Testo e
commento
Capitolo
1 2 3 4
Colosse era una città della
Frigia. A circa 20 km c'era la cittadina di Laodicea, a sua volta vicina a
Gerapoli. Le tre cittadine usufruivano di una grande strada che partiva da
Efeso, città costiera posta alla foce del fiume Castro, per giungere fino ad
Antiochia di Siria. Efeso era a 200 km ad ovest da Colosse. Non mancavano poi
percorsi che da Colosse conducevano a Mileto, città costiera alla foce del fiume
Meandro che aveva come affluente il fiume Lico sul quale si affacciava Colosse.
Le cittadine di Colosse,
Gerapoli e Laodicea non erano state evangelizzate da Paolo (2,1). La comunità di
Colosse era stata fondata da Epafra (1,7), cittadino di Colosse (4,12)
conquistato alla fede di Cristo da Paolo durante la sua presenza a Efeso (At
19,8) nel terzo viaggio missionario. La comunità di Colosse era formata in
massima parte da cristiani provenienti dal paganesimo. La presenza giudaica
nell'area era tuttavia numerosa.
La tradizione
antica dice che Paolo scrisse la lettera ai Colossesi da Roma, durante la prima
prigionia (At 24,27; 28,30). Prima prigionia, infatti Paolo potè ritornare per
qualche tempo in Oriente perché gli accusatori giudei non andarono a Roma presso
il tribunale di Cesare. Il processo ebbe tuttavia una ripresa e Paolo venne
arrestato probabilmente a Troade (2Tim 4,13) e dopo un primo processo,
probabilmente a Troade [non avrebbe infatti risalto il fatto che quelli
dell'Asia lo abbandonarono (2Tm 1,15; 4,16), e non avrebbe senso a Efeso perché Timoteo, che
stava a Efeso, ne sarebbe già stato al corrente], venne ricondotto a Roma in attesa di comparire davanti a
Cesare. Venne tuttavia condannato come cristiano incontrando alla fine del 66 o
agli inizi dei 67 d.C. il martirio. La ragione che vuole la stesura della
lettera durante la prima prigionia a Roma si avvale del pensiero che Paolo vi
ebbe la libertà sufficiente per scriverla; ma ciò non può abolire il fatto che
anche a Cesarea ebbe libertà sufficiente (At 24,23). L'area geografica di
Cesarea è molto più compatibile con la presenza di Epafra (4,12-13). L'azione
caritativa di Epafra va giudicata in connessione al terremoto del 60 d.C., che
colpì il territorio delle tre cittadine (Colossi, Gerapoli, Laodicea), e non
doveva svolgersi molto lontana da quel territorio per ragioni di urgenza. Epafra
è poi ricordato nella lettera a Filemone (Fm v.23) come compagno di prigionia di
Paolo, probabilmente non per vera prigionia, ma per l'assidua vicinanza con il
prigioniero. Fu indubbiamente Epafra a informare Paolo dello stato spirituale
della comunità di Colosse.
Poco credibile è che lo schiavo di Filemone, Onesimo, fuggito da Colosse,
giungesse a Roma e vi incontrasse Paolo e Epafra a Roma (Col 4,9s). E'
difficile pensare che Onesimo potesse trovare una nave per Roma da Efeso,
senza essere fermato come schiavo fuggitivo. E' più logico pensare che
fuggisse via terra e giungesse fortunosamente nei pressi di Cesarea dove
qualcuno lo condusse da Paolo che, benché in prigione, poteva disporre di
aiuti avendo contatti con fedeli che lo andavano a visitare. Che Paolo
potesse disporre di contatti lo attesta il fatto che il governatore della
Giudea, Antonio Felice (procuratore dal 52/53 al 59/60), si aspettava che
Paolo gli offrisse una somma di denaro in cambio della sua liberazione (At
24,26).
La lettera inizia con il
saluto da parte di Paolo e di Timoteo. Nessuna obiezione può essere fatta
circa la presenza di Timoteo a Cesarea. Timoteo non seguì Paolo nel suo
viaggio a Roma. Nelle due lettere a lui indirizzate non risulta che Timoteo
fosse a Roma. Nella prima lettera si trovava a Efeso, lasciato dall'apostolo
prima di recarsi in Macedonia (1Tm 1,3; At 20,3), mentre nella seconda,
quando ormai Paolo vedeva prossima la sua fine, viene invitato a Roma (2Tm
4,6-7).
Il latore della lettera ai
Colossesi fu Tichico (At 20,4; Ef 6,21; 2Tm 4,12; Tt 3,12), che portò con sé
lo schiavo Onesimo per ricondurlo a Filemone, unitamente alla lettera di
raccomandazione di Paolo.
A Colosse stavano prendendo
piede le teorie di alcuni cristiani provenienti dal giudaismo, i quali
proponevano ai provenienti dal paganesimo le pratiche giudaiche, suggerendo in
più un culto agli angeli presentato come imprescindibile per giungere a Dio.
Questa posizione dei falsi dottori di Colossi aveva dei contatti indubbi con
l'angelologia della setta di Qumran, un movimento pregnostico che considerava le
potenze angeliche come necessari anelli intermediari tra Dio e gli uomini, con
un dominio sulle realtà cosmiche, specie gli astri, che avrebbero addirittura
contribuito a formare.
