Traduzione in lingua corrente degli Atti Quel Verbo Divino, che è la verità stessa, Cristo Dio, col suo santo
Vangelo ci insegna che tutto è possibile a chi crede. E anche Paolo,
annunciatore di Apostolica dignità, le cui parole risalgono a Cristo
medesimo, ci assicura che la speranza in Cristo non ci farà rimanere
confusi. Intanto io, fondandomi su tali maestri, mi sentii spinto ad uno
sforzo superiore al mio ingegno, sì per virtù del nostro Salvatore e Dio
Gesù Cristo, (il quale amò infinitamente gli uomini, e dette sé stesso
alla morte per noi) come anche per l'aiuto dei Santi, di affidare ad uno
scritto, per quanto potuto lo avessi, per profitto di coloro che lo
leggeranno, il glorioso cammino dei Beati Ciro e Giovanni sostenuto per
Cristo e le loro mirabili gesta; nonché gli innumerevoli miracoli fatti
da loro, ossia guarigioni prodigiose, raccontando quei pochi che io
stesso, sebbene di molto poco conto rispetto ai mille pubblici testimoni
oculari, vidi coi miei occhi, e
(1) per beneficio divino sperimentai a vantaggio della
mia salute. Ciro, chiaro per fama, glorioso per virtù e per nobiltà, fu cittadino di
Alessandria, città edificata da Alessandro. I suoi genitori e il suo
casato ci sono sconosciuti, ma ci è noto che ricevette il Battesimo, e
quindi ebbe per Madre la Chiesa. Senza dubbio esercitò l’arte medica, e il suo laboratorio è
individuabile fino ai nostri giorni, perché cambiato in tempio dedicato
ai tre santi Giovani Babilonesi, nel quale abbondano le spirituali
medicine dei santi martiri
(2). 1)
S. Sofronio ottenne la guarigione da una oftalmia mentre era nel
monastero dei santi Ciro e Giovanni a Menouthis, vicino a Canopo. La
città di Menoutis è stata recentemente rinvenuta (anno 2000) a 10 metri
sotto il Mediterraneo nel golfo di Abukir. Presso la città di Abukir (vuol
dire Abba Ciro) si trova il sito archeologico di Canopo (da Kah nub:
luogo dell'oro). La città di Canopo sorgeva precisamente accanto al ramo
più occidentale del Nilo, che ora è secco e che si chiama “braccio
canopico”. Il sito di Canopo si trova a 25 km dal centro della
moderna Alessandria. 2)
S. Sofronio afferma che S.
Ciro esercitava l'arte medica. Si parla di laboratorio perché a quel
tempo la medicina era una stessa cosa con la farmaceutica. Ciro aveva
imparato l'arte medica ad Alessandria dove fioriva una grande scuola
medica nella quale studiò anche il famoso Claudio Galeno.
Il laboratorio di san Ciro e la chiesa dedicata ai tre santi giovani
babilonesi (Dn 3, 13s) Di passaggio racconto come il laboratorio di S. Ciro venne trasformato
in tempio dedicato ai tre santi Giovani Babilonesi, perché che un tale
accenno è utile ai lettori. Fu il vescovo sant'Apollinare un grande amatore della verità (Non
certamente quell’Apollinare millantatore che fu vescovo di Laodicea
(1), avendone occupata la sede
con un nefando delitto: tutto diverso da questo dunque il primo). Il
nostro Apollinare fu infatti patrono della vera fede, fu difensore del
cristiano gregge, sollecito custode dei dogmi evangelici, e per divina
disposizione fu elevato alla sede patriarcale della città di
Alessandria.
Fu di dominio pubblico la notizia che egli ottenne la carica Sacerdotale
a seguito di un'indicazione profetica di un anacoreta di santa vita.
Apollinare, con certezza, prima di essere Vescovo, visse tra gli
anacoreti, stringendo amicizia, per un maggiore impegno ascetico, con un
santo anacoreta. Una verace predizione gli disse che gli sarebbe stato
dato il sacro governo della Chiesa in Alessandria. Fatto pertanto Vescovo, e avendo con sé un nipote, figlio di suo
fratello, procurò di istruirlo nella sana dottrina, nei sani costumi e
nella pietà fin dai primi anni. Ora costui procedendo negli anni e fatto
di età virile, di corpo forte e vegeto, per naturale inclinazione
cominciò a pregar suo zio, che gli scegliesse una legittima sposa. Ma l'uomo di Dio, avendo inutilmente presentatogli la via della castità,
con saggezza lo liberò dall'agitazione con questo ritrovato pio. Gli
disse che aveva deciso di edificare un sacro tempio ai tre Santi
Giovanetti di Babilonia, e che aveva pensato di impegnarlo in questa
opera, al termine della quale avrebbe poi provveduto a soddisfare i suoi
desideri. Aveva Apollinare un ospedale dove erano ospitati degli anziani infermi,
in un rione chiamato Doryzim. L'ospedale era accanto ad un'abitazione
nel cui cortile si apriva il laboratorio (ergasterion) di Ciro.
