Un servizio a tutto campo

Era lo stesso, ma nello stesso tempo diverso

Padre Guglielmo sostò subito a lungo davanti al Crocifisso. Aveva dei ricordi immediati: le parole sulla potenza della croce di padre Leonardo da Mercato Saraceno, il Crocifisso di S. Damiano e il Crocifisso delle stimmate a S. Giovanni Rotondo.
Era andato in Terra Santa cercando l’amore per la croce di Cristo ed ecco che essa si offriva a lui con una presenza e una proposta continua.
Capì il dono e la fedeltà che essa richiedeva.
Il 23 ottobre scriveva alle suore di Lagrimone, desiderose di vederlo, che non poteva andare a trovarle, e dava queste motivazioni:
«Persone molto sapienti e sante sono presso di voi o a tiro. Il mio aiuto spirituale (offerto sempre con tutto il cuore ogni giorno, x la mia estrema indegnità, era troppo inconsistente... x cui desideravo proprio, x il vostro bene, una interruzione, una rottura...: ecco i 6 mesi di TS! e... appena arrivato a Bologna alle 21 del 12 c.m. la proposta dei miei sup. x Faenza! Il Signore ha trapiantato in cielo un uomo forte, il mio dilettissimo p. Filippo, dalla fede che trasportava le montagne x trapiantare qui me che non ne ho neanche un atomo! La potenza del Crocifisso e la fedeltà del suo servo hanno creato qui una clientela che t’inchioda dalla mattina alla sera x cui mi sento in dovere di sganciarmi da ogni altro impegno... Il Signore ha guardato alla mia indegnità, rispetto a voi e riguardo a Cesena... ed esprime la sua immensa tenerezza per me nel volermi ai suoi piedi, sempre ai piedi della sua croce... Allora materialmente debbo far conto che Lagrimone neanche esista, come non ne avessi neanche sentito parlare».
Padre Guglielmo si congedò pure dalle suore Cappuccine di Cesena, che, tuttavia, agendo sul padre provinciale, ottennero che continuasse ad essere loro confessore.
Lasciò anche le Clarisse di S. Agata Feltria, che trovarono in seguito un confessore nella fraternità cappuccina di Piedimonte, vicino a Perticara, a 4 chilometri dal loro monastero. La fraternità, costituita da tre cappuccini della provincia monastica bolognese, ebbe inizio nell’agosto del 1981. Come programma si diede una vita di eremitaggio e di itineranza, nella povertà integrale presentata da S. Francesco, fino a non volere ricevere denaro. Tra i tre cappuccini c’era anche il giovane frate che aveva fatto a Bascio un’esperienza di vita con padre Guglielmo. La fraternità, collocata in una posizione del tutto insalubre, all’ombra umida di un monte, non poté prolungare la sua esistenza oltre nove anni.
Padre Natale, fratel Lino e sorella Anna, visto che padre Guglielmo non poteva andare a Lagrimone, andarono da lui chiedendogli di continuare ad essere il loro assistente spirituale: sarebbero stati loro ad andarlo a trovare quattro o cinque volte l’anno. Egli sarebbe andato da loro una volta l’anno, per un giorno.
Tutti ebbero la stessa impressione: padre Guglielmo era la stesso, ma, nello stesso tempo, diverso. Non era più quello di Lagrimone spesso volitivo e a volte con qualche frase proprio netta, netta. Era più accogliente, più in ascolto: irradiava comprensione, umiltà profonda, pace.
Informato di come si svolgevano le cose a Lagrimone, padre Guglielmo scrisse, il 18 dicembre, una lettera al vescovo di Parma con alcune righe tese ad allontanare il pensiero che la sua lontananza da Lagrimone procedesse da una ferita relativa al rapporto Casa del Padre -Querceto, con la conseguente tentazione di far ricadere la colpa o da una parte o dall’altra: «Quanto alla casa del Padre sono molto contento della presenza del Rev. Padre Clemente e delle suore e della collaborazione del nostro carissimo padre Natale, che fanno certo la loro grande parte per il buon funzionamento. Per parte mia sono molto contento di esserne fuori completamente, perché lo consideravo impegno troppo impari alle mie forze per il suo adeguato funzionamento (...). Desidero che i miei rapporti con loro si intensifichino anche se non potrò incontrarli se non molto sporadicamente. Io penso che la loro testimonianza sia molto valida e che siano un dono molto prezioso per la sua diocesi (...). Tutto quanto ho detto e fatto di impegnativo per vostra Ecc.za e consorelle, che può aver creato dispiacere contro i fratelli del Querceto l’ho pianto e voglio espiarlo fino alla morte davanti al Signore».

L’impatto della nuova presenza al santuario

Padre Guglielmo nel suo servizio nella cappella del SS. Crocifisso, si mise in linea di continuità con padre Filippo, differenziandosi, tuttavia, circa la benedizione serale nelle case e di questo fece relazione al provinciale con una lettera del 25 dicembre:
«Ogni giorno ho coltivato la conclusione che il nostro padre Filippo aveva una grande forza per aiutare tutti: la sua fede trasportava le montagne... Io desidero unirmi a lui ora che “dal cielo si lavora con due mani”.., perché ora egli benedica con due mani. Molti mi chiedono se vado nelle case... Mi piacerebbe, ma ho tre obiezioni:
    1° Io non ho la potenza del nostro padre Filippo per benedire miracolosamente.
    2° Vorrei andare da ognuno, sì, ma che fosse un avvenimento di conversione:
            Innamorarsi del Vangelo, di Dio.
            Della santa Messa... della vita spirituale
            Della Chiesa... della carità.., della famiglia
Indurli a prepararsi con la lettura del S. Vangelo; offrire loro come aperitivo il Vangelo del ... Quindi procurarmi qualche Vangelo. Celebrare in casa una S. Messa cui fare intervenire se possibile parenti, amici, conoscenti... Nulla accettare di mangiare e bere... Grande tormento la questione del denaro...
Alla Cappella qui lo risolvo bene dicendo: “La piccola offerta che volete fare... fatela alla porta, va per le Missioni”. Io non ne so niente, non ne voglio saper niente... Mai! Loro fanno bene a dare; diano a chi vogliono... Se danno alla porticina, va per le Missioni. Io sono servo inutile che nulla fa e nulla sa se non di essere votato ... per il bene spirituale di ognuno e di tutti... cosa troppo bella, doverosa, ed elementare... non di peso, ma sempre di grande gioia. Se i nostri fratelli del mondo stanno tante ore per ... io non dovrò farlo per le anime? Alle case, la cosa diventa un tormento perché vorrei dare la testimonianza del disinteresse, distacco assoluto come il padre S. Francesco. Qualche volta l’ho fatto, qualche volta no!... sono handicappato... Comunque lo spirito resta sempre lo stesso».

