Finestrelle di teologia
a lato dell’Enciclica “Dilexit nos”
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Giustizia e Misericordia
Il documento è ben concatenato nelle sue argomentazioni e connesso alla teologia già elaborata sul Sacro Cuore, con l’arricchimento di porre l’accento sulla misericordia del Cuore di Gesù, considerando come punto forte la scelta di Teresina di Gesù Bambino di essere vittima offerta all’amore misericordioso (N° 238; Ed. Vaticana):
“Pensavo alle anime che si offrono come vittime alla Giustizia di Dio allo scopo di distogliere e di attirare su di sé i castighi riservati ai colpevoli: questa offerta mi sembrava grande e generosa, ma io ero lontana dal sentirmi portata a farla. «O mio Dio! esclamai in fondo al cuore, ci sarà solo la tua Giustizia a ricevere anime che si immolano come vittime?... Il tuo Amore Misericordioso non ne ha bisogno anche lui?... Da tutte le parti è misconosciuto, respinto; i cuori nei quali tu desideri prodigarlo si volgono verso le creature chiedendo loro la felicità con il loro miserabile affetto, invece di gettarsi tra le tue braccia ed accogliere il tuo Amore infinito. O mio Dio! il tuo Amore disprezzato deve restare nel tuo Cuore? Mi se mbra che se tu trovassi anime che si offrono come Vittime di olocausto al tuo Amore, tu le consumeresti rapidamente, mi sembra che saresti felice di non comprimere affatto i flutti di infinita tenerezza che sono in te... Se alla tua Giustizia piace scaricarsi, lei che si estende solo sulla terra, quanto più il tuo Amore Misericordioso desidera incendiare le anime, visto che la tua Misericordia s’innalza fino ai Cieli... O mio Gesù! che sia io questa felice vittima, consuma il tuo olocausto con il fuoco del tuo Amore Divino!”. LL’eroico voto di offrirsi vittima alla Giustizia, Teresina lo vedeva troppo alto per lei. Meglio per lei il voto a vittima offertasi alla misericordia considerando che essa misconosciuta, rifiutata, come compressa in se stessa non potendo diffondersi sugli uomini poiché la rifiutano.
Si nota dalle parole di Teresina che ella non scarta l’eroica offerta alla Giustizia divina per stornare i castighi che incombono sugli uomini per le loro ribellioni, come scorretta, ma solo come troppo alta per lei. Non la scarta perché essere vittime di Giustizia ha come movente l’amore e nient’altro che l’amore, e fa appello alla misericordia divina. Teresina vedeva l’amore di Dio anche nella Giustizia.
L’influsso giansenista diffusosi in Francia aveva connesso la Giustizia di Dio alla paura, ma Teresina la vede connessa alla misericordia. Infatti, se per Giustizia intendiamo il movente divino che produce l’azione che fa rientrare in se stesso l’uomo (Eb 12,5-6; 1Cor 11,30), non si ha più l’immagine di un Dio disturbato fino al punto di colpire con cieca violenza.
La “Dilexit Nos” (n° 197) presenta questo limpido pensiero di Teresina:
“Poiché per lei la giustizia si comprende solo alla luce dell’amore. Abbiamo visto che ella adorava tutte le perfezioni divine attraverso la misericordia, e così le vedeva trasfigurate, raggianti d’amore. Diceva (Scritti, n° 237 Ed. Vaticana): «Perfino la Giustizia (e forse anche più di ogni altra) mi sembra rivestita d’amore”.
L’intercessione presso la Giustizia divina è ben presente nella Bibbia. Così Abramo pregò per Sodoma e Gomorra (Gen 18,17s). Così Mosè pregò Dio perché non annientasse il popolo che Dio fece uscire dall’Egitto, ma che si era reso infedele davanti a un vitello d’oro (Es 32,11). Così il profeta Amos (7,1), pregò per fermare il castigo sul popolo allontanatosi dall’Alleanza.