Apollinare comprò l'abitazione e la fece abbattere; al suo posto vi fece
fabbricare un tempio con una grande navata. Il giovane nipote si impegnò grandemente e in breve, con l'aiuto di Dio,
il tempio venne costruito. Così, come insegna il sapientissimo Paolo,
che per coloro che amano il Signore tutto si converte in bene, ne
scaturì per l'accortezza di Apollinare un gran bene per il giovane. Il santo Vescovo giunse a costruire un doppio ospedale: uno per gli
anziani, e uno per i giovani. Chiamò poi a sé un uomo pio e autorevole e
lo inviò a Babilonia con delle suppliche scritte da rivolgersi ai tre
giovani di Babilonia. Nelle suppliche veniva spiegato che le reliquie
richieste erano per una grande chiesa costruita ad Alessandria, e veniva
richiesto ai tre giovani la possibilità di avere delle loro reliquie. Certo essi erano morti da molti secoli, ma l'amore di Apollinare per
loro era tanto che era sicuro che avrebbero ascoltate le sue suppliche e
il risultato sarebbe stato quello di ottenere delle reliquie. L'incaricato di tal cosa giunse in breve a Babilonia e cominciò davanti
ai resti mortali dei tre giovani a leggere le suppliche del vescovo
Apollinare, chiedendo che fossero ascoltate e che fosse concesso di
avere delle loro reliquie. Mentre faceva ciò quello tra i santi cadaveri che stava nel mezzo a poco
a poco alzò la mano e prese lo scritto ritornando poi nella posizione di
prima. Il pio uomo rimase stordito e vide che non aveva ottenuto quanto
desiderato, e se ne dispiacque moltissimo, per cui rimase sette giorni
nella chiesa dove c'era il sepolcro dei tre giovani a pregare. Ma nulla
accadde. Alla fine ritornò dal Vescovo Apollinare presentando non
reliquie, ma le sue lacrime. Apollinare però non desistette e rinviò il pio uomo a Babilonia a
pregare di nuovo i tre santi giovani, che se non avesse ottenuto le
reliquie almeno avesse recuperato la lettera, la quale avrebbe fatto la
vece delle reliquie. L'uomo pio, un po'
riluttante, obbedì e andò nuovamente a Babilonia, dove ancora si mise
davanti al sepolcro dei tre giovani supplicandoli di non lasciare
inesaudita questa seconda domanda. Ma il pio uomo nulla ottenne, e così
cercò di recuperare la lettera. Stese quindi la sua mano sulla mano del
martire e riprese la lettera. Nello stesso momento la mano del martire
si staccò dal corpo e rimase insieme alla lettera nelle mani del devoto
inviato. Il pio uomo avvolse in un panno prezioso quel sacro tesoro e
lieto ritornò ad Alessandria. La gioia del Patriarca fu grande e grande
il giubilo del popolo
(2).
1) Apollinare vescovo di Laodicea
(310-390) diede origine all'eresia detta apollinarismo, che
negava l'esistenza dell'anima razionale in Gesù Cristo.
Apollinare di Laodicea ebbe varie condanne a partire dal 374 fino
a quella conclusiva del concilio ecumenico di Costantinopoli del 381
2)
La narrazione deriva da
un'esposizione popolare che vela quanto dovette in realtà accadere.
Bisogna infatti pensare che il Vescovo con una lettera richiedesse ai
custodi della chiesa delle reliquie e che le preghiere ai tre giovani
fossero rivolte ad ottenerle. La lettera presa in mano da uno dei tre
giovani indica che ad un certo punto il corriere non tenne più conto del
permesso dei custodi della chiesa
pensandosi autorizzato direttamente dai tre giovani a passare al
prelievo, che nei fatti è un furto.
|
Apologia del celibato E' piacevole sapere in che modo il Vescovo Apollinare diede compimento
alla promessa fatta al nipote. Il giorno dopo l'arrivo della reliquia il Vescovo radunò tutto il Clero
della sua diocesi e collocò la mano del Martire e la lettera nella nuova
chiesa con grande solennità, consacrando pure con rito liturgico la
stessa chiesa. Quindi chiamò a sé il nipote e lo iniziò agli Ordini
Sacri e al posto della moglie gli diede in sposa la chiesa dicendogli: “Ecco
la tua sposa, della quale dovrai avere cura secondo il tuo dovere”. Il giovane rimase sorpreso e si commosse profondamente, tanto che mutò
volontà in tutto e cominciò a bruciare di attaccamento al celibato, più
di quanto prima avesse per il matrimonio (1).
