Testo e
commento
Capitolo
1 2 3 4 5
6 7
8 9
10 11
12 13
La seconda lettera
ai Corinzi è stata preceduta da circostanze non facili da delineare, sia per la
scarsità dei dati offerti dalla lettera stessa, sia perché gli Atti non
forniscono al proposito un aiuto.
La lettera ci dice
che Paolo fu già due volte a Corinto (12,14; 13,2) prima delle stesura della
lettera e si apprestava a una terza visita. Comunemente la prima visita è
considerata quella della fondazione della comunità cristiana (At 18,1s), ma non
si tratta precisamente di visita trattandosi della presenza fondazionale. Si può
pensare che la prima visita alla comunità (13,2) sia avvenuta dopo la
vicenda dell'accusa dei Giudei davanti al tribunale di Gallione. Gli Atti dicono
che Paolo restò ancora qualche settimana a Corinto (At 18,18), con
tutta probabilità dopo una breve assenza in attesa che le acque, molto agitate,
si calmassero. Questa seconda visita, non può che rientrare nell'ambito
del tempo di fondazione. La situazione a Corinto in questa seconda visita aveva
già aspetti dolorosi (13,2), con tutta probabilità dovuti allo smarrimento
causato dall'essere stato Paolo condotto dai Giudei in giudizio davanti a
Gallione. Seguì a questa seconda visita una lettera disciplinare la cui
sostanza la si ritrova nella 1Cor 5,9s. Permanendo i disordini di cui Paolo fu
informato scrisse da Efeso, capitale della provincia romana dell'Asia Minore, la
prima lettera canonica ai Corinzi, la prima ai Corinzi.
Oltre la lettera
Paolo inviò a Corinto anche Timoteo (1Cor 4,17; 16,10; At 19,22). Durante una
seconda visita (At 20,2) Paolo venne pubblicamente offeso da un facinoroso
(13,2), ciò affrettò la sua partenza prefigurando un suo ritorno a breve
scadenza.
Considerando la
situazione, non giudicò opportuno di ritornarvi così presto, perché tutto
sarebbe avvenuto nella tristezza (2,1-2), mentre desiderava che i Corinzi da
tale visita ricevessero una seconda grazia (1,15), dopo la prima,
che è quella della fondazione. Inviò invece ai Corinzi una lettera severa e
piena di dolore (2,4). La lettera venne inviata per mezzo di Tito (7,6). Tale
lettera è andata perduta come l'altra (Cf. 1Cor 5,9). Da quello che si può
arguire entrambe le due lettere avevano lo stesso tono disciplinare. Ci si può
domandare se le due lettere andate perdute fossero due lettere ispirate, cioè
Parola di Dio. La risposta è che non si può pensare che ogni scritto di Paolo
dovesse essere di necessità Parola di Dio. Le Chiese non inserirono nel “corpus
paolinum” le lettere non ispirate, contenenti non insegnamenti, ma
unicamente disposizioni disciplinari.
Dopo aver inviato
Tito a Corinto, Paolo attraversando la Macedonia (At 20,3) si recò a Troade
aspettando Tito di ritorno da Corinto, via mare. Ma Tito tardava, così Paolo
partì per la Macedonia dove finalmente incontrò il suo inviato (3,12). Le
notizie che portava erano buone, perché la gran parte della comunità aveva
isolato l'offensore e il gruppo che stava con lui, e anzi l'offensore si era
ravveduto.
La seconda lettera
canonica ai Corinzi Paolo la dettò probabilmente a Filippi, possibile luogo
dell'incontro con Tito, nell'estate o nell'autunno del 57.
La terza visita
dovette avvenire poco dopo, a partire dalla Macedonia verso l'Acaia, anche
per raccogliere i risultati della colletta (Cf. 9,4).
La lettera è ricca
di comunicazione palpitante, con cambi di tono: dal dolce allo sferzante, dalla
pacata esposizione dottrinale alla energica difesa della sua azione apostolica,
dall'esortazione a non lasciarsi prendere dagli allettamenti del mondo pagano
alla difesa della comunità dall'influsso dei superapostoli, dall'umile,
forzata, narrazione di sé, al rendimento di grazie in Cristo a Dio. Tutta la
comunicazione di Paolo è mossa dalla carità, da una carità viva, profonda, che
guardava alla fortezza di Cristo, ma anche, e sempre, alla dolcezza e
mansuetudine di lui (10,1).
Paolo era vero.
Radicale nel seguire Cristo, radicale nel rinnegare se stesso, radicale
nell'amare gli altri.
Moltissimi studiosi
protestanti sostengono che la lettera è unitaria, e così pure la gran
maggioranza degli autori cattolici; gli altri preferiscono vedervi la presenza
di alcuni brani di ipotetiche lettere aggiunte nel corpo del testo, ma le loro
argomentazioni hanno poca forza rispetto alla testimonianza omogenea dei
manoscritti e ad una lettura attenta della lettera (Cf. Settimio Cipriani, “Le
lettere di san Paolo”, ed. Pro Civitate, Assisi,1965, pag 252).
(6,14-18) Questo
passo è una digressione lungo il discorso, ed è stato interpretato come un
frammento di un'altra lettera dell'apostolo. Ma non esiste un qualche
manoscritto che ne presenti l'assenza. Anche se la digressione presenta termini
e idee rare nelle altre epistole paoline, ciò non indica affatto che questo
passo non sia pienamente paolino. La digressione non è poi un fatto che sia
avulso poiché trova la sua radice in (6,1).
(cap. 9) Alcuni
studiosi hanno pensato che il cap. 9 sia una ripetizione del cap. 8, e che
perciò debba riferirsi ad un biglietto scritto a tutte le comunità dell'Acaia.
Questa ipotesi si scontra con il fatto che non esiste manoscritto che non
riporti il cap. 9; inoltre i motivi che Paolo presenta per stimolare la
generosità dei Corinzi non sono gli stessi presenti nel cap. 8.
(cap.10-13) Il
cambiamento di tono dei cap. 10-13 ha fatto pensare ad alcuni studiosi che ci si
trovi di fronte ad una parte autonoma aggiunta successivamente alla lettera.
Alcuni hanno voluto addirittura vedervi la cosiddetta “lettera delle lacrime”
(2,4), ma proprio non è da lacrime il tono di questi capitoli. Esistono, al
contrario, stretti collegamenti tra questa ultima parte della lettera con la
prima parte, dove Paolo difende con pacatezza la sua condotta di fronte alle
accuse che alcuni gli muovevano contro. La realtà è che Paolo vede giunto il
momento di mettere allo scoperto gli agitatori della comunità di Corinto, cioè i
superapostoli, ed è chiaro che cambi il tono. Ma con ciò il suo cuore non cede
minimamente all'ira e per farlo capire si riferisce subito alla dolcezza
e mansuetudine di Cristo.
Non esiste nessun
manoscritto dove manchino i cap. 10-13.
Indirizzo
1 1
Paolo,
apostolo di Gesù Cristo per volontà di Dio, e il fratello Timoteo, alla Chiesa
di Dio che è a Corinto e a tutti i santi dell’intera Acaia:
2 grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal
Signore Gesù Cristo.
La lettera non è
solo indirizzata ai Corinzi, ma anche a “tutti i santi dell'intera Acaia”,
ha dunque una portata molto ampia. La comunità di Corinto aveva portato il
Vangelo in altre località e indubbiamente il piccolo gruppo che aveva aderito a
Cristo dopo il discorso all'areopago di Atene (At 17,34) si era numericamente
rafforzato. E' diventato un affrettato luogo comune dire che Paolo ad Atene fece
un mezzo fallimento, ma a considerare bene le cose l'apostolo poté formare un
piccolo gruppo, che dovette espandersi. In fondo non diversamente accadde a
Filippi, dove tutto cominciò con l'adesione di Lidia, una commerciante di
porpora, (At 16,14) nella cui casa in breve si formò il primo nucleo della
comunità di Filippi (At 16,40).
La Grecia era
divisa in Acaia e Macedonia. Capitale dell'Acaia era Corinto: Atene era stata
declassata dai Romani e faceva parte dell'Acaia.
Inno di
benedizione
3
Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e
Dio di ogni consolazione!
4
Egli ci consola in ogni nostra tribolazione, perché possiamo anche noi consolare
quelli che si trovano in ogni genere di afflizione con la consolazione con cui
noi stessi siamo consolati da Dio.
5
Poiché, come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così, per mezzo di
Cristo, abbonda anche la nostra consolazione.
6 Quando siamo tribolati, è per la vostra
consolazione e salvezza; quando siamo confortati, è per la vostra consolazione,
la quale vi dà forza nel sopportare le medesime sofferenze che anche noi
sopportiamo. 7
La nostra speranza nei vostri riguardi è salda: sappiamo che, come siete
partecipi delle sofferenze, così lo siete anche della consolazione.
Paolo comunica che
nel suo animo c'è un'intima letizia che procede dalla consolazione di Dio. Ha
ricevuto buone notizie da Tito (2,6) circa lo stato della comunità e ora vuole
manifestare il profondo del suo cuore di apostolo. Nel suo cuore, pur in mezzo
alle tribolazioni, c'è pace perché continuamente consolato dall'amore di Dio. Ed
è per mezzo di quella consolazione che è in grado di consolare a sua volta. Le
parole di Paolo rivelano la profondissima comunione in Cristo tra lui, i Corinzi
e i fedeli dell'intera Acaia: “Quando siamo tribolati, è per la vostra
consolazione e salvezza; quando siamo confortati, è per la vostra consolazione,
la quale vi dà forza di sopportare...”.
Gli apostoli sono
annunciatori del Vangelo e ministri della comunione in Cristo (1Gv 1,3). La
comunione dei santi nella quale gli apostoli vivono in Cristo è servita dalla
loro autorità. La loro autorità apostolica è perciò retta dall'amore. Quello che
Paolo ha scritto circa la carità (1Cor 13,4s) gli apostoli lo vivono.
8
Non vogliamo infatti che ignoriate, fratelli, come la tribolazione, che ci è
capitata in Asia, ci abbia colpiti oltre misura, al di là delle nostre forze,
tanto che disperavamo perfino della nostra vita.
9
Abbiamo addirittura ricevuto su di noi la sentenza di morte, perché
non ponessimo fiducia in noi stessi, ma nel Dio che risuscita i morti.
10 Da quella
morte però egli ci ha liberato e ci libererà, e per la speranza che abbiamo in
lui ancora ci libererà,
11
grazie anche alla vostra cooperazione nella preghiera per noi. Così, per il
favore divino ottenutoci da molte persone, saranno molti a rendere grazie per
noi.
“La
tribolazione, che ci è capitata in Asia”. Paolo si riferisce alle persecuzioni dei Giudei, dopo la
persecuzione di Efeso (At 20,3).
"La sentenza di morte" venne probabilmente pronunciata da dei congiurati che volevano
morto Paolo e i suoi collaboratori (Cf. At 23,12): “Abbiamo addirittura
ricevuto su di noi la sentenza di morte”. Dalla morte per linciaggio Paolo e i suoi
(Aristarco e Gaio) furono liberati. Dio li libererà ancora dalle varie insidie
mortali e questo “grazie anche alla vostra cooperazione nella preghiera per noi”.
Ancora Paolo presenta la comunione dei santi e in specifico sottolinea la
necessità che le comunità preghino per gli apostoli, i quali uniscono le loro
sofferenze a quelle di Cristo a favore dei santi (Col 1,24). L'essere sostenuti
dalla preghiera della comunità porta gli apostoli a continuare la loro opera
evangelizzatrice così che “saranno molti a rendere grazie per noi”.
Difesa
contro le accuse di insincerità e di incostanza
12
Questo infatti è il
nostro vanto: la testimonianza della nostra coscienza di esserci comportati nel
mondo, e particolarmente verso di voi, con la santità e sincerità che vengono da
Dio, non con la sapienza umana, ma con la grazia di Dio.