La Giustizia divina agisce per salvare il giusto dalle mani dell’empio e il giusto può intercedere. La Bibbia parla più volte di
ira di Dio, che può raggiungere, quando il livello di male raggiunto dall’uomo vuole il sopravvento su Dio, una decisione irreversibile. Allora la decisione del castigo divampa, ma anche in questo caso, pur devastante, è presente la misericordia di Dio. Sodoma raggiunse un tale livello di ribellione che non poté più essere sottratta al castigo, neppure dall’intercessione di Abramo. Dove, allora, la misericordia? In questo: nello spezzare il proseguimento delle depravazioni in nuove generazioni, nell’impedirne la loro dilatazione contaminatrice. Sodoma e Gomorra non avevano più risorse interne al bene, ed erano compatte come delle fortezze, ma davanti a Dio non potettero resistere.
Il Cuore di Gesù glorioso
Questo è un punto dogmaticamente problematico, e la “Dilexit Nos (n° 155)”, ricalcando pienamente quanto disse Pio XI (Enciclica “Miserentissimus Redemptor”, 8 maggio 1928), non lo risolve, anzi sembra evitarlo. Così la “Dilexit Nos” (n° 155): “Ci chiediamo come sia possibile relazionarsi con il Cristo vivo, risorto, pienamente felice e, allo stesso tempo, consolarlo nella Passione. Consideriamo il fatto che il Cuore risorto conserva la sua ferita come una memoria costante e che l’azione della grazia provoca un’esperienza che non è interamente contenuta nell’istante cronologico. Queste due convinzioni ci permettono di ammettere che siamo di fronte a un percorso mistico che supera i tentativi della ragione ed esprime ciò che la stessa Parola di Dio ci suggerisce. Ma - scrive il Papa Pio XI - come potrà dirsi che Cristo regni beato nel Cielo se può essere consolato da questi atti di riparazione?
‹Da’ un’anima che ami e comprenderà quello che dico” (In Ioannis evangelium, XXVI, 4), rispondiamo con le parole di Agostino, che fanno proprio al nostro proposito. Ogni anima, infatti, veramente infiammata nell’amore di Dio, se con la considerazione si volge al tempo passato, meditando vede e contempla Gesù sofferente per l’uomo, afflitto, in mezzo ai più gravi dolori, “per noi uomini e per la nostra salvezza”, dalla tristezza, dalle angosce e dagli obbrobri quasi oppresso, anzi “schiacciato dai nostri delitti” ( Is 53,5), e in atto di risanarci con i suoi lividi. Con tanta maggior verità le anime pie meditano queste cose, in quanto i peccati e i delitti degli uomini, in qualsiasi tempo commessi, furono la causa per la quale il Figlio di Dio fosse dato a morte›”.
Pio XI, sempre nella “Miserentissimus Redemtor”, aggiunge alle sofferenze della Passione, la sofferenza per le offese fatte oggi al Cuore di Gesù, ma non sviluppa il punto se non presentando l’azione mirabile della grazia: “E così anche ora, in modo mirabile ma vero, noi dobbiamo consolare quel Cuore Sacratissimo che viene continuamente ferito dai peccati degli uomini sconoscenti”.
Tuttavia Pio XI, fermo sul fatto che Cristo è nella gloria e perciò intangibile, non si domanda se nei fulgori della gloria conferitagli dal Padre, significata nella visione (At 7,55) di essere in trono
alla sua destra, quale plenipotenziario di carità presso di lui (Mt 20,18), non ci sia spazio alcuno per il
tormento di vedere il suo amore misconosciuto, rifiutato.
Teresina vede bene che l’Amore di Gesù è misconosciuto, respinto da tanti. Vede bene come esso vorrebbe effondersi sugli uomini, ma “deve restare nel tuo Cuore”. Fuori dubbio che l’essere misconosciuto, respinto impedito di effondersi sugli uomini, è un tormento, anche se Teresina non si spinge a usare questa parola.
Vediamo in Teresina l’azione dello Spirito Santo che la porta a comprendere il Cuore di Gesù nella condizione di trattenere in sé tutto l’amore che vorrebbe dare, poiché gli uomini glielo impediscono con i loro rifiuti. L’amore misconosciuto non può che produrre tormento nel Cuore Glorioso di Cristo.
