Giudizio di condanna
Gesù Cristo non gode del suo compito di Giudice, deve farlo, la giustizia lo impone. Il condannare gli empi
lo stanca. Cristo è il Giudice delle genti (2Cor 5,10; 2Tm 4,8) e deve essere visto dal giudicato, poiché non si può dare sentenza che non venga direttamente dal Giudice, il quale è anche la parte lesa dall’empio. Subito dopo la morte, per una frazione d’istante, l’empio entrato tale nell’eternità, vede Dio così come egli è, e vede quindi Cristo, il Verbo incarnato, nella sua realtà di Dio e di uomo. E’ una visione terrorifica, non perché vedere Dio così come egli è sia terrorifico, ma perché il dannato vede quanto ha perso, e perso per sempre, e come lo si è perso: rifiutando la somma della somma della somma dell’amore che Dio ha esercitato su di lui.
Le parole di condanna sono nette (Mt 25,41): “Via da me maledetti nel fuoco eterno”.
Di fronte alla condanna del Giudice i dannati cercheranno di presentare titoli di vicinanza, per stornare la condanna, o meglio per invalidarla insinuando che è ingiusta; ma è giusta, infinitamente giusta (Mt 7,21-29).
Non c’è più traccia nei dannati dell’immagine impressa da Dio, ne hanno un’altra, quella dell’odio e perciò sono irriconoscibili. La condanna è espressa dalle parole "Andate via da me, maledetti, nel fuoco eterno” (Mt 25,41). Dove il “via da me” è la radice della pena del danno e “nel fuoco eterno” è l’eterna dimora, la pena del senso anche. Il fuoco dell’abisso è stato creato per i demoni (Mt 25,41), e i dannati che li hanno seguiti staranno con loro eternamente calpestati da loro. Saranno nell’odio, e il fuoco conculcherà l’odio, senza che il verme (odio) che dà morte muoia (Mc 9,49),
La Scrittura, che nomina il fuoco dell’inferno ben 23 volte, pone il fuoco nel pozzo profondo dell’abisso, nello stagno di fuoco, nella Geenna, usando l’immagine del luogo dove venivano bruciate le immondizie di Gerusalemme.
E’ un fuoco di carattere fisico, onnipresente nel carcere infernale, con lingue che deludono eternamente ogni desiderio di vedere cose create, alle quali nel tempo il dannato si era legato per rubarle a Dio, per finalizzarle al male. È un caos di fuoco, a cui i dannati sono legati, e che compatto reprime gli eterni immondi. Le fiamme urtano contro il desiderio del dannato, saturo di vizio, di cose da vedere, da fare proprie, da rubare a Dio per soggiogarle al male, per cui frustrano questo desiderio che diventa tormento. Le lingue di fuoco non danno immagini di cose, sono vuote di cose.
Gli empi, entrati tali nell’eternità, portano le ragioni della condanna incancellabilmente scritte in loro stessi; L’impressione che l’anima ha ricevuto vedendo il Giudice, da lei oltraggiato, misconosciuto odiato e combattuto, che le ha presentato distintamente tutti i crimini perpetrati contro di lui e contro gli uomini, come pure tutte le luci, le grazie con le quali ha cercato di salvarla, diventa accusa e tormento per l’eternità, diventa il fuoco che tormenta l’anima, a cui si accompagna l’implacabile gelo dell’odio.
Non lo avrebbero voluto vedere i dannati il Giudice glorioso e trionfante, ma lo vedranno, perché è giusto che vedano colui che hanno rifiutato e rifiutato e perseguitato.
Il pianto per il bene perduto e lo stridore di denti della rabbia, dell’odio, saranno per sempre (Mt13,42.50).
L’immagine della Geenna è eloquente, ciò che è immondo va bruciato, ma il fuoco non consuma, perché il verme dell’odio non muore mai (Mc 9,47-49). Pure eloquente è l’immagine della pula, poiché i dannati sono scarto vuoto di ogni frutto (Mt 3,12), e perciò vanno gettati nel fuoco, perché non c’è posto per loro in cielo Cf. Ap 12,8)
Sembrerebbe di salvare la misericordia di Dio pensando che sia l’empio ad autocondannarsi, ma è impossibile che l’empio possa dire: “Ho sbagliato io e vado all’inferno perché è giusto che ci vada”, poiché farebbe un atto di giustizia. L’empio, però, non è più capace di atti di giustizia, se ne fosse capace sarebbe ancora salvabile, e così l’inferno non sarebbe eterno, ma eterno assolutamente lo è (Mt.25,41).
L’inferno è stato creato per i demoni, e chi li segue preferendoli a Dio dovrà stare con loro e sotto di loro (Mt.25,41).
La conoscenza dei dannati
I dannati ricevono per la loro realtà le species intellegibilis infuse da Dio, per la conoscenza, poiché l’anima separata non apprende più a partire dai sensi del corpo. Rimangono nell’anima quelle acquisite in terra: quelle veritiere soffocate unite a quelle menzognere che hanno imperato in loro per loro volontà, e quelle terribili della condanna. I dannati non avranno altra comunicazione da Dio, oltre la condanna.