I falsi dottori cercavano in
più di avvallare le loro idee sul mondo angelico fondandole sulla filosofia
greca. Questo ricorso alla filosofia greca aveva un recente antecedente in
Filone Alessandrino (20 a.C - 50 d.C), che portò avanti il tentativo di
conciliazione dei dati della Rivelazione con la cultura filosofica greca,
ponendo questa al servizio della Rivelazione. In particolare nel campo
dell'angelologia Filone guardò alla dottrina di Platone, che proponeva
l’esistenza delle cause esemplari delle cose, quali potenze astratte ma
sussistenti. Potenze intermedie tra l'Uno e il mondo sensibile, necessarie per
giungere all'Uno. Filone sostituì alle idee impersonali gli angeli.
Filone portò avanti il suo pensiero anche riferendosi allo stoicismo, che
affermava anch'esso una sfera intermedia tra l'Uno e il mondo, considerando però
le idee di Platone come forze, come cause efficienti. I falsi dottori di
Colosse percorrevano la medesima strada di Filone, forse sulla base di
informazioni che circolavano nel mondo giudaico; numerosi erano infatti i Giudei
nell'Asia Minore. Da qui il riferirsi di Paolo al pensiero filosofico greco
(2,8).
L'angelologia dei falsi
dottori di Colosse inevitabilmente apriva la strada a sottrarre a Cristo
l'essere il ponte insostituibile e unico tra gli uomini e il Padre, inficiando
alla fine anche la sua stessa divinità.
I falsi maestri di Colosse,
oltre che con la loro dottrina sugli angeli presentata come culto devoto, si
presentavano anche con un severo regime ascetico, e millantavano un misticismo
fondato su loro immaginazioni, dal quale dicevano procedesse quanto affermavano
(2,18).
L'autenticità della lettera ai Colossesi è affermata da tutta la tradizione
ecclesiale. Le obiezioni circa l'autenticità
sono cominciate nella metà del XIX secolo ad opera di Ferdinand Christian Bauer
(1792 - 1860), insegnante di storia della Chiesa e dei dogmi all'Università di
Tubinga. Di origine Luterana, Bauer passò all'Hegelismo e all'applicazione di
tale pensiero al cristianesimo considerandolo solo un momento transitorio della
religiosità umana. La corrente ermeneutica da lui originata (scuola di Tubinga)
ha conosciuto numerose contestazioni.
La presenza di 35 nuove
parole nella lettera ai Colossesi faceva difficoltà alla scuola di Tubinga, ma
la spiegazione non è stata difficile ritrovarla nel fatto che Paolo ascoltò la
relazione di Epafra sugli errori a Colosse e quindi la lettera non poté che
avere il conseguente linguaggio.
Altra difficoltà presentata
dalla scuola di Tubinga fu quella che nella lettera c'è una cristologia troppo
progredita in confronto alle altre lettere. Ma la cristologia della lettera ai
Colossesi, certo molto ampia e luminosa, è in linea con le altre lettere. Ernst
Percy, biblista protestante, fece notare in “Die Probleme der Kolosser - und
Epheserbriefe, Lund, 1946” che un imitatore, pur di raffinala abilità, mai
avrebbe potuto approfondire in tal modo i pensieri cristologici di Paolo, meno
estesamente espressi nelle altre lettere.
In campo cattolico, sulla
base di studi approfonditi e liberi da pregiudizi, si conviene nettamente per
l'autenticità, e pure in campo protestante gli esegeti più attenti hanno optato
per l'autenticità.
La tesi della
pseudoepigrafia della lettera è oggi largamente abbandonata (Cf. Joseph A.
Fitzmyer: “La lettera ai Colossesi”, pag. 1263 in “Grande commentario
biblico”, ed. Queriniana, Brescia, 1973).
Nella lettera ai Colossesi,
come in quella agli Efesini, Paolo esprime, nella densità sintetica di un inno,
tutta la ricchezza della sua conoscenza di Cristo, che gli illuminava la mente e
gli faceva ardere il cuore, specie dal momento in cui ebbe un'esperienza sublime
di Cristo (2Cor 12,4).
1
1
Paolo, apostolo di
Cristo Gesù per volontà di Dio, e il fratello Timoteo,
2
ai santi e credenti fratelli in Cristo che sono a Colosse: grazia a voi e pace
da Dio, Padre nostro.
Timoteo, durante la sua
presenza nella Chiesa di Efeso (1Tm 1,3; At 20,3), aveva avuto modo di conoscere
i fedeli di Colosse.
3
Noi rendiamo grazie a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, continuamente
pregando per voi,
4
avendo avuto notizie
della vostra fede in Cristo Gesù e della carità che avete verso tutti i santi
5 a causa della speranza che vi attende nei cieli. Ne avete già
udito l’annuncio dalla parola di verità del Vangelo
6
che è giunto a voi. E come in tutto il mondo esso porta frutto e si sviluppa,
così avviene anche fra voi, dal giorno in cui avete ascoltato e conosciuto la
grazia di Dio nella verità,
7
che avete appreso da Epafra, nostro caro compagno nel ministero: egli è presso
di voi un fedele ministro di Cristo
8
e ci ha pure manifestato il vostro amore nello Spirito.
9
Perciò anche noi, dal
giorno in cui ne fummo informati, non cessiamo di pregare per voi e di chiedere
che abbiate piena conoscenza della sua volontà, con ogni sapienza e intelligenza
spirituale,
10
perché possiate comportarvi in maniera degna del Signore, per piacergli in
tutto, portando frutto in ogni opera buona e crescendo nella conoscenza di Dio.
11
Resi forti di ogni fortezza secondo la potenza della sua gloria, per essere
perseveranti e magnanimi in tutto,
12
ringraziate con gioia il Padre che vi ha resi capaci di partecipare alla sorte
dei santi nella luce.