1) Il nipote voleva prima sposarsi e poi essere ordinato sacerdote (Tt
1, 6).
L'esercizio dell'arte medica Ora riprendendo la narrazione su Ciro e sulla sua vita. Ciro come medico valeva di più di tanti altri, e per virtù non aveva
uguali. Con l'arte medica curava i corpi e coi suoi costumi procurava la
salute delle anime. Con l'aiuto delle sue conoscenze mediche prescriveva le terapie, ma
cercava pure di persuadere che le malattie spirituali sono più gravi di
quelle corporali, e che le corporali spesso sono prodotte dalle prime. In tal modo operava secondo il supremo Padrone e medico di tutti, che fa
sì che le malattie del corpo diventino un antidoto contro le malattie
dello spirito, che sono infermità gravissime, superiori a qualsiasi
morbo, sia per il grande pericolo circa la salvezza eterna, sia per la
difficoltà di essere curate. Ciro, mentre procurava di fare le diagnosi sui malati e le relative
prescrizioni, secondo le conoscenze date da Galeno, da Ippocrate e da
altri, prendeva dai Profeti, dagli Apostoli e dai Padri, mille luci di
sapienza richiamando in maniera tutta divina gli infermi anche al dovere
verso la loro anima e non solo verso il corpo. Gli infermi gli domandavano la cura del poco e ricevevano insieme a
questo il molto, cioè la conoscenza di Dio, il pentimento delle colpe
commesse, il sollievo del cuore. E ciò avveniva, e molti amanti della vera pietà rimanevano confermati
nel loro amore per la Verità. Anche non pochi pagani giungevano a
rigettare i culti dei Greci, che erano dominanti ovunque sotto l'impero
di Diocleziano (245-313). Questo imperatore fu eminente non tanto per il diadema, quanto per la
superstizione. Nella prima cosa infatti sì poté metterlo in paragone con
molti, nella seconda con pochi.
La scelta del deserto I benefici che Ciro diffondeva non potevano restare nascosti al malvagio
Diocleziano, né potevano da lui essere sopportati tali fatti diventati
notori e pubblici. La scelleratezza di coloro che erano avversi a Cristo
non seppe fermarsi e tutto venne riferito al Prefetto della città,
giurato nemico dei cristiani. Il Prefetto dispose che Ciro fosse arrestato e condotto dinanzi a lui
per l'interrogatorio. Ma Ciro, venuto a conoscenza di ciò uscì
furtivamente dalla città recandosi nell'Arabia prossima all'Egitto,
verso la parte del mare, in un fortilizio abbandonato chiamato Cetzo
(1). Li stabilì la sua dimora. Nessuno lo deve rimproverare di codardia poiché non fuggì dalla città
per timore, ma per uniformarsi alla parola di Cristo che dice: “Allorché
siete perseguitati in una città rifugiatevi in un'altra”. In tal
modo ebbe grande opportunità per la preghiera, il raccoglimento del
cuore, fortificandosi nello spirito per poi sostenere le battaglie di
Gesù Cristo. Non è poi estraneo al suo andare in Arabia il disegno della Provvidenza
che lo voleva in quel luogo per attirare tanti infedeli a Cristo, come
pure per incoraggiare tanti fedeli con il nuovo genere di vita. Ciro,
dunque, cambiò modo di vita, indossando pure un abito adatto alla vita
da anacoreta. Cambiò anche il modo di essere medico. Infatti smise di esercitare
l'arte medica né più fu ritenuto medico. Divenne però operatore di
miracoli. Non si serviva di farmaci, di erbe, ma si affidava alla
preghiera e all'istruzione delle persone che lo raggiungevano.
1)
Il fortilizio di Cetzo non
poteva che trovarsi nella regione attorno a Canopo, sul delta del Nilo e
quindi non distante dal Mediterraneo. Con ciò si spiega come Ciro
potesse conoscere gente di Canopo e dei dintorni ed esserne il perno
religioso. Il giudice Siriano lo chiamerà “Capo dei Galilei”
intendendo per Galilei i seguaci di Gesù. La scelta della vita anacoretica da parte di Ciro riflette il passo
dell'Apocalisse dove vien detto che la donna (la Chiesa) con ali
d'aquila vola nel deserto verso un rifugio (Ap 12, 14) e segue l'esempio
di altri cristiani che avevano già preso la via del deserto, come Paolo
di Tebe tra il 270 e il 275 e sant'Antonio abate nel 275-276. Ciro
scelse la via del deserto poco dopo il 303, data dell'inizio della
persecuzione di Diocleziano.