Subito corse la voce: a Faenza padre Filippo era stato sostituito con un frate di una austerità che impressionava, senza spaventare, poiché era unita ad una carità e dolcezza, che la faceva dimenticare.
Volto scavato, abito a scampoli di stoffa, piedi nudi anche d’inverno, zoccoli di legno, e sempre in piedi per ore e ore. Un uomo indubbiamente crocifisso nelle passioni della «carne», ma nient’affatto atrofizzato.
La sera non andava a benedire le case, ma andava a trovare gli ammalati.
La gente oltre la benedizione chiedeva il consiglio, la direzione spirituale. Così cominciò ad interpellarlo per telefono e lui correva all’apparecchio mettendosi in ginocchio durante il colloquio.
Le telefonate divennero così frequenti che il guardiano, per evitare il va e vieni di padre Guglielmo dalla chiesa, stabilì che le telefonate gli fossero rivolte solo dopo cena. E lui rimaneva a disposizione fino all’una o alle due di notte.
Ma anche questa abitudine non poteva andare avanti perché affaticava troppo padre Guglielmo, così il guardiano gli stabilì due tempi fissi per le telefonate: il mattino, dalle 9 alle 10, la sera dalle 20 alle 21.
La mattina celebrava le lodi con i confratelli e partecipava alla Messa «conventuale».
Poi, alle 7,30 slittando a volte verso le 8, celebrava la Messa all’altare del SS. Crocifisso. La sua celebrazione durava circa un’ora, anche perché leggeva i commenti di un messalino feriale o, trattandosi di un santo, una lettura tratta dal breviario.
Dava poi la benedizione a tutti e si metteva a disposizione per i colloqui.
La colazione, molto frugale, la faceva verso le 10 o le 11. Poi riprendeva il servizio fino alle 12,30 ma, se c’era gente, continuava fino a più tardi.
Dopo pranzo, leggeva qualche articolo dell’Osservatore Romano e faceva un brevissimo momento di riposo in stanza. Poi di nuovo a ricevere la gente.
Quindi rosario e vespri con i confratelli. Seguiva la cena, infine di nuovo in chiesa a pregare, prima del servizio al telefono.
Ma non si concludeva così la sua giornata, infatti ritornava in chiesa fino a tardi, prostrato a terra davanti al SS. Sacramento. Fu visto anche fare delle ripetute prostrazioni davanti al S. Sacramento, con sorprendente agilità. Era un gesto mutuato dalle prostrazioni col capo a terra presenti nella Bibbia. Si ritirava in stanza verso la mezzanotte, riposando per terra sopra un giaciglio di legno; a volte, verso le tre del mattino, ridiscendeva in chiesa per una breve visita al SS. Sacramento. Ritornato in stanza, scendeva in chiesa alle 6, per la recita delle lodi. Ogni notte dormiva circa quattro ore.

Padre Guglielmo faceva anche degli esorcismi, in un oratorio a cui si accedeva da un cortiletto dietro l’abside della cappella del SS. Crocifisso.
Molte furono le persone che esorcizzò, ma ebbe a dire che dei veri posseduti non ne incontrò molti. Gran parte aveva paura di essere posseduta ed era psichicamente labile. Diversi, però, quelli che erano tormentati dal demonio, senza essere degli indemoniati. Padre Guglielmo non era uno che vedeva indemoniati un po’ dappertutto.
Durante gli esorcismi qualche volta si sentivano grida fin dentro la chiesa. La gente allora capiva e si metteva a pregare.
La Messa, la domenica, padre Guglielmo la celebrava alle 11. Una Messa molto frequentata. Tutti erano ammirati dalla sua devozione, ma qualcuno cominciò a dire che la sua omelia, fatta a braccio, era troppo lunga. La cosa gli giunse all’orecchio e subito pensò di rimediare incaricando il chierichetto di turno di fargli un cenno quando il tempo era già passato. Solo che il compito per i chierichetti era troppo impegnativo: il più delle volte, distraendosi, non avvertivano il celebrante. Così le omelie continuarono ad essere lunghe per parecchi frequentatori della Messa delle 11. Quale il rimedio? Padre Guglielmo decise di mettere per iscritto le omelie e di leggerle. Era la prima volta che lo faceva nella sua vita di sacerdote. Preparava l’omelia il sabato notte sottraendosi le poche ore di sonno che usualmente si concedeva. Scrivere le omelie era un impegno: a braccio uno può dire e dire, ma per iscritto tutto deve avere un rigore, una concatenazione. Gliele correggeva dal punto di vista letterario un signore che provvedeva anche a battergliele a macchina. In tre anni padre Guglielmo fece tutte le omelie del ciclo ABC, che rimaneggiò per gli altri anni.
L’orario della Messa domenicale gli venne spostato alle ore 8, ma continuò a scrivere le omelie ed a leggerle. Esse seguivano lo schema delle letture, spiegandole un attimo, per poi arrivare ai fatti pratici. Non erano lunghe: in una decina di minuti si potevano leggere.
Ma padre Guglielmo la Parola di Dio la proclamava tutto il giorno, infatti, durante le benedizioni e i colloqui, in chiesa si udiva a giusto volume la sua voce registrata che leggeva i vangeli. La gente aspettava udendo la Parola di Dio e la pronuncia del lettore era magnifica e senza inceppature.
Altro modo per divulgare la Parola fu quella di pubblicare dei mini-opuscoli di poche pagine sulla vita dei santi, sulla Madonna, sull’Eucaristia. Non mancarono, sulla balaustra della cappella del SS. Crocifisso, opuscoletti che mettevano in guardia contro i Testimoni di Geova.
Poi padre Guglielmo dava santini, medagliette, corone del rosario e tante caramelle benedette ai bambini. A questi faceva baciare una statuetta del Bambinello, che gli era carissima. Nella cappella c’era dunque l’alfa e l’omega della vita di Cristo: il Bambinello e il Crocifisso. Francescanamente parlando, Greccio e la Verna.