La risurrezione gloriosa ha conferito a Cristo la gloria di
avere sottomesse a sé tutte le cose (1Cor 15,27) ), e quindi ogni potere in
cielo e in terra (Mt 28,18). La “sua gloria”
è la sovranità su tutte le cose, come pure il potere di azione. Così i Colossesi
siano “resi forti di ogni fortezza secondo la potenza
della sua gloria”.
Inno di
celebrazione del primato di Cristo
13
È lui che ci ha liberati dal potere delle tenebre
e ci ha trasferiti nel regno del Figlio del suo
amore,
14
per mezzo del quale abbiamo la redenzione,
il perdono dei peccati.
15
Egli è immagine del
Dio invisibile,
primogenito di tutta la creazione,
16
perché in lui furono
create tutte le cose
nei cieli e sulla terra,
quelle visibili e quelle invisibili:
Troni, Dominazioni,
Principati e Potenze.
Tutte le cose sono state create
per mezzo di lui e in vista di lui.
17
Egli è prima di tutte le cose
e tutte in lui sussistono.
18
Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa.
Egli è principio,
primogenito di quelli che risorgono dai morti,
perché sia lui ad avere il primato su tutte le
cose.
19
È piaciuto infatti a Dio
che abiti in lui tutta la pienezza
20
e che per mezzo di
lui e in vista di lui
siano riconciliate tutte le cose,
avendo pacificato con il sangue della sua croce
sia le cose che stanno sulla terra,
sia quelle che stanno nei cieli.
“Del Figlio del suo amore”.
Questa espressione si riferisce sia alla generazione eterna, senza
cominciamento, del Figlio, generato, non creato, della stessa sostanza del
Padre, che al Cristo, vero uomo e vero Dio, glorificato nella risurrezione
dall'amore del Padre. Nella lettera ai Romani questa verità è espressa con
maggiore estensione di parole (Rm 1,4): “Costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità”.
E' il Cristo, vero Dio e vero uomo, che nella risurrezione è costituito dal
Padre, anche quanto alla sua umanità resa gloriosa, sovrano su tutte le cose (Cf.
Ps 2,7).
“Egli è immagine del Dio invisibile”.
E' immagine del Padre sia in quanto Figlio, sia in quanto uomo poiché anche come
uomo Cristo è il rivelatore del Padre (Cf. Gv 14,9). E' immagine del Padre in
quanto procede per generazione dal Padre, ed è uguale quanto all'Essenza divina,
che è una, al Padre. E' immagine del Padre anche secondo il suo essere uomo.
L'uomo è fatto ad immagine e somiglianza con Dio, e Cristo, in quanto uomo è il
vertice perfettissimo dell'immagine che Dio ha impresso nell'uomo.
“Primogenito di tutta la creazione”.
Cristo per quanto riguarda la sua umanità è una creatura, e pure l'unione
ipostatica della natura divina con la natura umana nell'unica persona del Verbo
è una realtà creata, ma con ciò è il primogenito di tutta la creazione, perché
ha la preminenza su tutte le creature, essendo il vertice di tutti i vertici
della creazione, gli uomini e gli angeli, e poiché nella mente di Dio viene
prima di tutte le cose.
”Perché in lui furono create tutte le cose nei cieli
e sulla terra”. “In lui furono create”; il Padre ha creato tutte le cose avendo come
causa esemplare Cristo, poiché in quanto Verbo ha in sé l'idea di tutte le cose,
e in quanto Verbo incarnato è il centro di tutta l'opera creatrice
del Padre.
“Quelle visibili e quelle invisibili: Troni,
Dominazioni, Principati e Potenze”. “Troni, Dominazioni, Principati e Potenze”,
indicano
secondo il linguaggio dell'angelologia giudaica le schiere angeliche.
“Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e
in vista di lui”. Il Verbo incarnato non solo ha in sé le forme esemplari (idee)
di tutte le cose, ma ne è in quanto Verbo del Padre, della stessa sostanza del
Padre (l'Essenza divina è una), anche creatore. Così tutte “tutte
le cose sono state create per mezzo di lui”;
ma anche “in
vista di lui”;
così l'opera
creatrice, che procede dall'eterno decreto del Padre, ha come fine il Verbo
incarnato.
“Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui
sussistono”. Il Verbo incarnato è l'incipit di tutte le cose. Tutte “in lui sussistono”,
non
solo perché
essendo Dio le mantiene nell'essere, ma perché sono conservate nell'essere in
ragione di lui. Infatti Dio potrebbe far ripiombare nel nulla tutte le cose, ma
ciò non avverrà poiché Cristo è la ragione di tutto. Egli è l'alfa e l'omega (Ap
1,8).
“Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa”.
La Chiesa è il germe della nuova creazione, ed ha come capo Cristo.
“Egli è principio, primogenito di quelli che
risorgono dai morti, perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose”.
“E'
principio”,
poiché la risurrezione per la gloria ha la radice nella sua risurrezione.
“Primogenito”,
poiché è il primogenito della risurrezione.
“È piaciuto infatti a Dio che abiti in lui tutta la
pienezza”.
“La
pienezza”
è costituita dal primato su tutte le cose e dalla finalità a lui di tutte cose,
come il primato nella ricreazione che da lui procede e che ha come fine glorioso
lui: “Per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose”.
“Avendo pacificato con il sangue della sua croce sia
le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli”.
Tutte le cose sono state ri
(-) orientate a Dio Padre per mezzo suo e quindi
pacificate nella ricreazione che avrà il suo finale nella risurrezione e nei
cieli e terra nuovi. Anche le cose che stanno nei cieli, cioè tutto il cosmo è
stato riorientato al Padre. Gli angeli ebbero accesso
alla visione beatifica di Dio accettando con gioia il disegno dell'Incarnazione.