13
Infatti non vi scriviamo altro da quello che potete leggere o capire. Spero che
capirete interamente -
14
come in parte ci
avete capiti - che noi siamo il vostro vanto come voi sarete il nostro, nel
giorno del Signore nostro Gesù.
Il vanto, cioè
l'approvazione felice del suo operato, Paolo la riceve dalla propria coscienza.
“Infatti
non vi scriviamo altro da quello che potete leggere o capire”.
L'apostolo comincia a difendere se stesso dalle accuse che gli muovevano i
superapostoli. Accuse di doppiezza, di secondi fini, di leggerezza.
“Noi
siamo il vostro vanto come voi sarete il nostro, nel giorno del Signore nostro
Gesù”. I
fratelli di Corinto e dell'Acaia possono veramente sentire vanto nell'aver avuto
come maestri sinceri, pienamente al servizio del Vangelo, Paolo e i suoi
collaboratori. Nel giorno del Signore, nel giudizio universale, i fratelli di
Corinto e di Acaia saranno il vanto di Paolo e dei suoi collaboratori perché
essi esalteranno il loro servizio apostolico.
15
Con questa convinzione avevo deciso in un primo tempo di venire da voi, affinché
riceveste una seconda grazia,
16
e da voi passare in
Macedonia, per ritornare nuovamente dalla Macedonia in mezzo a voi e ricevere da
voi il necessario per andare in Giudea.
17 In questo progetto mi sono forse comportato con
leggerezza? O quello che decido lo decido secondo calcoli umani, in modo che vi
sia, da parte mia, il “sì, sì” e il “no, no”?
18 Dio è testimone che la nostra parola verso di voi
non è “sì” e “no”.
Paolo aveva
progettato di fare un viaggio in Macedonia e Acaia per poi recarsi a
Gerusalemme, in ragione della colletta (1Cor 16,1) e quindi andare a Roma
(At19,21). In questo progetto rientrava la promessa di una visita a Corinto
(1Cor 16, 5). Per ragioni di opportunità pastorale visto il clima teso che si
era creato durante la presenza a Corinto di Timoteo, latore della prima Corinzi,
aveva sospeso la visita inviando invece Tito con una lettera disciplinare (2,4;
7,6).
La mancata visita
venne interpretata da alcuni diffamatori, precisamente i superapostoli che
insidiavano la comunità, come prova di leggerezza, o di calcoli umani di
convenienza economica, visto che c'era di mezzo una colletta di denaro per le
Chiese della Giudea che versavano in difficoltà (At 11,29). Per Paolo la
colletta aveva grande importanza non solo caritativa, ma come vincolo di unità
tra le Chiese in gran parte formate da cristiani provenienti dal paganesimo, da
lui fondate, e quelle giudaico-cristiane.
19
Il Figlio di Dio, Gesù Cristo, che abbiamo annunciato tra voi, io, Silvano e
Timoteo, non fu “sì” e “no”, ma in lui vi fu il “sì”. 20 Infatti tutte le promesse di Dio in lui sono “sì”. Per questo
attraverso di lui sale a Dio il nostro “Amen” per la sua gloria.
21 È Dio
stesso che ci conferma, insieme a voi, in Cristo e ci ha conferito l’unzione,
22
ci ha impresso il sigillo e ci ha dato la caparra dello Spirito nei nostri
cuori.
Paolo, Silvano e
Timoteo hanno annunciato Cristo nel quale ci fu il “sì”, e dunque essi in lui procurano di essere
sempre “sì”
al volere di Dio. Cristo ha realizzato le promesse salvifiche del Padre
obbedendogli in tutto, cioè pronunciando sempre “sì”. Il “si” di Cristo al Padre è la ragione dell'unione dei credenti a
Cristo, e “per questo attraverso di lui sale a Dio il nostro “Amen” per la sua
gloria”.
Ma la capacità di
dire “si”
viene agli apostoli dalla forza di Dio che, soccorrendo sempre, rende conferma
del suo amore. Ma la forza di Dio è data in un vincolo di appartenenza a lui,
conferito nel Battesimo e approfondito nella Cresima. Tale vincolo di
appartenenza viene sancito da un sigillo, che è una marchiatura indelebile data
dal fuoco dello Spirito Santo.
La “caparra”
è una
cifra anticipata in un contratto commerciale affinché ci sia la garanzia che
venga pienamente adempiuto l’impegno assunto. Così, lo Spirito nei nostri cuori
è “la
caparra”
data da Dio affinché l'eterna appartenenza a lui nella gloria si avveri. L'uomo
può peccare e rifiutare “la caparra dello Spirito”, ma la marchiatura (carattere) battesimale e
cresimale, e per i sacerdoti quello sacerdotale, gli rimane, e gli sarà di
tormento eterno.
Il motivo per cui
Paolo non è andato a Corinto
23
Io chiamo Dio a
testimone sulla mia vita, che solo per risparmiarvi rimproveri non sono più
venuto a Corinto.
24
Noi non
intendiamo fare da padroni sulla vostra fede; siamo invece i collaboratori della
vostra gioia, perché nella fede voi siete saldi.
2
1
Ritenni pertanto opportuno non venire di nuovo fra voi con tristezza.
2
Perché se io
rattristo voi, chi mi rallegrerà se non colui che è stato da me rattristato?
3
Ho scritto proprio queste cose per non dovere poi essere rattristato, alla mia
venuta, da quelli che dovrebbero rendermi lieto; sono persuaso, riguardo a voi
tutti, che la mia gioia è quella di tutti voi.
4 Vi ho scritto in un momento di grande afflizione e col cuore
angosciato, tra molte lacrime, non perché vi rattristiate, ma perché conosciate
l’amore che nutro particolarmente verso di voi.
La mancata visita
di Paolo a Corinto fu causata dal non volersi trovare di fronte ad un clima di
tristezza reciproca. La lettera che scrisse, la scrisse “tra
molte lacrime”,
segno dell'amore che aveva per i Corinzi e segno di un'umiliazione di fronte
alla situazione di Corinto, sentita come proveniente da Dio quale correzione per
un suo migliore agire (11,21). Paolo non scrisse mosso da risentimenti, da moti
di vendetta, ma dal dolore; chi ama soffre nel vedersi non compreso, e nel
vedere l'amato orientarsi verso chi in realtà non lo ama.
5
Se qualcuno mi ha rattristato, non ha rattristato me soltanto, ma, in parte
almeno, senza esagerare, tutti voi.
6
Per quel tale però è già sufficiente il castigo che gli è venuto dalla maggior
parte di voi, 7
cosicché voi dovreste piuttosto usargli benevolenza e confortarlo, perché egli
non soccomba sotto un dolore troppo forte.
8
Vi esorto quindi a far prevalere nei suoi riguardi la carità;
9 e anche per questo vi ho scritto, per mettere alla prova il
vostro comportamento, se siete obbedienti in tutto.
10
A chi voi perdonate, perdono anch’io; perché ciò che io ho perdonato, se pure
ebbi qualcosa da perdonare, l’ho fatto per voi, davanti a Cristo,
11 per non cadere sotto il potere di Satana, di cui
non ignoriamo le intenzioni.
“Se
qualcuno mi ha rattristato”. Il “se”, indica che Paolo ha ammortizzato con la carità l'impatto di
dolore causatogli dall'offensore e non intende far pesare la cosa per aizzare
gli animi contro l'offensore. La gran parte dei Corinzi si è rattristata nel
vedere l'apostolo offeso e di conseguenza l'offensore è stato isolato e su di
lui grava la riprovazione, e ora Paolo invita la comunità a non continuare, ma
ad usargli piuttosto benevolenza, “perché egli non soccomba sotto un dolore troppo
forte”.
Paolo ha perdonato
“se pure
ebbi qualcosa da perdonare”,
e lo ha fatto sia per misericordia verso l'offensore, ma anche per non dare un
esempio di astiosità, cadendo così in un'insidia di Satana. Paolo non ignora che
Satana si muove per far cadere gli apostoli in contraddizione con il loro
messaggio, cosicché dal loro cattivo esempio venga compromessa la fede delle
comunità da loro fondate.
L'apprensione di Paolo a Troade. Digressione: il buon profumo di Cristo
12
Giunto a Troade per
annunciare il vangelo di Cristo, sebbene nel Signore mi fossero aperte le porte,
13
non ebbi pace nel mio
spirito perché non vi trovai Tito, mio fratello; perciò, congedatomi da loro,
partii per la Macedonia.
14
Siano rese grazie a Dio, il quale sempre ci fa partecipare al suo trionfo in
Cristo e diffonde ovunque per mezzo nostro il profumo della sua conoscenza!
15
Noi siamo infatti dinanzi a Dio il profumo di Cristo per quelli che si salvano e
per quelli che si perdono;
16
per gli uni odore di morte per la morte e per gli altri odore di vita per la
vita.
E chi è mai
all’altezza di questi compiti?
17
Noi non siamo infatti come quei molti che fanno mercato della parola di Dio, ma
con sincerità e come mossi da Dio, sotto il suo sguardo, noi parliamo in Cristo.
“Sebbene
nel Signore mi fossero aperte le porte,
13
non ebbi pace nel mio spirito perché non vi trovai Tito, mio
fratello”.
A Troade Paolo aveva già svolto la sua azione evangelizzatrice (At 16,8) e tutto
era promettente in modo tale che poteva aspettare l'arrivo di Tito senza provare
troppa ansietà. Invece no, le notizie da Corinto gli stavano sommamente a cuore
cosicché considerando che Tito avesse pensato di ritornare via terra gli andò
incontro.
“Il
quale sempre ci fa partecipare al suo trionfo in Cristo”. Paolo non sta seguendo un perdente, ma un
vincente, e sa di partecipare al trionfo di Cristo. Questo sempre in ogni
circostanza, anche quando è tribolato, anche quando è lasciato solo, quando è
colpito, rifiutato, lapidato, flagellato. La croce di Cristo è vessillo di
vittoria e gli apostoli sono felici perché Cristo diffonde “ovunque per mezzo nostro il profumo della sua
conoscenza”.
“Noi
siamo infatti dinanzi a Dio il profumo di Cristo”. Evangelizzare è un'azione cultuale (Rm 1,9), il che
significa che non è solo dire Cristo, ma testimoniare Cristo abbracciando
la croce. Cristo si è offerto a Dio “in
sacrificio di soave odore”
(Ef 5,2), così chi segue le orme di Cristo (1Pt 2,21) diventa, nel fuoco dello
Spirito Santo, un sacrificio gradito a Dio; e dunque gli apostoli sono “il
profumo di Cristo”
davanti a Dio.
Cristo sommo ed
eterno sacerdote, chiamando gli apostoli a seguirlo lungo la via della croce, è,
per questo, il sacerdote sacrificatore della vita degli apostoli, in modo
tale che il sacrificio della loro vita (Mt 10,39), in taluni casi spinto fino al
martirio, avviene nel suo sacrificio e in dipendenza dal suo sacrificio, senza
del quale nulla sarebbe della vita apostolica. Così gli apostoli sono “dinanzi
a Dio
il profumo
di Cristo”,
sommo ed eterno sacerdote.
“Per
gli uni odore di morte per la morte e per gli altri odore di vita per la vita”.
“Il profumo
di Cristo”
non solo raggiunge il Padre, ma anche gli uomini. Raggiunge gli uomini con la
sua potenza testimoniale, così esso è “odore di morte” per quelli che sono chiusi a Dio, poiché lo interpretano
come follia, come morte e non come vita. Al contrario per quelli che non hanno
precluso se stessi alla verità è “odore di vita per la vita”,
cioè viene colto come procedente dalla vita e non dalla morte, generando così in
loro vita
“E
chi è mai all’altezza di questi compiti?”. Paolo fa seguire immediatamente una riflessione di umiltà.