Il messaggio sullo Spirito Santo

Padre Guglielmo a Faenza cominciò a divulgare un messaggio sull’azione dello Spirito Santo di Sant’Antonio Abate.
Il messaggio aveva delle piccole varianti.
Quella espressa in una lettera alle suore di Lagrimone del 19 novembre 1983 dice:
«Prego che vi sia concesso lo spirito di fuoco che è stato donato a me. Se avete il desiderio di riceverlo e ospitarlo, cominciate con l’offerta dell’impegno ascetico e dell’umiltà del cuore, poi dischiudendo, giorno e notte, il vostro pensiero alle realtà celesti, cercate con cuore puro questo Spirito; vi sarà concesso... Quando lo Spirito scenderà in voi, vi schiuderà i misteri più alti, dissiperà dal vs. cuore la paura per qualunque essere, uomo o belva e la gioia celeste sarà vs. possesso inalienabile giorno e notte!!!».
Quella scritta in un’omelia su Sant’Antonio Abate del 1984-85, dove appare una differenza:
«Figli miei, andava ripetendo loro di quando in quando, prego che vi sia concesso il grande spirito di fuoco che è stato donato a me. Se avete il desiderio di riceverlo ed ospitarlo, cominciate con l’offerta dell’impegno ascetico e dell’umiltà del cuore. Poi dischiudendo, giorno e notte, il vostro pensiero alle realtà celesti, cercate con cuore puro questo Spirito; vi sarà concesso. Quando lo Spirito scenderà su di voi vi dischiuderà i misteri più alti, dissiperà dal vostro cuore ogni paura per qualunque essere uomo o belva e la gioia celeste sarà vostro possesso inalienabile giorno e notte».

Quella presentata ad una signora nel 1998, che recita così:
«Finché l’anima è incollata ai sensi non è nella disposizione di accogliere la luce divina. La libertà e l’intimo gaudio dell’anima sono il frutto di purità autentica e di distacco delle realtà legate al tempo. Prego che vi sia concesso lo spirito di fuoco che è stato donato a me. Se avete il desiderio di riceverlo cominciate con l’offerta dell’impegno ascetico e dell’umiltà del cuore. Poi dischiudendo, giorno e notte, il vostro pensiero alle realtà celesti; cercate con cuore puro questo Spirito, vi sarà concesso. Quando lo Spirito scenderà in voi vi dischiuderà i misteri più alti, dissiperà dal vostro cuore la paura per qualunque essere, uomo o belva e la gioia celeste sarà vostro possesso inalienabile giorno e notte».
Questo testo, non si ritrova nella Vita di Sant’Antonio, e neppure nelle sette lettere di Sant’Antonio Abate, ma è una elaborazione di padre Guglielmo sulla base sia della Vita che delle sette lettere. Le lettere, inaccessibili prima a padre Guglielmo, saranno pubblicate nel 1984 dalle Edizioni Paoline, in appendice alla Vita di Sant’Antonio Abate, furono da lui recepite durante il soggiorno a Gerico. Sicuramente non le lesse, il greco era ormai da molti anni lingua del tutto estranea a lui, ma ne colse la sostanza durante colloqui con don Giuseppe Dossetti.
I passi di riferimento nelle lettere, nella versione in italiano delle Edizioni Paoline del 1984, suonano così:
(Lettera 1,4): «Se qualcuno si affida a Dio con tutto il cuore, allora Dio nella sua bontà gli accorderà lo spirito di conversione e lo Spirito gli farà conoscere ogni suo male perché se ne penta».
(Lettera 3,3): «Ma se uno farà come ho detto, Dio avrà misericordia della sua fatica, gli accorderà il fuoco invisibile e farà consumare tutte le sue impurità e il nostro spirito diverrà puro. Allora lo Spirito farà di noi la sua dimora e Gesù starà presso di noi e potremo così adorare Dio come si conviene».
Il «fuoco invisibile» è il fuoco portato da Gesù; è il divino amore: Rm 5,5. Esso compie il processo di purificazione e con duce all’unione trasformante con Cristo, come dice la seconda proposizione; cf Gv 14,23.
(Lettera 4,4): «Figli, voglio, che sappiate che non smetto di pregare Dio per voi giorno e notte: egli apra gli occhi del vostro cuore perché vediate... Voglio che Dio vi dia la sapienza del cuore e lo spirito di discernimento».
(Lettera 4,5): «Voglio che Dio vi dia la sapienza del cuore e lo spirito di discernimento perché possiate offrire i vostri cuori quali vittime davanti al Padre con grande purezza, senza macchia alcuna».
Questi i passi di riferimento nella Vita:
(V.A 22): «Occorre pregare molto e praticare l’ascesi perché una volta ottenuto il carisma del discernimento degli spiriti per opera dello Spirito Santo... ».
(V.A 50): «All’inizio le bestie del deserto che venivano lì per abbeverarsi danneggiavano spesso le sue sementi... “Perché fate del male mentre io non ve lo faccio? Andatevene e nel nome del Signore non avvicinatevi mai più a questo posto”. E da quel momento come spaventate dal suo ordine, le bestie non si avvicinarono più».
(Vita e detti dei padri del deserto 1975, pag. 94; apoftegma 36): «Obbedienza e continenza ammansiscono le belve».
Il ricordo di questi passi deriva dall’esperienza di padre Guglielmo con i cani lungo il cammino notturno verso Nazaret.
L’espressione di «spirito di fuoco» non è presente nelle lettere di Sant’Antonio. Letterariamente «spirito» va inteso come una disposizione interiore all’amore. Disposizione che è frutto della grazia e della corrispondenza alla stessa.
Questa «teologia della perfezione», padre Guglielmo la raccomandò fino alla fine, proprio perché affermava l’esigenza dell’ascesi per arrivare all’intima unione con Cristo, questo a salvaguardia di chi era pronto ad ascoltare il consumismo e quindi a smorzare «quietisticamente» la necessità di praticare l’ascesi per giungere all’intima unione con Dio.