Giovanni di Edessa La fama di Ciro si diffuse in tutta l'Arabia e raggiunse il milite
Giovanni, originario di Edessa, ma per costumi vero cittadino del cielo. In quei giorni infuriava la persecuzione di Diocleziano, ma il generoso
soldato decise di abbandonare l'umana milizia
(1) e con coraggio diede se stesso alla milizia di
Cristo, facendo più gloriose battaglie contro i nemici di lui, che
contro i nemici delle umane guerre. Giovanni dette perciò un taglio netto agli agi, alla prosperità, alla
gloria, ai gradi militari, e raggiunse pellegrino Gerusalemme; poi partì
per l'Arabia mosso dal desiderio di incontrare Ciro e di vivere con lui
lo stesso modo di vita. Giovanni, vivendo in comune con Ciro, ne vide le eroiche penitenze e i
miracoli che Dio operava per mezzo di lui. Osservandolo continuamente
cercava di imitarne le virtù non solo come discepolo, ma bensì come
fervoroso emulo.
(1) Diocleziano aveva disposto che nell'esercito ci fosse l'epurazione
dei soldati cristiani. Bisognava scegliere tra la degradazione e il
mantenere i gradi militari per gli ufficiali, oppure per i soldati il
licenziamento ignominioso e la privazione dei benefici concessi ai
veterani. Giovanni scelse di uscire dall'esercito, per rimanere militare
di quello di Cristo. Nativo di Edessa, in Mesopotamia, Giovanni molto
probabilmente nel 296 combatté in Alessandria contro Achilleo rimanendo
poi a presidiare il territorio. Dopo l'uscita dall'esercitò si recò il
pellegrinaggio a Gerusalemme, poi si ritirò a Cetzo con Ciro del quale
aveva sentito parlare tra i cristiani della zona di Canopo.
L'arresto delle tre giovinette con la madre La persecuzione intanto divampava ci fu l'arresto di tre giovanette
cristiane insieme alla loro madre pure cristiana, tutte condotte nella
città di Canopo, dove il sacerdote pagano era Cassiano e il Prefetto era
Siriano. Questo arresto diede l'inizio anche per Ciro e Giovanni al cammino verso
il martirio. Infatti Ciro, temendo che il debole cuore delle giovanette
venisse meno di fronte al terrore dei tormenti o all'insidia delle
lusinghe (Le giovanette erano infatti di giovanissima età: Teodiste, la
più grande aveva quindici anni, Teodota ne contava tredici e Eudossia da
poco era entrata nell'undicesimo anno), decise di raggiungerle per
sostenerle nella battaglia. Ciro pure valutava che anche la madre
Attanasia non era esente dalla necessità di soccorso, poiché donna e
madre di quelle tre giovinette poteva con qualche sconsideratezza
allontanare le figlie dal sostenere i tormenti. Non diversamente pensò
Giovanni
(1). Così i due diventarono padrini per queste donne, non solo
incoraggiandole al martirio, ma essi stessi entrando nella battaglia
quali valorosi combattenti. Da una parte senza alcuna costrizione si trovarono a testimoniare la
fede e dall'altra esercitarono la carità di presentare Gesù Cristo, come
soccorso alle giovani vittime.
(1) I due non considerano che le fanciulle avrebbero potuto rivelare il
loro rifugio, ma solo guardano a sostenerle nella grazia del martirio.