Satana invece si ribellò, non accettando di adorare il futuro Verbo incarnato, e
così tra le schiere angeliche avvenne uno scompaginamento
doloroso. Ora Cristo, con la
sua gloriosa vittoria sul Male, ha dato esultanza alle schiere angeliche che con
loro grande gioia vedono occupati i posti, resi
vuoti dalla caduta degli angeli ribelli, dagli eroi di Cristo.
21
Un tempo anche voi eravate stranieri e nemici, con la mente intenta alle opere
cattive;
22 ora egli vi
ha riconciliati nel corpo della sua carne mediante la morte, per presentarvi
santi, immacolati e irreprensibili dinanzi a lui;
23
purché restiate fondati e fermi nella fede, irremovibili nella
speranza del Vangelo che avete ascoltato, il quale è stato annunciato in tutta
la creazione che è sotto il cielo, e del quale io, Paolo, sono diventato
ministro.
Terminato l'inno Paolo si
rivolge nuovamente ai Colossesi.
Il Vangelo è stato annunciato “in tutta la creazione che è sotto il cielo”.
Paolo non intende dire che tutti gli uomini erano già stati evangelizzati, ma
dice che l'annuncio non si è fermato nel cerchio dei
circoncisi, ma ha raggiunto anche i
non circoncisi.
“Del quale io, Paolo, sono diventato ministro”.
Epafra ha portato il Vangelo a Colosse, ma è sull'autorità apostolica di Paolo
che poggia l'azione di Epafra.
24
Ora io sono lieto
nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti
di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa.
25
Di essa sono diventato ministro, secondo la missione affidatami da Dio verso di
voi di portare a compimento la parola di Dio,
26 il mistero
nascosto da
secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai suoi
santi. 27 A loro Dio volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo
mistero in mezzo alle genti: Cristo in voi, speranza della gloria.
28
È lui infatti che noi annunciamo, ammonendo ogni uomo e istruendo ciascuno con
ogni sapienza, per rendere ogni uomo perfetto in Cristo.
29
Per questo mi affatico e lotto, con la forza che viene da lui e che
agisce in me con potenza.
“Ora io sono lieto nelle sofferenze che sopporto per
voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a
favore del suo corpo che è la Chiesa”.
La letizia di Paolo in mezzo alle tribolazioni
deriva dal fatto che
egli le accetta perché ciò diventa scelta di Cristo e
rifiuto delle voci della carne, del mondo e del demonio, con ciò le sofferenze
lo purificano sempre più, dando al suo cuore spazio per l'azione sempre più
intensa e alta dello Spirito Santo, che lo unisce a Cristo. Le tribolazioni in
questo modo lo fanno sempre più un solo spirito con Cristo (1Cor 6,17).
Così Paolo diventa conforme a Cristo attestando nel patire l'amore verso di lui,
che lo sostiene nelle sofferenze. A questa corrispondenza al suo amore Cristo
risponde comunicandogli il fuoco dello Spirito Santo, e da qui la gioia di
amare, la gioia di stare amando.
Paolo partecipa alle sofferenze di Cristo
completandole, poiché membra di Cristo nella realtà della Chiesa, che è “suo
corpo”
(1 Cor 12,27). E ciò è dono di Cristo (Fil 1,29). Ma poiché tutte le membra
sono un solo corpo (1Cor 12,20), ecco che
ogni membro in Cristo
opera per tutto il corpo, per cui Paolo può dire: “a
favore del suo corpo che è la Chiesa”.
2
1
Voglio infatti che sappiate quale dura lotta devo sostenere per voi, per quelli
di Laodicea e per tutti quelli che non mi hanno mai visto di persona,
2
perché i loro cuori vengano consolati.
“Quale dura lotta devo sostenere per voi”.
La dura lotta è quella che deve sostenere di fronte alle persecuzioni dei
Giudei, come pure dei pagani. Se Paolo cedesse alla viltà e fuggisse la dura
lotta l'opera di evangelizzazione che ha raggiunto Colosse, come pure Laodicea,
ne sarebbe compromessa. Paolo, come si vede vuole stabilire un profondo contatto
con i fedeli di Colosse, di Laodicea e con tutti quelli che non lo hanno “mai
visto di persona”.
La profonda adesione all'autorità apostolica di Paolo produrrà forte comunione
tra i fedeli che saranno consolati da questo: “Perché i loro cuori vengano consolati”.
E così, intimamente uniti nell’amore, essi siano
arricchiti di una piena intelligenza per conoscere il mistero di Dio, che è
Cristo: 3 in lui sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della
conoscenza.
4 Dico questo perché nessuno vi inganni con argomenti seducenti:
5 infatti, anche se sono lontano con il corpo, sono però tra voi
con lo spirito e gioisco vedendo la vostra condotta ordinata e la saldezza della
vostra fede in Cristo.
6
Come dunque avete accolto Cristo Gesù, il Signore, in lui camminate,
7 radicati e
costruiti su di lui, saldi nella fede come vi è stato insegnato, sovrabbondando
nel rendimento di grazie.
L'unione dei cuori produrrà arricchimento nella
conoscenza del “mistero di Dio, che è Cristo”. La conoscenza del mistero di Dio, che è
Cristo, introduce ad una incessante conoscenza di Dio, poiché in Cristo “sono
nascosti tutti i tesori della sapienza e della conoscenza”. I fedeli non si allontanino dunque da Cristo
credendo di giungere a grande conoscenza di Dio ascoltando i fatui dottori che
presentano la mediazione angelica come necessaria,
(come condizione) sine qua non per giungere alla conoscenza di Dio. E' in Cristo,
infatti, che si giunge alla conoscenza di Dio. Dunque, “in
lui camminate, radicati e costruiti su di lui, saldi nella fede”.