Un’altra Carmelitana Santa Maria Maddalena de Pazzi (!566 -1607) provava dolore indicibile nel considerare, sotto l’azione dello Spirito Santo, il disamore degli uomini: “Amore, Amore! O Amore che non sei amato né conosciuto”. Tale amore misconosciuto non può che essere un tormento per il Cuore di Cristo glorioso.
A Santa Margherita Alacoque Gesù presentatosi glorioso le rivelò tale tormento. Il testo è riportato nella “Dilexit Nos” (n° 124), ma l’ultima parte riguardante il Cuore glorioso ferito dalle ingratitudini è omesso, indubbiamente perché creerebbe un problema teologico con lo stato di Gloria, ma è un problema solo apparente: (Santa Margherita Alacoque: Autobiografia n. 55): “Una volta, fra le altre, in cui il santo Sacramento era esposto, dopo essermi assorta in me stessa con uno straordinario raccoglimento di tutti i sensi e di tutte le facoltà, Gesù Cristo, il mio dolce Maestro, si presentò a me, sfolgorante di gloria con le sue cinque piaghe, scintillanti come cinque soli. Da questa sacra umanità uscivano ovunque fiamme, ma soprattutto dal suo adorabile petto, che pareva una fornace, e apertasi la fornace, mi veniva svelato il suo amoroso e amabile Cuore, che era la sorgente viva di quelle fiamme. Fu allora che mi rivelò le meraviglie inesplicabili del suo puro amore e fino a quale eccesso aveva spinto il suo amore per gli uomini, dai quali riceveva solo ingratitudine e indifferenza.
‹Ciò mi ferisce più di tutto quanto ho sofferto durante la mia passione›, mi disse. ‹Se mi contraccambiassero con un po' d'amore, stimerei poco quanto ho fatto per loro, e vorrei, se fosse possibile, fare ancora di più. Invece, non hanno che freddezza e rigetto per tutte le mie premure che mirano a far loro del bene›”.
Prima osservazione è che Gesù si presenta glorioso, nelle altezze intangibili del cielo, ma il suo Cuore è raggiunto, ferito, dall’ingratitudine, dall’indifferenza di tanti e tanti, e questo gli causa maggiore tormento di quello che provò nel Cuore nei patimenti della Passione. Indubbiamente si tratta del tormento interiore, associato ai tormenti atroci nella carne in quanto veicolanti odio. Gesù sulla croce sapeva [La sua umanità per mezzo della scienza beatifica e infusa] anche che tanti avrebbero rifiutato il suo amore e ciò fece parte delle sofferenze della Redenzione; ma il sapere di un doloroso evento futuro, non è come vivere l’evento nel suo presente. Vivere gli innumerevoli rifiuti del suo amore, dopo non essersi sottratto a nessun dolore nella Passione redentrice, e questo in un incendio immisurabile d’amore che lo sosteneva e lo faceva vincere contro l’odio, non può essere che tormento del Cuore più di quello avuto nella Passione redentrice. L’uomo, sua creatura, rifiutando il suo amore redentore sceglie non solo di rifiutare
la somma della somma della somma dell’amore di Cristo per lui, ma di abbracciare l’orrore della dannazione: questo non può non dare tormento
L’amore salvifico di Cristo, dato all’uomo sulla croce, raggiunge l’uomo con il dono dei Sacramenti - massimamente l’Eucarestia -; con l’annuncio della Parola, con l’azione dello Spirito Santo, che illumina Cristo al vivo. Al rifiuto dell’amore salvifico corrisponde un intimo tormento del Cuore glorioso di Gesù, poiché impedisce al suo amore redentore, di valore infinito, di effondersi sugli uomini e donare loro la salvezza e la elevazione a figli adottivi di Dio. Avviene come se gli uomini legassero le mani alla sua infinita misericordia, e ciò è tormento.
Teresina dice, proprio questo, circa il Cuore di Gesù, anche se non usa il termine tormento nello stato di Gloria: “O mio Dio! il tuo Amore disprezzato deve restare nel tuo Cuore? Mi sembra che se tu trovassi anime che si offrono come Vittime di olocausto al tuo Amore, tu le consumeresti rapidamente, mi sembra che saresti felice di non comprimere affatto i flutti di infinita tenerezza che sono in te".
