L’ultima
omelia per gli sposi
L’ultimo
matrimonio che padre Guglielmo celebrò fu nella chiesa
parrocchiale di Porretta Terme il 14 settembre 1999. La sposa, Tiziana
Lippi, era una sua nipote.
L’omelia racchiude tutto il suo pensiero teologico sul
matrimonio.
Questo
il testo autografo:
«Carissimi
Tiziana e Davide, in un mondo sconvolto da tanto odio e da tanta
violenza è troppo bello celebrare un incontro
d’Amore.., dell’Amore infinito di Dio per tutti:
“Dio ama ciascuno di noi (dice san Tommaso) come se ognuno di
noi fosse unico nell’universo”. Questo divino Amore
Personale ha donato a voi quell’amore reciproco, gemellare,
che vi ha portato qui ai piedi dell’altare per consacrarlo
nel S. Matrimonio.
La fragilità del cuore umano è assai notevole e
molte forze negative vi accompagneranno per mettere in crisi e
distruggere questo dono infinitamente bello del S. Matrimonio.
Ricordate l’esperienza negativa fatta dai nostri progenitori,
della prima famiglia creata perfettissima da Dio: il nemico li convinse
a disobbedire gravemente al Creatore. Fu uno sfacelo: perdettero la
divina amicizia, distrussero l’ineffabile armonia
famigliare... Ma Dio, nella sua infinita sapienza e bontà,
progettò subito un altro matrimonio infinitamente
più bello... Lo preparò per secoli
nell’alleanza tra Dio e il suo popolo Israele... Lo
attuò con l’Incarnazione del suo Divin Figlio
— in unione sponsale con l’umanità,
nella nuova ed eterna alleanza, preparando le nozze
dell’Agnello. Gesù alle soglie della vita pubblica
prese parte alle nozze di Cana e, su richiesta di sua Madre,
compì il suo primo miracolo per quegli sposi.
L’evangelo di S. Giovanni ricorda che i discepoli che
l’accompagnavano credettero in lui.
Così fu confermata per sempre la santità del
matrimonio.
Nella sua predicazione Gesù più volte ha ribadito
categoricamente il disegno originale dell’unione
indissolubile dell’uomo e della donna: “Quello che
Dio ha unito l’uomo non separi”. San Paolo, nella
lettera agli Efesini, rileva solennemente la profondità e la
sublimità del matrimonio: “Voi, mariti, amate le
vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per
lei, per renderla santa, e le mogli amino i loro mariti come la Chiesa
ha amato Cristo nei suoi santi. Per questo l’uomo
lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua
donna e i due formeranno una carne sola. Questo mistero è
grande: lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!”.
Tutta la vita cristiana è nel segno sponsale di Cristo e
della Chiesa: il battesimo è lavacro di nozze;
l’Eucaristia è banchetto di nozze; il matrimonio
cristiano è segno efficace dell’alleanza di Cristo
e della Chiesa.
Come vivere perfettamente per tutta la vita questo impegno
così sublime? Nello Spirito Santo!!! Nel sacramento gli
sposi ricevono lo Spirito Santo come comunione d’amore di
Cristo — della Chiesa. Lo Spirito Santo è il
sigillo della loro alleanza, la sorgente sempre offerta del loro amore,
la forza in cui si rinnoverà la loro fedeltà...
Quindi vivete ogni istante della vita matrimoniale nel cenacolo con
Maria, gli Apostoli, le pie donne. Nel cenacolo della mente e del
cuore... di tutti i santi!..., nella Messa! Il matrimonio questo dono
gravissimo, santissimo lo celebriamo nel sacrificio di Gesù.
Sacrificio cruento del Calvario attualizzato sull’altare nei
segni sacramentali. Nell’offerta di Cristo per la sua Chiesa,
resa presente nel sacrificio eucaristico.
Il dono della famiglia un impegno così grande, talmente
sublime, impegnativo e delicato che solo un super impegno di
santità può qualificarlo.
Il concilio Vaticano II titola il cap. V su “La
Chiesa” così:
“Universale vocazione alla santità della
Chiesa”.
Per questo ascoltare e mettere in pratica la Parola di Dio come
suggerito nella famosa schedina del corredo spirituale: la
mansuetudine, l’amore, la pazienza e la misericordia, lo
spirito di servizio, pregare e amare incessantemente.
Signore nostro Dio, che hai fatto della vergine Maria il modello di chi
accoglie la tua Parola, apri il nostro cuore alla beatitudine
dell’ascolto e con la forza del tuo Spirito fa di noi pure
luogo santo in cui la tua Parola oggi si compie.
Maria, fedele discepola del Verbo fatto uomo, cercò
costantemente il suo volere e lo compì con amore».
Dopo il matrimonio rinunciò a partecipare al pranzo e a una
visita a Badi, dove non era più andato dai primi di maggio
del 1998: subito ritornò a Faenza.