Nessuno, se non è in Cristo, può svolgere i compiti apostolici. Solo mossi da
Dio, con la forza che viene da Dio, nell'obbediente servizio a Dio, cioè “sotto
il suo sguardo”
si può essere il “buon
profumo di Cristo”.
Chi invece fa “mercato
della parola di Dio”
non ha Dio in sé, e perciò è inautentico e ben lo si vede perché non emana “il
buon profumo di Cristo”,
che comunica vita.
La lettera commendatizia di Paolo e la lettera testimoniale di
Cristo dei Corinzi
3
1
Cominciamo di nuovo a
raccomandare noi stessi? O abbiamo forse bisogno, come alcuni, di lettere di
raccomandazione per voi o da parte vostra?
2 La nostra lettera siete voi, lettera scritta nei nostri cuori,
conosciuta e letta da tutti gli uomini. 3 È noto infatti che voi siete una lettera di Cristo
composta da noi, scritta
non con inchiostro,
ma con lo Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma su tavole di
cuori umani.
“Cominciamo
di nuovo a raccomandare noi stessi?”. Paolo non sta presentando il valore di sé per attirare i
Corinzi, poiché non ne ha affatto bisogno. Altri si erano fatti scrivere lettere
commendatizie da presentare ai Corinzi per essere ben accolti, e avevano chiesto
ai Corinzi di scrivere per loro lettere commendatizie per altre comunità. Sono i
superapostoli di origine giudaica che facevano questo gioco. Non che le lettere
di raccomandazione siano bocciate da Paolo, ma è il modo subdolo con cui queste
venivano originate. Paolo non ha bisogno di scrivere lettere di tal genere,
poiché la lettera che Paolo presenta alle genti che va ad evangelizzare, sono
gli stessi Corinzi, e tale lettera è scritta nel suo cuore come in quello di
Silvano e di Timoteo. La lettera è costituita dalla realtà della fondazione
della comunità e dalle cure verso di essa. E' una lettera che portano con sé e
che è quindi “conosciuta e letta da tutti gli uomini”.
“È noto
infatti che voi siete una lettera di Cristo composta da noi”. La testimonianza dei Corinzi,
che aveva dato frutti in Acaia, era corredata di necessità imprescindibile della
presentazione che essi erano
“lettera
di Cristo”,
cioè lettera testimoniale di Cristo, non di un apostolo o di un altro, ma di
Cristo, scritta da Paolo e dai suoi collaboratori. Scritta non con inchiostro,
ma con l'azione dello Spirito di Dio. “Non su tavole di pietra, ma su tavole di cuori umani”.
Paolo fa riferimento alle tavole di pietra della testimonianza (Es 31,18; 32,15;
34,29) ricevute da Mosè sul Sinai, dette della testimonianza perché segno
dell'avvenuta alleanza tra Dio e il popolo sulla base dei comandamenti. Ora i
Corinzi sono “lettera
di Cristo”
testimonianza dell'avvenuta nuova alleanza, che si manifesta in un'esistenza
scaturita dall'intimo profondo dell'uomo, rinnovato ed elevato dall'azione
trasformante dello “Spirito
del Dio vivente”: “su tavole di cuori umanì”.
Grandezza dei
ministri della nuova alleanza
4
Proprio questa è la
fiducia che abbiamo per mezzo di Cristo, davanti a Dio.
5
Non che da noi stessi
siamo capaci di pensare qualcosa come proveniente da noi, ma la nostra capacità
viene da Dio, 6
il quale anche ci ha resi capaci di essere ministri di una nuova alleanza, non
della lettera, ma dello Spirito; perché la lettera uccide, lo Spirito invece dà
vita.
“Proprio
questa è la fiducia che abbiamo per mezzo di Cristo, davanti a Dio”
La fiducia che gli apostoli hanno nella loro capacità di apostoli è fondata su
Cristo, ed è nutrita di umiltà “davanti
a Dio”.
Essi, Paolo, Silvano e Timoteo non hanno, dunque, bisogno di suscitare ad arte
lettere commendatizie per far valere le loro qualità di apostoli. Paolo subito
precisa, poiché si poteva interpretare a questo punto che se non manovravano per
avere lettere commendatizie era perché non erano umili: “Non che da noi stessi siamo capaci di
pensare qualcosa come proveniente da noi, ma la nostra capacità viene da Dio”.
Essi sono ministri
di una nuova alleanza “non della lettera”. Qui Paolo presenta la deformazione farisaica
che aveva ridotto la Legge a pure norme da osservare, e non come pedagogo
verso Cristo (Gal 3,24). La Legge era infatti intesa dai farisei come
lettera, cioè come norma giuridica da osservarsi legalisticamente, cioè
formalmente, nell'idea che così si fosse giustificati davanti a
Dio. Così la Legge dava la morte, poiché la Legge stessa dice (Dt 27,26; Gal
3,3,10: “Maledetto
chiunque non rimane fedele a tutte le cose scritte nel libro della Legge per
metterle in pratica”. Ora, nessuno poteva osservare i numerosissimi precetti che erano
stati ricavati dai dottori di Israele dalla Torah (il Pentateuco) promettendo
per la loro osservanza la giustificazione, cioè l'essere liberi dal peccato e
graditi a Dio, di conseguenza si cadeva nella maledizione. Così “la
lettera uccide”,
mentre lo Spirito, col quale si conosce Cristo nella fede e col quale si ama in
Cristo il Padre e il fratelli, “dà vita” (Cf. Rm 8,2-3).
7
Se il ministero della morte, inciso in lettere su pietre, fu avvolto di gloria
al punto che i figli d’Israele non potevano fissare il volto di Mosè a causa
dello splendore effimero del suo volto,
8
quanto più sarà glorioso il ministero dello Spirito?
9 Se già il ministero che porta alla condanna fu
glorioso, molto di più abbonda di gloria il ministero che porta alla giustizia.
10
Anzi, ciò che fu
glorioso sotto quell’aspetto, non lo è più, a causa di questa gloria
incomparabile.
11 Se dunque
ciò che era effimero fu glorioso, molto più lo sarà ciò che è duraturo.
12
Forti di tale speranza, ci comportiamo con molta franchezza
13 e non facciamo come Mosè che poneva un velo sul suo volto,
perché i figli d’Israele non vedessero la fine di ciò che era solo effimero.
14
Ma le loro menti furono indurite; infatti fino ad oggi quel medesimo velo
rimane, non rimosso, quando si legge l’Antico Testamento, perché è in Cristo che
esso viene eliminato.
15
Fino ad oggi, quando si legge Mosè, un velo è steso sul loro cuore;
16
ma quando vi sarà la
conversione al Signore, il velo sarà tolto (Es 34,34).
17 Il Signore è lo Spirito e, dove c’è lo Spirito del Signore,
c’è libertà. 18
E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del
Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria,
secondo l’azione dello Spirito del Signore.
Sul perché Mosè si
mettesse il velo sono tantissime congetture che cercano di spiegare che quel
velo non era una strategia di prestigio attuata da Mosè, dando a intendere che
lo splendore che aveva rimaneva, cioè non era “effimero”.
Il perché Mosè si
mettesse il velo sul volto (34,33s) credo che sia da ricercarsi nell'ambito
della comunicazione con il popolo. Dopo essersi presentato col volto luminoso,
segno del contatto con Dio, e avere trasmesso al popolo i voleri divini, Mosè si
copriva il volto affinché il popolo non rimanesse fisso su di lui, ma si
rivolgesse a Dio. Questo comportamento aveva tuttavia la debolezza di nascondere
“la fine di ciò che era solo effimero”.
Il testo dell'Esodo non fa nessun appunto al gesto di Mosè, perché era palese
alla riflessione che lo splendore fosse passeggero, poiché se lo splendore il
popolo lo poteva vedere mentre Mosè parlava, lo poteva vedere anche dopo, e si
doveva considerare che se lo splendore fosse stato permanente era un non senso
nasconderlo, poiché ciò non era per Mosè, ma per il popolo, perché vedesse la
grandezza di Dio in Mosé. Paolo fa però un appunto a Mosè, vedendo nel velo una,
sia pur limitata, ricerca di mantenimento di prestigio. Ciò può essere
giustificato nella situazione di essere alla giuda di un popolo turbolento, in
cui il mantenimento di un alone di prestigio sembrava opportuno. Così, il
rabbinismo ebbe modo di formare la distorta idea che la luminosità del volto di
Mosè fosse permanente e che perciò la Legge (Torah) fosse la parola definitiva
di Dio.
Paolo usa il velo
come immagine per descrivere l'offuscamento della verità che i suoi connazionali
avevano: “quel
medesimo velo rimane, non rimosso”; esso rimane, oscurando l'evento definitivo
annunciato dal Vecchio Testamento, cioè Cristo.
La franchezza e sincerità degli apostoli
4
1
Perciò, avendo questo ministero, secondo la misericordia che ci è stata
accordata, non ci perdiamo d’animo.
2
Al contrario, abbiamo rifiutato le dissimulazioni vergognose, senza comportarci
con astuzia né falsificando la parola di Dio, ma annunciando apertamente la
verità e presentandoci davanti a ogni coscienza umana, al cospetto di Dio.
“Non
ci perdiamo d’animo”.
La consapevolezza di essere inviati da Dio “secondo la sua misericordia”, e sostenuti dalla sua grazia, fa sì che
gli apostoli non si abbattono nelle difficoltà, non ricorrendo a “dissimulazioni
vergognose”,
per presentare un'immagine di sé che non corrisponde alla verità, né ad “astuzie”
per mettere fuori gioco coloro dei quali vogliono prendere ricchezze e potere,
né “falsificando
la parola di Dio”
adattandola abilmente a giustificare i loro comportamenti. Gli apostoli si
comportano, al contrario, secondo la grandezza del loro ministero “annunciando
apertamente la verità e presentandoci davanti a ogni coscienza umana, al
cospetto di Dio”.
3
E se il nostro Vangelo rimane velato, lo è in coloro che si perdono:
4 in loro, increduli, il dio di questo mondo ha
accecato la mente, perché non vedano lo splendore del glorioso vangelo di
Cristo, che è immagine di Dio.
Se Mosè ebbe una
mancanza di “franchezza” mettendosi il velo, che rimase come una ipoteca sulla verità, gli
apostoli non pongono l'ipoteca di veli sul Vangelo, e se il “Vangelo
rimane velato, lo è in coloro che si perdono”.
5
Noi infatti non annunciamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore: quanto a noi,
siamo i vostri servitori a causa di Gesù.
6 E Dio, che disse (Gn 1,3): “Rifulga la luce dalle tenebre”,
rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria di Dio
sul volto di Cristo.
Gli apostoli non
cercano il loro prestigio annunciando se stessi, ma si pongono come servitori
degli uomini annunciando “Cristo Gesù Signore”. La luce rifulse nei loro cuori allo scopo di “far
risplendere la conoscenza della gloria di Dio sul volto di Cristo”.
Non solo loro a dover comparire, ma Cristo Gesù, glorificato dal Padre.
Fragilità
umana e grandezza apostolica
7
Noi però abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa
straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi.
8
In tutto, infatti, siamo tribolati, ma non schiacciati; siamo
sconvolti, ma non disperati;
9 perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi,
10
portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la
vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo.
11 Sempre infatti, noi che siamo vivi, veniamo consegnati alla morte a
causa di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne
mortale. 12
Cosicché in
noi agisce la morte, in voi la vita.
“Noi
però abbiamo questo tesoro in vasi di creta”. Subito Paolo presenta ancora una volta che la forza degli
apostoli procede da Dio, poiché il tesoro del loro ministero si trova “in
vasi di creta”.
Tutto nella loro vita apostolica richiama alla loro fragilità di fronte alle
prove che si abbattono sopra di loro, ma in tutto sono sostenuti dalla “straordinaria
potenza di Dio”.