Vanno distinti i tormenti sostenuti da Gesù nella Passione, dal tormento di vedere rifiutato il suo amore salvifico. Sulla croce i tormenti non hanno fatto altro che accendere di più l’amore di Cristo, ora il tormento nella Gloria non intensifica nuovo amore, poiché uno è il Sacrificio di Cristo, ma l’amore fa sì che il Cuore di Gesù non produca atto di giustizia contro l’uomo ribelle: È il Padre che decide i castighi, che sono correzioni per la salvezza, vedendo l’amore del Figlio disprezzato; ma Cristo sempre intercede presso il Padre stornando da noi la sua giustizia, fino al punto che questa abbia il diritto di esercitarsi, ma è ancora per la salvezza dell’uomo, cioè che accolga l’amore salvifico di Cristo.
Terminerà, alla fine del mondo, il rinnovarsi sugli altari dell’unico Sacrificio di Cristo, terminerà Il tormento del Cuore di Cristo nel vedere rifiutato il suo amore, terminerà la partecipazione della Chiesa alle sofferenze di Cristo e la sua offerta orante al Padre, in unione e dipendenza al Sacrifico orante di Cristo sugli altari.
Il giudizio particolare è il giudizio che avrà ogni anima subito dopo la morte. La sentenza di condanna sembra in contrasto con l’amore salvifico di Cristo, che egli esercita, ma non è così, sarà l’amore salvifico che reagirà con un “Via da me” (Mt 25,41) all’anima che lo ha rifiutato fino all’ultimo e che entrando nell’eternità vede
eternizzarsi il suo rifiuto, che equivale a dire la sua eterna incapacità di amare Dio, e quindi di stare con Dio. Poiché Cristo nel giudizio particolare compie il rifiuto essendo divampante di amore salvifico, non è per lui un atto di gloria, ma un atto di ultimo dolore espresso nella piena giustizia.
Alla fine del mondo, Cristo avrà cessato di esercitare il suo amore salvifico, e sarà il Giudice pienamente glorioso dell’umanità risorta, dando all’uomo completo di anima e corpo premio di gloria o di condanna. Poi consegnerà il regno al Padre e Dio sarà tutto in tutti (1Cor 15,28).
Ci possiamo domandare se la data della fine del mondo è una data calendarizzata a prescindere dal comportamento degli uomini, oppure no. Certissimamente verrà la fine del mondo, poiché il disegno di Dio nel tempo avrà la sua conclusione; poi subentrerà l’eternità gloriosa dei risorti. La data però ha una relazione con la corrispondenza degli uomini a Dio. Il testo della 2Pt 3,12) dice: “Mentre aspettate e affrettate la venuta del giorno di Dio”; ciò vuol dire che c’è una relazione con la corrispondenza dell’uomo. Qui Pietro si augura una fine determinata dall’estensione vittoriosa del Vangelo su tutta la terra, ma non sarà così. Nel libro dell’Apocalisse (20,9) si dice invece di una fine determinata dall’assedio delle forze del male della città di Dio: “Uscirà per sedurre le nazioni (…) Salirono fino alla superficie della terra e assediarono l’accampamento dei santi e la città amata. Ma un fuoco discese dal cielo e li divorò”. Vero è dunque che circa la data della fine del mondo incide la corrispondenza o meno degli uomini. Neppure nello stato di Gloria Cristo comunicò agli apostoli quella data, poiché è data che dipende dall’amore suo e dalla corrispondenza degli uomini al suo amore salvifico. La data della fine del mondo è riservata al Padre (At 1,7).
Questo ci pone l’interrogativo se il Risorto conosceva quella data. Qui si deve specificare: Nel cammino nel tempo Gesù disse di non conoscerla e questo dice che come Verbo la conosceva, ma poiché egli “suotò se stesso” (Fil 2,7), nel senso che umiliò la sua intelligenza divina, non comunicò la data alla sua umanità. Gesù, infatti, volle essere il Figlio dell’uomo. Gesù disse formalmente che neppure gli angeli la conoscevano, pur vedendo il volto del Padre (Mt 24,36): “Quanto a quel giorno e a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli del cielo né il Figlio, ma solo il Padre”. Dunque avere la visione beatifica come gli angeli, o come anche Cristo in cammino sulla terra ebbe, non vuol dire conoscere tutto del disegno di Dio.
