8° GIORNO
IO PORRO’ INIMICIZIA TRA TE E LA DONNA

 

Dio, non soltanto esiste, ma opera; ed opera non soltanto mantenendo con il suo volere nell’essere tutte le cose, ma opera sempre con il suo amore per la salvezza degli uomini.

Dio, sempre ha operato per gli uomini; fin dal primo momento della caduta, operò dando agli uomini la profezia della vittoria sul “serpente” nella figura della donna e della sua stirpe: “Io porrò inimicizia tra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno” (Gn 3,15).

Dopo millenni e millenni, nel 1800 avanti Cristo, il filone di fede nell’unico Dio, che conservava l’antico oracolo di vittoria contro il serpente, stava per smarrirsi sotto i colpi di una trionfante idolatria; ma Dio, fedele, chiamò Abramo, perché da lui nascesse un popolo che comunitariamente credesse in lui: “Il Signore disse ad Abram: <Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò. Farò di te una grande nazione e ti benedirò>” (Gn 12,1). L’esistenza del filone monoteista si vede attraverso la genealogia biblica dei patriarchi prediluviani e postdiluviani, che giunge fino ad Adamo. Le religioni dei vari popoli appaiono, così, come separazione da quel filone originale e abbassamento in continui rivoli politeisti e idolatrici, in cui però non mancarono momenti migliori. Lo studio delle religioni ci dice che, tanto più si scava nella loro antichità, tanto più traspare la presenza di visioni monoteiste.

Abramo era un uomo che proveniva dal filone monoteista, ma ormai la sua famiglia era diventata politeista. Questa notizia la si ha dal libro di Giosuè: “Giosuè disse a tutto il popolo: <Così dice il Signore, Dio d’Israele: <Nei tempi antichi i vostri padri, tra cui Terach, padre di Abramo e padre di Nacor, abitavano oltre il Fiume. Essi servivano altri dei>" (Gs 24,2). (Abramo partì da Carran, ma prima abitava a Ur, città della Mesopotamia). Abramo obbedì alla chiamata, e, mentre era pellegrino nella terra di Canaan (Palestina), il Signore gli disse che quella terra sarebbe stata della sua discendenza: “Alla tua discendenza io darò questa terra” (Gn 12,7). In quella terra di Canaan, era presente l’antico filone monoteista nella figura di Melchisedek, re di Salem (Gerusalemme) e sacerdote di Dio altissimo. A Melchisedek Abramo fece capo per innestarsi vitalmente all’antico filone monoteista, lui che era chiamato a formare la novità di un popolo.

Dopo Melchisedek, Gerusalemme fu certamente in mano agli Amorrei (Cf. Gn 16,16) e perse la sua impronta monoteista. Davide, quando la conquistò nel 1000, la trovò in mano a una popolazione idolatrica: i Gebusei.

Da quel contatto con Melchisedek, Abramo ricevette precisa conoscenza dell’antica tradizione sull’oracolo; Abramo seppe leggere la profezia sulla sua “discendenza” pervenendo a “vedere” il giorno di Gesù. Nel vangelo di Giovanni, si legge che Gesù disse: “Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e fu pieno di gioia” (Gv. 8,56).

L’oracolo antico divenne speranza per Abramo e al futuro che annunciava egli prestò ogni fede: esso si sarebbe realizzato nella sua discendenza

L’oracolo divenne speranza per Israele, e, quando Israele si perse in speranze terrene, Dio con la sua misericordia lo riportò a quella speranza di vera vita. Così, quando nel 734 Gerusalemme era assediata dalla truppe Aramee e da quelle di Samaria e il re Acaz aveva dimenticato l’antico oracolo della donna, già precisato nella sua linea genealogica in Abramo e Davide, per cui il re futuro, vincitore del male, sarebbe stato della casa di Davide, Dio presentò di nuovo, per mezzo del profeta Isaia, il segno della donna e della sua stirpe: “Ecco: la Vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele” (Is. 7,14).

Dello stesso tempo di Isaia è il profeta Michea, che operava nelle campagne (Isaia operava nella città di Gerusalemme). Anche questo profeta rinvigoriva il popolo, annunciando la “partoriente” e il luogo dove sarebbe nato il Messia: “E tu, Betlemme di Efrata, così piccola per essere tra i villaggi di Giudea, da te uscirà per me colui che deve essere il dominatore di Israele; le sue origini sono dall’antichità, dai giorni più remoti. Perciò Dio li metterà in potere altrui (è l’annuncio della schiavitù babilonese e del peso dei dominatori persiani e poi ellenisti e poi romani) fino a quando partorirà colei che deve partorire” (Mi 5,1). Il profeta Geremia, che visse ai tempi della distruzione di Gerusalemme, anno 587, presentava ancora quale segno di speranza l’antico oracolo sulla donna dicendo a Gerusalemme: “Fino a quando andrai vagando, figlia ribelle? Poiché il Signore crea una cosa nuova sulla terra: la donna cinconderà l’uomo!” (Ger 31,22).

Quando l’arcangelo Gabriele apparve a Maria, la grande maggioranza in Israele aveva smarrito il pensiero che essa sarebbe stata la Vergine, l’integra, la totalmente consacrata a Dio. In Israele, si era affermata la visione di un Messia terreno: egli sarebbe stato un conquistatore con in mano grandi armate; di conseguenza, la madre era vista fuori di un intenso rapporto con Dio.

Ma Maria era tutta di Dio: “Rallegrati, piena di grazia, il Signore è con te” (Lc 1,28). Ignota agli uomini, era notissima a Dio.

Notissima da sempre, perché da sempre Dio aveva decretato di darci la salvezza per mezzo dell’incarnazione del Figlio suo unigenito.

Lei era gioiosamente presente nel pensiero di Dio da sempre. Quando Dio creò l’universo, guardò a Maria. Dando essere alle stelle, alle galassie, pensò a lei: esse le sarebbero state tappeto di luce nella gloria del cielo. Creò le cime bianche dei monti guardando il candore della sua anima: non le avrebbe create con gioia le distese di neve, se non avesse avuto dinanzi a sé la riparatrice  della disobbedienza di Eva. Creò le distese degli oceani nella gioia di guardare gli occhi di colei che li avrebbe rivolti a lui con immenso, sconfinato amore. Creò con gioia i boschi, perché lei li avrebbe visti e sarebbe salita a lui in un canto di lode per la creazione. Creò Adamo ed Eva, pensando a lei che sarebbe stata la nuova Eva, la Madre del celeste Adamo.

 

Preghiera a Maria

Vergine Maria, che sei stata e sei l’intima gioia di Dio, aiutaci ad essergli graditi, corrispondendo ai suoi doni di grazia. Noi, Vergine Maria, vogliamo starti vicini per avere da te speranza in ogni momento. Tu, Maria, sei per noi, come già per il popolo d Israele, segno di speranza; noi, Maria, rivolgendoci a te, sappiamo di rivolgerci a una Madre, sempre pronta ad essere presente nel cammino dei suoi figli.

 

Recita del rosario