Il loro essere esposti sempre al pericolo (1,6) anzi “consegnati
alla morte a causa di Gesù”, manifesta la forza della vita che procede da Gesù. In Gesù,
nella partecipazione alla passione di Gesù, avviene che le tribolazioni degli
apostoli fanno agire “in voi la vita”.
13
Animati tuttavia da quello stesso spirito di fede di cui sta scritto (Ps
115/116,10; versione dei LXX): Ho creduto, perciò ho parlato,
anche noi crediamo e perciò parliamo,
14
convinti che colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche
noi con Gesù e ci porrà accanto a lui insieme con voi.
15
Tutto infatti è per voi, perché la grazia,
accresciuta a opera di molti, faccia abbondare l’inno di ringraziamento,
per la gloria di Dio.
16
Per questo non ci scoraggiamo, ma, se anche il nostro uomo esteriore
si va disfacendo, quello interiore invece si rinnova di giorno in giorno.
17
Infatti il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione ci procura una
quantità smisurata ed eterna di gloria:
18
noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili, perché
le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili invece sono eterne.
Fragili come “vasi
di creta”,
tuttavia radicati nella forza che proviene dalla fede, Paolo, Timoteo e Silvano,
in unione con Pietro e gli altri apostoli, parlano “convinti che colui che ha risuscitato il Signore
Gesù, risusciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a lui insieme con voi”.
“Tutto è infatti per voi”, e da ciò procede che la grazia “accresciuta
a opera di molti, faccia abbondare l’inno di ringraziamento, per la gloria di
Dio”.
Sempre Paolo afferma la comunione dei santi e come il mandato apostolico sia a
servizio di questa comunione.
Desiderio del
cielo
5
1
Sappiamo infatti che, quando sarà distrutta la nostra dimora terrena, che è come
una tenda, riceveremo da Dio un’abitazione, una dimora non costruita da mani
d’uomo, eterna, nei cieli.
2
Perciò, in questa condizione, noi gemiamo e desideriamo rivestirci della nostra
abitazione celeste
3
purché siamo trovati vestiti, non nudi. 4 In realtà quanti siamo in questa tenda sospiriamo come sotto un
peso, perché non vogliamo essere spogliati ma rivestiti, affinché ciò che è
mortale venga assorbito dalla vita.
5 E chi ci ha fatti proprio per questo è Dio, che ci ha dato la
caparra dello Spirito.
Questo passo non è
di facile comprensione data la sua densità e il suo linguaggio. “La
nostra dimora terrena, che è come una tenda”, è il nostro corpo, che è come una tenda, perché la sua realtà è
fragile e non duratura come un edificio di pietra, e la tenda è propria di chi
non ha una dimora stabile. La tenda è soggetta ad essere distrutta e così il
nostro corpo sarà distrutto dalla morte.
Ma l'anima non sarà
senza dimora, senza abitazione, poiché avrà da Dio “una
dimora
non
costruita da mani d'uomo”,
come la tomba, ma eterna, nei cieli. Per la religione pagana, nei suoi risvolti
più popolari, la tomba era un'abitazione dove il defunto poteva soggiornare e
per questo si introducevano nella tomba dei cibi. Ora l'anima non sosterà nella
tomba, ma salirà al cielo.
Ma quanto alla “nostra
dimora terrena”,
si avrà in cielo la “nostra
abitazione celeste”,
cioè il corpo glorioso. La condizione di risurrezione gloriosa è desiderata: “Perciò,
in questa condizione, noi gemiamo e desideriamo rivestirci della nostra
abitazione celeste”.
Tuttavia, la risurrezione gloriosa sarà di chi è stato trovato vestito e non
nudo, cioè vestito degli abiti della grazia e non privo, cioè nudo.
Ma potrebbe
pensarsi che il corpo sia solo una realtà accidentale per l'uomo e non
costitutiva dell'interezza del suo essere e allora “non vogliamo essere spogliati ma rivestiti,
affinché ciò che è mortale venga assorbito dalla vita”. Il corpo non è una prigione punitiva,
dalla quale voler fuggire, ma una realtà positiva, anche se segnata dalla colpa
originale.
L'uomo è stato
creato per la gloria del cielo. La morte si è introdotta a causa del peccato,ma
Dio ha ristabilito che l'uomo abbia la gloria celeste e perché di ciò avesse
certezza nella fede gli ha dato la “caparra dello Spirito” (1,22). La caparra è una cifra che viene
data a garanzia del compimento di un acquisto. Noi come caparra davanti a Dio,
per il conseguimento dei beni eterni, abbiamo il dono dello Spirito.
6
Dunque, sempre pieni di fiducia e sapendo che siamo in esilio lontano dal
Signore finché abitiamo nel corpo -
7
camminiamo infatti nella fede e non nella visione -,
8 siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo e
abitare presso il Signore.
9 Perciò, sia abitando nel corpo sia andando in esilio, ci sforziamo
di essere a lui graditi.
10
Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, per
ricevere ciascuno la ricompensa delle opere compiute quando era nel corpo, sia
in bene che in male.
“Sapendo
che siamo in esilio lontano dal Signore finché abitiamo nel corpo”.
Paolo qui presenta il desiderio di lasciare il corpo per abitare presso il
Signore, cioè giungere alla visione beatifica. Queste parole ci dicono come
l'anima fedele dopo la morte salirà a Dio vedendolo così come egli è (Fil
1,23; 1Gv 3,2). La visione beatifica non sarà dunque solo alla risurrezione dei
corpi, ma dopo la morte per quelli che sono morti in Cristo. Non si dà
assolutamente una sospensione dell'attività dell'anima,
come ad esempio si vede nella parabola del ricco epulone (Lc 16,20)
e nelle parole di Gesù al ladrone (Lc 23,43), ma anzi essa è superattiva nella
carità perché non cammina più nella fede, ma è nella visione (Ap 4,4.10;
5,5; 6,9; 7,9; 14,1s; 15,3). Dio darà all'anima, con una suprema luce, la
possibilità di vederlo faccia a faccia (1Cor 13,12). Inoltre, quando
l'anima si separerà dal corpo per la morte, c'è subito un giudizio per ciascuno,
il giudizio particolare: “Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al
tribunale di Cristo, per ricevere ciascuno la ricompensa delle opere compiute
quando era nel corpo, sia in bene che in male”; anche (1Ts 5,10; Eb 9,27; Ap 14,13).
Dopo la risurrezione seguirà il giudizio universale (Mt 16,27; 25,31s;Gv 5,29;
Rm 2,5s; Ap 20,13; 2Tm 4,1).
L'esercizio del
ministero apostolico
11
Consapevoli dunque del timore del Signore, noi cerchiamo di convincere gli
uomini. A Dio invece siamo ben noti; e spero di esserlo anche per le vostre
coscienze. 12
Non ci
raccomandiamo di nuovo a voi, ma vi diamo occasione di vantarvi a nostro
riguardo, affinché possiate rispondere a coloro il cui vanto è esteriore, e non
nel cuore. 13
Se infatti siamo stati fuori di senno, era per Dio; se siamo assennati, è per
voi.
“Vi
diamo occasione di vantarvi a nostro riguardo”. Di fronte alle denigrazioni di Paolo fatte dai
superapostoli i Corinzi non erano stati pronti in tutto a difenderlo, ma ora
hanno gli elementi per difendere pienamente la persona di Paolo e dei suoi
collaboratori.
14
L’amore del Cristo infatti ci possiede; e noi sappiamo bene che uno è morto per
tutti, dunque tutti sono morti.
15
Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se
stessi, ma per colui che è morto e risorto per loro.
16
Cosicché non guardiamo più nessuno alla maniera umana; se anche abbiamo
conosciuto Cristo alla maniera umana, ora non lo conosciamo più così.
17 Tanto che, se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose
vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove.
18
Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e
ha affidato a noi il ministero della riconciliazione.
19 Era Dio infatti che riconciliava a sé il mondo in Cristo, non
imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della
riconciliazione. 20 In nome di Cristo, dunque, siamo ambasciatori: per mezzo nostro è
Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi
riconciliare con Dio.
21
Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro
favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio.
“L’amore
del Cristo infatti ci possiede”; “ci possiede” perché conduce gli apostoli a cercare sempre la gloria di
Dio. Questo viene precisato a chiarimento di chi pensando “alla
maniera umana”
diceva che la vita di Paolo
fosse “fuori di senno”.
“Noi
sappiamo bene che uno è morto per tutti, dunque tutti sono morti”, Cristo è morto per tutti e dunque tutti
sono morti nella sua morte, così chi accoglie Cristo muore al peccato
(Rm 6,2). Se Cristo è morto per tutti quelli che “vivono”
e quindi sono posseduti dalla carità, non possono più vivere per se stessi, ma
per Cristo e la sua causa, che è la salvezza degli uomini.
“Cosicché
non guardiamo più nessuno alla maniera umana”. Guardare gli altri alla maniera umana è leggerli nei loro
difetti, nelle loro pesantezza, nell’importanza ricevuta dalle posizioni da essi
occupate, nei loro livelli di intelligenza, nelle loro mediocrità; è essere in
competizione invidiosa con loro, è aspirare ai loro favori, è ritenerli inutili,
è confidare nella loro bontà in maniera malaccorta, è innalzarli in alto come
dei, è ritenerli spregevoli; è guardare alla loro bellezza scartando chi non
l'ha; è rimanere presi dalla loro cultura allontanando da sé chi ne è privo; è
rimanere conquistati dal ricco, mentre non ci si piega verso il povero (Gc
2,1s). Il credente vede che gli altri hanno al loro attivo la potenza
redentrice del Sangue di Cristo, che nel Battesimo sono figli di Dio, che hanno
lo Spirito, che hanno il cielo come patria alla quale tendono.
“Se
anche abbiamo conosciuto Cristo alla maniera umana, ora non lo conosciamo più
così”.
Anche Cristo è stato visto alla maniera umana. Paolo con tutta probabilità lo
vide e lo vide da uomo chiuso alla grazia, tutto preso dal fariseismo.
Ora però Paolo non lo vede più alla “maniera
umana”,
ma con l'occhio della fede, poiché è diventato in Cristo “una
nuova creatura”.
“Era
Dio infatti che riconciliava a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini
le loro colpe”.
Dio è il giudice che non ha voluto imputare agli uomini le colpe da loro
commesse, divenendo meritevoli della condanna di distruzione già sulla soglia
del paradiso terrestre, ma ha invece voluto nella sua misericordia riconciliare
con sé il mondo per mezzo del Figlio incarnato, annunciato subito dopo il
peccato (Gn 3,15). La riconciliazione dell'uomo con Dio è stata offerta da Dio e
si è compiuta nel Figlio, poiché nessuno ha il potere di riscattare se stesso
(Ps 48/49, 8). Non potendo l'uomo riscattare se stesso, ecco la misericordia di
Dio che non ha imputato agli uomini le loro colpe, poiché altrimenti avrebbe
dovuto distruggerli; ma Dio ha voluto perdonare all'uomo, addossando sul Figlio
le colpe degli uomini. Infatti, “Colui
che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché
in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio”.
“Dio lo
fece peccato in nostro favore”; in queste parole c'è tutto il dramma della croce, il dramma del
silenzio del Padre, che taceva ricevendo forza per farlo dallo Spirito Santo, il
quale, mentre dava forza al Padre di tacere sul Figlio, dava al Figlio la forza
d'amore di obbedire al Padre in un abbraccio di tutto il genere umano affinché
egli potesse diventare “giustizia di Dio”. “La giustizia di Dio”
si è attuata non con la distruzione del genere umano, ma con il sacrificio di
Cristo, che offre a coloro che lo accolgono (Gv 1,12) lo Spirito che dà la vita
(Gv 6,63).
L'eroismo
apostolico
6
1
Poiché siamo suoi
collaboratori, vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio.
2
Egli dice infatti (Is 49,8):
:
Al momento favorevole ti ho esaudito
e nel giorno della salvezza ti ho soccorso.
Ecco ora il momento
favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!