8
Fate attenzione che nessuno faccia di voi sua preda con la filosofia e con vuoti
raggiri ispirati alla tradizione umana, secondo gli elementi del mondo e non
secondo Cristo.
“Con la filosofia e con vuoti raggiri ispirati alla
tradizione umana”. I falsi dottori che agivano a Colosse e non solo, si ammantavano
di erudizione filosofica come base della loro angelologia, che veniva ad
oscurare la pienezza presente in Cristo (1,19), e proponevano la tradizione
giudaica dei noviluni, della distinzione dei cibi in mondi e immondi, della
circoncisione (2,11), dei riti di purificazione.
Paolo non
entra nel dettaglio delle
argomentazioni dei falsi maestri, dal momento che ogni confutazione i Colossesi
la possono trovare in Cristo.
“Secondo gli elementi del mondo”,
cioè secondo quelle ritualità del giudaismo che toccavano solo la scorza
dell'uomo e non l'intimo dell'uomo poiché solo con Cristo, per Cristo, in
Cristo, esso viene raggiunto e rigenerato. Ma le ritualità passate, proposte ora
nella volontà di oscurare Cristo, non sono più neppure un abbozzo delle realtà
future portate da Cristo, ma sono solo realtà “secondo gli elementi del mondo”.
9
È in lui che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità,
10
e voi partecipate della pienezza di lui, che è il capo di ogni Principato e di
ogni Potenza.11
In lui voi siete stati anche circoncisi non mediante una circoncisione fatta da
mano d’uomo con la spogliazione del corpo di carne, ma con la circoncisione di
Cristo: 12 con lui sepolti nel battesimo, con lui siete anche risorti
mediante la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti.
13
Con lui Dio ha dato vita anche a voi, che eravate morti a causa delle colpe e
della non circoncisione della vostra carne, perdonandoci tutte le colpe e
14
annullando il documento scritto contro di noi che, con le
prescrizioni, ci era contrario: lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce.
15
Avendo privato della loro forza i Principati e le Potenze, ne ha fatto pubblico
spettacolo, trionfando su di loro in Cristo.
“È in lui che abita corporalmente tutta la pienezza
della divinità”. L'apostolo afferma che in Cristo si ha “tutta
la pienezza della divinità”,
cioè l'Essenza divina con tutti i suoi attributi. Non è Cristo un eone
intermedio tra Dio e gli uomini poiché egli è Dio in tutto uguale al Padre.
Egli, in quanto Persona, si distingue dal Padre per la relazione che ha con il
Padre essendo lui il Figlio unigenito, il “Figlio
del suo amore”
(1,13), ma una è l'Essenza. Tutta la pienezza della divinità “abita
corporalmente”
in lui, cioè non per via di semplice azione della divinità su di un corpo umano,
ma per l'unione ipostatica delle due nature, quella divina e quella umana. In
Cristo vi sono due nature, non mescolate tra di loro, nell'unica Persona che è
quella divina. In Dio si hanno tre Persone uguali e distinte nell'unica Essenza.
Dio è Trino e Uno.
“Voi partecipate della pienezza di lui, che è il
capo di ogni Principato e di ogni Potenza”. I rigenerati nel Battesimo, e quindi
incorporati a Cristo, capo del corpo, che è la Chiesa (1, 18), partecipano della
sua pienezza, quindi la perfezione dell'incontro con Dio non va ricercata nella
mediazione degli angeli, intesa di necessità salvifica assoluta, poiché Cristo è
il Capo di ogni Principato e potestà, il che vuol dire che gli angeli sono al
servizio di Cristo, cioè aiutano gli uomini ad essere uniti a lui..
“Della non circoncisione della vostra carne”,
cioè non della effettiva circoncisione rituale, ma della non circoncisione
morale dovuta alla pesante corruzione dei pagani.
“Annullando il documento scritto contro di noi che,
con le prescrizioni, ci era contrario”, La Legge data a Mosè rilevava lo stato di
peccato degli uomini che erano sotto il vincolo della Legge “contro
di noi”,
cioè contro i Giudei. Infatti la Legge faceva conoscere il male, ma non si aveva
parimenti la forza per osservare tutta la Legge, che così diventava Legge di
condanna (Rm 4,15; 5,20; 7,7; Gal 3,10).
“Lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce”.
Sulla croce Cristo soffrì e con ciò ha annullato il documento che manifestava il
peccato e che, rendendo l'uomo cosciente del peccato, lo conduceva alla
condanna. Ma la condanna che doveva colpire l'uomo raggiunse il Cristo, che ne
espiò le colpe, cosicché il Padre annullò la condanna che pesava sugli uomini.
Così la Legge di Mosè, con tutte le sue minuzie (prescrizioni, dalle quali i
rabbini avevano dedotto ben 613 precetti da osservare, e che nessuno riusciva ad
osservare interamente), risultò tolta di mezzo dalla legge della carità, che è
il pieno compimento della Legge (Rm 13,10); carità manifestata nella croce di
Cristo e permessa in coloro che sono in Cristo dall'azione dello Spirito Santo (Rm
5,5).
“Avendo privato della loro forza i Principati e le
Potenze, ne ha fatto pubblico spettacolo, trionfando su di loro in Cristo”.