Un'attenzione particolare per la famiglia

Nel maggio dei 1984 padre Guglielmo fece stampare, in diversi formati, la fotografia di una ceramica di Luca della Robbia. La foto presentava Maria al momento dell’Annunciazione mentre era intenta alla lettura delle Sacre Scritture. Padre Guglielmo distribuì l’immagine, per promuovere l’amore alla Parola di Dio.
«La Madonna scruta le Sacre Scritture, i Profeti... Illuminata dalla Spirito Santo, comprende che è imminente la venuta del Messia... Lo implora!... Il Padre Celeste le invia l’Arcangelo Gabriele ad annunciare: Sei Tu la predestinata Madre del Redentore!... Lo Spirito Santo compirà in Te questo prodigio!...La Madonna crede e si offre!...
“Verbum caro factum est!”.
Dio si fa uomo nel suo grembo: Maria, madre di Gesù, madre di Dio!...Da allora incomincia il suo rapporto con Lui in carne e ossa... che dura 33 anni!...“Maria serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore”...Perché la tua famiglia diventi copia viva della Sacra Famiglia (Trinità creata — Paradiso della Redenzione — Chiesa domestica); leggi... leggete insieme, meditate, incarnate, ogni giorno di più, la Parola di Dio, il Verbo fatto Parola, Gesù nel Santo Vangelo».

Dopo quell’immagine padre Guglielmo divulgò un ciclostilato sulla famiglia intitolato: «Piccole riflessioni sulla famiglia». In esso era presente la copia di un’immagine che padre Pio aveva tenuto per diverso tempo nella sua stanza e che poi aveva regalato. L’immagine era stata donata a padre Guglielmo che, a sua volta, la donò, il 24 giugno del 1985, ad un signore di Cesena.
Questo il testo del ciclostilato, nel quale sono presenti i pensieri che usualmente diceva alle famiglie:
«La famiglia oggi è in grande crisi, specialmente perché i giovani non si preparano a dire il loro “Sì”. Quando desiderano e decidono di sposarsi, si preoccupano molto dell’appartamento, del lavoro, del conto in banca... ma dimenticano il più importante: il corredo spirituale dal quale dipende tutta la comprensione, la collaborazione, l’armonia, la pace e la perseveranza. Questo lo raccomando ogni giorno perché è indispensabile e tanto trascurato. Specialmente quando vengono i genitori con i bambini piccoli, così deliziosi che rapiscono, ricordo loro che ogni bimbo è l’infante divino perennemente fra gli uomini. Gesù vuole che crescano come lui in sapienza, età e grazia. Perché questo si avveri, c’è una grande realtà da ricordare: i piccoli vogliono un grandissimo bene al papà e alla mamma. Perché essi crescano bene, sereni, vivaci, in salute fisica e spirituale, hanno bisogno di vedere che papà e mamma si vogliono tra loro lo stesso grandissimo bene. Se invece tra i genitori ci sono discussioni, incomprensioni, violenze, in proporzione del loro dissenso, i bambini soffrono e crescono handicappati.
Farsi un complimento affettuoso è molto facile e piacevole, ma volersi bene, senza darsi mai il minimo dispiacere, è cosa molto difficile. Perciò suggerisco sempre il “corredo spirituale” e non mi stanco mai di raccomandarlo perché è indispensabile e troppo spesso trascurato, con danno immenso. Le famiglie si creano con molto entusiasmo, con grande festa, con tanti fiori, splendidi vestiti, tante foto, tanti canti.., e poi? Se non c’è il “corredo spirituale”, i difetti mandano presto in acqua il grandissimo amore: per le cose più insignificanti nascono gravi incomprensioni che distruggono la famiglia.
Ma come si realizza il corredo spirituale che garantisce una famiglia sempre più bella, sempre più compatta, per un anno, per 10 anni, per 25, 50 anni e più? Occorre guardare Gesù, ascoltare Gesù, contemplare Gesù, imitare Gesù quando dice: “Imparate da me, che sono mite e umile di cuore e troverete ristoro per le vostre anime”. Domandare sempre: “Gesù mite e umile di cuore, rendi il nostro cuore simile al tuo”. E perché questa preghiera sia vera, deve essere coerente, fatta cioè non solo con le labbra, ma col cuore: armonizzando parole, gesti e sentimenti con tutta coerenza. Allora ci sarà una perfetta e perseverante armonia.
Gesù poi aggiunge: “Con la pazienza vincerete tutte le difficoltà”. Allora chiedere e implorare incessantemente: “Cor Jesu, patiens et multae misericordiae, miserere nobis = Cuore di Gesù, infinitamente paziente e misericordioso, abbi pietà di noi”. Con la pazienza si vincono tutte le difficoltà, con la misericordia si perdonano tutte le infedeltà e cattiverie. Importantissime tutte e due queste virtù: la pazienza che fa sopportare tutto, la misericordia che fa perdonare tutto.
A proposito della pazienza, San Francesco di Sales ci dà una ricetta molto bella quando dice: “Un bicchiere di scienza, un barile di prudenza e un mare di pazienza”. Basta poca scienza; di prudenza molte migliaia di bicchieri. Con la prudenza si impara a non pensare, non fare, non dire mai quello che dà dispiacere; a pensare, dire, fare solo quello che dà gioia. Un barile di prudenza. Se ci fosse questo barile di prudenza in entrambi gli sposi, sarebbe troppo bello! Se invece da una parte non ce n’è, o ce n’è poca, allora supplirà l’altra parte con un mare di pazienza!
Quinta virtù: grande spirito di servizio!! Gesù all’inizio del l’Ultima Cena versò l’acqua nel catino, si cinse i fianchi con l’asciugatoio; poi, in ginocchio, lavò i piedi agli apostoli. Dopo fece questo commento: “Se io, vostro Signore e Maestro, vi ho lavato i piedi, fatelo anche voi”. Servitevi scambievolmente!... Qui cito un esempio classico. La famiglia Balducci di Cesena celebrò, circa 40 anni fa, le nozze d’oro con 13 figli. Ad un certo momento questi figli chiesero: “Papà, mamma, diteci con sincerità e per quanto è possibile, con verità: quante volte avete litigato in 50 anni?” E loro: “Molto semplice: per grazia di Dio, non abbiamo mai litigato una volta!”. “Ma come avete fatto?”. “Ci siamo sempre rubati i sacrifici scambievolmente. . . “.
Poi altre due virtù dettate dal Santo Curato d’Ars nella Catechesi sulla preghiera; da quest’uomo così pieno di Spirito Santo:
Pregare e amare. “Tuffati nel Signore, come i pesci nell’acqua. Ecco il Paradiso in terra!!”. Con queste due virtù, la famiglia diventa una copia perfetta della Sacra Famiglia, diventa paradiso della redenzione!!! Se gli sposi tra di loro, se i genitori con i figli impareranno a pregare ed amare il Signore, a vivere sempre immersi nel Signore come i pesci nell’acqua, allora godranno il paradiso anticipato.
Ottava virtù: ascoltare e mettere in pratica la Parola di Dio. Alla fine del discorso della montagna, dopo le 8 beatitudini (per es: Beati i poveri di spirito, cioè distaccati da tutto; beati gli umili, perché di essi è il Regno dei cieli; beati quelli che hanno fame e sete di giustizia perché saranno saziati; beati i puri di cuore perché vedranno Dio; beati i promotori di pace perché saranno chiamati figli di Dio...), Gesù conclude dicendo: “Chi ascolta la mia parola e la mette in pratica, costruisce la casa sulla roccia”. La famiglia che ascolta e mette in pratica la parola di Dio, costruisce sulla roccia! “Soffiarono i venti, imperversarono le acque, ma quella casa non cadde”.
Nona virtù: la perseveranza! “Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato!”. Come ci ha amato il Signore? Fino a morire sulla croce!!! Amarsi proprio così... “Piuttosto morire che tradire! Con la mente, col cuore, con gli occhi, con le parole! Piuttosto morire che tradire!!”. Vivere in famiglia sempre fedeli al famoso proponimento di Papa Giovanni: “Voglio essere buono, sempre, ad ogni costo, con tutti!”.
Ci sono molte altre virtù, oltre queste nove che abbiamo citato, ma con questo corredo spirituale si può innalzare certamente un grattacielo di 25 — 50 — 60 piani che non temerà né cicloni, né terremoti, né frane: sarà indistruttibile, per dono di Dio, sotto l’azione dello Spirito Santo, vivendo ogni giorno di più il Vangelo a scuola di Maria: come Lei per quanto è possibile — con Lei, in Lei. («Maria serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore»).
Imparate a leggere il Vangelo con la corona in mano...
Dopo l’approvazione del S. Rosario fatta da San Pio V, tutti i Santi si sono fatti con la corona in mano!...».