3
Da parte nostra non diamo motivo di scandalo a nessuno, perché non venga
criticato il nostro ministero;
4
ma in ogni cosa ci
presentiamo come ministri di Dio con molta fermezza: nelle tribolazioni, nelle
necessità, nelle angosce,
5
nelle percosse, nelle prigioni, nei tumulti, nelle fatiche, nelle veglie, nei
digiuni; 6
con purezza, con sapienza, con magnanimità, con benevolenza, con spirito di
santità, con amore sincero,
7
con parola di verità, con potenza di Dio; con le armi della giustizia a destra e
a sinistra; 8
nella gloria e nel disonore, nella cattiva e nella buona fama; come impostori,
eppure siamo veritieri;
9
come sconosciuti, eppure notissimi; come moribondi, e invece viviamo; come
puniti, ma non uccisi;
10
come afflitti, ma sempre lieti; come poveri, ma capaci di arricchire molti; come
gente che non ha nulla e invece possediamo tutto!
“Non
diamo motivo di scandalo a nessuno, perché non venga criticato il nostro
ministero”.
L'ostacolo alla diffusione del Vangelo è una vita non coerente con esso. Non è
di ostacolo la mancanza di mezzi, verranno; non è di ostacolo una formazione
ancora ai primi abbozzi, crescerà; non è di ostacolo la malattia o l'anzianità,
si sosterranno; non è di ostacolo la compagine di male che è nel mondo, verrà
vinta. L'ostacolo al Vangelo è l'incoerenza della vita, il non essere conformi a
Cristo. Occorre coerenza a tutta prova: “in ogni cosa ci presentiamo come ministri di Dio con molta
fermezza: nelle tribolazioni, nelle necessità (...); come poveri, ma capaci di
arricchire molti; come gente che non ha nulla e invece possediamo tutto!”.
Apertura di cuore
ed esortazioni
11
La nostra bocca vi ha parlato francamente, Corinzi; il nostro cuore si è tutto
aperto per voi.
12
In noi certo non siete allo stretto; è nei vostri cuori che siete allo stretto.
13
Io parlo come a figli: rendeteci il contraccambio, apritevi anche voi!
14
Non lasciatevi legare al giogo estraneo dei non credenti. Quale rapporto infatti
può esservi fra giustizia e iniquità, o quale comunione fra luce e tenebre?
15
Quale intesa fra Cristo e Bèliar, o quale collaborazione fra credente e non
credente? 16
Quale accordo fra tempio di Dio e idoli? Noi siamo infatti il tempio del Dio
vivente, come Dio stesso ha detto (Lv 26,12; Ez 37,27; Is 52,11; Ger 32,37-38;
31,9; Is 43,6; 2Sam 7,14; Os 1,9):
:
Abiterò in mezzo a loro e con loro camminerò
e sarò il loro Dio,
ed essi saranno il mio popolo.
17
Perciò uscite di mezzo a loro
e separatevi, dice il Signore,
non toccate nulla d’impuro.
E io vi accoglierò
18
e sarò per voi un padre
e
voi sarete per me figli e figlie,
dice il Signore onnipotente.
“In
noi certo non siete allo stretto; è nei vostri cuori che siete allo stretto”.
Il cuore di Paolo ha accolto nel suo cuore i Corinzi con grande amore, non con
riserve e con ripiegamenti in se stesso. Riserve e ripiegamenti ci sono invece
nei cuori dei Corinzi, che Paolo invita a superare.
“Non
lasciatevi legare al giogo estraneo dei non credenti”. La lettera fa una digressione fino a (7,1), ma
che ha la sua radice in (6,1). E' un'esortazione che riguarda a non cedere a
compromessi con il paganesimo.
“Quale
intesa fra Cristo e Bèliar, o quale collaborazione fra credente e non credente?”.
L'opposizione è radicale. “Beliar” è sinonimo di Satana usato spesso nella letteratura apocalittica
giudaica, e negli scritti di Qumran. L’espressione più antica è Belial, e
significa “il perverso”; deriva dall'ebraico Baliyyaà'al, che significa “senza
valore”.
Paolo non vede
possibile la collaborazione tra credenti e non credenti in una posizione di
irenismo che comprometta l'identità. Nella società romana gli dei erano parte
costitutiva dell'impalcatura dell'impero che faceva capo all'imperatore dio, e
perciò non possibile che emergesse la concezione della laicità dello stato.
Tuttavia i cristiani diedero a Cesare quel che è di Cesare, distinguendo Cesare
come autorità civile da Cesare come inaccettabile autorità divina, seguendo
quindi il principio del rispetto dell'autorità civile e della sua - relativa
- autonomia; relativa perché pure essa discende da Dio (Rm 13,1).
Paolo non invita i
cristiani ad uscire dal mondo, ma vuole che non siano del mondo (Gv 17,14-15;
1Cor 5,9)
Attualmente si
parla di cooperazione quanto al bene comune (Conc. Vat. II, “Gaudium
et Spes”: 73;75;78; “Dignitatis Humanae”: 6;7), ma ciò non vuol dire
minimamente perdita della propria identità cristiana.
7
1
In possesso dunque di
queste promesse, carissimi, purifichiamoci da ogni macchia della carne e dello
spirito, portando a compimento la santificazione, nel timore di Dio.
2
Accoglieteci nei
vostri cuori! A nessuno abbiamo fatto ingiustizia, nessuno abbiamo danneggiato,
nessuno abbiamo sfruttato.
3 Non dico questo per condannare; infatti vi ho già detto che siete
nel nostro cuore, per morire insieme e insieme vivere.
4
Sono molto franco con
voi e ho molto da vantarmi di voi. Sono pieno di consolazione, pervaso di gioia
in ogni nostra tribolazione.
“Per
morire insieme e insieme vivere”. Parole queste che danno la misura dell'irrevocabilità dell'amore
di Paolo per i Corinzi. Paolo afferma che la morte non potrà spezzare il legame
che li unisce in Cristo, e che vivranno insieme nell'eternità. Paolo poi non
omette di manifestare la consolazione che gli viene dai Corinzi: “Sono pieno di consolazione, pervaso di gioia in ogni nostra
tribolazione”.
Le tribolazioni
in Macedonia e il sollievo dell'incontro con Tito
5
Infatti, da quando
siamo giunti in Macedonia, il nostro corpo non ha avuto sollievo alcuno, ma da
ogni parte siamo tribolati: battaglie all’esterno, timori all’interno.
6
Ma Dio, che consola
gli afflitti, ci ha consolati con la venuta di Tito;
7
non solo con la sua venuta, ma con la consolazione
che ha ricevuto da voi. Egli ci ha annunciato il vostro desiderio, il vostro
dolore, il vostro affetto per me, cosicché la mia gioia si è ancora accresciuta.
“Battaglie
all’esterno, timori all’interno”; cioè battaglie di fronte ai pagani che reagivano con violenza
vedendo compromesso il loro assetto economico all'ombra degli idoli e dei loro
indovini (Cf. At 18,19; 19,29), e timori all'interno per la presenza di
cristiani giudaizzanti che tentavano di far saltare tutta l'opera di Paolo.
Finalmente incontrò Tito a dargli buone notizie sui Corinzi.
8
Se anche vi ho
rattristati con la mia lettera, non me ne dispiace. E se mi è dispiaciuto - vedo
infatti che quella lettera, anche se per breve tempo, vi ha rattristati -,
9
ora ne godo; non per
la vostra tristezza, ma perché questa tristezza vi ha portato a pentirvi.
Infatti vi siete rattristati secondo Dio e così non avete ricevuto alcun danno
da parte nostra;
10
perché la tristezza
secondo Dio produce un pentimento irrevocabile che porta alla salvezza, mentre
la tristezza del mondo produce la morte.
11
Ecco, infatti, quanta sollecitudine ha prodotto in
voi proprio questo rattristarvi secondo Dio; anzi, quante scuse, quanta
indignazione, quale timore, quale desiderio, quale affetto, quale punizione! Vi
siete dimostrati innocenti sotto ogni riguardo in questa faccenda.
12
Così, anche se vi ho
scritto, non fu tanto a motivo dell’offensore o a motivo dell’offeso, ma perché
apparisse chiara la vostra sollecitudine per noi davanti a Dio.
13 Ecco quello
che ci ha consolato.
“Infatti
vi siete rattristati secondo Dio” . La lettera è stata scritta nelle lacrime e non nel
risentimento verso l'offensore o nel disappunto amaro che la comunità era
rimasta spettatrice, piuttosto che intervenire apertamente a favore di Paolo. La
lettera aveva provocato tristezza con la sua forza disciplinare, ma i Corinzi si
erano rattristati secondo Dio, ravvedendosi da quella posizione neutrale che
avevano assunto.
“La
tristezza del mondo produce la morte”; infatti tale tristezza conduce al pessimismo, alla ribellione,
al disimpegno.
Più che per la vostra
consolazione, però, ci siamo rallegrati per la gioia di Tito, poiché il suo
spirito è stato rinfrancato da tutti voi.
14
Cosicché, se in qualche cosa mi ero vantato di voi
con lui, non ho dovuto vergognarmene, ma, come abbiamo detto a voi ogni cosa
secondo verità, così anche il nostro vanto nei confronti di Tito si è dimostrato
vero. 15
E il suo affetto per voi è cresciuto, ricordando come tutti gli avete obbedito e
come lo avete accolto con timore e trepidazione.
16
Mi rallegro perché
posso contare totalmente su di voi.
Le buone notizie portate da
Tito avevano dato tanta consolazione all'apostolo, ma
ancor maggiore era stata la consolazione prodotta dal vedere i frutti
della comunità nella persona di Tito: “Ci siamo rallegrati per la gioia di Tito, poiché il
suo spirito è stato rinfrancato da tutti voi”.
“Mi
rallegro perché posso contare totalmente su di voi”. Queste parole fanno da premessa alla
presentazione della colletta.
Presentazione dei
motivi di generosità per la colletta
8
1
Vogliamo rendervi nota, fratelli, la grazia di Dio concessa alle Chiese della
Macedonia, 2
perché, nella grande prova della tribolazione, la loro gioia sovrabbondante e la
loro estrema povertà hanno sovrabbondato nella ricchezza della loro generosità.
3
Posso testimoniare infatti che hanno dato secondo i loro mezzi e anche al di là
dei loro mezzi, spontaneamente,
4
domandandoci con molta insistenza la grazia di prendere parte a questo servizio
a vantaggio dei santi.
5
Superando anzi le nostre stesse speranze, si sono offerti prima di tutto al
Signore e poi a noi, secondo la volontà di Dio;
6 cosicché abbiamo pregato Tito che, come l’aveva
cominciata, così portasse a compimento fra voi quest’opera generosa.
7
E come siete ricchi in ogni cosa, nella fede, nella parola, nella conoscenza, in
ogni zelo e nella carità che vi abbiamo insegnato, così siate larghi anche in
quest’opera generosa.
8
Non dico questo per darvi un comando, ma solo per mettere alla prova la
sincerità del vostro amore con la premura verso gli altri.
9
Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si
è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua
povertà. 10
E a questo riguardo vi do un consiglio: si tratta di cosa vantaggiosa per voi,
che fin dallo scorso anno siete stati i primi, non solo a intraprenderla ma
anche a volerla.
11
Ora dunque realizzatela perché, come vi fu la prontezza del volere, così vi sia
anche il compimento, secondo i vostri mezzi.
12
Se infatti c’è la buona volontà, essa riesce gradita secondo quello che uno
possiede e non secondo quello che non possiede.
13
Non si tratta infatti di mettere in difficoltà voi
per sollevare gli altri, ma che vi sia uguaglianza.
14
Per il momento la
vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza
supplisca alla vostra indigenza, e vi sia uguaglianza, come sta scritto:
15
Colui che raccolse molto non abbondò e colui che raccolse poco non
ebbe di meno (Es 16,18).