“I
Principati e le Potenze”,
sono i demoni che avevano forza sugli uomini, e che in Cristo vengono scacciati
con pubblico spettacolo (Cf. Lc 10,20; ecc.): “Ne ha fatto pubblico spettacolo”
16
Nessuno dunque vi condanni in fatto di cibo o di bevanda, o per feste, noviluni
e sabati:
17 queste cose sono ombra di quelle future, ma la realtà è di Cristo.
I falsi dottori di Colosse e dintorni
rimproveravano con falsa autorità i cristiani venuti dal paganesimo di non
percorrere la strada giusta che richiedeva la pratica delle ritualità giudaiche.
Ma esse sono solo un “ombra di quelle future”
portate da Cristo. Ora, ha spiegato l'apostolo, esse sono per coloro che
oscurano Cristo solo delle pratiche “secondo gli elementi del mondo” (2,8), cioè prive del loro significato
di attesa del futuro, cioè di Cristo, poiché Cristo è già venuto e l'ombra è
scomparsa ed è apparsa la realtà: “la realtà è Cristo”.
18
Nessuno che si compiace vanamente del culto degli angeli e corre dietro alle
proprie immaginazioni, gonfio di orgoglio nella sua mente carnale, vi impedisca
di conseguire il premio:
19 costui non si stringe al capo, dal quale tutto il corpo riceve
sostentamento e coesione per mezzo di giunture e legamenti e cresce secondo il
volere di Dio.
20
Se siete morti con Cristo agli elementi del mondo, perché, come se viveste
ancora nel mondo, lasciarvi imporre precetti quali:
21
“Non prendere, non gustare, non toccare?”.
22
Sono tutte cose
destinate a scomparire con l’uso, prescrizioni e insegnamenti di uomini,
23
che hanno una parvenza di sapienza con la loro falsa religiosità e umiltà e
mortificazione del corpo, ma in realtà non hanno alcun valore se non quello di
soddisfare la carne.
I fatui maestri che premevano sui cristiani di
Colosse esaltavano il culto degli angeli a scapito di una vera adesione a
Cristo, e avevano costruito teorie fondate sulla loro immaginazione e le
presentavano come profonde, sapienti, eccelse, mentre erano solo il frutto
della loro mente carnale sospinta dalla volontà di comparire, di eccellere.
L'angelologia rabbinica
poneva gli angeli a custodi delle forze cosmiche affinché non prevalessero sugli
uomini (Cf. Ap 7,1; 14,18; 16,5 ), ma non
dando al culto
degli angeli un'importanza sine qua non per accedere a Dio conformemente
a quanto dimostrato dai salmi.
“Costui non si stringe al capo”;
i falsi maestri di Colosse erano dei cristiani provenienti dai giudaismo che
credevano di avere accesso, mossi dalla loro immaginazione, ad una conoscenza
superiore e decisiva circa gli angeli, considerando la conoscenza di Cristo
inferiore a questa loro falsa conoscenza.
“Per mezzo di giunture e legamenti”.
Il corpo mistico, che è la Chiesa, è una realtà compatta e strutturata, con “giunture
e legamenti”,
che sono i vari ministeri: episcopato, presbiterato, diaconato, come pure i
ministeri comuni di fatto.
“La loro falsa religiosità e umiltà e mortificazione
del corpo”. I falsi maestri di Colosse e dintorni non si presentavano
come degli epicurei, al contrario si presentavano come degli asceti,
apparentemente umili, ma in realtà gonfi d'orgoglio.
3
1
Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo,
seduto alla destra di Dio;
2
rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra.
3
Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio!
4
Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con
lui nella gloria.
Paolo esorta i Colossesi a cercare “le
cose di lassù”,
e non “quelle
della terra”.
“Le cose di
lassù”,
sono quelle del regno dei cieli che è venuto per mezzo di Cristo nel mondo e che
è stabilito nel cuore dei credenti in lui; regno che esprimerà il suo fulgore
nel cielo. Regno che ha una legge: quella dell'amore. Regno che ha una giustizia
quella del premio dato da Cristo a coloro che lo hanno accolto e della condanna
di coloro che lo hanno sistematicamente rifiutato fino all'impenitenza finale.
“Le cose della terra”
sono la ricerca delle ricchezze, degli onori, dell'ingordigia dei sensi, della
rivalsa sugli altri.
“Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta
con Cristo in Dio!”. Per mezzo del Battesimo i cristiani sono morti all'uomo
vecchio (3,9) e la loro vita nuova è l'avere Dio in loro, e ciò per la loro
adesione a Cristo. Tale nuova vita è nascosta, cioè non è oggetto di visione, ma
sarà manifestata nella gloria del cielo dove i redenti vedranno di avere in se
stessi una luce impossibile da immaginare ora nel tempo. Prima, nella gloria
delle anime in cielo dove vedranno Dio così come è (1Gv 3,2), poi, quando Cristo
ritornerà a chiudere la storia, nella risurrezione di gloria.
5
Fate morire dunque
ciò che appartiene alla terra: impurità, immoralità, passioni, desideri cattivi
e quella cupidigia che è idolatria;
6
a motivo di queste cose l’ira di Dio viene su coloro che gli disobbediscono.
La vita del cristiano è inscritta nel mistero
pasquale, che è morte e risurrezione. Il cristiano, con la forza che gli viene
dal suo essere in Cristo, deve dare morte alla morte, cioè alle opere della
carne in modo che non riemerga l'uomo vecchio.
“Quella cupidigia che è idolatria”.
La cupidigia è qui l'amore sensuale, che elegge l'amato a idolo.