La testimonianza e la morte Il nemico del genere umano, cioè Satana, spinse con facilità dei suoi
servitori ad accusare Ciro e Giovanni presso il Prefetto. Essi dissero
che erano giunti in città due uomini, un monaco e un soldato, che
insinuavano alle donne arrestate di disprezzare gli dei e di avere in
abominio il culto ad essi praticato, e di non curarsi degli ordini
imperiali. Questi due uomini inoltre adorano un certo Gesù e gli tributano
onori divini, e per far conoscere il loro attaccamento a lui stimano
cosa da nulla anche la morte per amore di lui. Di fronte a ciò Siriano si alterò grandemente e comandò che questi
due uomini fossero condotti da lui. Disse loro Siriano: “Siete
forse voi gli sfortunati, i nemici dei celesti numi? Voi quelli
che vi impegnate a pervertire le donne
e a diffondere il
cristiano culto, macchinando con ogni impegno di ingiuriare
l'imperatore? Ma se finora avete agito da stolti, ora almeno, lasciando
la vostra superstizione, con preghiere e sacrifici cercate di rendervi
propizia la maestà degli dei; in tal modo rimarrete liberi dai tormenti
e vi renderete capaci di onori. Se poi non lo farete, vi accorgerete che
tanto Siriano e Diocleziano Cesare, quanto gli dei sdegnati, che voi
pazzamente provocate, benché siano benignissimi, si vendicheranno dei
gravissimi affronti a sé fatti”. A tali proposte Ciro e Giovanni risposero: “Noi abbiamo l'uso di
aggiungere poche parole alle molte. Sappi pertanto che noi rifiutiamo
tali onori di nessun valore, e non intendiamo rinunciare alla nostra
fede in Cristo, qualsiasi cosa possa succederne”. Allora Siriano avvampò di furente sdegno e scricchiolando i denti a
guisa di cinghiale disse: “Bisognava che voi, essendo tali quali
siete, aveste accolta la bontà del giudice e come saggi aveste cercato
di condannare il vostro sbaglio, e soppesare le mie minacce. Ma niente
trovandosi in voi fuori della superbia e di una indicibile voglia di
comparire grandi non occorre usare molte parole, ma subito passare ai
fatti. E succederà così che voi non solo arriverete a possedere quel
premio che sospirate, ma anche, sebbene a malincuore, vi rassegnate ai
comandi imperiali”. Detto ciò e condotte le giovanette e la madre cominciò a tormentarli con
ogni sorta di crudeli tormenti. Li percuoteva con schiaffi, li piagava
con flagelli, li ustionava con fiaccole. Comandò che le ustioni
venissero cosparse di sale e aceto e poi sfregate con panni di setole.
Quindi fece cospargere i loro piedi di pece bollente e diede loro altri
tormenti per vendicarsi della loro costanza e per sbigottire il cuore
delle donne prima di martoriarle
(1). Ma poiché il giudice vide che piuttosto sembrava che fossero tormentati
gli spettatori piuttosto che i martiri, i quali erano interiormente
lieti per la certa speranza che li sosteneva, comandò che fossero messi
da parte e che fossero tormentate le donne. Ma sottoposte queste alle
prove e non rimanendo vincitore neppure di quelle donne giudicate
imbelli, Siriano restò confuso da una maggiore vergogna, perché era cosa
chiara che esse differivano dai due martiri solo perché donne, nel
rimanente avevano cuori maschili e al pari intrepidi. Visto tutto ciò,
il giudice, finalmente pronunciò la condanna a morte e ordinò che
venissero decapitate con la spada. Le donne senza mostrare paura o viltà
restituirono a Dio ciò che da lui avevano ricevuto, diventando così
esempio di coraggio ai due martiri dai quali avevano ricevuto lezione di
grande fortezza. Ciro e Giovanni furono di nuovo condotti alla lotta. Siriano cercò di tirarli dalla sua parte con un patetico discorrere,
dicendosi impegnato per la loro salute e dicendosi costretto a venire
agli estremi se non avessero ceduto. Prometteva sempre più magnifici
doni, giudicando che quelli già proposti fossero considerati di poco
conto, e insieme minacce di nuovi tormenti. Ma non approdò a niente e
così proferì anche contro Ciro e Giovanni la sentenza di morte: “Noi
giusta gli imperiali decreti giudichiamo Ciro, capo dei Galilei, e
Giovanni simile a lui nella religione, di essere decapitati, perché
disobbedienti ai decreti imperiali, e per non aver voluto soprattutto
sacrificare agli dei”. Emanata tale sentenza i due prodi vennero decapitati dalla mano
dell'uomo, ma una corona immortale fu posta su di loro da mano celeste
il 31 gennaio
(2).
(1) La crudeltà dei tormenti purtroppo non fa meraviglia dopo quello che
noi sappiamo da Amnesty International, e anche dagli stessi giornali.
Forse, tuttavia, un elenco così variato di tormenti obbedisce al
pensiero di far risultare meglio la perseveranza dei martiri, ma
potrebbe trattarsi di tormenti variati per stremare il morale dei
martiri portandoli ogni volta a temere supplizi maggiori: il procedere
del giudice, tra lusinghe maggiori e prospettive di maggiori tormenti,
in fondo è proprio questo.
(2) L'anno della morte dei due martiri non ci è noto, tuttavia è fuori
dubbio che non può essere quello dell'inizio della persecuzione, cioè
l'anno 303. Troppo poco il tempo per spiegare come Ciro fu dapprima
individuato ad Alessandria e poi come giunto al fortilizio di Cetza
iniziasse ad irradiare una feconda azione apostolica tanto da farlo
diventare “Capo dei Galilei”. Occorre, quindi, collocare la data
del martirio non molto prima della fine della persecuzione, che avvenne
nel 311 con l'editto di Nicomedia firmato da Galerio, da Costantino e da
Licinio.