Della colletta,
destinata alle Chiese della Palestina, Paolo aveva già parlato nella prima
lettera canonica (1Cor 16,1s). La colletta era stata iniziata a Corinto da Tito
un anno prima “fin dallo scorso anno siete stati i primi, non solo a intraprenderla
ma anche a volerla”, ma la colletta a Corinto aveva avuto una battuta di arresto per
l'intervento dei superapostoli che accusavano Paolo e Tito di essere degli
interessati al denaro (12,18).
“La
grazia di Dio concessa alle Chiese della Macedonia”. Le comunità della Macedonia avevano corrisposto largamente
alla colletta, pur in mezzo alle difficoltà, e Paolo lo sottolinea per stimolare
le comunità di Acaia a fare altrettanto. La colletta è una grazia perché
occasione di fare del bene ai fratelli indigenti, rafforzando così l'unione tra
le Chiese locali. Essa ha anche la funzione di “mettere
alla prova la sincerità del vostro amore con la premura verso gli altri”,
infatti l'amore se non si concretizza nell'azione (preghiera, sacrificio,
consiglio, conforto, aiuto nelle necessità corporali) è vuoto (Gc 2,16).
Paolo cita
l'esempio di Cristo che “da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste
ricchi per mezzo della sua povertà”. Cristo non si è spogliato di qualche cifra, ma
della sua stessa ricchezza di Figlio di Dio (Fil 2,7) per rendere ricchi di vita
coloro che credono in lui
“Per
il momento la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la
loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza, e vi sia uguaglianza”.
L'aiuto vicendevole
nelle necessità determina l'eguaglianza. I Corinzi sono chiamati ad aiutare le
comunità della Palestina, ma l'abbondanza materiale dei Corinzi incontrerà
l'abbondanza spirituale delle comunità della Palestina in stato di sacrificio
per la carestia e per la loro debole forza economica, la loro abbondanza
spirituale aiuterà l'indigenza spirituale dei Corinzi (At 11,28; Gal 2,10),
presente anche se Paolo dice che essi sono
“ricchi in ogni cosa, nella fede, nella parola, nella conoscenza, in
ogni zelo e nella carità che vi abbiamo insegnato”;
questa ricchezza presente nella comunità di Corinto e di Acaia, non esclude la
carenza di corrispondenza.
Raccomandazione
dei delegati per la colletta
16
Siano rese grazie a Dio, che infonde la medesima sollecitudine per voi nel cuore
di Tito! 17
Egli infatti ha accolto il mio invito e con grande sollecitudine è partito
spontaneamente per venire da voi.
18
Con lui abbiamo inviato pure il fratello che tutte le Chiese lodano a motivo del
Vangelo. 19
Egli è stato
designato dalle Chiese come nostro compagno in quest’opera di carità, alla quale
ci dedichiamo per la gloria del Signore, e per dimostrare anche l’impulso del
nostro cuore.
20 Con ciò
intendiamo evitare che qualcuno possa biasimarci per questa abbondanza che viene
da noi amministrata.
21 Ci preoccupiamo infatti di comportarci bene non soltanto davanti al
Signore, ma anche davanti agli uomini.
22 Con loro abbiamo inviato anche il nostro fratello, di cui
abbiamo più volte sperimentato la sollecitudine in molte circostanze; egli è ora
più entusiasta che mai per la grande fiducia che ha in voi.
23
Quanto a Tito, egli è
mio compagno e collaboratore presso di voi; quanto ai nostri fratelli, essi sono
delegati delle Chiese e gloria di Cristo. 24
Date dunque a loro la prova del vostro amore e
della legittimità del nostro vanto per voi davanti alle Chiese.
“Con
grande sollecitudine è partito spontaneamente per venire da voi”. Tito, incontrato in Macedonia, ritornò in
Acaia per portare a buon esito la colletta. L'incarico a Tito fu ufficiale
poiché designato dalle Chiese per il suo valore nell'annunciare il Vangelo, ciò
fa sì “che
qualcuno possa biasimarci per questa abbondanza che viene da noi amministrata”.
9
1
Riguardo poi a questo servizio in favore dei santi, è superfluo che io ve ne
scriva. 2
Conosco infatti la vostra buona volontà, e mi vanto di voi con i Macedoni,
dicendo che l’Acaia è pronta fin dallo scorso anno e già molti sono stati
stimolati dal vostro zelo.
3
Ho mandato i fratelli affinché il nostro vanto per voi su questo
punto non abbia a
dimostrarsi vano, ma, come vi dicevo, siate realmente pronti.
4 Non avvenga
che, se verranno con me alcuni Macedoni, vi trovino impreparati e noi si debba
arrossire, per non dire anche voi, di questa nostra fiducia.
5
Ho quindi ritenuto necessario invitare i fratelli a recarsi da voi prima di me,
per organizzare la vostra offerta già promessa, perché essa sia pronta come una
vera offerta e non come una grettezza.
“Mi
vanto di voi con i Macedoni, dicendo che l’Acaia è pronta fin dallo scorso anno”.
Le Chiese della Macedonia hanno dato “secondo i loro mezzi e anche al di là dei loro mezzi”,
ma la colletta in Macedonia non è chiusa. Paolo ha citato come esempio ai
Macedoni la Chiesa di Corinto, che già da un anno ha avviato la colletta. Come
si vede, Paolo ha citato lo zelo dei fratelli della Macedonia per stimolare
quelli dell’Acaia, ma ai Macedoni ha presentato il primato di quelli dell’Acaia
di essersi offerti per primi. Paolo prospetta la possibilità di andare
nell’Acaia a raccogliere i frutti della colletta con alcuni Macedoni. Questo
fatto indica che Paolo fece il terzo viaggio a Corinto, capitale dell’Acaia, a
partire dalla Macedonia, poco dopo aver scritto la lettera.
Benefici della
colletta
6
Tenete presente questo: chi semina scarsamente, scarsamente raccoglierà e chi
semina con larghezza, con larghezza raccoglierà.
7
Ciascuno dia secondo quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza né per
forza, perché Dio ama chi dona con gioia. 8 Del resto, Dio ha potere di far abbondare in voi
ogni grazia perché, avendo sempre il necessario in tutto, possiate compiere
generosamente tutte le opere di bene. 9 Sta scritto infatti (Ps 111/112,9; versione dei
LXX):
Ha largheggiato, ha dato ai poveri,
la sua giustizia dura in eterno.
10
Colui che dà il seme al seminatore e il pane per il nutrimento, darà e
moltiplicherà anche la vostra semente e farà crescere i frutti della vostra
giustizia. 11
Così sarete ricchi per ogni generosità, la quale farà salire a Dio l’inno di
ringraziamento per mezzo nostro.
12
Perché l’adempimento di questo servizio sacro non provvede solo alle necessità
dei santi, ma deve anche suscitare molti ringraziamenti a Dio.
13 A causa della bella prova di questo servizio essi
ringrazieranno Dio per la vostra obbedienza e accettazione del vangelo di
Cristo, e per la generosità della vostra comunione con loro e con tutti.
14
Pregando per voi manifesteranno il loro affetto a causa della straordinaria
grazia di Dio effusa sopra di voi.
15
Grazie a Dio per
questo suo dono ineffabile!
“Ciascuno
dia secondo quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza né per forza,
perché Dio ama chi dona con gioia”. La colletta è un'opera della carità in Cristo e perciò non può
essere che accolta come un'occasione di corrispondenza all'amore di Dio, che
chiede di amare i fratelli. Corrispondere alla colletta con tristezza e come a
cosa che bisogna fare per forza è escludersi dai suoi frutti spirituali, sia
dati da Dio nei cuori per la loro generosità perché Dio “ama
chi dona con gioia”,
e qui è già grande grazia operare la colletta, sia per le preghiere dei
beneficati che “pregando
per voi manifesteranno il loro affetto a causa della straordinaria grazia di Dio
effusa sopra di voi”.
Risposta di Paolo
all'accusa di debolezza
10
1
Ora io stesso, Paolo,
vi esorto per la dolcezza e la mansuetudine di Cristo, io che, di presenza,
sarei con voi debole ma che, da lontano, sono audace verso di voi:
2
vi supplico di non costringermi, quando sarò tra voi, ad agire con quell’energia
che ritengo di dover adoperare contro alcuni, i quali pensano che noi ci
comportiamo secondo criteri umani.
3
In realtà, noi viviamo nella carne, ma non combattiamo secondo criteri umani.
Infatti le armi della nostra battaglia non sono carnali,
4 ma hanno da
Dio la potenza di abbattere le fortezze,
5 distruggendo i ragionamenti e ogni arroganza che si leva
contro la conoscenza di Dio, e sottomettendo ogni intelligenza all’obbedienza di
Cristo. 6
Perciò siamo
pronti a punire qualsiasi disobbedienza, non appena la vostra obbedienza sarà
perfetta.
Terminati i
chiarimenti circa l’aspetto delicato della colletta causa di biasimi, l'apostolo
passa ad affrontare di petto le accuse che venivano ventilate dai superaspostoli
e anche in qualche grado accolte dai Corinzi. Lo fa ponendosi all'interno della
dolcezza e mansuetudine di Cristo, il che vuol dire che la sua parola è ferma,
forte, ma non stizzita: “vi esorto per la dolcezza e la mansuetudine di Cristo”.
Gli si rimproverava
di essere un debole, ma si deve sapere che non gli manca l'energia di agire
contro alcuni: “vi
supplico di non costringermi, quando sarò tra voi, ad agire con quell’energia
che ritengo di dover adoperare contro alcuni”.
Se qualcuno avesse
pensato che l’azione di Paolo fosse fondata su risorse umane lo avrebbe
giudicato un insensato, e per questo Paolo afferma: “non
combattiamo secondo criteri umani. Infatti le armi della nostra battaglia non
sono carnali, 4
ma hanno da Dio la potenza di abbattere le fortezze...”.
7
Guardate bene le cose in faccia: se qualcuno ha in se stesso la persuasione di
appartenere a Cristo, si ricordi che, se lui è di Cristo, lo siamo anche noi.
8
In realtà, anche se mi vantassi di più a causa della nostra autorità, che il
Signore ci ha dato per vostra edificazione e non per vostra rovina, non avrò da
vergognarmene.
9 Non sembri
che io voglia spaventarvi con le lettere!
10
Perché “le lettere - si dice - sono dure e forti, ma la sua presenza
fisica è debole e la parola dimessa”. 11 Questo tale rifletta però che quali noi siamo a
parole, per lettera, assenti, tali saremo anche con i fatti, di presenza.
Chi criticava Paolo
presentandosi come un coerente in Cristo deve ricordarsi “che
se lui è di Cristo, lo siamo anche noi”. Paolo potrebbe vantarsi anche di più, non solo quindi perché è
di Cristo, ma anche perché ha l'autorità apostolica, e precisa subito: “il
Signore ci ha dato per vostra edificazione e non per vostra rovina”. Anche se si vantasse “di
più”, lo
potrebbe fare senza poi doversi vergognare.
“Questo
tale rifletta però che quali noi siamo a parole, per lettera, assenti, tali
saremo anche con i fatti, di presenza”. “Questo tale”, non è una persona singola, ma è un tale generico
nel quadro di quelli che si sono persuasi di appartenere a Cristo, ma non lo
sono perché le loro opere li sconfessano.
Perciò chi si
vanta, si vanti nel Signore
12
Certo, noi non
abbiamo l’audacia di uguagliarci o paragonarci ad alcuni di quelli che si
raccomandano da sé, ma, mentre si misurano su se stessi e si paragonano con se
stessi, mancano di intelligenza.
13
Noi invece non ci vanteremo oltre misura, ma secondo la misura della
norma che Dio ci ha assegnato, quella di arrivare anche fino a voi.
14
Non ci arroghiamo
un’autorità indebita, come se non fossimo arrivati fino a voi, perché anche a
voi siamo giunti col vangelo di Cristo.
