Testo e commento
 
Capitolo   1   2   3   4   5   6
La prima e la seconda prigionia a Roma
Gli Atti degli Apostoli terminano con l'arrivo a Roma di Paolo prigioniero e il suo soggiorno in una casa presa in affitto (28,30), ma gli studiosi dalle tre lettere pastorali (1Timoteo; Tito; 2Timoteo) sono concordi nel dire che Paolo ritornò nell’area asiatica al termine di due anni di custodia cautelare (63 d.C.), visto che i suoi accusatori Giudei non si presentarono davanti al tribunale di Cesare (At 28,21). Con ciò era caduta la ragione d’essere del processo.
Non bisognerebbe esitare a dire che Luca seguì Paolo a Roma nella prima prigionia, vista la composizione diario di Atti 27,1s. A Roma lo raggiunse probabilmente anche Timoteo; di certo Tito, poiché l’Apostolo di ritorno da Roma, lo lasciò nell’isola di Creta (Tt 1,5). Paolo sbarcò poi ad Efeso dove lasciò Timoteo a capo della comunità (1Tim 1,3), iniziando poi un viaggio missionario per la Macedonia (1Tm 1,3).
Da una località della Macedonia Paolo scrisse a Timoteo la prima lettera.
Il secondo arresto di Paolo dovette avvenire a Troade, durante il viaggio di ritorno dalla Macedonia; ne è indizio l’azione rapida di un arresto: Paolo lasciò le pergamene e il mantello, cose che chiese poi a Timoteo di portargliele a Roma (2Tim 4,13). Tutti quelli dell’Asia in quel frangente lo abbandonarono a se stesso, impressionati dalle sue catene e dalla forza dell’accusa che lo qualificava come un malfattore (2Tm 1,15).
Forse il capo d’accusa era come il precedente formulato dai Giudei (At 24,2), con l’aggravante di essere recidivo e di avere inoltre disertato il tribunale di Cesare. (La Pontificia commissione biblica nel 12 giugno 1903 concluse che: “Dalle Pastorali risulta con certezza che l’Apostolo fu prigioniero a Roma due volte”)
Pur lasciato solo, Paolo riuscì con l’aiuto del Signore ad essere liberato dalla bocca del leone (2Tm 4,17), che con metafora indica probabilmente la consegna ai Giudei. Giunto a Roma in custodia militaris, l’attesa comparizione davanti al tribunale di Nerone dovette slittare a data da destinarsi, e con ciò Paolo poteva pensare ad un’azione evangelizzatrice, pur in libertà limitata, con Timoteo e Marco.
A Roma Paolo venne raggiunto da Tito (2Tm 4,19), che poi andò in Dalmazia. Lo raggiunse anche Luca, che prima doveva essere presente nella Palestina (Lc 1,1s).
La seconda lettera a Timoteo deve collocarsi poco prima dell’incendio di Roma (18 luglio 64), che diede il via alla persecuzione di Nerone. Prima, nella capitale dell’impero non c’erano particolari pericoli per i cristiani, ancora confusi con quelli di religione giudaica, che avevano ottenuto il riconoscimento di alcuni diritti, e Paolo poteva pensare ad un alleggerimento delle condizioni della carcerazione tali da permettere un’azione evangelizzatrice con Timoteo e di Marco, che al momento della lettera doveva trovarsi nell’area di Efeso.

La persona di Timoteo
Timoteo (colui che onora Dio) era nativo di Listra, in Licaonia, nell’Asia Minore. Suo padre era un pagano e la madre una giudea. La madre Eunice e la nonna Loide iniziarono Timoteo alle Scritture fin dall’infanzia (2Tm 3,15). La madre e la nonna dovettero convertirsi a Cristo durante le prime due presenze missionarie (47 ca) di Paolo a Listra (At 14,6.21; 2Tm 1,5). Paolo incontrò Timoteo già cristiano nel secondo viaggio missionario (49 ca), e poiché era assai stimato dai fratelli di Listra e di Iconio (At 16,2) lo associò a sé insieme a Sila. Paolo lo fece poi circoncidere (At 16,3) per dargli lo status giudaico, essendo il padre un greco, e ciò era conosciuto. Timoteo, nonostante la sua giovane età, ebbe da Paolo incarichi di fiducia come quando venne inviato a Tessalonica (1Ts 3,1s). Fu poi inviato da Paolo alla Chiesa di Corinto per ovviare al problema della divisione in partiti di preferenza per l’uno o l’altro apostolo (At 19,22; 1Cor 4,17; 16,10). Paolo, nella lettera ai Romani, lo presentò quale suo collaboratore (Rm 16,21). Diretto verso Gerusalemme Paolo incontrò Timoteo che lo attendeva a Troade (At 20,5) Fu vicino a Paolo durante la prigionia a Cesarea. Terminata la prima prigionia (63 ca) venne posto da Paolo alla guida della chiesa di Efeso. Non si può sapere se Timoteo poté andare a Roma durante la seconda prigionia di Paolo (2Tm 4,9). Nella lettera agli Ebrei (13,23) scritta tra il 62/63 e il 70 si parla di difficoltà di Timoteo, probabilmente una detenzione. Marco, invitato da Paolo (2Tm 4,11), indubbiamente andò a Roma, ma probabilmente per altra opportunità, perché risulta accanto a Pietro (1Pt 5,13).
Il carattere di Timoteo doveva essere mite, ma nello stesso tempo forte, e lo si può valutare dal fatto che per stare accanto a Paolo bisognava essere pronti al rischio, senza misurare le fatiche. Sarà Paolo che dovrà raccomandare a Timoteo un po’ di attenzione per la salute (1Tm 5,23).
Non si conosce altro di Timoteo. Nella rappresentazione iconografica viene presentato come vescovo con accanto le pietre della lapidazione, ma il martirio non è documentato. Dal 1239 le sue reliquie sono nella cattedrale di Termoli nel Molise, precedentemente erano a Costantinopoli.

La prima lettera a Timoteo: autenticità della lettera
La prima lettera a Timoteo fa parte delle tre lettere Pastorali, chiamate tali a partire dal XVII secolo perché indirizzate a capi di chiese locali, e perché trattano di ciò che è relativo al loro ministero. In ordine di tempo: prima lettera a Timoteo, lettera a Tito, seconda lettera a Timoteo. Vennero scritte nello spazio di un anno. Le tre lettere hanno un’estrema rassomiglianza di stile, specie la prima Timoteo e la lettera a Tito.
La prima lettera a Timoteo venne scritta probabilmente già da Mileto, poiché risulta che il viaggio di andata in Macedonia fu in nave con partenza da Mileto, dove si ammalò Trofimo, con arrivo a Corinto dove Paolo lasciò Erasto (2Tim 4,20). La lettera a Timoteo (come quella a Tito) dovette essere molto repentina, dopo avere constatato la forte incidenza (Cf. At 20,29) della propaganda dei falsi dottori giudaizzanti.