Particolari illuminazioni

Padre Guglielmo si sentiva al posto giusto, ma ancora avvertiva il bisogno di fare gesti radicali, estremi, di povertà. Per questo, nel capitolo provinciale del 15-18 giugno 1981, si mise in ginocchio davanti a tutti i capitolari, chiedendo con parole accorate l’obbedienza di potere andare di porta in porta per la questua di un po’ di cibo. I capitolari rimasero ammirati, ma non si pronunciarono, poiché era una cosa personale che doveva trovare un’approvazione a livello di fraternità locale. Padre Guglielmo comprese che il permesso non gli sarebbe mai venuto: lui doveva pensare ad essere fedele al suo ufficio. E i risultati della sua fedeltà si vedevano, abbondanti.
In particolare alcune testimonianze, tra quelle finora raccolte, dicono che, quando padre Guglielmo andò a Faenza, mostrava di essere illuminato da Dio in modo non comune. Non era quell’ispirazione che ordinariamente possiede un sacerdote di preghiera; era una conoscenza che prescindeva dalla conoscenza di dati su cui riflettere.
Un esempio di questa particolare illuminazione lo si ha in un caso accaduto nel settembre del 1981. Una signora di Postioma, paese vicino a Treviso, aveva cominciato, circa una volta al mese, a frequentare con altre persone padre Guglielmo. Ora, questa signora soffriva spesso di dolori, ma non prendeva, con generosità, alcun calmante per lenirli. Convinta dal medico, una sera, sofferente, ne prese uno. Il giorno dopo, una domenica, andò da padre Guglielmo, che appena la vide le disse: «Caterina, cosa hai fatto ieri sera!?». «Niente!». «Come niente!? Hai preso un calmante! Non dovevi farlo perché il Signore ti aspetta sulla croce!».
La signora rimase impressionata e da quel momento il gruppo di Treviso si legò profondamente a padre Guglielmo.
Un altro esempio evidente fu il caso accaduto nel 1983 ad una signora di Cesena, che avendo forti disturbi alla spina dorsale, camminava sciancata. Ricoverata in ospedale le era stata diagnosticata un’ernia al disco. Tutto era pronto per l’intervento chirurgico, quando sopraggiunse padre Guglielmo con l’ingiunzione di non farsi operare. Il chirurgo rimase sorpreso quando vide la signora rifiutare l’intervento e sulle prime credeva che scherzasse. Per quattro volte successive cercò di convincerla a farsi operare, alla fine le chiese di firmare il documento di dimissione dall’ospedale. Tutto quello che il chirurgo riuscì a fare fu di ordinarle di portare un busto. Dopo qualche mese, la signora venne con dotta da un «manipolatore» che le individuò due blocchi, che sciolse; poi le disse: «Se lei, signora, si faceva operare sarebbe rimasta in una carrozzella!».
Sovente, dicono diverse testimonianze, la speciale illuminazione partiva da uno sguardo alle foto che le persone gli porta vano perché benedicesse i loro cari; appunto, diceva sulle persone delle cose che nessuno gli aveva detto.