Risorto da morte Gesù ancora come Verbo conosce la data della fine del mondo, ma rimanendo come uomo, pur nella gloria, nell’offerta della salvezza operata sulla croce, perché venga accolta, non comunica tale data alla sua umanità; data, come già detto, che dipende anche dall’accoglienza o meno del suo amore salvifico.
Gesù, infatti, in cielo non ha terminato l’opera della salvezza, poiché sempre intercede in unione con la Chiesa affinché gli uomini accolgano la sua salvezza e la sua opera santificatrice. Solo il Padre decreterà, e ciò in piena sintonia col Figlio, la cui umanità gloriosa parteciperà e condividerà la perfetta data finale, e lo Spirito Santo, la fine del mondo, e tutto il disegno di Dio si compirà fino all’ultimo uomo e all’ultima donna.
L’incendio d’amore di Gesù nella sua Passione ci raggiunge
Ci raggiunge, bisogna assolutamente dire. Infatti san Paolo nella lettera ai Galati (3,1): “O stolti Galati, chi vi ha incantati? Proprio, agli occhi dei quali fu rappresentato al vivo Gesù Cristo crocifisso!”.
“Al vivo”; questo per la Parola annunciata e l’azione dello Spirito Santo, senza la quale non è possibile arrivare alla conoscenza viva dell’amore del Cristo Crocifisso.
Ma non basta, occorre anche la forza della presenza reale di Cristo nell’Eucarestia, memoriale vivo della sua Passione.
Senza l’istituzione dell’Eucarestia Cristo sarebbe salito glorioso al cielo, ma l’incendio d’amore salvifico che ebbe sulla croce, sarebbe rimasto un fatto localizzato nel tempo e nello spazio, invece ci raggiunge per incendiare, trasformare, il nostro cuore. Quell’amore ci raggiunge, oltre che con la parola della predicazione, sugli altari, nella celebrazione Eucaristica.
L’unico sacrificio di Cristo, quello della croce, presente sugli altari per mezzo delle parole della consacrazione determina in Cristo
gli stati interiori che ebbe sulla croce. Non ci sono i chiodi, non la croce, non i flagelli, non la corona di spine, ma l’incendio d’amore oblativo che ebbe nel suo Cuore. L’intercessione che Cristo presentò al Padre sulla croce continua per mezzo della celebrazione eucaristica. Il riattuarsi del suo unico sacrificio è la sorgente illimitata della sua
intercessione presso il Padre (Rm 8,34; Eb 7,25).
Si può dire che essendo la celebrazione Eucaristica, la fractio panis, presente sugli altari del mondo, in tutti i fusi orari e in tutti i tempi dell’orologio, poiché le Messe si susseguono incessantemente, Cristo è sempre in stato di vittima. Tra una celebrazione, dove Cristo è presente per il prodigio della transustanziazione immolando se stesso (Paolo VI,
Misterium fidei - 3/09/1965): “S’immola in modo incruento nel Sacrificio della Messa”), e un’altra celebrazione è presente, divampante, nel Cuore di Cristo il desiderio (Cf. Lc 22,15) di una nuova celebrazione operata dal sacerdozio, che da lui procede per istituzione e partecipazione del suo sommo ed eterno sacerdozio. Qualora le celebrazioni si sovrapponessero temporalmente la sua immolazione sarebbe già presente. Nessuna difficoltà poiché il sacrificio di Cristo che la Chiesa offre al Padre è realmente presente contemporaneamente su ogni altare, per ogni comunità. Esattamente come avviene in una concelebrazione, dove l’intenzione di tutti i celebranti è contemporanea.