L’autenticità paolina delle lettere Pastorali è testimoniata dagli antichi scrittori ecclesiastici, che le citano con allusioni e parecchie espressioni specifiche. Clemente Romano (80/95), “Prima lettera ai Corinti”: 1Tm 2,8, Tt 3,1; Anonimo, “Lettera di Barnaba” (70/132): 1Tm 3,16, 2Tm 1,10, Tt 2,14; Ignazio di Antiochia (ca 110), “Lettere alle Chiese di Magnesia, Efeso, Smirne, Tralli”: 1Tm 1,4, Tt 3,9, 1Tm 1,16.18, Tt 2,3; Policarpo di Smirne (ca 135), “Lettera ai Filippesi”: 1Tm 6,10, 1Tm 3,2, 2Tm 2,11-12, Tt 3,2; ecc.; San Teofilo Antiocheno, “Apologia ad Autolico” (180/185): 1Tm 2,2; Tt 3,3; San Giustino, “Dialogo con Trifone” ( ca 150): Tt 4,4; ecc. “Papiro di Ossirinco”, (125/150): 2Tm 2,19; “Papiro di Ossirinco, p31”, (sec. III): Tt 2.
Verso la fine del II sec. le Pastorali erano riconosciute in tutte le Chiese. Per la Chiesa di Roma: il “Canone Muratoriano” (ca 180) riporta l’elenco di tutte le lettere di Paolo, tranne la lettera agli Ebrei. Per la Chiesa Gallicana: S. Ireneo (130 - † 202), “Contro le eresie, I,1; II,14; III,14, ecc. Per la Chiesa di Africa: Tertulliano (207), “Contro Marcione”, V,21; “Sulla risurrezione dei morti”, XXII; “Sulla prescrizione degli eretici”, VI, ecc. Per la Chiesa di Alessandria: Clemente Alessandrino, “Stromateis=Miscellanea”, II,11, ecc. Inoltre le Pastorali facevano parte dell’antica versione Italica “Vetus latina”, (II /III sec.).
Eusebio († 339), nella “Storia Ecclesiastica, III,3”, dice che al suo tempo il riconoscimento delle Pastorali era tanto unanime che erano catalogate tra gli homologumenoi, cioè gli scritti riconosciuti e accettati da tutti. L’accettazione delle Pastorali come paoline fu unanime fino agli inizi del XIX secolo. Nel passato solo alcuni eretici (sec. II) le rifiutarono perché li contraddicevano: Basilide, Valentino, Marcione, e anche Taziano che però, stranamente, accettava la lettera a Tito
La critica razionalista riprese queste negazioni. Essa attribuì ad un falsario del II secolo le Pastorali, dicendolo mosso dall’intenzione di combattere lo gnosticismo e di sostenere l’episcopato, così come presentato da Ignazio di Antiochia. Per contro gli inizi della Chiesa sarebbero stati segnati dalla guida collegiale dei presbiteri. Questa corrente ebbe esponenti nella scuola di Tubinga.
Le lettere mancano del tutto della psicologia del falsario che si appropria di un nome per far passare il suo messaggio, e bada di innestare la sua trama su fatti e personaggi noti per essere credibile. Nelle tre lettere Pastorali ci sono ben 16 personaggi nuovi ignoti agli Atti e alle precedenti lettere e i fatti non si ritrovano negli Atti. (Cf. Ferdinand Prat. “La theologie de saint Paul”, Institut Catholique de Paris, vol. I, pag. 464s, Paris, 1913).
A questa posizione si aggiunse quella di negare l’unità delle lettere salvando però un fondo paolino immerso in aggiunte posteriori (Adolf Harnack, Carl Clemen, Hermann von Soden, Adolf Iülicher, Martin Dibelius; Alfred Knopf, ecc), ma circa il fondo paolino, che sarebbe composto da ipotetici biglietti o frammenti di lettere, i sostenitori di questa posizione non si trovano concordi, né nello stabilire i frammenti, né nella loro estensione.
Le due posizioni sono confutate da numerosi autori: Karl Josef Rudolf Cornely (1897); Eugene Jacquier (1912); Augustus Brassac (1912); Ceslas Spicq (1961); Lucien Cerfeaux (1969); Pearcy Neale Arrison (1921); John Norman Davidson Kelly (1963); ecc.
Non mancano confutazioni anche da parte non cattolica: Alfred Plummer, 1888; Edouard Riggenbach (1829); Jhon Henry Bernard (1899); Theodore Zahn (1906); William Mitchell Ramsay (1909); Joachim Geremias (1937); Adolf Schlatter (1936), ecc.
Alcuni conservatori dei dati della tradizione giungono alla sola possibilità di un redattore delle lettere (Cf. Max Meinertz, “Die pastoralbriefe des heiligen Paulus”, Bon, 1923).

Unità compositiva della lettera   
Le tre lettere Pastorali si distinguono dalla altre lettere di Paolo per diversità di vocaboli e stile. Dei circa 850 vocaboli delle tre lettere, 130 sono sconosciuti alle altre lettere, altri 170 sono hapax legomena (detto una sola volta) in tutto il N.T., solo 50 sono comuni esclusivamente alle Pastorali e alle altre lettere, di questi 38 sono di netta marca paolina o addirittura coniati da Paolo stesso. Una buona parte degli hapax legomena sono dei nomi composti, i cui elementi si trovano nelle lettere di Paolo. Nelle Pastorali si trovano poi 180 vocaboli presenti nella versione dei LXX molto conosciuta dall’apostolo. Il fenomeno degli hapax legomena si ritrova, anche se con minore entità nelle altre lettere. Va tenuto presente che l’apostolo ha sempre ricercato vocaboli nuovi per esprimersi efficacemente secondo il tenore dottrinale e pastorale delle sue lettere. Dalle prime due lettere ai Tessalonicesi le Pastorali si distanziano molto, ma già meno dalle lettere della prima prigionia.
Quanto allo stile frequentemente ci sono costruzioni inusitate nelle altre lettere, ci sono però anche costruzioni tipiche paoline. Non mancano i contrassegni chiari dello stile delle altre lettere: il procedere con parentesi, disgressioni, anacoluti. Lo stile delle Pastorali anziché vigoroso e incisivo, è pacato con tono modellato sul genere sapienziale del padre che parla al figlio, e ciò corrisponde alla loro indole.
Complessivamente, non ci sono elementi che possano scalzare l’autenticità della lettera affermata dalla tradizione. Anche l’idea di una frammentazione della lettera segnata da apporti su di un iniziale fondo paolino. Alcuni, impressionati dalle particolarità delle Pastorali, vogliono pensare alla presenza di un redattore delle lettere, ma è ben difficile pensare ad un discorso non dato direttamente da Paolo sia a Timoteo che a Tito. Ci sono degli accenti di affetto che non potevano essere consegnati ad un redattore.
Concludendo, bisogna dire che lo stile di Paolo non è mai uguale a se stesso nelle singole lettere. Ciò è dovuto sia alle tematiche, sia alle circostanze delle Chiese destinatarie o dei destinatari, sia al suo evolversi linguistico personale per esprimersi, stimolato dalle situazioni, efficacemente.