15 Né ci vantiamo indebitamente di fatiche altrui, ma abbiamo la
speranza, col crescere della vostra fede, di crescere ancor più nella vostra
considerazione, secondo la nostra misura,
16 per evangelizzare le regioni più lontane della vostra, senza
vantarci, alla maniera degli altri, delle cose già fatte da altri.
17
Perciò chi si vanta, si vanti nel Signore (Ger 9,22-23);
18
infatti non colui che si raccomanda da sé viene
approvato, ma colui che il Signore raccomanda.
“Mentre
si misurano su se stessi e si paragonano con se stessi, mancano di intelligenza”.
“Mancano
di intelligenza”
poiché si riferiscono, nel misurare il loro valore, ad una considerazione di se
stessi costruita senza riferimento al reale, il che vuol dire che si possono
gonfiare senza limiti.
“Ma
secondo la misura della norma che Dio ci ha assegnato, quella di arrivare anche
fino a voi”.
Quello che Paolo e i suoi collaboratori hanno fatto deriva dall'iniziativa di
Dio, e perciò il loro vanto è situato nell'ambito della verità che è Dio che li
ha condotti a Corinto e che ha operato come agente principale per mezzo di loro.
Essi dunque sono ben
lontani dal comportamento dei superapostoli, che addirittura si
vantano “indebitamente
di fatiche altrui”.
La stima che i
Corinzi daranno ancor più a Paolo, secondo la sua speranza, servirà non per
innalzarsi vanaglorioso, ma diventerà forza per “Per evangelizzare le regioni più lontane della vostra”.
“Chi
si vanta, si vanti nel Signore”.
Vantarsi nel Signore significa riconoscere che quello che si è lo si deve a
lui, e che quello che si fa lo si deve a lui. E' lui che invia e
sostiene gli apostoli nella loro azione. Il merito degli apostoli, che gli
apostoli in tutta umiltà nascondono a se stessi per non sciupare ogni cosa nella
vanagloria, esiste perché Dio ne ha dato la possibilità, mediante il sostegno
della sua grazia. Infatti è Dio (Fil 2,13): “Che suscita in voi il volere e l’operare secondo il suo disegno
d’amore”.
Paolo si è abbassato perché i Corinzi fossero
innalzati a Dio
11
1
Se soltanto poteste sopportare un po’ di follia da parte mia! Ma, certo, voi mi
sopportate. 2
Io provo infatti per voi una specie di gelosia divina: vi ho promessi infatti a
un unico sposo, per presentarvi a Cristo come vergine casta.
3 Temo però che, come il serpente con la sua malizia sedusse
Eva, così i vostri pensieri vengano in qualche modo traviati dalla loro
semplicità e purezza nei riguardi di Cristo.
4 Infatti, se il primo venuto vi predica un Gesù
diverso da quello che vi abbiamo predicato noi, o se ricevete uno spirito
diverso da quello che avete ricevuto, o un altro vangelo che non avete ancora
sentito, voi siete ben disposti ad accettarlo.
5 Ora, io ritengo di non essere in nulla inferiore a
questi superapostoli!
6 E
se anche sono un profano nell’arte del parlare, non lo sono però nella dottrina,
come abbiamo dimostrato in tutto e per tutto davanti a voi.
7
O forse commisi una colpa abbassando me stesso per esaltare voi, quando vi ho
annunciato gratuitamente il vangelo di Dio?
8
Ho impoverito altre Chiese accettando il necessario per vivere, allo scopo di
servire voi. 9
E, trovandomi presso di voi e pur essendo nel bisogno, non sono stato di peso ad
alcuno, perché alle mie necessità hanno provveduto i fratelli giunti dalla
Macedonia. In ogni circostanza ho fatto il possibile per non esservi di aggravio
e così farò in avvenire.
10
Cristo mi è testimone: nessuno mi toglierà questo vanto in terra di Acaia!
11
Perché? Forse perché non vi amo? Lo sa Dio!
12
Lo faccio invece, e lo farò ancora, per troncare ogni pretesto a
quelli che cercano un pretesto per apparire come noi in quello di cui si
vantano. 13
Questi tali
sono falsi apostoli, lavoratori fraudolenti, che si mascherano da apostoli di
Cristo. 14
Ciò non fa meraviglia, perché anche Satana si maschera da angelo di luce.
15
Non è perciò gran
cosa se anche i suoi ministri si mascherano da ministri di giustizia; ma la loro
fine sarà secondo le loro opere.
“E
se anche sono un profano nell’arte del parlare, non lo sono però nella dottrina”.
I superapostoli avevano un'arte retorica che colpiva i Corinzi. Paolo non ha
tale arte, e con tutta certezza non procurò neppure di averla tutto proteso a
presentare lo scandalo della croce (1Cor 2,1). Tuttavia, Paolo era un grande
comunicatore come si ricava dai suoi discorsi negli Atti e dalle lettere. La sua
parola era di volta in volta veemente, dolce, dolorosa, gioiosa, rapita fino
all'inno, penetrante, incalzante, sferzante, scarna, piena di luce, priva di
giravolte retoriche, sempre piena d'amore.
“Non
sono stato di peso ad alcuno, perché alle mie necessità hanno provveduto i
fratelli giunti dalla Macedonia”.
Paolo quando fondò la comunità di Corinto si era guadagnato il pane facendo il
tessitore (At 18,3), nelle successive presenze erano stati i fratelli della
Macedonia a dargli il necessario (Fil 4,14).
Diversi a Corinto,
sobillati dai superapostoli, si erano lasciati andare a dubbi circa la
destinazione finale del ricavato della colletta, e si sospettava che Paolo ne
sottraesse una parte, ma l'apostolo afferma che è limpido circa la colletta
(8,20), dichiarando anche che ai fratelli di Acaia, così pronti ad ascoltare
(11,14) tante voci, mai chiederà qualcosa, e ciò per “troncare
ogni pretesto a quelli che cercano un pretesto per apparire come noi in quello
di cui si vantano”.
“Questi
tali sono falsi apostoli, lavoratori fraudolenti, che si mascherano da apostoli
di Cristo”.
Paolo inizia l'attacco frontale ai superapostoli, accomodatisi nella comunità
di Corinto.
Paolo costretto a fare il proprio elogio
16
Lo dico di nuovo: nessuno mi consideri un pazzo. Se no, ritenetemi pure come un
pazzo, perché anch’io possa vantarmi un poco.
17
Quello che dico, però, non lo dico secondo il Signore, ma come da stolto, nella
fiducia che ho di potermi vantare.
18 Dal momento che molti si vantano da un punto di vista umano,
mi vanterò anch’io.
19
Infatti voi, che pure siete saggi, sopportate facilmente gli stolti.
20
In realtà sopportate chi vi rende schiavi, chi vi divora, chi vi deruba, chi è
arrogante, chi vi colpisce in faccia.
21
Lo dico con vergogna, come se fossimo stati deboli!
Tuttavia, in quello
in cui qualcuno osa vantarsi - lo dico da stolto - oso vantarmi anch’io.
22
Sono Ebrei? Anch’io! Sono Israeliti? Anch’io! Sono stirpe di Abramo? Anch’io!
23 Sono
ministri di Cristo? Sto per dire una pazzia, io lo sono più di loro: molto di
più nelle fatiche, molto di più nelle prigionie, infinitamente di più nelle
percosse, spesso in pericolo di morte. 24 Cinque volte dai Giudei ho ricevuto i quaranta colpi meno uno;
25
tre volte sono stato
battuto con le verghe, una volta sono stato lapidato, tre volte ho fatto
naufragio, ho trascorso un giorno e una notte in balìa delle onde.
26 Viaggi
innumerevoli, pericoli di fiumi, pericoli di briganti, pericoli dai miei
connazionali, pericoli dai pagani, pericoli nella città, pericoli nel deserto,
pericoli sul mare, pericoli da parte di falsi fratelli;
27 disagi e fatiche, veglie senza numero, fame e sete, frequenti
digiuni, freddo e nudità.
28
Oltre a tutto questo, il mio assillo quotidiano, la preoccupazione per tutte le
Chiese. 29
Chi è debole,
che anch’io non lo sia? Chi riceve scandalo, che io non ne frema?
30
Se è necessario vantarsi, mi vanterò della mia debolezza.
31 Dio e Padre del Signore Gesù, lui che è benedetto nei secoli, sa che
non mentisco.
32
A Damasco, il governatore del re Areta aveva posto delle guardie
nella città dei Damasceni per catturarmi,
33 ma da una finestra fui calato giù in una cesta, lungo il muro,
e sfuggii dalle sue mani.
“Lo
dico di nuovo: nessuno mi consideri un pazzo”. Qualcuno aveva criticato Paolo di condurre una vita piena di
azzardi e ora di nuovo (5,13), prima di presentare le sue drammatiche sofferenze
per il Vangelo, ribadisce che nessuno lo consideri un pazzo. Questo tema della
pazzia Paolo lo tralascia subito per affermare che con tutta umiltà sta per
vantarsi da stolto, e quindi dice: “ritenetemi
pure come un pazzo”.
E visto che parlerà da stolto lo farà non dubitando che verrà sopportato. Qui
Paolo è sferzante, alludendo alla facilità con la quale i Corinzi (11,4)
ascoltavano i superapostoli: “Infatti voi, che pure siete saggi, sopportate
facilmente gli stolti”.
I superapostoli,
che tanto si vantano, non possono affermare di aver sostenuto le stesse
peripezie di Paolo per il Vangelo: “Sto per dire una pazzia, io lo sono più di loro: molto di più
nelle fatiche, molto di più nelle prigionie, infinitamente di più nelle
percosse...”.
“Se
è necessario vantarsi, mi vanterò della mia debolezza”. Paolo si vanta della sua debolezza ricordando
di esser sfuggito al
re Arete
facendosi calare dalle mura dentro una cesta. Una vicenda in apparenza priva di
gloria, da debole, ma in realtà drammatica, eroica, che lascia intravedere come
Paolo evangelizzasse anche in situazioni estreme, tali da richiedere poi la
scelta di vie di salvezza poco gloriose dal punto di vista umano, ma gloriose
dal punto di vista della potenza di Dio, poiché Paolo trovò qualcuno disposto a
rischiare la vita per farlo fuggire calandolo con una cesta dalle mura di
Damasco.
Il rapimento al
terzo cielo
12
1
Se bisogna vantarsi - ma non conviene - verrò tuttavia alle visioni e alle
rivelazioni del Signore.
2 So che un
uomo, in Cristo, quattordici anni fa - se con il corpo o fuori del corpo non lo
so, lo sa Dio - fu rapito fino al terzo cielo.
3 E so che quest’uomo - se con il corpo o senza corpo non lo so,
lo sa Dio - 4
fu rapito in paradiso e udì parole indicibili che non è lecito ad alcuno
pronunciare. 5
Di lui io mi vanterò! Di me stesso invece non mi vanterò, fuorché delle mie
debolezze. 6
Certo, se volessi vantarmi, non sarei insensato: direi solo la verità. Ma evito
di farlo, perché nessuno mi giudichi più di quello che vede o sente da me
7
e per la straordinaria grandezza delle rivelazioni.
“Un
uomo, in Cristo, quattordici anni fa - se con il corpo o fuori del corpo non lo
so, lo sa Dio - fu rapito fino al terzo cielo”. “Quattordici anni fa”,
dunque nel 42/43, sette o otto anni prima del Concilio di Gerusalemme (49/50).
Circa due anni dopo la prima visita a Gerusalemme (39/40) (Gal 1,18). Il
rapimento al terzo cielo avvenne durante la prima missione e non è azzardato
collocarlo al momento dell'apertura del Vangelo ai pagani ad Antiochia di
Pisidia (At 13,46).
“Se
con il corpo o senza corpo non lo so, lo sa Dio”. “Senza il corpo”, non vuol dire che l'anima si sia separata dal
corpo, ma che il rapimento è avvenuto per un'azione dello Spirito su Paolo, che
sarebbe rimasto in terra, ma che si sarebbe percepito anima e corpo in cielo.