“L’ira di Dio viene su coloro che gli disobbediscono”. Dare spazio alle voci della carne vuol dire disprezzare la
parola di Dio, come pure gli inviti della coscienza. Dio non rimane inerte di
fronte al disprezzo degli uomini e agisce umiliando l'uomo con castighi
correttivi (Cf. 1Cor 11,30; Eb 12,7).
7
Anche voi un tempo eravate così, quando vivevate in questi vizi.
8
Ora invece gettate via anche voi tutte queste cose: ira, animosità, cattiveria,
insulti e discorsi osceni, che escono dalla vostra bocca.
9 Non dite
menzogne gli uni agli altri: vi siete svestiti dell’uomo vecchio con le sue
azioni 10
e avete rivestito il nuovo, che si rinnova per una piena conoscenza, ad immagine
di Colui che lo ha creato.
11
Qui non vi è Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro, Scita,
schiavo, libero, ma Cristo è tutto e in tutti.
“Ora invece gettate via anche voi tutte queste cose:
ira, animosità, cattiveria, insulti e discorsi osceni, che escono dalla vostra
bocca”; “anche voi”, cioè al pari di ogni cristiano. I vizi che i cristiani di
Colosse devono rimuovere non sono quelli elencati prima (3,5), che essi in
quanto cristiani hanno abbandonato, ma quelli che ora li ostacolano alla
crescita in Cristo e minano l'unità della comunità: “Qui
non vi è Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro, Scita,
schiavo, libero, ma Cristo è tutto e in tutti”.
12
Scelti da Dio, santi
e amati, rivestitevi dunque di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di
mansuetudine, di magnanimità,
13
sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri, se qualcuno avesse di
che lamentarsi nei riguardi di un altro. Come il Signore vi ha perdonato, così
fate anche voi.
14
Ma sopra tutte queste cose rivestitevi della carità, che le unisce in modo
perfetto.
15 E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa
siete stati chiamati in un solo corpo. E rendete grazie!
“In un solo corpo. E rendete grazie!”.
La pace di Cristo ha come fondamento la riconciliazione che si ha in lui con
Dio; inoltre la pace di Cristo si ha nell'osservare la legge della carità. La
pace di Cristo viene donata nella chiamata ad essere parte di “un solo corpo”,
che è la Chiesa. Paolo dice che di questo i cristiani devono essere riconoscenti
a Dio. Infatti, l'uomo non può attuare se stesso da solo; per amore o per forza
deve vivere con gli altri. Cristo con la sua opera salvifica ha fatto sì che gli
uomini possano vivere insieme per amore e questo amore è quello che procede
dall'unione con lui nel dono dello Spirito Santo e nell'apertura al Padre,
nell'appartenenza alla Chiesa.
16
La parola di Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza. Con ogni sapienza
istruitevi e ammonitevi a vicenda con salmi, inni e canti ispirati, con
gratitudine, cantando a Dio nei vostri cuori.
17
E qualunque cosa facciate, in parole e in opere,
tutto avvenga nel nome del Signore Gesù, rendendo grazie per mezzo di lui a Dio
Padre.
Paolo esorta ad un'intensa assimilazione delle
ricchezze inesauribili della Parola di Cristo.
“Salmi, inni e canti ispirati”,
sono canti liturgici centrati su Cristo nell'apertura al Padre. Essi, composti
sotto l'impulso della grazia e adottati da tutta la comunità nell'azione
liturgica, ricalcano stili biblici.
“Cantando a Dio nei vostri cuori”;
non può esservi preghiera a Dio se è assente il cuore, poiché la preghiera è
azione d'amore.
18
Voi, mogli, state sottomesse ai mariti, come conviene nel Signore.
19
Voi, mariti, amate le vostre mogli e non trattatele con durezza.
20
Voi, figli, obbedite ai genitori in tutto; ciò è gradito al Signore.
21
Voi, padri, non esasperate i vostri figli, perché non si scoraggino.
22
Voi, schiavi, siate docili in tutto con i vostri padroni terreni: non servite
solo quando vi vedono, come si fa per piacere agli uomini, ma con cuore semplice
e nel timore del Signore.
23
Qualunque cosa facciate, fatela di buon animo, come per il Signore e non per gli
uomini, 24
sapendo che dal Signore riceverete come ricompensa l’eredità. Servite il Signore
che è Cristo!
25
Infatti chi commette
ingiustizia subirà le conseguenze del torto commesso, e non si fanno favoritismi
personali.
Paolo, dopo aver esortato alla vita liturgica
comunitaria, passa a tracciare la vita cristiana nella realtà domestica, quella
della famiglia. In essa deve essere presente l'ordine fondato nella carità e nel
rispetto dei ruoli. La sottomissione delle mogli ai mariti non scalza il
principio di uguaglianza, ma riguarda il principio di ordine essendo la famiglia
una piccola società che come tale è ordinata. La sottomissione delle mogli ai
mariti avviene nel Signore, cioè nell'amore. Non è una sottomissione ottenuta
con percosse, con umiliazioni, con minacce, ma prodotta dall'amore che riconosce
la necessità di un ordine familiare. La sottomissione non mortifica
l'elaborazione comune delle scelte, ma introduce un principio di responsabilità
particolare che grava sull'uomo. In tutto ciò Paolo non considera la semplice
coppia, ma la famiglia, che è compiutamente tale con i figli.
“Voi, padri, non esasperate i vostri figli, perché
non si scoraggino”; nessun padre-padrone è ammesso nella vita in Cristo. Il dominio
del padre-padrone impedisce ai figli di formarsi nella consapevolezza dei propri
talenti da far fruttare. Il padre-padrone forma dei figli incerti, esitanti, che
ad un certo punto possono ribellarsi diventando aggressivi.