Il recupero delle reliquie Le difficoltà poste dalla persecuzione non impedirono che alcune pie
persone recuperassero le reliquie dei corpi delle quattro martiri e dei
due martiri. Vennero recuperate di soppiatto e avvolte in pannicelli le
seppellirono con onore nel tempio di S. Marco
(1),
ma in diverse casse, perché in un loculo misero le vergini con la madre
e in un altro loculo i corpi di Ciro e Giovanni. Poi col volgere dei tempi e con l'avvento al trono imperiale di
Teodosio, che governò i cristiani liberi di essere tali, le reliquie
vennero poste in un altro luogo.
Il testo prosegue con un'appendice riferendo del patriarca Teofilo
predecessore di S. Cirillo in Alessandria, che abbattuto il tempio della
dea Iside a Menouthis, vi costruì al suo posto una chiesa dedicata a san
Ciro. Il 28 del mese di Giugno, le Reliquie furono traslate in Menouthis
per tutela del borgo, per fugarne i demoni, e per ottenere
dall'intercessione di Ciro guarigioni.
(1) Non si tratta di una chiesa, impossibile a pensarsi durante il
perversare della persecuzione, ma, come riferiscono gli Atti apocrifi di
Marco, di una grotta vicino a Bucoli, dove l'evangelista venne
martirizzato. Bucoli si trova nella zona di Canopo.
Il lavoro dei
Bollandisti Molto importante è il lavoro dei Bollandisti che hanno passato a filtro
della critica storica tutto il materiale a disposizione elaborando il
testo conclusivo presente nella loro opera.
Essi sono un gruppo di Gesuiti che compilò gli “Acta
sanctorum”, un imponente lavoro in più volumi. Il nome Bollandisti
deriva dal gesuita belga Jean Bolland che iniziò i lavori nel 1643. Dopo
la sua morte 1665 il lavoro venne continuato dai gesuiti Godefroid
Henschen, Daniel Papebroch, e da molti altri. La stesura della voce su
san Ciro è nel secondo volume degli Acta ed è stata curata dal Bolland. Oggi riguardo a san Ciro, date le migliori conoscenze storiche, si è
attenti a collocare la narrazione di san Sofronio nel quadro del tempo
in cui visse il santo martire, per esaminare, cogliere e precisare le
connotazioni storiche presenti nella narrazione stessa, al di là del
tono parenetico. In questo senso ha grande valore l'opera del Gesuita
Giuseppe Prevete su san Ciro.
Il testo di Jean Bolland dell'edizione
italiana (Venezia 1734-1770):
San Ciro e San Giovanni, martiri in Egitto Morti nel 311. Papa: Melchiade; Imperatore: Massimino.
Se questi due illustri
martiri sono celebri nella Chiesa, siamo molto meno debitori della loro
conoscenza alle cure degli uomini i quali ne fornirono la storia, che
alla bontà di Dio che fece risplenderne a via di miracoli il merito e la
gloria seguiti al loro martirio. San Sofronio, il quale ne
scrisse gli Atti, trecento anni dopo, valendosi ad un tempo della
tradizione e delle memorie, dice che san Ciro esercitava la professione
di medico nella città d'Alessandria, ed il luogo dove distribuiva i suoi
rimedi fu,
con l'andar
del tempo, convertito in una chiesa dedicata sotto il nome dei tre
fanciulli Ebrei gettati nella fornace ardente, all'epoca dell'empio
Nabucodonosor. Soggiunge inoltre il citato autore, che il nostro Santo
servivasi del vantaggio procuratogli dalla professione, d'avvicinare
ogni sorta di persone, per annunziare al .popolo la fede di Gesù Cristo,
ed applicavasi a procurare l'eterna salute di coloro a cui restituiva la
sanità corporale. Una così santa condotta dispiacque talmente agli
idolatri zelanti per l'onore degli Dei che si lagnarono di lui col
governatore della città, il prefetto d'Egitto, come di un uomo il quale
abusava della professione per ispirare agli ammalati la disubbidienza
agli editti emanati dagl'imperatori Diocleziano e Massimiano contro i
seguaci del Vangelo. Il governatore dette tosto ordine di arrestare il
medico cristiano e di condurlo alla sua presenza: ma Ciro, fattone
consapevole, uscì segretamente dalla città d'Alessandria
e si ritirò nell'Arabia, dove, cambiando abito e modo di vivere,
passò qualche tempo nella solitudine, fino a quando un soldato cristiano
dell'esercito d'oriente, a nome Giovanni, nativo di Edessa, nella
Mesopotamia, avendolo conosciuto, si unì a lui per attendere alla
conversione dei pagani e per confessare insieme il nome di Gesù Cristo
alla presenza dei persecutori, se ne faceva mestieri. Dopo qualche
tempo, passarono in Egitto, dietro la notizia ricevuta da Ciro, che una
gentildonna cristiana, a nome Atanasia, la quale, a quanto sembrava, era
di sua conoscenza, era stata arrestata per la religione insieme alle sue
tre figliuole, Teotista, Teodota ed Eudossia, di cui la primogenita non
contava più di quindici anni. Il timore che persone così giovani e
delicate non si lasciassero abbattere dai tormenti o sorprendere dalle
carezze, gli fece prendere la risoluzione d'andare ad esporsi per la
loro salvezza. Volle Giovanni essere compagno della carità e delle
avventure di Ciro. Andarono insieme a Canope, ove le quattro serve di
Gesù Cristo erano prigioniere, e trovarono il mezzo di parlar con loro
nei primi giorni.