La strutturazione gerarchica come appare dalle lettere Pastorali
Nella prima lettera ai Corinzi (12,23s) risulta che nella comunità di Corinto veniva celebrata l’Eucaristia e ciò conduce ai presbyteros (anziano) detti anche episkopos (sorvegliante). E’ infatti documentato che i due termini erano applicati a una stessa persona (Tt 1,5.7; At 20,17.28). Nella lettera ai Filippesi Paolo parla di episkopos e di diakonos, e non di presbyteros; ma il termine episkopos coincide indubbiamente con presbyteros (Fil 1,1), dal momento che non poteva mancare a Filippi la celebrazione dell’Eucaristia. Tito ebbe da Paolo, come risulta dalla lettera a Tito, il mandato di stabilire dei presbyteroi detti anche episkopoi in tutte le città Cretesi (Tt 1,5s).
Timoteo ebbe la stessa facoltà di Tito poiché gli venne comandato di non imporre le mani in fretta (1Tm 5,22), il che può riguardare l’ufficio di presbyteros detto anche episkopos, o l’ufficio di diakonos. Inoltre ebbe il conseguente potere di giurisdizione sui presbyteroi (1Tm 5,17).
I termini presbyteros e episkopos non possono essere in tutto e per tutto equivalenti. Si può dire infatti che i vescovi erano i presbiteri addetti alla custodia (governo) delle varie comunità, con un ruolo residenziale, e i presbiteri , semplicemente detti, facevano capo a lui (Cf. Tm 5,17). A fondamento di questa ipotesi c’è la considerazione che a Creta, quando giunse Paolo sbarcando a “Buoni Porti” (At 27,8), il cristianesimo era già presente nell’isola, ma occorreva dare un compimento organizzativo che lasciò a Tito; cioè stabilire in ogni città dei presbiteri, detti anche episcopi, che presiedessero al governo delle comunità.
Indubbiamente esisteva una strutturazione gerarchica.
Al vertice della struttura gerarchica ci sono gli apostoli, tra i quali Paolo, la cui consacrazione va ricercata nei due incontri che ebbe con Pietro, Giacomo e Giovanni a Gerusalemme (Gal 1,18; 2,7) piuttosto che al momento dell’invio per la prima missione (At 13,3). Per quanto riguarda Paolo ci sono dei suoi legati, Tito e Timoteo, che avevano il potere di ordinare presbiteri e dare ad alcuni di essi l’incarico di episcopi. In seguito, nel II secolo, gli episcopi non designeranno più i custodi, ma bensì i successori degli apostoli, come appare dalle lettere di Ignazio di Antiochia (martirizzato ca. 117 d.C). Proprio il punto della successione apostolica spiega, viventi gli apostoli, perché i vescovi non venissero ancora determinati in maniera distinta.

La gnosi combattuta da Paolo
I falsi dottori denunciati nelle Pastorali pretendono di essere i veri sapienti della legge mosaica. Sono già preannunciati verso la fine del terzo viaggio missionario (At 20,29-30), e si ritrovano nella lettera ai Colossesi e anche in quella ai Filippesi.
I falsi dottori presentano lunghe genealogie e architettano favole. Gli errori sono chiamati con precisione gnosi, perché puntano sulla conoscenza intellettuale, misconoscendo la forza e la necessità della fede in Cristo Figlio di Dio. Sono falsi dottori omologabili a quelli di Colossi. (1Tm 1,4-7; 4,1-7; 6,4-5.20-21; 2Tm 2,17.23; Tt 1,10-11.14-15; 3,9).
Non è lo gnosticismo evoluto del II sec. dove si presenta una teologia astrale, gli eoni, il pleroma, le emanazioni, il rifiuto del V.T. (Marcione e Valentino).
Ne segue che la lettera non è affatto contestualizzabile nel II sec.


Indirizzo
1 1 Paolo, apostolo di Cristo Gesù per comando di Dio nostro salvatore e di Cristo Gesù nostra speranza, 2 a Timoteo, vero figlio mio nella fede: grazia, misericordia e pace da Dio Padre e da Cristo Gesù Signore nostro.

Paolo, apostolo di Cristo Gesù per comando di Dio nostro salvatore e di Cristo Gesù nostra speranza”. Il saluto contiene la costante paolina di affermarsi apostolo per volontà di Dio, e perciò non di uomini (Rm 1,1; 1Cor 1,1; 2Cor 1,1; Gal 1,1; Ef 1,1; Col 1,1).

L'insidia dei falsi dottori
3 Partendo per la Macedonia, ti raccomandai di rimanere a Efeso perché tu ordinassi a taluni di non insegnare dottrine diverse 4 e di non aderire a favole e a genealogie interminabili, le quali sono più adatte a vane discussioni che non al disegno di Dio, che si attua nella fede. 5 Lo scopo del comando è però la carità, che nasce da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera. 6 Deviando da questa linea, alcuni si sono perduti in discorsi senza senso, 7 pretendendo di essere dottori della Legge, mentre non capiscono né quello che dicono né ciò di cui sono tanto sicuri.
8
Noi sappiamo che la Legge è buona, purché se ne faccia un uso legittimo, 9 nella convinzione che la Legge non è fatta per il giusto, ma per gli iniqui e i ribelli, per gli empi e i peccatori, per i sacrileghi e i profanatori, per i parricidi e i matricidi, per gli assassini, 10 i fornicatori, i sodomiti, i mercanti di uomini, i bugiardi, gli spergiuri e per ogni altra cosa contraria alla sana dottrina, 11 secondo il vangelo della gloria del beato Dio, che mi è stato affidato.


Perché tu ordinassi a taluni di non insegnare dottrine diverse”. Le dottrine diverse divulgate da “taluni” non sono precisate, ma rientrano nel quadro della sopravvivenza delle pratiche giudaiche, non più giudicate necessarie alla salvezza, poiché il Concilio di Gerusalemme aveva rigettato questo, ma giudicate utili per la santità. Ma questi pretesi dottori della Legge, non perseguivano la carità, che è il vincolo della perfezione (1Cor 13,1s; Col 3,14).
Di non aderire a favole e a genealogie interminabili”. Le favole sono quelle giudaiche (Tt 1,14) su personaggi dell’A.T. Accanto a questo c’era chi affermava il valore di una data posizione sulla base di lunghissime genealogie, che tanto più erano lunghe tanto più sembravano credibili.
Sono più adatte a vane discussioni che non al disegno di Dio, che si attua nella fede”. Favole e genealogie non sono altro che dei perditempo, poiché il disegno di Dio “si attua nella fede” in Cristo, e non per via di trasmissione etnico-ereditaria.
Lo scopo del comando è però la carità”. Timoteo deve condurre quei pretesi dottori della Legge a tendere alla carità.
Non capiscono né quello che dicono né ciò di cui sono tanto sicuri”. Gli animosi e presuntuosi dottori, perdendo la via della carità e della fede in Cristo, si sono trovati a fare “discorsi senza senso”, senza capire loro stessi quello che dicevano con tanta sicurezza.


La vocazione di Paolo esempio di misericordia
12 Rendo grazie a colui che mi ha reso forte, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia mettendo al suo servizio me, 13 che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo per ignoranza, lontano dalla fede, 14 e così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù.
15 Questa parola è degna di fede e di essere accolta da tutti: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io. 16 Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Cristo Gesù ha voluto in me, per primo, dimostrare tutta quanta la sua magnanimità, e io fossi di esempio a quelli che avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna.
17 Al Re dei secoli, incorruttibile, invisibile e unico Dio, onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen.

Prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento”. Paolo riconosce di essere stato un “bestemmiatore”, cioè avere trattato il nome di Cristo come quello di un peccatore da ributtare. Riconosce di essere stato un “persecutore” (At 8,3; 22,3; 26, 4-20; Gal 1,13; Fil 3,6) ricercando e imprigionando i credenti nel Signore, e ciò con l’animo di “un violento”, distanziandosi dal suo maestro Gamaliele (At 22,3) che non agì con violenza verso gli apostoli (5,34).
Perché agivo per ignoranza, lontano dalla fede”. Paolo era un peccatore, ma non un corrotto, cioè uno che agisce con scelta di perversione contro la verità conosciuta. Paolo non aveva compiuto il peccato contro lo Spirito Santo (Mc 3,29), che è la volontaria chiusura ad ogni voce che viene da Dio, impedendo a Dio di usare misericordia.
Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io”. L’apostolo si dichiara “il primo dei peccatori”, cioè il più grande perché aveva perseguitato la Chiesa (1Cor 15,10).
Cristo Gesù ha voluto in me, per primo, dimostrare tutta quanta la sua magnanimità, e io fossi di esempio a quelli che avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna” Dichiarandosi grande peccatore Paolo glorifica Cristo, che salvandolo lo ha, nel contempo, fatto esempio della grandezza della sua misericordia.
Al Re dei secoli, incorruttibile, invisibile e unico Dio, onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen”. L’apostolo conclude questo tratto biografico, con un’elevazione di lode a Dio, affinché solo lui venga glorificato. “Invisibile
, Paolo sottolinea bene questo aspetto poiché nel tempo il credente cammina nella fede e non nella visione (2Cor 5,7).