Verso l’incontro con
Dio
Padre
Guglielmo poi cominciò ad accusare problemi al cuore. Per
questo, nell’estate del 1999, venne sottoposto ad accurati
esami cardiologici, che evidenziarono una disfunzione della valvola
cardioaortica. Gli vennero prescritti dei farmaci, che gli diedero la
possibilità di sentirsi meno affaticato.
Il padre guardiano gli diede un paio di ciabatte anatomiche per
alleviargli la fatica dello stare lunghe ore in piedi, ma quelle comode
ciabatte diedero complicazioni al «cuore» di padre
Guglielmo, infatti, fece applicare nella parte anteriore, non si sa da
chi, una dura superficie di formica.
Il cuore andava dunque benino con i farmaci, ma, in novembre,
comparvero nella zona delle braccia, dei piedi e del torace delle
vesciche rossastre che si rompevano e gli davano un forte prurito.
Padre Guglielmo cominciò a pensare di essere vicino al
traguardo della vita.
Fu l’organizzatrice dei gruppi di Treviso che
capì, per prima, che padre Guglielmo era consapevole di
essere ormai alla fine dei suoi giorni.
La signora col gruppo arrivò al santuario alle 9,30 del 4
dicembre.
Il santuario non aveva luci accese e non c’era padre
Guglielmo. La signora, che aveva appuntamento con lui, andò
a cercarlo nella stanzetta dove spesso riceveva. Era li che stava
mangiando un po’ di pane secco per colazione. Nella mano un
sacchetto di plastica per evitare che le briciole finissero sul
pavimento. Aveva l’aspetto stanchissimo, nel bordo degli
occhi aveva una striscia bianca, le mani erano fredde. La signora
cercò di scaldargliele con le sue, lui la lasciò
fare come un bambino.
Padre Guglielmo le chiese più volte di ritornare prima di
Natale. La signora rispose che si era accordata con il guardiano per
marzo, che aveva in programma sei pellegrinaggi a S. Giovanni Rotondo
e, per di più, le sue sofferenze si stavano moltiplicando.
Padre Guglielmo insistette, anche quando furono in chiesa. Le disse,
anzi, di andare subito dal guardiano per stabilire
l’appuntamento.
La signora telefonò da casa sua al guardiano, il quale
interpellò subito padre Guglielmo sulla sua
disponibilità, perché a volte era già
impegnato, oppure la chiesa era occupata da particolari funzioni, per
cui non poteva ospitare il gruppo. Il guardiano aveva poi la
preoccupazione per la salute di padre Guglielmo, il quale,
però, confermò l’appuntamento per il
giorno 18: «Sì! Sì! Il giorno 18 dalle
9,30 alle 11,30 sono con loro».
Il 13 dicembre padre Guglielmo si sottopose ad una visita nel reparto
di dermatologia dell’ospedale di Faenza. Il medico
sospettò un «pemfigoide bolloso», una
rara malattia cutanea che colpisce soprattutto gli anziani e che
è considerata una malattia di
«autoimmunità». Così era
scritto sul foglio medico: «Sospetto pemfigoide bolloso,
effettuare esame istologico + immunofluorescenza diretta e
indiretta». Queste parole padre Guglielmo le lesse e le
interpretò come la possibilità di un cancro,
visto che si parlava di esame istologico. Lo stesso pensò il
guardiano che, però, non esternò i suoi timori.
L’esame istologico venne fatto e si attese l’esito
per il giorno 23.
Nella mattinata padre Guglielmo andò a confessare le suore
Domenicane del monastero Ara Crucis, che non è molto
distante dal convento dei cappuccini. Questo compito lo aveva assunto
dopo che, tre anni prima, aveva cessato, per non stancarsi durante il
suo giorno di riposo, di andare a confessare le cappuccine di Cesena.
Da queste ultime si recava, però, 3 o 4 volte
all’anno.
La mattina del 14 padre Guglielmo celebrò la Messa con
grande fatica. Tuttavia, dopo la comunione, ritrovò le forze
e poté andare alla balaustra per la comunione ai fedeli. Poi
cominciò ad accogliere la gente.
Verso sera si intrattenne con alcune persone
dell’Associazione Telepace, che ormai era riuscita a mettere
i ponti necessari alla copertura di tutta l’Emilia-Romagna.
Tra i discorsi disse ad un certo punto: «Chissà
che per Natale il Signore non mi faccia un bel regalino: un
cancherino». «Padre, noi la vorremmo per altri 100
anni» rispose la responsabile amministrativa. Ma lui la
guardava serio, serio.
Padre Guglielmo le chiese poi di andare da lui quella sera stessa,
nella stanzetta dove riceveva, perché aveva una lettera da
darle. La signora andò. La lettera era già
scritta a macchina.
La redazione dello scritto aveva richiesto il tempo di una settimana,
perché padre Guglielmo la correggeva e ricorreggeva.