Paolo non speculò se era stato rapito fisicamente in cielo, bastandogli dire che
“lo sa Dio”.
“Udì
parole indicibili che non è lecito ad alcuno pronunciare”; rapimento estatico operato dallo Spirito, che
collocava Paolo in paradiso (terzo cielo; il più alto cielo: primo, cielo
aereo; secondo, cielo stellare; terzo, cielo empireo), L'apostolo udì parole “indicibili”,
o con miglior traduzione “ineffabili”, cioè altissime, e umanamente incomunicabili perché non
traducibili in espressione umana. Si tratta di altissime luci intellettuali
dello Spirito comunicate all'anima. Paolo non descrive quello che vide,
limitandosi a parlare del terzo cielo, ma certamente vide Cristo circondato da
torrenti di luce paradisiaca e da schiere di angeli.
“Le
parole indicibili”
dovettero riferirsi al mistero dell'amore di Dio e alla chiamata di tutte le
genti, di ogni razza ed etnia, nella Chiesa.
Un inviato
di Satana
Per questo, affinché
io non monti in superbia, è stata data alla mia carne una spina, un inviato di
Satana per percuotermi, perché io non monti in superbia.
8 A causa di
questo per tre volte ho pregato il Signore che l’allontanasse da me.
9 Ed egli mi ha detto: “Ti basta la mia grazia; la forza infatti
si manifesta pienamente nella debolezza”. Mi vanterò quindi ben volentieri delle
mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo.
10
Perciò mi compiaccio nelle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà,
nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono
debole, è allora che sono forte.
“E'
stata data alla mia carne una spina, un inviato di Satana per percuotermi”.
Non si tratta certamente di una malattia, poiché i Corinzi non avrebbero mancato
di vederla (Cf. Gal 4,15). Non si tratta di un offensore che seguiva Paolo
poiché l'offensore avrebbe incontrato prima o poi la riprovazione delle varie
comunità. Non si tratta di persecuzioni, perché queste le subivano anche le
comunità. Si tratta invece di “una spina nella carne”,
di “un inviato di Satana”,
cioè di una tallonante azione (spina nella carne) di un demonio. Tecnicamente tale azione si chiama ossessione (dal latino obsessionem:
assedio); cioè si hanno tentazioni insistenti e veementi di indubitabile provenienza diabolica. L'ossessione
si esercita in tante forme, non solo quella sensuale, ma anche con
l'insinuazione di sentimenti
di vanità, dubbi circa l'essere graditi a Dio, percosse per intimorire,
apparizioni per spaventare, discorsi insinuanti per tormentare e trarre in
errore. (Cf. Royo Marin, “Teologia della
perfezione cristiana”, ed. Paoline, Roma, 1960, pag. 392). Paolo non esita a
presentarsi uomo, soggetto agli attacchi di Satana nella carne. E' salito al
terzo cielo, ha avuto rivelazioni luminosissime, avrebbe desiderato rimanere in
quello stato di estasi, ma ecco che gli attacchi del nemico gli ricordano che è
ancora in cammino e che ha una carne contro la quale combattere con volontà
decisa e preghiera incessante. Paolo non si ritiene forte per le sue possibilità
come facevano i superapostoli (1Pt 2,10), che in tal modo erano già caduti nelle
trappole di Satana, ma debole. La tentazione glielo prova ma, consapevole che la
sua forza viene da Dio, egli è forte: “Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché
dimori in me la potenza di Cristo”.
Paolo chiarisce che
il male non sta tanto nella tentazione, ma nel cedere nella tentazione. E che la
tentazione, mentre vuole condurre al dubbio e alla superbia, conduce
all'approfondimento della fede e dell'umiltà, poiché “tutto
concorre al bene, per quelli che amano Dio” (Rm 8,28).
Non si può pensare
che la tentazione a livello di ossessione fosse un fatto permanente nella vita
di Paolo.
Ancora si
scusa di dover tessere il suo elogio
11
Sono diventato pazzo; ma siete voi che mi avete costretto. Infatti io avrei
dovuto essere raccomandato da voi, perché non sono affatto inferiore a quei
superapostoli, anche se sono un nulla.
12
Certo, in mezzo a voi si sono compiuti i segni del vero apostolo, in una
pazienza a tutta prova, con segni, prodigi e miracoli.
13 In che cosa infatti siete stati inferiori alle altre Chiese, se non
in questo: che io non vi sono stato di peso? Perdonatemi questa ingiustizia!
14
Ecco, è la terza volta che sto per venire da voi, e non vi sarò di peso, perché
non cerco i vostri beni, ma voi. Infatti non spetta ai figli mettere da parte
per i genitori, ma ai genitori per i figli.
15
Per conto mio ben volentieri mi prodigherò, anzi consumerò me stesso per le
vostre anime. Se vi amo più intensamente, dovrei
essere riamato di
meno?
16
Ma sia pure che io non vi sono stato di peso. Però, scaltro come sono, vi ho
preso con inganno.
17
Vi ho forse sfruttato per mezzo di alcuni di quelli che ho inviato tra voi?
18
Ho vivamente pregato Tito di venire da voi e insieme con lui ho mandato
quell’altro fratello. Tito vi ha forse sfruttati in qualche cosa? Non abbiamo
forse camminato ambedue con lo stesso spirito, e sulle medesime tracce?
19
Da tempo vi immaginate che stiamo facendo la nostra difesa davanti a voi. Noi
parliamo davanti a Dio, in Cristo, e tutto, carissimi, è per la vostra
edificazione.
20 Temo
infatti che, venendo, non vi trovi come desidero e che, a mia volta, venga
trovato da voi quale non mi desiderate. Temo che vi siano contese, invidie,
animosità, dissensi, maldicenze, insinuazioni, superbie, disordini,
21
e che, alla mia venuta, il mio Dio debba umiliarmi davanti a voi e io debba
piangere su molti che in passato hanno peccato e non si sono convertiti dalle
impurità, dalle immoralità e dalle dissolutezze che hanno commesso.
“Sono
diventato pazzo; ma siete voi che mi avete costretto. Infatti io avrei dovuto
essere raccomandato da voi”.
Avrebbero dovuto essere i Corinzi a presentare la grandezza di Paolo ai
superapostoli, e invece è Paolo che deve autoraccomandarsi davanti ai Corinzi,
per liberarli dall'influsso dei superapostoli.
La difesa di Paolo
diventa serrata.
“Ma
sia pure che io non vi sono stato di peso. Però, scaltro come sono, vi ho preso
con inganno”;
cioè Paolo non ha preso nulla da loro, ma poi ha mandato degli inviati a
raccogliere soldi. Ma neppure in ciò i Corinzi, o meglio i sobillatori dei
Corinzi, possono trovare un appiglio perché “Tito vi ha forse sfruttati in qualche cosa? Non abbiamo forse
camminato ambedue con lo stesso spirito, e sulle medesime tracce?”.
Tito aveva dato
buone notizie sui Corinzi, ma Paolo teme che andando da loro si ripetano
situazioni incresciose come la volta precedente. “Il mio Dio debba umiliarmi davanti a voi e
io debba piangere su molti...”. Dio lo avrebbe umiliato dimostrandogli che
tutto il suo lavoro apostolico era stato fondato male e che i risultati erano
conseguenti. In tal modo Paolo avrebbe dovuto piangere di pentimento “su molti”. Queste parole rivelano il significato profondo delle
lacrime di Paolo (2,4) versate davanti a Dio come un servo pentito di non aver
adempiuto tutto il suo dovere di fronte a quelli che si erano chiusi nei peccati
passati, senza pentirsi. Bisogna tener presente che Paolo non solo
evangelizzava, ma si sacrificava e pregava per la conversione di coloro che
avvicinava con la parola.
Annuncio di
severità nel riprendere i colpevoli
13
1
Questa è la terza volta che vengo da voi. Ogni questione si deciderà sulla
dichiarazione di due o tre testimoni (Dt 19,15). 2 L’ho detto prima e lo ripeto ora - allora presente per la seconda
volta e ora assente - a tutti quelli che hanno peccato e a tutti gli altri:
quando verrò di nuovo non perdonerò,
3 dal momento che cercate una prova che Cristo parla in me, lui
che verso di voi non è debole, ma è potente nei vostri confronti.
4 Infatti egli
fu crocifisso per la sua debolezza, ma vive per la potenza di Dio. E anche noi
siamo deboli in lui, ma vivremo con lui per la potenza di Dio a vostro
vantaggio.
“Quando
verrò di nuovo non perdonerò, dal momento che cercate una prova che Cristo parla
in me, lui che verso di voi non è debole, ma è potente nei vostri confronti”.
Paolo nella seconda visita non aveva agito disciplinarmente, ma successivamente
aveva inviato la lettera delle lacrime, così, anche ricordando la prima
lettera disciplinare (1Cor 5,9), si diceva che le sue lettere erano forti, ma
quando era vicino si presentava debole e dimesso(10,10). Paolo promette che
nella terza visita non avverrà affatto così.
5
Esaminate voi stessi, se siete nella fede; mettetevi alla prova. Non riconoscete
forse che Gesù Cristo abita in voi? A meno che la prova non sia contro di voi!
6 Spero
tuttavia che riconoscerete che la prova non è contro di noi.
“Esaminate
voi stessi, se siete nella fede”. Esaminare se si è nella fede non vuol dire esaminare solo se si
accettano tutti le verità della fede, ma se questa fede è viva (Gc 2,17), cioè
operante nella carità (Gal 5,6), e a rendere positivamente conclusivo e fermo
l'esame si accompagna pure il pensiero che se non si fosse nella fede si farebbe
di tutto per esservi.
7
Noi preghiamo Dio che non facciate alcun male: non per apparire noi come
approvati, ma perché voi facciate il bene e noi siamo come disapprovati.
8
Non abbiamo infatti alcun potere contro la verità,
ma per la verità.
9
Per questo ci rallegriamo quando noi siamo deboli e voi siete forti. Noi
preghiamo anche per la vostra perfezione.
10
Perciò vi scrivo queste cose da lontano: per non
dover poi, di presenza, agire severamente con il potere che il Signore mi ha
dato per edificare e non per distruggere.
11
Per il resto, fratelli, siate gioiosi, tendete alla perfezione, fatevi coraggio
a vicenda, abbiate gli stessi sentimenti, vivete in pace e il Dio dell’amore e
della pace sarà con voi.
12
Salutatevi a vicenda
con il bacio santo. Tutti i santi vi salutano.
13
La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito
Santo siano con tutti voi.
“Non
per apparire noi come approvati, ma perché voi facciate il bene e noi siamo come
disapprovati”.
Paolo prega augurandosi di vedersi disapprovato dai fatti circa i suoi timori di
trovare i Corinzi in situazioni di peccato senza che vi sia stato il
pentimento.
“Non
abbiamo infatti alcun potere contro la verità, ma per la verità”. Paolo non potrebbe continuare ad avere
timori di fronte alla verità, cadrebbe infatti nella sospettosità non vedendo
l'azione della grazia.
“Per
questo ci rallegriamo quando noi siamo deboli e voi siete forti”. Il vedere i Corinzi camminare con forza
nel bene porta l'apostolo a rallegrarsi di essere nella debolezza, cioè di non
dover mostrare quella forza che gli viene dalla sua autorità di apostolo.
“Noi
preghiamo anche per la vostra perfezione”. Paolo sarebbe lieto se i Corinzi lo sorpassassero nella
perfezione, per questo prega perché essi siano sempre più perfetti. Questo
perché Paolo ha di mira la gloria di Dio e non sarebbe rattristato dal vedere
altri glorificare Dio meglio di lui.
“La grazia del
Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con
tutti voi”.
Questo augurio
finale è una professione di fede nella Trinità. Queste parole sono utilizzate
all'inizio della celebrazione Eucaristica.
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