Invito a combattere la buona battaglia
18 Questo è l’ordine che ti do, figlio mio Timoteo, in accordo con le profezie già fatte su di te, perché, fondato su di esse, tu combatta la buona battaglia, 19 conservando la fede e una buona coscienza. Alcuni, infatti, avendola rinnegata, hanno fatto naufragio nella fede; 20 tra questi Imeneo e Alessandro, che ho consegnato a Satana, perché imparino a non bestemmiare

Imeneo
” è ricordato anche in 2Tim 2,17, con la specificazione di negatore della risurrezione, dicendo che si era attuata già in senso mistico, come appunto sostenevano gli gnostici. Di “Alessandro” non si può dire nulla di certo.
Che ho consegnato a Satana, perché imparino a non bestemmiare” . E’ la scomunica, la quale è data quando l’eresia non resta un fatto privato, ma viene propagandata per creare una frattura all’interno della Chiesa. La scomunica ha come scopo il ravvedimento. La consegna a Satana è il fatto diretto della scomunica, che è l’esclusione dalla comunità e dai beni della comunione dei santi.
Le eresie sono opposizioni alla verità e per questo possono essere equiparate alle bestemmie (Mt 26,65; Mc 14,63; Lc 22,71; Gv 10,36; At 13,45; 18,6).


Disposizioni
2 1 Raccomando dunque, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, 2 per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio. 3 Questa è cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, 4 il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità. 5 Uno solo, infatti, è Dio e uno solo anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, 6 che ha dato se stesso in riscatto per tutti. Questa testimonianza egli l’ha data nei tempi stabiliti, 7 e di essa io sono stato fatto messaggero e apostolo - dico la verità, non mentisco -, maestro dei pagani nella fede e nella verità.
8 Voglio dunque che in ogni luogo gli uomini preghino, alzando al cielo mani pure, senza collera e senza polemiche. 9 Allo stesso modo le donne, vestite decorosamente, si adornino con pudore e riservatezza, non con trecce e ornamenti d’oro, perle o vesti sontuose, 10 ma, come conviene a donne che onorano Dio, con opere buone.
11 La donna impari in silenzio, in piena sottomissione. 12 Non permetto alla donna di insegnare né di dominare sull’uomo; rimanga piuttosto in atteggiamento tranquillo. 13 Perché prima è stato formato Adamo e poi Eva; 14 e non Adamo fu ingannato, ma chi si rese colpevole di trasgressione fu la donna, che si lasciò sedurre. 15 Ora lei sarà salvata partorendo figli, a condizione di perseverare nella fede, nella carità e nella santificazione, con saggezza


Raccomando dunque, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, 2 per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio”. La Chiesa non prega affinché venga perseguitata così da avere dei martiri. Questo è assolutamente assurdo, poiché la Chiesa è madre e desidera per i suoi figli “una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio” e desidera che il Vangelo non trovi ostacoli poiché vuole “che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità”. Con ciò nessun compromesso con il male, ma preghiere perché gli uomini del mondo si convertano e vivano.
Uno solo, infatti, è Dio e uno solo anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti”. Dio è uno solo e perciò tutti gli uomini sono relativi a lui Creatore, nessuno eccettuato.
Dio ha voluto liberamente, per suo amore, essere relativo agli uomini mediante l’Incarnazione del Verbo. L’uomo Cristo Gesù ha donato tutto se stesso per riscattare gli uomini dal peccato affinché tornassero in comunione con Dio.
Questa testimonianza egli l’ha data nei tempi stabiliti...”. La testimonianza che Dio ha dato agli uomini è che ci ama tanto fino ad avere inviato e dato il Figlio (Gv 3,6; 1Gv 4,9s) il quale ha testimoniato il suo amore obbediente al Padre fino ad abbracciare con immisurabile amore per noi la croce (Gv 15,13). Così la croce è l’epifania dell’amore di Dio, il vertice della sua testimonianza d’amore.
Perché prima è stato formato Adamo e poi Eva”. Paolo pone l’argomento che Adamo fu creato prima di Eva e perciò ha una precedenza temporale sulla donna. Paolo ha davanti a sé i modelli femminili presentati dal paganesimo, sulla scorta della divinità femminili di seduzione quale Venere-Afrodite o di comando quale era nel mondo greco Atena, che aveva in spregio il matrimonio. Paolo vuole sottrarre la donna agli influssi delle mitologie pagane e ricondurla alla sua realtà creaturale e alla sua responsabilità all’origine della caducità del mondo. Paolo non nega affatto la pari dignità della donna con l’uomo, esistendo tuttavia tra l’uomo e la donna diversità di attitudini.
Non permetto alla donna di insegnare né di dominare sull’uomo; rimanga piuttosto in atteggiamento tranquillo”. L’ordine è perentorio e si estende all’insegnamento nelle assemblee e alla gestione dell’autorità ecclesiale. La donna non è però affatto esclusa dalla divulgazione del Vangelo da persona a persona (At 18,26; 1Cor 9,5; Fil 4,3, ecc.). Paolo dispone che la donna non domini sull’uomo, il che non vuol dire che non gli dia il suo apporto di donna. Paolo fonda il suo ordine sul fatto che il potere della donna sull’uomo è già di natura tanto, e di fatto Satana prima tentò la donna, la quale diventata tentatrice amplificò con il suo ascendente sull’uomo la tentazione, così che Adamo cadde: “Non Adamo fu ingannato, ma chi si rese colpevole di trasgressione fu la donna, che si lasciò sedurre”.
Ora lei sarà salvata partorendo figli, a condizione di perseverare nella fede, nella carità e nella santificazione, con saggezza”. La donna non può avere in spregio la maternità abbracciando la lussuria e l’indipendenza dall’uomo, come avveniva tra le influenti matrone romane, formalmente maritate, che, si facevano modello di attuazione della donna.
Ovviamente, rimane la via della verginità abbracciata per i regno (1Cor 7,6-8.29-36)

I vescovi
3
1 Questa parola è degna di fede: se uno aspira all’episcopato, desidera un nobile lavoro.
2 Bisogna dunque che il vescovo sia irreprensibile, marito di una sola donna, sobrio, prudente, dignitoso, ospitale, capace di insegnare, 3 non dedito al vino, non violento ma benevolo, non litigioso, non attaccato al denaro. 4 Sappia guidare bene la propria famiglia e abbia figli sottomessi e rispettosi, 5 perché, se uno non sa guidare la propria famiglia, come potrà aver cura della Chiesa di Dio? 6 Inoltre non sia un convertito da poco tempo, perché, accecato dall’orgoglio, non cada nella stessa condanna del diavolo. 7 È necessario che egli goda buona stima presso quelli che sono fuori della comunità, per non cadere in discredito e nelle insidie del demonio.