“Voi, schiavi, siate docili in tutto con i vostri
padroni terreni: non servite solo quando vi vedono, come si fa per piacere agli
uomini, ma con cuore semplice e nel timore del Signore”.
L'apostolo non propone un programma di ribellione sociale degli schiavi ai loro
padroni, egli sa che la trasformazione sociale avviene dall'interno, così come
Gesù ha detto con l'immagine del lievito posto nella massa della pasta. Paolo
non presenta la rassegnazione, poiché inserisce la docilità dei servi nei
confronti dei loro padroni nell'azione di Cristo, all'interno della storia.
Cristo dà agli schiavi cristiani la prospettiva di una società fondata sulla
verità, sull'amore, cioè sul rispetto dei diritti fondamentali dell'uomo, e li
vuole protagonisti nell'umiltà e nell'amore:
“Servite il
Signore che è Cristo!”
4
1
Voi, padroni, date ai vostri schiavi ciò che è giusto ed equo, sapendo che anche
voi avete un padrone in cielo.
Paolo ammonisce a vivere nella carità anche i
padroni degli schiavi.
2
Perseverate nella
preghiera e vegliate in essa, rendendo grazie.
3
Pregate anche per
noi, perché Dio ci apra la porta della Parola per annunciare il mistero di
Cristo. Per questo mi trovo in prigione,
4
affinché possa farlo conoscere, parlandone come devo.
Paolo chiede le preghiere dei Colossesi per il
proseguimento della sua azione evangelizzatrice, questo sempre, ma ora più che
mai trovandosi in prigione in attesa che “si apra la porta della Parola”,
non tanto, quindi, quella della prigione, ma della Parola; Paolo infatti
annuncerà Cristo anche da prigioniero (Fil 1,12).
5
Comportatevi saggiamente con quelli di fuori, cogliendo ogni occasione.
6
Il vostro parlare sia sempre gentile, sensato, in modo da saper rispondere a
ciascuno come si deve.
7
Tutto quanto mi riguarda ve lo riferirà Tìchico, il caro fratello e ministro
fedele, mio compagno nel servizio del Signore,
8
che io mando a voi perché conosciate le nostre condizioni e perché rechi
conforto ai vostri cuori.
9
Con lui verrà anche Onesimo, il fedele e carissimo fratello, che è dei vostri.
Essi vi informeranno su tutte le cose di qui.
Tichico è il latore anche della lettera agli
Efesini. Onesimo è lo schiavo di Filemone. Il compito di ricondurlo al padrone
con una lettera, la lettera a Filemone, è affidato a Thichico (At 20,4; Ef 6,21;
2Tm 4,12; Tt 3,12).
10
Vi salutano Aristarco, mio compagno di carcere, e Marco, il cugino di Barnaba,
riguardo al quale avete ricevuto istruzioni - se verrà da voi, fategli buona
accoglienza -
11
e Gesù, chiamato Giusto. Di coloro che vengono dalla circoncisione questi soli
hanno collaborato con me per il regno di Dio e mi sono stati di conforto.
“Marco, il cugino di Barnaba”.
Tra Paolo e Barnaba c'era stata un'incomprensione riguardo alla presenza di
Marco nel rivisitare le comunità fondate nel primo viaggio missionario (At
15,36-39). Paolo e Barnaba si separarono, ma poi avvenne la ricomposizione dei
rapporti. I due credevano entrambi in Cristo, erano uniti nella carità, ma a
volte l'umano emerge con reazioni improvvise, che poi con umiltà bisogna
superare, e ciò serve per la crescita nella carità.
12
Vi saluta Epafra, servo di Cristo Gesù, che è dei vostri, il quale non smette di
lottare per voi nelle sue preghiere, perché siate saldi, perfetti e aderenti a
tutti i voleri di Dio.
13 Io do testimonianza che egli si dà molto da fare per voi e per
quelli di Laodicea e di Gerapoli.
14
Vi salutano Luca, il
caro medico, e Dema.
15
Salutate i fratelli
di Laodicea, Ninfa e la Chiesa che si raduna nella sua casa.
16
E quando questa
lettera sarà stata letta da voi, fate che venga letta anche nella Chiesa dei
Laodicesi e anche voi leggete quella inviata ai Laodicesi.
17
Dite ad Archippo: “Fa’ attenzione al ministero che hai ricevuto nel Signore, in
modo da compierlo bene”.
18
Il saluto è di mia mano, di me, Paolo. Ricordatevi delle mie catene. La grazia
sia con voi.
“E quando questa lettera sarà stata letta da voi,
fate che venga letta anche nella Chiesa dei Laodicesi e anche voi leggete quella
inviata ai Laodicesi”. E' diffusa considerazione che la lettera ai Laodicesi
coincida con quella agli Efesini. Considerando che Tichico dovette imbarcarsi a
Cesarea alla volta di Efeso, per poi prendere la grande strada romana che
passava accanto a Laodicea e Colosse, e che Colosse era alcuni km più in là di
Laodicea, si può concludere che Tichico avesse effettivamente tre lettere da
consegnare: una indirizzata ai Laodicesi, una ai Colossesi e la lettera a
Filemone.
“Vi salutano Luca, il caro medico, e Dema”.
Dema a Roma si allontanerà dall'apostolo (2Tm 4,16).
“Salutate i fratelli di Laodicèa, Ninfa e la Chiesa
che si raduna nella sua casa”. Anche l'evangelizzazione a Laodicea era stata
condotta da persone convertite a Cristo da Paolo durante la sua presenza a
Efeso. |