“QUANDO E' IL MOMENTO LI LASCIO ANDARE”
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Non si può dire che p. Raffaele legasse le persone a sé; infatti, quando vedeva che uno poteva camminare con le proprie gambe gli toglieva il seggiolone, certo non l'abbandonava, ma la direzione spirituale aveva un salto di qualità.
Se poi qualcuno voleva rimanergli appiccicato gli faceva capire che così non andava e cominciava ad accoglierlo con più distacco; ma poi, se la persona superava virtuosamente questa fase, cambiava atteggiamento: si erano intesi. Il centro era Cristo, ciò che li accomunava e li rendeva fratelli era Cristo.
Diversi rimanevano sorpresi da questo togliere il “seggiolone”, altri rimanevano offesi, visto che avevano creduto di catturare il padre. I più però capivano subito, tanti altri con il tempo.
Ai genitori raccomandava di non essere iperprotettivi nei confronti dei figli, specie quando erano già grandi. Una signora, esortata su questo punto, gli rispose: “Lei parla così, perché non ha figli!”. Lui, di rimando: “Io di figli ne ho molti, ma quando è il momento li lascio andare”.
Detto questo, è facile capire che p. Raffaele non faceva mai “salotto” con le persone che si affidavano a lui.
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Tutto invece era forte, autentico, stimolante, ma non mancava la confidenza. Un suo confratello, il parroco di Salsomaggiore, che morì in un incidente stradale di ritorno da una visita a Raffaele a Cattolica, una volta si inginocchiò al suo fianco e poggiò il capo sul suo petto: il gesto di Giovanni con Gesù (Cf. Gv 13,25); p. Raffaele strinse il capo di quel confratello sul suo cuore. Chi andava da lui per trovare indulgenza verso i suoi vizi, si trovava invece di fronte ad un sacerdote che smascherava gli alibi e metteva in chiaro i doveri.
Da lui andavano anche pazienti in cura presso uno psichiatra. Quel medico diceva che era sì capace di analizzare i suoi infermi, ma poi la sua scienza non sapeva indirizzarli verso un ideale che fosse il fulcro della loro esistenza, e così, se non li vedeva contrari alla religione, li mandava da Raffaele.
Poi, c'erano dei fuori programma nel senso più assoluto, come accadde una sera, nel pieno di un temporale. Con quel tempo giunse da Cattolica un giovane, con un fucile in mano, lo sguardo cupo, chiedeva di p. Raffaele. Lo fecero entrare da lui. Quando Raffaele lo vide, capì subito che in quel momento era inutile fare discorsi. “Padre voglio parlarle. Sono scappato da casa. Non ne posso più; sono venuto qui non so perché”. “Ma tu sei bagnato, sei stanco. Adesso, ti faccio preparare qualcosa da mangiare, poi passa la notte qui al santuario. Domattina parleremo con calma. Intanto quel fucile lo lasci a me”. Quel giovane accettò. Mangiò e poi fece una bella dormita. Durante la notte Raffaele pregò per lui con tanta intensità. La mattina il giovane aveva l'aspetto mutato ed era disposto ad ascoltare p. Raffaele. “Ora va a casa da tuo padre, che non sa dove sei andato, ed è preoccupato. Rimetti al suo posto il fucile e cerca di voler bene ai tuoi e di pregare”.
Non mancava il lavoro a p. Raffaele, anche circa la corrispondenza. Rispondeva con poche parole, garantiva preghiere.
Grande comunicatore, dagli anni sessanta, cioè da quando i registratori divennero di uso molto comune, p. Raffaele diede spazio alla registrazione delle sue conferenze e meditazioni, affinché le bobine e le cassette fossero diffuse. Molte sono le registrazioni che sono state reperite fino ad ora: circa trecento.
Tre mesi prima della sua morte, diede vita ad un foglietto: “Il Corriere Mariano”, al fine di stabilire a largo raggio un collegamento con il santuario. |
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“VADO A FARE UN PO' DI BENE” |
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Un piccolo viaggetto p. Raffaele ogni tanto lo faceva ed era quello per andare a trovare i suoi genitori, Argia e Noè. Noè si era convertito; quando disse a Raffaele che si era confessato questi rimase sbalordito: “Tu!?”, poi un abbraccio pieno di emozione.
Nonostante le sue precarie condizioni intraprese anche diversi lunghi viaggi, per aiutare persone. Così, una volta andò a trovare un sacerdote che si era chiuso in se stesso. Un'altra volta andò da un benefattore moribondo. Andò a Torino, Firenze, Bologna, Cesena, Ferrara e altre località. L'ultimo viaggio fu a Roma.
Il Pontefice sapeva, tramite le relazioni dei Cardinali che avevano partecipato alle celebrazioni dei Tredici di Fatima, di lui e delle sue iniziative. Gli aderenti all'OFS di Puianello avevano poi inviato al Pontefice una relazione documentata con foto sulle imponenti marce della fede. Da qui la speranza di Raffaele che un giorno il Pontefice venisse al santuario. |
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Maturò poi tra i Terziari il desiderio di portare il loro assistente in udienza dal Pontefice; ma, a conti fatti, le prospettive di un successo erano precarie.