Se uno aspira all’episcopato, desidera un nobile lavoro…".
Paolo vuole allontanare l’idea che l’aspirare ad essere custode di una comunità sia sempre ambizione. Questo desiderio deve nascere dallo Spirito ed essere verificato dal legato di Paolo, cioè Timoteo, ed essere perciò verificabile dai comportamenti (Cf. v.10). Le qualità che il vescovo deve avere non sono affatto di poco conto. Egli deve essere “irreprensibile”, cioè deve dare il buon esempio in tutto, essere sempre corretto con tutti e anzi precedere con il buon esempio tutti ponendosi al servizio di tutti.
Deve essere “
marito di una sola donna”, ritenuto come segno di temperanza e di fortezza, nonché di dedizione alla comunità. I primi cristiani erano in gran parte sposati, ma una volta cristiani in caso di vedovanza non era stimato segno di virtù passare a nuove nozze. Il pensiero di Paolo circa il matrimonio e la verginità è noto (1Cor 7,1): lo stato celibatario è da preferirsi per il presbitero. Paolo dice pure che solo le vedove di provata virtù, che siano state maritate ad un solo uomo, possono essere scritte nel “catalogo delle vedove”, che costituiva un titolo di servizio per compiti ufficiali nella Chiesa quali opere di carità presso le famiglie, come l’assistenza agli ammalati bisognosi, o a situazioni di dolore o a veglie funebri. Le donne di cui al v.11 sono le diaconesse (Cf. Rm 16,1), che non sono affatto le mogli dei diaconi, ma vedove iscritte nel “catalogo delle vedove”, oppure vergini consacrate, impegnate nel servizio (diaconia) ai bisognosi.
Il vescovo deve essere “
sobrio”, non solo nel mangiare, ma anche nel conversare. Prudente nelle azioni e nelle parole. “Dignitoso”, cioè consapevole della sua identità di vescovo: la dignità è tutt’altra cosa della superbia. “Ospitale”, cioè capaci di accogliere con amabilità, cioè non scostante. “Capace di insegnare”, cioè di essere ben preparato e buon comunicatore. “Non dedito al vino”; in Asia l’uso di bere vino era una realtà diffusa, anche presso le donne (Tt 2,3). Il vescovo non ne deve essere dipendente, anzi dovrebbe giungere ad astenersene (Cf. Rm 14,21), comunque deve esserne un sobrio consumatore. “Non violento ma benevolo”, non può avere parole dure, schiaccianti, che feriscono, che minacciano. Anche quando deve dire parole di correzione queste non deve mischiarle a stizza personale, ma devono essere piene di fermezza caritativa, per non far soffrire la persona corretta, che dovrà credere in lui e amarlo. “Non litigioso”; di fronte a quelli che l’ostacolano non deve scendere sul terreno della lotta, perché pur sempre dovrà amare i suoi nemici e pregare per i suoi persecutori. “Non attaccato al denaro”, perché il suo servizio sarebbe annullato di efficacia e tutta la sua cortesia e amabilità non sarebbe altro che ipocrisia. “Sappia guidare bene la propria famiglia e abbia figli sottomessi e rispettosi”, perché altrimenti non sarà per nulla in grado di reggere una comunità. “Non sia un convertito da poco tempo”, poiché occorre un buon grado di maturazione nella virtù per non montarsi la testa e abbracciare come Satana la superbia. “Goda buona stima presso quelli che sono fuori della comunità“, per non finire diffamato e chiacchierato, e peggio cadere nelle insidie del demonio. Se uno è perseguitato a causa della giustizia questo rientra nel Vangelo (Mt 5,11; Lc 6,22), ma essere oggetto di rabbia, di odio, di vendetta per delle cattive azioni fatte, questo non è essere perseguitato in ragione di Cristo.
Questo elenco di virtù è fatto sullo stereotipo degli elenchi di qualità virtuose che circolavano tra il ceto nobile pagano, tracciati sulla base dei dettami di vita della religiosità dei filosofi, L’elenco di Paolo è tuttavia lontano dall’essere (indicazione) di semplici virtù di buona condotta sociale, perché esse sono permeate dalla novità che è Cristo. Paolo proprio subito dopo (3,16) afferma questa novità. Le virtù naturali perseguite dai filosofi risultano purificate dalle errate religiosità pagane ed elevate a nuova realtà, quella operata dall’azione dello Spirito, cioè alla (v. 16; 6,3) “
vera religiosità”, la cui fonte è la fede in Cristo.


I diaconi
8 i diaconi siano persone degne e sincere nel parlare, moderati nell’uso del vino e non avidi di guadagni disonesti, 9 e conservino il mistero della fede in una coscienza pura. 10 Perciò siano prima sottoposti a una prova e poi, se trovati irreprensibili, siano ammessi al loro servizio. 11 Allo stesso modo le donne siano persone degne, non maldicenti, sobrie, fedeli in tutto. 12 I diaconi siano mariti di una sola donna e capaci di guidare bene i figli e le proprie famiglie. 13 Coloro infatti che avranno esercitato bene il loro ministero, si acquisteranno un grado degno di onore e un grande coraggio nella fede in Cristo Gesù.


Le qualità dei diacono devono essere pari a quelle dei custodi delle comunità. Paolo ora presenta il nucleo tutte le virtù: il conservare (v. 9) “il mistero della fede in una coscienza pura”, il che consiste nel credere in Gesù Cristo e nella imitazione di lui (Gv 13,14; 15,10.12; Rm 15,5-7; Fil 2,5).
Il diacono non deve avere il cuore doppio (Ps 11/12,3), cioè non deve essere falso. Deve essere moderato nell’uso del vino e non avido “
di guadagni disonesti”.
Non deve essere incaricato del servizio di diacono se non chi è stato esaminato.
Le donne devono anch’esse segnalatamente virtuose “
fedeli in tutto”. Il titolo donne diacono (diaconesse) non è applicato, e non a caso. Paolo in (Rm 16,1) lo usa per una donna, Fede, ma non ha mai presentato le diaconesse come un’istituzione gerarchica, come invece i diaconi (Cf Fil 1, 1).
Pure ai diaconi si richiede che “
siano mariti di una sola donna”, cioè una volta vedovi non siano passati a nuove nozze. Si noti che non si parla di diaconi non sposati che poi si possano sposare, ma che abbiano già una famiglia come per i presbiteri.
L’esercizio puntuale della diaconia ricevuta con l’imposizione delle
mani (At 6,6) immette sempre più nel mistero di Cristo: “Acquisteranno un grande coraggio nella fede in Cristo Gesù”, così pure per l’incarico di servizio alle donne.

Grandezza del mistero della vera religiosità
14 Ti scrivo tutto questo nella speranza di venire presto da te; 15 ma se dovessi tardare, voglio che tu sappia come comportarti nella casa di Dio, che è la Chiesa del Dio vivente, colonna e sostegno della verità. 16 Non vi è alcun dubbio che grande è il
mistero della vera religiosità:
egli fu manifestato in carne umana
e riconosciuto giusto nello Spirito,
fu visto dagli angeli
e annunciato fra le genti,
fu creduto nel mondo
ed elevato nella gloria.