Le apparizioni sì, ma sempre le conclusioni del Magistero

Nel settembre del 1984 padre Guglielmo fu invitato da un gruppetto di persone ad andare a Medjugorije. Aveva sentito parlare bene di quelle apparizioni, che si diceva godessero della simpatia del vescovo di Monstar, e ne aveva fatto cenno in un intervento nel capitolo provinciale del luglio del 1984.
Dunque andò. Il gruppo pregò molto.
Padre Guglielmo si mostrò incline a momenti di solitudine personale, per questo qualcuno del gruppo pensò che avesse incontrato i veggenti. Il gruppo giunse alla conclusione che padre Guglielmo fosse rimasto ben impressionato, anche se molto circospetto nelle parole.
Quando ritornò parlò del viaggio con una suora Orsolina di Bologna, alla quale disse che un’apparizione della Madonna in quelle zone toccate dal comunismo era una cosa buona. La suora Orsolina insisteva sul fatto che il fondamento deve essere la fede e padre Guglielmo risultò dello stesso parere.
Poi arrivarono notizie che il vescovo, dopo un primo sguardo di simpatia per le presunte apparizioni, se ne era distanziato con un parere negativo. Per questo padre Guglielmo non pensò più ad altri viaggi a Medjiugorje, rimanendo rispettoso sia di chi era a favore, sia di chi era a sfavore. Non fu egli, dunque, un propagatore di Medjugorje. Le apparizioni che propagandò con assiduità furono quelle di Lourdes e di Fatima.
Si può dire che padre Guglielmo aveva un approccio molto semplice con i fenomeni straordinari. Li vedeva con simpatia, come doni di Dio. Per questo andò da «mamma Rosa» a San Damiano, vicino a Piacenza, al seguito di sollecitazioni entusiastiche da parte dell’ingegnere che gestiva i lavori della «Casa del Padre» e, dopo aver mandato in avanscoperta uno dei due sacerdoti che soggiornavano a Lagrimone, il quale tornò con un’impressione positiva. «Mamma Rosa» sosteneva di vedere la Madonna.
Padre Guglielmo, a sua volta, rimase ben impressionato, senza tuttavia schierarsi. Era suo stile e correttezza ecclesiale non dare pareri «pubblici» prima che il magistero si fosse pronunciato.
Dopo la disapprovazione della curia di Piacenza, non ne fece più parola.
Andò pure alla Madonnina della chiesa di San Damiano a Ravenna, che si diceva lacrimasse, ma nulla disse quando il vescovo fece mettere la Madonna sotto un’urna di vetro, per verificare se non ci fossero interventi esterni.
Approvò l’azione della curia di Bologna circa un’immagine della Madonna a Rocca Cometa, località tra Lizzano in Belvedere e Fanano. Si diceva che lacrimasse e per verificarlo l’incaricato tagliò la testa della Madonna di cartapesta per vedere se non ci fossero dei tubicini, non ne trovò, ma ugualmente il fatto venne accantonato.
Insomma padre Guglielmo alla simpatia per i fenomeni straordinari univa un grandissimo amore per il discernimento della Chiesa e, non credendosi all’altezza di un teologo, non si impegnava neppure in giudizi, del resto anche per i teologi provvisori, visto che la Chiesa Cristo l’ha affidata ai vescovi e non ai teologi.
Perché allora andava? Andava per pregare, per farsi un’opinione di fronte alle voci che circolavano, ma giunto un pronunciamento del magistero poneva nel cuore, sinceramente, le conclusioni della Chiesa.

Momenti elettrizzanti

L’8 dicembre 1985 padre Guglielmo presentò ad un gruppo di persone, che volevano fargli un omaggio in occasione del suo 50° anniversario di professione religiosa, il disegno di costituire una televisione mondiale cattolica. Era una proposta «macrocosmica», se ne rendeva conto, ma era convinto che con l’aiuto di Dio si poteva attuarla. Padre Guglielmo spiegò al gruppo come il suo approccio allo strumento televisivo era stato un po’ travagliato: «Quando venne fuori la televisione io dicevo no ai frati, quando volevano comperare la televisione. Io dicevo la nostra televisione è il Tabernacolo, ma adesso ho cambiato idea perché è un mezzo potentissimo di diffusione del Vangelo».
Padre Guglielmo disse che era preoccupato di come l’Islam divulgasse via satellite in tutto il mondo i suoi messaggi.
Riguardo all’Islam padre Guglielmo non era più nella posizione di chi pensa che esso sia presente solo nelle terre islamiche e quindi che il dialogo lo si possa condurre con dei «lontano da casa»; ora l’Islam era in casa.
in Terra Santa aveva avuto una giusta ammirazione per lo zelo religioso dei muezzin:
«A duecento metri — scrisse in un appunto — c’è un minareto. Cinque volte al giorno (anche di notte) con disco e altoparlante il muezzin canta... trilla... trilla, in maniera spettacolosa, patetica, appassionata... le lodi di Dio, l’invito alla preghiera, il Corano. In Italia tuonano per le propagande false... qui per la gloria di Dio... Il Signore compensi questo zelo portando tutti i musulmani alla pienezza della verità».
Ma ora, pur non rinnegando quell’ammirazione, padre Guglielmo vedeva che il fronte della Chiesa in Italia, in Europa, non era solo la secolarizzazione, ma anche l’Islam che vedeva gli effetti della secolarizzazione nel mondo cristiano, e non era disponibile a subirli a sua volta. Due fronti, quindi, e il secondo era costituito da una fede che aveva alle spalle delle nazioni ufficialmente islamiche.
Il gruppo prese molto sul serio la proposta e, approssimandosi la visita del Pontefice in Romagna, pensò di offrire al Santo Padre una cifra quale segno di devozione e anche della decisione di procedere verso una televisione cattolica mondiale. Alla cifra avrebbe unito uno scritto circa il loro disegno. La benedizione del Pontefice sarebbe stata il pegno per la buona riuscita.
Tutto venne fatto. Il 9 maggio 1986 padre Guglielmo incontrò il Pontefice nell’abbazia benedettina della Madonna del Monte a Cesena. L’incontro avvenne di mattino, nel grande corridoio della clausura. Padre Guglielmo era emozionato. Indossava un abito nuovo, senza toppe. Fece una profonda riverenza al Papa e gli consegnò una campana di vetro con una Madonnina dentro; poi la busta con la consistente cifra. La lettera programmatica era stata fatta pervenire al Pontefice, il giorno prima, da un gruppo di signore di Faenza.
Padre Guglielmo uscì, dall’incontro con Giovanni Paolo Il, contentissimo.
Il giorno dopo il Pontefice era a Faenza e, alle ore 14 passò sulla «papamobile» vicino al convento dei cappuccini, diretto a Brisighella.
Tra la folla c’era padre Guglielmo che, più tardi, incontrò il Pontefice nella sagrestia della Cattedrale, prima della grande concelebrazione in piazza del Popolo. Il Pontefice lo benedisse e simpaticamente gli lisciò la barba; padre Guglielmo si smarrì nella gioia.
Stava vivendo proprio dei momenti elettrizzanti. Infatti un mese prima era successo un fatto straordinario nella cappella del SS. Crocifisso. Era un giovedì pomeriggio, nel santuario non c’era nessuno, solo padre Guglielmo e un signore con un suo figlio bisognoso di una benedizione. Padre e figlio entrarono attraverso la porticina nello spazio accanto alla balaustra laterale. Padre Guglielmo prese in mano il testo della preghiera di esorcismo di Leone XII, rimanendo rivolto verso la chiesa.
Mentre l’esorcista recitava la preghiera, quel signore, equilibratissimo, che aveva alla sua sinistra il figlio, si sentì immobilizzato, pur rimanendo completamente padrone dei sensi e della mente. Vide, nel contempo, che sul capo di padre Guglielmo si era formato un copricapo — una specie di tiara — fatto di un materiale etereo giallo oro, luminosissimo. Il tutto dava l’impressione precisa di un sole radiante, per la presenza di raggi in leggerissima vibrazione, sinusoidali, a cono, della stessa materia etere giallo oro. Poi, finita la preghiera, tutto scomparve di colpo. L’uomo, molto discreto, che conosceva il padre dal 1984, non gli disse sul momento niente. Chiese, però, al figlio se avesse veduto qualcosa, ma il figlio non aveva visto niente. Qualche tempo dopo la visita del Pontefice in Romagna, quel signore riferì la cosa a padre Guglielmo, che glissò subito il discorso. Ma poco dopo quel signore tornò sull’argomento: «Lei mi deve dire perché il Signore tramite lei mi ha dato quel segno di luce?». La risposta fu: «Tu conosci il brano delle nozze di Cana? Ora c’è scritto che il fine fu la fede dei discepoli: «credettero in lui». Quel signore gli disse che lo voleva raccontare a tutti: «No, si metteranno a ridere! Nessuno ti crederà!».
Ma il fatto realmente ci fu e quel signore diventò l’autista di padre Guglielmo.