Ma non appena si seppe
ch'erano cristiani, furono presi e condotti innanzi al governatore,
accusati di aver loro ispirato il disprezzo per gli dei e per
gl'imperatori. Non furono trovati colpevoli se non di cristianesimo, ed
il governatore il quale, d'altronde, erasi reso il zelante ministro del
nuovo imperatore, Massimino offrì loro di rinviarli assoluti qualora
volessero sacrificare agli Dei. Irritato dalla libertà da essi
dimostrata nelle loro generose risposte, e dal coraggio dato a divedere
nella presa risoluzione, cominciò a far loro soffrire i più rigorosi
supplizi per condurli alla morte. Ordinò si facessero venire le tre
fanciulle con la madre, ed in loro presenza, Ciro e Giovanni fossero
crudelmente frustati e battuti a colpi di bastone. Gli furono poscia con
torcie ardenti bruciati i fianchi, versando poscia nelle piaghe aceto e
sale. Il disegno del persecutore non era solamente di abbattere loro
due, ma di spaventare altresì quelle giovinette, ed indebolirne, con sì
terribile spettacolo, il coraggio. Vedendo che nulla guadagnava coi due
Martiri, i quali sembravano sempre più invincibili e superiori ai propri
mali, fece dar loro un po'
di riposo, ed ordinò si cominciasse a tormentare Atanasia e le tre
figliuole, credendole già quasi del tutto vinte. Ma la pruova fatta del
loro coraggio non servì che a confonderlo ancora di più, e, per farla
finita, fece recidere la testa a tutte e quattro. Si ritornò quindi ai
due santi Martiri, i quali, dopo essere stati per lungo tempo e sempre
con nuovi supplizi, inutilmente tentati, ebbero parimenti recisa la
testa, e consumarono in tal modo il loro glorioso martirio, il 31
gennaio dell'anno 311, secondo la comune opinione. I fedeli del luogo
trovarono il mezzo di raccogliere i corpi delle religiose; quelli di san
Ciro e di san Giovanni furono messi in un sarcofago, e quelli di
Atanasia e delle tre figliuole in un altro. Si vuole che circa cento
anni dopo, quelli di san Ciro e di san Giovanni fossero trasportati
dalla città di Canope in un borgo quivi vicino, chiamato Manuto, da san
Cirillo patriarca d'Alessandria, e che il motivo di tale traslazione
fosse stato per liberar quel luogo dalle vessazioni del demonio. La
detta cerimonia fu accompagnata e seguita nei tempi posteriori da un
gran numero di miracoli che fecero considerare i nostri due Santi, come
i genii tutelari del paese, come medici onnipotenti ed invisibili dei
corpi e delle anime presso Dio; come protettori la cui assistenza era
nel tempo medesimo certa, pronta ed efficace per chiunque ricorreva ad
essi con fede. Tali miracoli li resero così celebri, che il secondo
concilio ecumenico di Nicea, tenutosi nell'anno 787, credette poterli
far servire allo scopo che aveva di mantenere ed autorizzare l'onore
dovuto alle sacre immagini
contro l'eresia degli Iconoclasti. Tali
miracoli furono poscia garantiti nel settimo ed ottavo secolo da san
Sofronio, patriarca di Gerusalemme, citato dal concilio, e da Leonzio
autore della vita di san Giovanni l'Elemosiniero, e da san Giovanni
Damasceno. I Greci ed i Latini
convennero di celebrar la memoria di questi Santi martiri al 31 gennaio:
ed i primi principalmente nella Siria e nell'Egitto avevano il costume
di chiamar san Ciro Abate-Ciro per onore: appellazione che sembra aver egli avuta fin da
quando viveva, se è pur vero che nella sentenza del giudice che lo
condannò a morte, era chiamato, per derisione, il
padre od
il capo dei Galilei, vale a
dire dei cristiani. Fu questo appunto il motivo per cui nel calendario
Gottico, ch'è quello delle Chiese d'Egitto, venne denominato
Abaker od Abacher; ed in
Italia Abbaciro, corrottosi
poscia in Appacero, cui la
volgare ignoranza fece prendere una santa, dicendo
santa Passara, per
sant'Appacaro, nuova
corruzione di Appacero. Quello
che rese questo Santo ed il suo compagno così celebri nell'Italia, fu
