata probabilmente per
denunce giudaiche all'autorità romana, se appunto parla di “essere
restituito”.
“Sappiate
che il nostro fratello Timoteo è stato rilasciato”.
Timoteo come l'autore della lettera era molto conosciuto dalla comunità, che
probabilmente era dell'Asia Minore. Quanto al “rilasciato”
si può pensare alla fine di una prigionia in un luogo lontano da dove si trovava
l'autore della lettera.
|