E’ già trascorso del tempo da quando Paolo lasciò Timoteo ad Efeso per poi procedere verso la Macedonia. Paolo spera di potere ritornare presto ad Efeso, ma, viste le difficoltà che sta incontrando, nell’eventualità di una data lontana vuole istruire Timoteo nella conduzione del suo compito di capo della Chiesa di Efeso: “
Voglio che tu sappia come comportarti nella casa di Dio”. La regola principe è vivere “il grande mistero della vera religiosità”, che è Cristo, il Figlio del Padre.
Il Figlio si manifestò a noi “
in carne umana”, cioè non con un’apparenza di uomo destinata a scomparire. Paolo ha davanti a sé l’eresia dei doceti, un gruppo gnostico che negava la realtà della carne di Cristo (dokein, significa apparire).
E riconosciuto giusto nello Spirito”, cioè autenticato davanti agli uomini dallo Spirito Santo, sia al Giordano e sia con i miracoli e ancor più con l’immisurabile amore (Ef 3,18s) manifestato sulla croce.
Fu visto dagli angeli”, in tutta la sua vita nella quale acquistò il diritto di essere - in quanto uomo, poiché già lo era in quanto Dio - al vertice delle schiere angeliche quale loro sovrano (Fil 2,10; Col 1,16s). Con ciò Paolo proclama il primato di Cristo su tutte le schiere angeliche (Cf. Eb 1,3s; 2,8).
E annunciato fra le genti“, il Vangelo è stato annunciato fra le genti, anche tra i pagani, poiché esso è per tutti gli uomini. Paolo dice che il Vangelo è giunto a tutto il mondo (Col 1,6) e non perché - pensiero sprovveduto - Paolo pensasse di aver raggiunto tutte le genti, ma perché è dato per tutti gli uomini.
Fu creduto nel mondo
, l’opera di Cristo si è saldamente stabilita con la fede nel mondo, nonostante tutte le ostilità degli uomini e dei demoni.
Ed elevato nella gloria“, cioè alla destra del Padre.

Raccomandazioni e insegnamenti
4
1 Lo Spirito dice apertamente che negli ultimi tempi alcuni si allontaneranno dalla fede, dando retta a spiriti ingannatori e a dottrine diaboliche,
2 a causa dell’ipocrisia di impostori, già bollati a fuoco nella loro coscienza: 3 gente che vieta il matrimonio e impone di astenersi da alcuni cibi, che Dio ha creato perché i fedeli, e quanti conoscono la verità, li mangino rendendo grazie. 4 Infatti ogni creazione di Dio è buona e nulla va rifiutato, se lo si prende con animo grato, 5 perché esso viene reso santo dalla parola di Dio e dalla preghiera.
6 Proponendo queste cose ai fratelli, sarai un buon ministro di Cristo Gesù, nutrito dalle parole della fede e della buona dottrina che hai seguito. 7 Evita invece le favole profane, roba da vecchie donnicciole.
Allenati nella vera fede,
8 perché l’esercizio fisico è utile a poco, mentre la vera fede è utile a tutto, portando con sé la promessa della vita presente e di quella futura. 9 Questa parola è degna di fede e di essere accolta da tutti. 10 Per questo infatti noi ci affatichiamo e combattiamo, perché abbiamo posto la nostra speranza nel Dio vivente, che è il salvatore di tutti gli uomini, ma soprattutto di quelli che credono. 11 E tu prescrivi queste cose e insegnale. 12 Nessuno disprezzi la tua giovane età, ma sii di esempio ai fedeli nel parlare, nel comportamento, nella carità, nella fede, nella purezza. 13 In attesa del mio arrivo, dedicati alla lettura, all’esortazione e all’insegnamento. 14 Non trascurare il dono che è in te e che ti è stato conferito, mediante una parola profetica, con l’imposizione delle mani da parte dei presbiteri. 15 Abbi cura di queste cose, dedicati ad esse interamente, perché tutti vedano il tuo progresso. 16 Vigila su te stesso e sul tuo insegnamento e sii perseverante: così facendo, salverai te stesso e quelli che ti ascoltano.

Lo Spirito dice apertamente che negli ultimi tempi alcuni si allontaneranno dalla fede“. Gli ultimi tempi sono quelli che intercorrono tra la venuta di Cristo e la fine del mondo (Cf. 1Cor 10,11; 2Tess 3,1; 1Pt 1,5; 1Gv 2,18; ecc.), tuttavia Paolo avverte Timoteo di pericoli immediati. Gli “spiriti ingannatori” propugnatori di “dottrine diaboliche”. Si tratta delle dottrine dei doceti, che riecheggiano il dualismo iraniano (Angra Mainyu, autore del male, cioè la materia e Spenta Mainyu autore del bene, cioè dello spirito). Esse propugnavano che la materia fosse una realtà di male creata da Jahvéh, Dio della creazione nel Vecchio Testamento, mentre il Dio buono sarebbe quello del Nuovo Testamento, che ha inviato suo Figlio (un eone, nella terminologia dello gnosticismo successivo, cioè una emanazione del Dio buono) per far si che gli uomini sfuggissero al malvagio mondo materiale. Ne seguiva che Cristo non poteva aver assunto un corpo di carne, ma solo un’apparenza eterea, per cui non avrebbe sofferto sulla croce e non sarebbe risorto, perché il corpo etereo sarebbe stato dissolto. Di conseguenza il matrimonio veniva rifiutato perché corruzione e fornicazione. Veniva anche compromessa radicalmente la divinità di Cristo riducendone la realtà di non uguale natura del Padre.
I cibi che i doceti proibivano non erano quelli del Vecchio Testamento, ma altri considerati fonti di concupiscenza.
Non conosciamo i nomi dei primi doceti (nel I secolo si ha un nativo della Siria, un certo Cerdo); essi si distinguono dai Nicolaiti per i quali la lussuria non era contaminante. Paolo parla di “dottrine diaboliche” per la loro carica devastante.
Infatti ogni creazione di Dio è buona e nulla va rifiutato, se lo si prende con animo grato, 5 perché esso viene reso santo dalla parola di Dio e dalla preghiera. Evita invece le favole profane, roba da vecchie donnicciole”. Le favole profane sono esattamente le invenzioni favoleggianti giudaiche (Tt 1,14) di cui è pieno il Talmud. Paolo liquida tutto con un netto “cosa da donnicciole”, perché sollecitano curiosità inconcludenti e portano nel mondo dei sogni, e non conducono alla realtà, che è Cristo (Col 2,17).
Abbiamo posto la nostra speranza nel Dio vivente, che è il salvatore di tutti gli uomini, ma soprattutto di quelli che credono”. Cristo è il salvatore di tutti gli uomini; anche di quelli che ancora non lo conoscono. Ma la salvezza che si realizza in tutta la sua potenza di attuazione è quella mediante la fede in Cristo.
Proprio perché tutti gli uomini giungano alla conoscenza del loro Salvatore e quindi liberati dagli errori che depotenziano il loro sviluppo, e dai peccati che li avviliscono (1Cor 6,11), e li rendono coinvolgibili dagli uomini diventati dei corrotti, Paolo aveva un’incessante ansia missionaria, fino a dire (1Cor 9,16): “Guai a me se non evangelizzerò”. Così nella conoscenza di Cristo, mediante l’adesione a lui nella fede gli uomini si elevano ad essere tempio dello Spirito Santo, nell’appartenenza alla Chiesa.
Con ciò non si dice affatto che le religioni non cristiane siano delle vie di salvezza stabilite da Dio, poiché la Religione vera è una sola, ma che in esse si possono trovare e si trovano valori positivi. Dio poi dona, per l’opera salvifica di Cristo, luci agli uomini che ancora non conoscono il Salvatore, perché seguendo la voce della coscienza - pur non essendo per il Battesimo tempio dello Spirito Santo - lo cerchino amandolo, e lo servano amando il loro prossimo. Alcuni non riescono a superare i condizionamenti delle religioni avuti fin dall’infanzia, ma sono retti, altri riescono a superare i condizionamenti giungendo ad un’idea pura di Dio e a desiderare, seppure oscuramente, una salvezza più alta, dono di Dio. Questi uomini e donne non sono ritenuti dalla Chiesa come estranei, infatti Dio ha chi lo ama anche fuori dei confini specifici della Chiesa (Mt 25,28; Gv 10,16; 11,50), e Gesù lo ha detto parlando di altri greggi che gli appartengono, chiamati a formare con la Chiesa e nella Chiesa un solo gregge sotto un solo pastore.
In attesa del mio arrivo, dedicati alla lettura, all’esortazione e all’insegnamento”. Timoteo, che deve dedicarsi innanzitutto al ministero della Parola, deve leggere assiduamente le Scritture, meditarle, perché è da esse che viene l’insegnamento e l’esortazione.
Non trascurare il dono che è in te e che ti è stato conferito, mediante una parola profetica, con l’imposizione delle mani da parte dei presbiteri”. Timoteo ha ricevuto l’ordinazione episcopale per l’imposizione delle mani da Paolo (2Tm 1,6). Qua viene ricordato il momento in cui lo Spirito lo indicò con “una parola profetica” quale ordinando all’episcopato sacramentale e i presbiteri sancirono la sua “professione di fede” (6,12) con una preghiera su di lui, con l’imposizione - non sacramentale - delle mani. Timoteo deve ricordare che è stato Dio a designarlo quale vescovo, e non la sua amicizia.