Di fronte all’infinito amore di Gesù sulla croce nella fede e nell’azione d’amore dello Spirito Santo accediamo alla consapevolezza che siamo stati liberati dai peccati, massimamente da quello originale, a caro prezzo (1cor 6,20; 7,23; Atti 20,28; Rm 3,25). La Chiesa è associata all’opera salvifica in dipendenza del Salvatore e della forza che le viene donata. Partecipa alle sue sofferenze (Fil 3,10) completandole a favore dell’estensione del Vangelo e dei suoi frutti; ciò non nel senso che il Sacrificio di Cristo sia incompleto, ma la Chiesa completa in se stessa ciò che manca ai patimenti di Cristo. Il
completamento avviene poiché la Chiesa è il corpo di Cristo, essendo
Cristo il capo, avendosi così il Cristo totale (Col 1,24): “Do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa”.
Lo Spirito Santo illumina al vivo le sofferenze redentrici di Cristo e le lacrime sgorgano dagli occhi di coloro che sono più in alto nella santità, così come accadeva a san Francesco (FF 1413): “Una volta andava solingo nei pressi della chiesa di Santa Maria della Porziuncola, piangendo e lamentandosi ad alta voce. Un uomo pio e spirituale, udendolo, suppose ch’egli soffrisse di qualche malattia o dispiacere e, mosso da compassione verso di lui, gli chiese perché piangeva così. Disse Francesco:
‹Piango la passione del mio Signore, e per amore di lui non devo vergognarmi di andare gemendo ad alta voce per tutto il mondo›”. Episodio questo che comunemente è interpretato come il dolore di Francesco di fronte all’Amore non amato; dolore che si accompagna all’invito a corrispondere all’immisurabile amore di Cristo.
La riparazione all’amore misconosciuto
La “Dilexit nos” colloca la riparazione nell’impegno di vivere Cristo.
Le pratiche di riparazione Eucaristica (n° 85) hanno il loro valore all’interno dell’amore di corrispondenza. Non c’è consolazione al Sacro Cuore che possa essere diversa da questa linea. Le richieste del Cuore di Gesù a santa Margherita Alacoque chiedono, indirizzano alla vita Eucaristica, a una vita cristiana segnata dal fervore. La Chiesa, poiché ama il Signore e nel Signore gli uomini, soffre nel vedere il Signore misconosciuto, oltraggiato, e gli uomini nel buio del peccato, e nasce spontanea in lei l’impegno di maggiore fervore nell’amare il Signore e di più intensa preghiera per la conversione degli uomini.
È principio di immediata comprensione questo: Chi ama soffre nel vedere offeso, rifiutato, misconosciuto, l’Amato, e vuole riparare a tanto disamore; e l’Amato non si
fa vincere in amore, investendo quell’anima dell’onda del suo accesissimo amore. Siamo ai livelli più alti, ma è questo il pensiero di Teresina nell’eroismo del suo amore: “O mio Gesù! che sia io questa felice vittima, consuma il tuo olocausto con il fuoco del tuo Amore Divino!”.
La carità verso gli altri è concreta, fatta di azioni e di preghiera di intercessione, e anche di penitenza per quelli che non vogliono fare penitenza. Ricordando la preghiera insegnata dall’angelo ai tre fanciulli di Fatima, si deve amare Gesù
per coloro che non lo amano, credergli per coloro che non gli credono, sperare per coloro che non sperano in lui.
La Chiesa non può non avere amore di Riparazione. Quando questo accadesse la Chiesa sarebbe finita. Se, infatti, per vedere finito il tormento del Cuore di Gesù si invocasse da Gesù la distruzione degli empi, sarebbe la peggiore delle bestemmie, poiché sarebbe misconoscere l’amore misericordioso datosi a noi sulla croce. Il risultato, se la distruzione degli empi potesse accadere, - ma non può - sarebbe che i sopravvissuti diventerebbero più perversi degli empi, giungendo a concepire Dio come Dio delle vendette, che non sa operare con misericordia per il pentimento del peccatore, anche di quello che lo offende di più.
Solo quando gli uomini impediranno in massa il diffondersi nei loro cuori delle temperature altissime dell’amore di Dio, allora Dio dira “il basta” che segnerà la fine del mondo.
Inserito l'12 novembre 2024 |
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