Dio, non soltanto esiste, ma opera; ed opera non soltanto
mantenendo con il suo volere nell’essere tutte le cose, ma opera sempre con il
suo amore per la salvezza degli uomini.
Dio, sempre ha operato per gli uomini; fin dal primo
momento della caduta, operò dando agli uomini la profezia della vittoria sul “serpente”
nella figura della donna e della sua stirpe: “Io porrò inimicizia tra te e
la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu
le insidierai il calcagno” (Gn 3,15).
Dopo millenni e millenni, nel 1800 avanti Cristo, il
filone di fede nell’unico Dio, che conservava l’antico oracolo di vittoria
contro il serpente, stava per smarrirsi sotto i colpi di una trionfante idolatria;
ma Dio, fedele, chiamò Abramo, perché da lui nascesse un popolo che
comunitariamente credesse in lui: “Il Signore disse ad Abram: <Vattene
dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che
io ti indicherò. Farò di te una grande nazione e ti benedirò>” (Gn 12,1). L’esistenza del
filone monoteista si vede attraverso la genealogia biblica dei patriarchi
prediluviani e postdiluviani, che giunge fino ad Adamo. Le religioni dei vari
popoli appaiono, così, come separazione da quel filone originale e abbassamento
in continui rivoli politeisti e idolatrici, in cui però non mancarono momenti
migliori. Lo studio delle religioni ci dice che, tanto più si scava nella loro
antichità, tanto più traspare la presenza di visioni monoteiste.
Abramo era un uomo che proveniva dal filone monoteista,
ma ormai la sua famiglia era diventata politeista. Questa notizia la si ha dal
libro di Giosuè: “Giosuè disse a tutto il popolo: <Così dice il Signore, Dio
d’Israele: <Nei tempi antichi i vostri padri, tra cui Terach, padre di Abramo e padre di Nacor,
abitavano oltre il Fiume. Essi servivano altri dei>" (Gs 24,2). (Abramo partì da Carran, ma
prima abitava a Ur, città della Mesopotamia). Abramo obbedì alla chiamata, e, mentre era pellegrino nella terra di Canaan (Palestina), il Signore gli disse che quella terra sarebbe stata della
sua discendenza: “Alla tua discendenza io darò questa terra” (Gn 12,7). In quella terra
di Canaan, era presente l’antico filone monoteista nella figura di Melchisedek,
re di Salem (Gerusalemme) e sacerdote di Dio altissimo. A Melchisedek Abramo
fece capo per innestarsi vitalmente all’antico filone monoteista, lui che era
chiamato a formare la novità di un popolo.
Dopo Melchisedek, Gerusalemme fu certamente in mano agli
Amorrei (Cf. Gn 16,16)
e perse la sua impronta monoteista. Davide, quando la conquistò nel 1000, la
trovò in mano a una popolazione idolatrica: i Gebusei.
Da quel contatto con Melchisedek, Abramo ricevette
precisa conoscenza dell’antica tradizione sull’oracolo; Abramo seppe leggere la
profezia sulla sua “discendenza” pervenendo a “vedere” il giorno
di Gesù. Nel vangelo di Giovanni, si legge che Gesù disse: “Abramo, vostro
padre, esultò nella speranza di vedere il
mio giorno; lo vide e fu pieno di gioia” (Gv. 8,56).
L’oracolo antico divenne speranza per Abramo e al futuro
che annunciava egli prestò ogni fede: esso si sarebbe realizzato nella sua
discendenza
L’oracolo divenne speranza per Israele, e, quando Israele
si perse in speranze terrene, Dio con la sua misericordia lo riportò a quella
speranza di vera vita. Così, quando nel 734 Gerusalemme era assediata dalla
truppe Aramee e da quelle di Samaria e il re Acaz aveva dimenticato l’antico
oracolo della donna, già precisato nella sua linea genealogica in Abramo e
Davide, per cui il re futuro, vincitore del male, sarebbe stato della casa di Davide,
Dio presentò di nuovo, per mezzo del profeta Isaia, il segno della donna e
della sua stirpe: “Ecco: la Vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele” (Is. 7,14).
Dello stesso tempo di Isaia è il profeta Michea, che
operava nelle campagne (Isaia operava nella città di Gerusalemme). Anche questo
profeta rinvigoriva il popolo, annunciando la “partoriente” e il luogo
dove sarebbe nato il Messia: “E tu, Betlemme di Efrata, così piccola per
essere tra i villaggi di Giudea, da te uscirà per me colui che deve essere il
dominatore di Israele; le sue origini sono dall’antichità, dai giorni più
remoti. Perciò Dio li metterà in potere altrui (è l’annuncio della schiavitù
babilonese e del peso dei dominatori persiani e poi ellenisti e poi romani) fino
a quando partorirà colei che deve partorire” (Mi 5,1). Il profeta Geremia,
che visse ai tempi della distruzione di Gerusalemme, anno 587, presentava
ancora quale segno di speranza l’antico oracolo sulla donna dicendo a
Gerusalemme: “Fino a quando andrai vagando, figlia ribelle? Poiché il
Signore crea una cosa nuova sulla terra: la donna cinconderà l’uomo!” (Ger
31,22).
Quando l’arcangelo Gabriele apparve a Maria, la grande
maggioranza in Israele aveva smarrito il pensiero che essa sarebbe stata la
Vergine, l’integra, la totalmente consacrata a Dio. In Israele, si era
affermata la visione di un Messia terreno: egli sarebbe stato un conquistatore
con in mano grandi armate; di conseguenza, la madre era vista fuori di un
intenso rapporto con Dio.
Ma Maria era tutta di Dio: “Rallegrati, piena di
grazia, il Signore è con te” (Lc 1,28). Ignota agli uomini, era notissima a
Dio.
Notissima da sempre, perché da sempre Dio aveva decretato
di darci la salvezza per mezzo dell’incarnazione del Figlio suo unigenito.
Lei era gioiosamente presente nel pensiero di Dio da
sempre. Quando Dio creò l’universo, guardò a Maria. Dando essere alle stelle,
alle galassie, pensò a lei: esse le sarebbero state tappeto di luce nella
gloria del cielo. Creò le cime bianche dei monti guardando il candore della sua
anima: non le avrebbe create con gioia le distese di neve, se non avesse avuto
dinanzi a sé la riparatrice della
disobbedienza di Eva. Creò le distese degli oceani nella gioia di guardare gli
occhi di colei che li avrebbe rivolti a lui con immenso, sconfinato amore. Creò
con gioia i boschi, perché lei li avrebbe visti e sarebbe salita a lui in un
canto di lode per la creazione. Creò Adamo ed Eva, pensando a lei che sarebbe
stata la nuova Eva, la Madre del celeste Adamo.
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