La correzione dei fedeli

5 1 Non rimproverare duramente un anziano, ma esortalo come fosse tuo padre, i più giovani come fratelli, 2 le donne anziane come madri e le più giovani come sorelle, in tutta purezza.

Le vedove
3 Onora le vedove, quelle che sono veramente vedove; 4 ma se una vedova ha figli o nipoti, essi imparino prima ad adempiere i loro doveri verso quelli della propria famiglia e a contraccambiare i loro genitori: questa infatti è cosa gradita a Dio. 5 Colei che è veramente vedova ed è rimasta sola, ha messo la speranza in Dio e si consacra all’orazione e alla preghiera giorno e notte; 6 al contrario, quella che si abbandona ai piaceri, anche se vive, è già morta. 7 Raccomanda queste cose, perché siano irreprensibili. 8 Se poi qualcuno non si prende cura dei suoi cari, soprattutto di quelli della sua famiglia, costui ha rinnegato la fede ed è peggiore di un infedele.
9 Una vedova sia iscritta nel catalogo delle vedove quando abbia non meno di sessant’anni, sia moglie di un solo uomo, 10 sia conosciuta per le sue opere buone: abbia cioè allevato figli, praticato l’ospitalità, lavato i piedi ai santi, sia venuta in soccorso agli afflitti, abbia esercitato ogni opera di bene. 11 Le vedove più giovani non accettarle, perché, quando vogliono sposarsi di nuovo, abbandonano Cristo 12 e si attirano così un giudizio di condanna, perché infedeli al loro primo impegno. 13 Inoltre, non avendo nulla da fare, si abituano a girare qua e là per le case e sono non soltanto oziose, ma pettegole e curiose, parlando di ciò che non conviene. 14 Desidero quindi che le più giovani si risposino, abbiano figli, governino la loro casa, per non dare ai vostri avversari alcun motivo di biasimo. 15 Alcune infatti si sono già perse dietro a Satana.
16 Se qualche donna credente ha con sé delle vedove, provveda lei a loro, e il peso non ricada sulla Chiesa, perché questa possa venire incontro a quelle che sono veramente vedove.

Onora le vedove, quelle che sono veramente vedove” Meritano il soccorso della comunità le vedove rimaste sole e che si dedicano alla preghiera. Se hanno figli o nipoti sono questi a doverle soccorrere, perché se “qualcuno non si prende cura dei suoi cari (…) ha rinnegato la fede ed è peggiore di un infedele”.
Una vedova sia iscritta nel catalogo delle vedove quando abbia non meno di sessant’anni…”. C’era un catalogo delle vedove. Tali vedove dovevano avere comportamenti irreprensibili, per non essere di scandalo. Il loro ufficio nella comunità doveva essere quello di diaconesse (non ordine sacramentale) impegnate nel soccorso agli ammalati, nell’insegnamento ai fanciulli, nelle opere di carità, nella assistenza delle donne nel Battesimo. Queste vedove avevano un sostentamento da parte della comunità nel caso che fossero rimaste sole.
Non si deve pensare ad un impegno a tempo pieno se non per le vedove rimaste sole. “
Se qualche donna credente ha con sé delle vedove, provveda lei a loro…”. Nel caso di vedove che avessero un lavoro di servizio presso una credente facoltosa, questa doveva aver cura di mantenerle.

I presbiteri
17
I presbiteri che esercitano bene la presidenza siano considerati meritevoli di un duplice riconoscimento, soprattutto quelli che si affaticano nella predicazione e nell’insegnamento.
18 Dice infatti la Scrittura: Non metterai la museruola al bue che trebbia, e: Chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. 19 Non accettare accuse contro un presbitero se non vi sono due o tre testimoni. 20 Quelli poi che risultano colpevoli, rimproverali alla presenza di tutti, perché anche gli altri abbiano timore. 21 Ti scongiuro davanti a Dio, a Cristo Gesù e agli angeli eletti, di osservare queste norme con imparzialità e di non fare mai nulla per favorire qualcuno. 22 Non aver fretta di imporre le mani ad alcuno, per non farti complice dei peccati altrui. Conservati puro!
23
Non bere soltanto acqua, ma bevi un po’ di vino, a causa dello stomaco e dei tuoi frequenti disturbi.
24 I peccati di alcuni si manifestano prima del giudizio, e di altri dopo; 25 così anche le opere buone vengono alla luce, e quelle che non lo sono non possono rimanere nascoste.

I presbiteri che esercitano bene la presidenza siano considerati meritevoli di un duplice riconoscimento, soprattutto quelli che si affaticano nella predicazione e nell’insegnamento”. Si tratta di una disposizione per il sostentamento dei presbiteri. L’economia era indubbiamente centralizzata e seguita dai diaconi sotto la vigilanza di Timoteo, e includeva il criterio del merito.
Non accettare accuse contro un presbitero se non vi sono due o tre testimoni”. Questa regola era stabilita in (Dt 19,15). Paolo sa che è facile che i presbiteri siano oggetto di calunnie. Ovviamente i testimoni dovevano essere credibili, presentando tutte le loro conoscenze e mostrando che non avevano questioni personali contro il presbitero accusato. Non bastava che tutto si giocasse sulla presenza di due o tre, ma che i due o tre fossero veramente credibili.
Quelli poi che risultano colpevoli, rimproverali alla presenza di tutti, perché anche gli altri abbiano timore”. Questo ovviamente nei casi gravi, perché altrimenti vale la correzione fraterna (Mt 10,15; Gal 6,1). Ma anche nella denuncia pubblica dentro il collegio dei presbiteri non deve mancare la carità.
Non aver fretta di imporre le mani ad alcuno, per non farti complice dei peccati altrui”. La fretta di ordinare un sacerdote è causa di responsabilità grave, perché è solo nel tempo che si può valutare la realtà di una vocazione.
Non bere soltanto acqua, ma bevi un po’ di vino, a causa dello stomaco e dei tuoi frequenti disturbi”. Questo consiglio è solo una prescrizione medica, che non vuole affatto andare contro le esigenze penitenziali del vivere cristiano. E’ notissimo che un po’ di vino durante il pasto favorisce la digestione.
I peccati di alcuni si manifestano prima del giudizio, e di altri dopo”. “Prima del giudizio” essendo palesi a tutti; altri, non pubblici, dopo un accurato esame. Viene ripresa la necessità di esaminare bene le cose prima di esprimere un giudizio sia sulla realtà di una vocazione, sia sulle varie situazioni circa i presbiteri, come pure sulle questioni che possono sorgere tra i fedeli.
Così anche le opere buone vengono alla luce”. Se uno è diffamato non tarderà ad essere appurato che compie il bene.
Quelle che non lo sono non possono rimanere nascoste”. Le opere non buone non possono poi rimanere nascoste. I comportamenti arrivisti prima o poi si tradiscono.