La lettera era scritta sul ricordo dell’anniversario di
Telepace, tenutosi il 27 novembre. La signora la inviò la
sera stessa, via fax, al vescovo di Verona, mons. Flavio Carraro e a
don Guido Todeschini.
Lo scritto era intonato all’anno giubilare del 2000 e
riguardo a Telepace, proponeva come attraverso di essa si potesse
suggerire ai fratelli ortodossi di concedere le confiscate chiese
cattoliche in determinate ore, per le celebrazioni cattoliche,
così come aveva visto fare al Santo Sepolcro. Esprimeva
pure, ancora una volta, il desiderio che Telepace giungesse ad
annunciare il Vangelo di Cristo a tutte le famiglie, ad ogni persona
della terra.
La mattina dopo, alle 6, scese in chiesa. C’erano tre persone
che l’aspettavano per confessarsi: il cappellano del cimitero
di Faenza, un signore e una signora.
Prima confessò il cappellano. Come erano soliti fare si
misero ginocchioni a testa bassa sui gradini dell’altare del
Crocifisso.
Terminata la confessione, padre Guglielmo si alzò per
accogliere l’altro penitente. Era bianco in volto, spossato,
tanto che quel signore, che gli era molto affezionato, gli disse che
sarebbe venuto un’altra volta. Ma padre Guglielmo sapeva
ormai che non ci sarebbe stata un’altra volta;
così lo confessò. Poi volle confessare anche la
signora, che sapeva carica di problemi e sofferenze.
Alle 6,30, andò nel coretto per la recita delle lodi, ma
subito i frati videro che stava male. Lo presero per un braccio per
condurlo in stanza, ma videro che non sarebbe riuscito a salire le
scale e così lo fecero sedere sul divano del soggiorno.
Respirava a fatica, con un rantolo. Un frate percepì, appena
sussurrate, queste parole rivelanti come su di lui gravasse anche il
«silenzio» di Dio: «E’ il
Getsemani». Venne chiamato immediatamente il medico, che
diagnosticò un infarto e subito interpellò il
servizio ambulanza dell’ospedale.
Padre Guglielmo pronunciò poi con voce flebile, ma chiara,
la sua ultima offerta di sé: «Offro la mia vita
per il Papa, per la Chiesa, per tutti». Mentre pronunciava
queste parole tentò di alzare la mano verso
l’immagine di Giovanni Paolo II appesa alla parete,
aggiungendo: «Perché il Papa possa arrivare al
prossimo millennio».
Con questa rinnovata offerta di sé ritrovò
l’intimità con Dio.
Alle 6,45 padre Gianmaria gli amministrò l’unzione
degli infermi
Disse poi ai confratelli: «Vi benedico». Cinque
minuti alle sette il respiro ormai gli era venuto meno.
Gli infermieri lo stesero sul pavimento, senza togliergli
l’abito, per vedere di fargli il massaggio cardiaco, ma tutto
era ormai inutile.
Sul giaciglio del pavimento, proprio come aveva trascorso la notte per
anni e anni, padre Guglielmo lasciò la terra per il cielo.
Erano le 7,15 del 15 dicembre.
La salma venne composta in una bara e posta nella cappella del SS.
Crocifisso.
Un incessante flusso di persone si avvicendò davanti alla
bara, in silenzio, in pianto, in preghiera. Il funerale, che si
protrasse per un’ora e mezza, si svolse il giorno 18 alle ore
9,30.
Presenti tante persone, che il santuario non poté contenerle
tutte.
Presenti tre vescovi: mons. Pellegrino Ronchi, mons. Italo Castellani,
vescovo di Faenza, mons. Lino Garavaglia, cappuccino, vescovo di
Cesena, il ministro provinciale e una trentina di confratelli. Presente
Telepace, che fece una registrazione tra smessa in differita la sera
stessa.
Presente pure il gruppo di Treviso, che niente aveva saputo della morte
e, che, alle ore 9,30, come deciso, era giunto al santuario.
Ma chi era, dunque, padre Guglielmo? Una domanda che si sono posti in
tanti.
La più bella risposta l’ha data quella persona che
comprese l’incredibile pazienza avuta dal suo vicino di
preghiera, nel sopportare le sue lodi: «Era un ampio canale
dell’amore di Dio!».
Alla
stessa domanda noi abbiamo voluto rispondere con la presente biografia.
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P. Paolo Berti |
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Ti ringraziamo, Dio Padre Onnipotente,
per averci dato in Padre Guglielmo
un tuo servo fedele, che ha vissuto
con austerità e coerenza la fede in Te.
Con evangelica e francescana disponibilità
ha accolto le persone che a lui andavano
per ricevere luce e conforto:
a tutti indicava la via che conduce a Gesù,
l’unico che può saziare ogni desiderio
di bene e di vita.
Lo Spirito che lo guidava
ci aiuti a seguire i suoi consigli
e i suoi esempi. Amen
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