Esposero il loro pensiero a p. Raffaele che approvò l'idea, mettendo tuttavia come obiettivo sicuro la visita ad un “Fratello Oblato di Maria”, che stava iniziando presso Roma un fecondo apostolato. Il viaggio però era pieno di incertezze, infatti disse al probando cappuccino che stava seguendo al santuario: “Vado a fare un po' di bene. Prega per me, perché non ritorni morto”.
Per due o tre giorni rimase ritirato per prepararsi al difficile viaggio. Partirono in auto la mattina prestissimo. Arrivati a Roma i suoi accompagnatori fecero subito il tentativo di incontrare Paolo VI, ma con esito negativo. Quindi portarono Raffaele dall'Oblato di Maria. Al termine della visita fu p. Raffaele che prese l'iniziativa di voler incontrare il Papa: “Voglio vedere il Papa”, disse. |
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L'incontro con il Papa avvenne nel piazzale del santuario della Madonna del Tufo; Paolo VI vi era giunto da Albano. Il Pontefice appena vide il Cappuccino di cui aveva sentito parlare, lasciò ogni altra persona e si diresse verso di lui. P. Raffaele era raggiante. Quando ritornò a Puianello disse: “Quando ho visto padre Pio, ho visto l'immagine di Cristo; ma l'incontro con Paolo VI è stato per me più grande”. Era l'incontro con il successore di Pietro, con la Pietra, con il vincolo di unità della Chiesa, con colui che conferma i fratelli nella fede. Per p. Raffaele era la fede che lo aveva salvato da tante tempeste e che gli aveva dato accesso a tutte le dolcezze dell'incontro con Cristo e la Madre.
Anche Paolo VI rimase colpito da quel cappuccino sulla carrozzella; infatti, quando la Madre Vicaria delle “Suore Francescane Missionarie di Cristo” ebbe modo di avvicinare il Pontefice e gli rammentò padre Raffaele, disse: “Sì, sì, ricordo, era sulla carrozzella”. |
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“STO BENE, FIN TROPPO BENE”
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Dopo l'incontro con Paolo VI, Raffaele si propose di spingere fino in fondo la sua autenticità francescana. Così, si liberò di tutto quello che giudicò superfluo. Regalò il piccolo televisore che da poco gli era stato donato perché si svagasse po'. Secondo la testimonianza dell'infermiere aveva usato del televisore ben poco. Giunse a giudicare superflue anche alcune salviette.
Questa spogliazione andava ben oltre il significato di un ritorno alla radicalità giovanile, ma gli consentiva di accedere alla fede dei poveri in spirito.
Raffaele ebbe ben presto un peggioramento delle sue condizioni di salute e cominciò a sentirsi molto male. Ebbe però anche un breve un miglioramento dovuto soprattutto all'alimentazione curata da una caritatevole signora, che sapeva evitare, pur nella sobrietà dei cibi, gli scogli delle frequenti inappetenze del padre. Disse in quei giorni: “Sto bene, fin troppo bene”. |
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A questo benessere si aggiunse la gioia di passare alcune ore con due frati della Curia Generalizia di Roma, in visita ai conventi della sua Provincia monastica.
Riprese di gran lena a ricevere le persone. Lavorava a pieno ritmo e così cominciò a sperare di aver superato, almeno per qualche tempo, le difficoltà di salute.
Nel momento del malessere, segnato anche da coliche renali, erano stati eseguiti alcuni esami clinici, che rivelarono un alto tasso di azotemia. Questo impose l'applicazione di una dieta particolare. Disse p. Raffaele presentendo il peggio: “Se mi mettono a dieta, è la volta che muoio”. |
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La dieta era secondo protocollo medico, ma per p. Raffaele le componenti in gioco erano tante.
Nel consumare i cibi prescritti ci furono difficoltà perché l'infermo veniva preso da nausea e vomito.
Un giorno che era solo al santuario con il frate infermiere gli disse di portagli un panino con della coppa, stimando che avrebbe superato la nausea e l'inappetenza, anche se l'azotemia sarebbe salita. Lo mangiò e si sentì bene, ma quando ritornarono i suoi assistenti e videro le briciole lo rimproverarono. Ma aveva avuto ragione lui, infatti per una settimana ebbe forza per ricevere gente a pieno ritmo.
E' da immaginare come tutti volessero che si riprendesse; ma, mentre alcuni non dubitavano che la via d'uscita era l'applicazione della dieta prescritta, altri pensavano ad un diverso consulto medico, anche perché si stavano registrando problemi alla vescica. |
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Venne così organizzata la visita di un urologo proveniente da Pesaro. Dato però che lo specialista non poteva assentarsi molto dall'ospedale si provvide persino ad un elicottero presso l'aeroporto militare di Miramare. Il volo venne preparato con cura, provvedendo anche al personale necessario per l'atterraggio a Puianello.
Di questo generoso progetto però non si fece nulla. Il superiore del convento giudicò la cosa lesiva della fiducia riposta nel medico già interpellato.
P. Raffaele ben presto peggiorò ulteriormente. Subentrò una
cistite acuta e la vescica cominciò a provocargli forti
bruciori, mentre la notte aveva incubi |
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