Gli schiavi
6 1
Quelli che si trovano sotto il giogo della schiavitù, stimino i loro padroni degni di ogni rispetto, perché non vengano bestemmiati il nome di Dio e la dottrina.
2 Quelli invece che hanno padroni credenti, non manchino loro di riguardo, perché sono fratelli, ma li servano ancora meglio, proprio perché quelli che ricevono i loro servizi sono credenti e amati da Dio. Questo devi insegnare e raccomandare.

Quelli che si trovano sotto il giogo della schiavitù...”. Paolo vuole che la carità sia esercitata sempre. Essa non fomenta rivoluzioni sociali, poiché sa che la vera rivoluzione destinata a trasformare le realtà sociali è quella contenuta nel Vangelo.
Quelli invece che hanno padroni credenti…”. L’essere fratelli in Cristo non è il punto di partenza per disobbedire ai padroni.

Identità del vero e del falso dottore
3
Se qualcuno insegna diversamente e non segue le sane parole del Signore nostro Gesù Cristo e la dottrina conforme alla vera religiosità,
4 è accecato dall’orgoglio, non comprende nulla ed è un maniaco di questioni oziose e discussioni inutili. Da ciò nascono le invidie, i litigi, le maldicenze, i sospetti cattivi, 5 i conflitti di uomini corrotti nella mente e privi della verità, che considerano la religione come fonte di guadagno.
6 Certo, la religione è un grande guadagno, purché sappiamo accontentarci! 7 Infatti non abbiamo portato nulla nel mondo e nulla possiamo portare via. 8 Quando dunque abbiamo di che mangiare e di che coprirci, accontentiamoci. 9 Quelli invece che vogliono arricchirsi, cadono nella tentazione, nell’inganno di molti desideri insensati e dannosi, che fanno affogare gli uomini nella rovina e nella perdizione. 10 L’avidità del denaro infatti è la radice di tutti i mali; presi da questo desiderio, alcuni hanno deviato dalla fede e si sono procurati molti tormenti.

"
Se qualcuno insegna diversamente e non segue le sane parole del Signore nostro Gesù Cristo e la dottrina conforme alla vera religiosità
”. Paolo presenta il Vangelo come norma di vita, poiché esso contiene Cristo, ma anche bisogna seguire il Magistero che spiega il Vangelo e lo esplicita nelle sue verità e con sapienza conduce i fedeli al vero vivere Cristo e la carità fraterna.
Uomini corrotti nella mente e privi della verità, che considerano la religione come fonte di guadagno”. Il recondito scopo di coloro che vogliono attrarre a sé i fedeli lusingandoli e conducendolo all’eresia è l’avidità del denaro, che è la radice di tutti i mali”. I falsi dottori che si presentano austeri per ingannare meglio, pongono la loro sicurezza nel denaro e perciò ne sono avidi. Ma con ciò non accumulano nessun tesoro in cielo. Paolo non condanna la ricchezza in se stessa, che è chiamata a servire il bene, ma la sua avidità facendo di essa un idolo (Mt 6,24). La ricchezza per i falsi dottori vuol dire potere per sedurre, compiacimento della propria furbizia, nonché possibilità di comprare la donna.

Appassionate raccomandazioni a Timoteo
11 Ma tu, uomo di Dio, evita queste cose; tendi invece alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza. 12 Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni.
13
Davanti a Dio, che dà vita a tutte le cose, e a Gesù Cristo, che ha dato la sua bella testimonianza davanti a Ponzio Pilato, 14 ti ordino di conservare senza macchia e in modo irreprensibile il comandamento, fino alla manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo,
15
che al tempo stabilito sarà a noi mostrata da Dio,
il beato e unico Sovrano,
il Re dei re e Signore dei signori,

16
il solo che possiede l’immortalità
e abita una luce inaccessibile:
nessuno fra gli uomini lo ha mai visto né può vederlo.
A lui onore e potenza per sempre. Amen.

17
A quelli che sono ricchi in questo mondo ordina di non essere orgogliosi, di non porre la speranza nell’instabilità delle ricchezze, ma in Dio, che tutto ci dà con abbondanza perché possiamo goderne. 18 Facciano del bene, si arricchiscano di opere buone, siano pronti a dare e a condividere: 19 così si metteranno da parte un buon capitale per il futuro, per acquistarsi la vita vera.
20 O Timoteo, custodisci ciò che ti è stato affidato; evita le chiacchiere vuote e perverse e le obiezioni della falsa scienza. 21 Taluni, per averla seguita, hanno deviato dalla fede.
 La grazia sia con voi!

Tendi invece alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza”. Le caratteristiche richieste per i vescovi (3,1) vengono specificate dalle virtù alle quali Timoteo è invitato a tendere incessantemente.
Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni”. La professione di fede a cui allude Paolo è quella espressa da Timoteo davanti ai presbiteri, quando lo Spirito lo designò per l’ordinazione episcopale (4,14).
Ti ordino di conservare senza macchia e in modo irreprensibile il comandamento”; è il comandamento di Gesù (GV 13,34; 15,12) : “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi”. Questo comandamento implica il vivere tutto il Vangelo, poiché è possibile sono in Cristo, nell’apertura al Padre e nel dono dello Spirito Santo. Questo comandamento costruisce la Chiesa e la rende testimone di Cristo (Gv 13,35): “Da questo sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri”.
Fino alla manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo, che al tempo stabilito sarà a noi mostrata da Dio”. La perseveranza di Timoteo deve essere incessante e sostenuta dal pensiero del ritorno trionfale di Cristo, che avverrà nel tempo stabilito dal Padre (Cf. At 1,7).
Nessuno fra gli uomini lo ha mai visto né può vederlo”. Era un errore e un’illusione formidabile degli gnostici pretendere di essere giunti nel tempo alla visione di Dio (Gv 1,18; Col 1,15; 1Gv 4,12).
O Timoteo, custodisci ciò che ti è stato affidato; evita le chiacchiere vuote e perverse e le obiezioni della falsa scienza”. “Le chiacchiere vuote e perverse” sono quelle intese a gettare lacci con raggiri di parole, con insinuazioni di dubbio, nell’ipocrisia di far credere che siano pronunciate per cercare la verità. “Evita…le obiezioni della falsa scienza”. Timoteo deve certo conoscere gli errori degli gnostici per confutarli, ma è invitato a non voler addentrarsi nei loro discorsi di errore credendo di diventare un dotto confutatore, poiché finirebbe per trovarsi dentro un ginepraio costruito ad arte per disorientarlo. La confutazione migliore e decisiva è data sempre dalla vita in Cristo. Timoteo è così invitato ad agire sempre nell’intima unione allo Spirito di Verità che agisce in lui (Gv 15,26; 16,12; 2Cor 1,21; 1Gv 2,20.27).
La grazia sia con voi!”. L’augurio finale è rivolto a Timoteo e a tutta la comunità. La lettera è così pubblica e ciò dà forza all’agire di Timoteo poiché sarà secondo l’insegnamento di Paolo.