Una televisione cattolica mondiale

Dell’idea di una televisione cattolica, padre Guglielmo, poco tempo prima dell’incontro con il Pontefice, aveva interessato anche il ministro provinciale, il quale aveva scritto al segretario della Procura dei Frati Minori Cappuccini, il quale, a sua volta, scrisse, dopo avere consultato il ministro generale, una lettera alla Segreteria di Stato Vaticana. Quest’ultima scrisse il 25 giugno al Procuratore dichiarando lodevole l’iniziativa, ma avvertiva che già si stava lavorando in tal senso, con vari progetti. Il Procuratore, il 30 giugno, trasmise il tenore della risposta al ministro provinciale.
Antecedentemente, il 23 maggio, la Segreteria di Stato aveva scritto una lettera di ringraziamento al vescovo di Faenza per il gruppo di padre Guglielmo. Nella lettera si citava che era stata donata al Pontefice la somma di 16.900.000 lire e si faceva notare che «sono già in corso varie iniziative, come la creazione di un “consorzio” di televisioni cattoliche in Italia, nonché trasmissioni religiose attraverso il satellite “europeo”».
Nessun senso di essere stato preceduto per padre Guglielmo, quando venne a sapere che, nel 1977 a Cerna, nel Veneto, aveva preso vita una televisione cattolica in espansione: Telepace. Nessun dubbio: quella televisione, aiutata adeguatamente, sarebbe diventata la «Televisione del Papa».
Per dare aiuto a Telepace, padre Guglielmo diede vita ad un’associazione regolarmente eretta con atto notarile. Suo programma specifico era estendere i ponti di Telepace a tutta l’Emilia-Romagna.
L’associazione si mise all’opera per cercare fondi per l’impresa di non poco conto. Padre Guglielmo, da parte sua, nel dicembre del 1987, chiese ai suoi superiori che la sua piccola pensione sociale (che da qualche tempo aveva accettato, dopo averla rifiutata nel 1980) venisse devoluta per Telepace. Il padre Provinciale aveva ricevuto la sua richiesta durante la visita canonica del 25 novembre 1987 e aveva dato parere favorevole. Ma, in un secondo momento, il provinciale e il guardiano compresero che la cosa era più complessa. C’erano due punti che andavano armonizzati: il primo sancisce che ogni cosa data al frate diventi immediatamente del convento; il secondo la buona opera intrapresa da padre Guglielmo. La decisione fu di dare regolarmente una somma per Telepace, ma di non devolvere la pensione sociale. Era per salvare un principio irrinunciabile.
Dunque il cammino autentico di povertà radicale di padre Guglielmo era un fatto che la comunità gestiva come una questione propria.

Una grande benefattrice

Un giorno del 1988 padre Guglielmo venne invitato da una terziaria francescana di Ravenna per andare a benedire una casa sul Canal Grande a Venezia. Precisamente Ca’ Dario, acquistata poco tempo prima da Raul Gardini, la cui madre voleva che la casa fosse benedetta. Padre Guglielmo disse di no, perché la sua linea non era di andare a benedire le case. Ma poi, sentendo dire che c’era da «fare del bene», accettò.
Di sera una macchina lo prelevò dal convento e via verso Venezia. Nella sacca padre Guglielmo aveva messo tutto l’occorrente per la celebrazione della Messa: voleva fare un incontro secondo i suoi intendimenti.
Nella prestigiosa Ca’ Dario incontrò la moglie di Raul Gardini, Idina. Padre Guglielmo un po’ di emozione l’aveva, ma subito si rapportò coi santi: San Lorenzo da Brindisi frequentava con tutta umiltà le regge dei re. Anche delle regine, ad esempio S. Elisabetta d’Ungheria, erano state grandi credenti. La signora Idina, avvezza a girare il mondo e agli incontri in alto rango, si mise subito a scrutare interessata quel francescano così inusitato. Non avrebbe mai pensato di incontrare un frate così; eppure, eccolo lì, zoccoli e toppe, in casa sua, nella cornice scintillante di uno dei più prestigiosi palazzi di Venezia; fortissimo nella sua povertà, attraente nel suo sorriso.
Si sentiva trattata come una principessa e, nello stesso tempo, avvertiva che da lui usciva un quid di regalità che la impressionava e la conquistava.
Padre Guglielmo propose la celebrazione della Messa, che venne celebrata nello studio di Raul Gardini.