una nuova traslazione delle loro reliquie fattasi a Roma, senza peraltro
potersene additar con precisione il tempo e le altre circostanze, al
secolo in cui l'Egitto fu invaso dai Saraceni. Eravi di già una chiesa
sotto il loro nome nella città al di' là del Tevere, via di Porto,
dirimpetto alla basilica di san Paolo. Di essa parlasi nella vita di san
Gregorio il Grande, scritta da Giovanni; diacono di Roma, il quale visse
nel nono secolo; e quantunque il fatto in essa riferito avvenne ai tempi
di Benedetto III, eletto papa nell'anno 855, egli è certo che la detta
chiesa era già molto antica, allorquando vi furono trasportati i corpi
dei due Santi. Non vi erano ancora le dette reliquie quando Anastasio il
bibliotecario tradusse in latino, durante il pontificato di Giovanni
VIII, gli atti del loro martirio scritto in greco da san Sofronio di
Gerusalemme. Questi Santi, di cui il culto era, in quei secoli, molto
celebre a Roma, avevano ancora delle altre chiese nella città sotto il
loro nome, ma di esse e rimasta quella solamente di cui abbiamo or ora
tenuto parola, chiamata di santa Passara, presso il Pozzo Pantaleone,
che aprivasi una sola volta all'anno, cioè al 31 gennaio, giorno in cui
i canonici di santa Maria in via
lata, da cui essa dipende, andavano a farvi l'ufficio. Se adunque
Roma vien citata nella menzione del Martirologio, lo è soltanto come il
luogo dove sono onorati e non come quello in cui subirono il martirio.
Viene inoltre confermata l'esistenza della detta chiesa dal dotto
cardinal Baronio, il quale asserisce nelle sue opere esservi in Roma,
sulla via di Porto, nella regione o quartiere della basilica di san
Paolo, al di là del Tevere, una vecchia chiesa, comunemente chiamata di
santa Passara, ma dagli antichi manoscritti denominata di santa
Prassede; vi si leggono questi due versi scolpiti sul marmo:
Corpora sancti Cyri renitent hic, atque Joannis,
Quos quondam Romae dedit Alexandria magna.
Qui brillano i santi corpi di Ciro e di Giovanni.,
Regalati a Roma dalla
Grande Alessandria.
Eravi ancora, prima della
rovina della religione, cristiana in Oriente, un tempio celebre sotto il
nome di questi due Santi ad Alessandria ed un altro a Costantinopoli.
Oltre alla festa del giorno del loro martirio, celebravasi pure, al 28
di giugno, la memoria di quello della loro invenzione, che non era altro
se non quella traslazione fatta da san Cirillo d'Alessandria, nel
principio del suo episcopato, e di cui abbiamo tenuto parola. Non,
vediamo però essersi
fatta nella Chiesa alcuna commemorazione della seconda traslazione delle
loro reliquie fatta
dall'Egitto in Italia,
la quale doveva non pertanto esser molto celebre. Molte di queste sante
reliquie si distribuirono in diversi punti dell' Europa. Ed è forse
questo il motivo che dette occasione alla città di Vico di Sorrento, in
quel di Napoli, di dedicar la cattedrale sotto il nome di questi due
santi martiri, e di prenderli per patroni. Una parte di queste reliquie
trovasi nella Baviera. Di esse il papa Urbano VIII fece un presente a
Guglielmo V, antico duca di Baviera, pochi giorni prima di morire, con
un breve del sette febbraio dell'anno 1626: esse sono preziosamente
conservate a Monaco nella chiesa di san Michele appartenente ai Padri
della Compagnia di Gesù. Sofronio, vescovo di
Gerusalemme, pronunziò un bel panegirico di questi due santi martiri;
viene esso citato nel dodicesimo atto del concilio di Nicea, e da san
Giovanni Damasceno, nel terzo discorso sulle immagini.
Bibliografia
Migne: “Patrologia Graeca”, vol. LXXVII, pag. 1099. Bollandisti: “Acta Sanctorum”,
vol II.
Padre Giuseppe Prevete S. J: “Raccolta di scritti e di memorie
storiche intorno ai Martiri Alesandrini”,Tipografia N. Jovene,
Napoli 1916. Rosario Quaranta: “S. Ciro a Grottaglie”, Grafica Manduria, 1988.
|