Durante la celebrazione la signora continuò a guardare lo strano frate, che le svelava il suo segreto: Cristo. Dopo la Messa la signora Idina chiese a padre Guglielmo di essere confessata:
erano anni che non lo faceva.
Tra i due si stabilì un rapporto durevole: egli divenne il suo padre spirituale e lei divenne per lui «la mia S. Elisabetta».
Anche Raul Gardini, in seguito, entrò in contatto con padre Guglielmo. Il grande manager del gruppo Ferruzzi rimase pure lui colpito dal frate, toppe e zoccoli, che pur rimanendo in una dignità semplice, affascinante, sapeva parlare con lui di economia e di tecnologie. Certo padre Guglielmo domandava, non sapeva, ma chiedeva con tale interesse da sembrare quasi un addetto ai lavori. Quel frate, che sembrava uscito dalle lande di un deserto, si mostrava «combaciante» con il suo mondo di imprenditore, senza alcuna perdita di identità. Non tentava di «clericalizzarlo», cercava di portarlo a Cristo, rispettando la sua realtà di laico.
Una linea, questa, che padre Guglielmo seguì con tutti.
Il progetto di mettere i ponti di Telepace in Emilia-Romagna era davvero opportuno, ma occorreva una spinta iniziale forte. Così nella preghiera padre Guglielmo pensò di interessare la signora Idina Gardini: prese il coraggio a due mani e le fece una telefonata per presentarle il suo progetto. Poi la richiesta:
«Ma ci vogliono dei soldini». «Quanti?». «Ci vogliono 800 milioni».
La risposta fu rapidissima: «Va bene!». Parte della cifra l’avrebbe data in offerta lei, parte le sarebbe stata restituita pian piano.
Soldi alla mano, il primo obiettivo fu quello di portare il segnale a Bologna.
Di questo venne informato il card. Giacomo Biffi, che affidò a padre Tommaso Toschi, incaricato per le comunicazioni sociali, il compito di avvicinare padre Guglielmo.
Il 30 marzo 1988 Padre Tommaso Toschi inviava ai parroci, ai rettori di chiese, ai movimenti e ai singoli cattolici la raccomandazione di seguire Telepace: «Con vivo piacere presento e raccomando l’emittente televisiva Telepace, che in questo Anno Mariano entra anche nelle case della nostra comunità diocesana. E un’emittente dichiaratamente cattolica, che gode la particolare benevolenza del S. Padre e del nostro Cardinale arcivescovo. Ha già trasmesso un ampio servizio realizzato per la nostra diocesi in S. Petronio ed è disponibile per servizi religiosi settimanali per la nostra comunità. Telepace merita di essere seguita e sostenuta».
Nel mese di dicembre del 1989 l’Associazione aveva già portato i segnali di Telepace oltre che a Bologna, a Reggio Emilia, Ferrara, Lidi Ferraresi, Imola, Faenza, Forlì, Cesena e Ravenna.
Aumentata la conoscenza dell’iniziativa a favore della diffusione di Telepace, la gente cominciò a portare offerte a padre Guglielmo. Nella cappella del Crocifisso ci fu così un’azione nuova: padre Guglielmo prendeva le libere offerte per l’emittente di Cerna e le metteva in un angolo, per terra. Il denaro finiva poi all’Associazione e da qui a Telepace.
Grande questione quella del non ricevere denaro, che rimane un ideale intramontabile per i francescani perché fissato nel vangelo e sinceramente da perseguire, ma che poi richiede soluzioni legate ai «tempi e ai paesi», come pure vide san Francesco. Infatti, lui vivente, il 17 marzo 1226, fu concessa una dispensa pontificia affinché i missionari in Marocco fossero dispensati dalla proibizione del denaro.
In terra cristiana era possibile pensare — come già per i discepoli in terra ebraica al tempo di Gesù — il non ricevere denaro all’interno di un rapporto fecondo tra i frati e la gente nella luce della Provvidenza, ma in terra non cristiana questo non si poteva pensare e ci si doveva orientare verso quello che dice Gesù in Luca 22,36.
Padre Guglielmo non si poneva di fronte alla situazione evoluta della realtà contemporanea per cogliere «forme consone al tempo», ma si poneva invece di fronte alla realtà di una terra in fase di scristianizzazione, bisognosa di forte testimonianza. I superiori non hanno mai contraddetto la posizione di padre Guglielmo, il quale viveva in obbedienza e in un convento dove c’era una chiesa aperta al pubblico, e, quindi, c’era da pagare la bolletta del telefono, della luce, ecc.
Certo egli, nel segreto del cuore, portava con sé il sogno irrealizzato di «un luoghetto» all’interno dell’Ordine, dove vivere la povertà integrale. Respiro di sollievo rimaneva per lui l’impegno di vita delle cappuccine e della piccola fraternità del Querceto; tanto che, quando padre Natale e fratel Lino, insieme ad Anna, facevano la rinnovazione dei voti nelle mani del vescovo di Parma, in base ad una piccola regola di vita, scritta da padre Natale nell’appartenenza al terz’ordine francescano e approvata da mons. Amilcare Pasini nel marzo del 1982, padre Guglielmo, in qualità di assistente, si rendeva presente e pure lui rinnovava i voti, rimanendo, però, pienamente nella sua identità di cappuccino.
La signora Idina Gardini fece un giorno una visita a Badi e vide come la chiesa fosse ridotta molto male. Lavori di ristrutturazione della stessa erano già incominciati con piccoli interventi dal 1990, ma c’era ben altro da fare. La signora chiese al marito se poteva dare inizio ai lavori e la risposta fu un bel sì. Venne fatto eseguire, nel febbraio del 1992, un progetto organico dei lavori, poi fu dato il via al cantiere. Nel 1993 i lavori furono conclusi. Alla festa finale partecipò. anche Raul Gardini, che arrivò con un elicottero. Padre Guglielmo era raggiante, tutta Badi era in festa.