La conoscenza che i dannati hanno di alcune cose della terra è comunicata dai demoni che usano tali notizie per tormentarli.
Le sedute spiritiche aumentano il dolore dei dannati perché ravvivano in loro il ricordo della terra dove costruirono la loro rovina. Le invocazioni ai defunti nelle sedute spiritiche o di altro tipo equivalente (metafonia, tavolo parlante, scrittura automatica) vedono in azione i demoni, che poi informano, in modo distorto poiché sono menzogna, i dannati invocati, dando tormento. Invocare nelle sedute spiritiche i salvati causa in loro solo pietà insieme a disgusto.
Per i salvi in cielo è Dio che comunica loro quello che ritiene opportuno. Il caso di Samuele evocato dalla negromante di Endor non avvenne per le arti della negromanzia. La maga di Endor, che pur invocò Samuele, se ne accorse proprio per questo (1Sam 28,12).
I demoni dell’aria
Demoni possono uscire dall’abisso. Escono per tentare gli uomini, ma vanno incontro ad un aumento del dolore che li stritola quando sono scacciati nel nome del Signore, e possono essere scacciati perché se siamo in Cristo, in tutta umiltà, con l’aiuto di Maria, “noi siamo più che vincitori” (Rm 8,37). Se accolti, i demoni, si innalzano trionfanti in alto, quali dominatori. Paolo parla in questo senso delle
potenze tenebrose dell’aria (Ef 2,2; 6,11), intendendo come dietro agli idoli, alle magie, e tutte le opere delle tenebre, ci siano i demoni (1Cor 10,14-33).
Satana si innalza in alto per i peccati degli uomini, è però sempre precipitato a terra dall’azione di Cristo e della Chiesa (Lc 10,18) come pure dagli angeli, che vanno in soccorso dei fedeli (Ap 12,12-13). Le porte degli inferi, da cui escono i demoni per attaccare la Chiesa, non avranno mai vittoria tanto da distruggerla (Mt 16,18).
Può dunque Satana uscire dall’abisso, ma si espone a delle sconfitte tremende, per lui.
Il fallimento di Satana (articolo pubblicato su In Terris il 24/7/2016)
“Perché Dio ha permesso a Satana di entrare nel paradiso terrestre e tentare l’uomo e la donna?”. per rispondere bisogna, come sempre aderire alle Scritture, che forniscono in questo caso dei frammenti che possono essere composti per avere un quadro sufficiente. Il primo punto ci viene dato da san Paolo nella lettera ai Romani (5,14): “Adamo figura di Cristo”; ciò vuol dire che nel disegno eterno di Dio non potevamo essere figli di Dio in Adamo, ma in Cristo, il Verbo incarnato. Questo punto ci dice che il Verbo si sarebbe incarnato anche in assenza del peccato. Egli è il centro del disegno di Dio, e ciò è detto (Col 1,16): “Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui”. “In vista di lui” poiché egli è il centro di ogni cosa. (Ef 1,10). Nella redenzione egli appare il centro poiché eternamente lo è stato (Ef 1,10): “Il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra”.
La caduta di Satana non può che essere messa in relazione al Verbo incarnato, che, ripeto, doveva essere anche in assenza di peccato. Satana ebbe la presentazione del disegno di Dio che riguardava il Verbo e l’uomo. Qui la sua caduta, la sua ribellione. Da una parte il disprezzo del Verbo incarnato perché assumeva una natura umana, inferiore a quella angelica (Eb 2,7): riguardo all’uomo invidia (Sap 1,24) perché veniva ad essere elevato ad altissima dignità. Satana era chiamato a servire questo disegno che lo avrebbe reso grande, ma si ribellò e venne precipitato nell’Abisso insieme agli angeli ribelli, che aderirono a lui. Superbia, disprezzo, invidia sono un tutt’uno con l’odio, che si è prodotto da solo, per scelta libera degli angeli ribelli.
Precipitato nell’Abisso Satana, che è “l’accusatore” (Ap 12,10), cercò la vendetta. La narrazione del libro di Giobbe ci fa da guida per comprendere la sfida lanciata da Satana. Il ribelle accusò Dio di tenere l’uomo e la donna nel recinto della sua protezione e perciò non poteva ritenere di avere da loro gloria. Dio accettò la sfida e permise a Satana di avvicinare i due capostipiti del genere umano, già ben istruiti nell’obbedienza di non mangiare dell’albero del bene e del male, perché altrimenti avrebbero conosciuto la morte.
La tentazione di Satana fu serpentina insinuando che Dio era un oppressore, e che non era vero che sarebbero morti, poiché sarebbero diventati come lui. I due caddero, e Satana credette di avere bloccato il disegno dell’Incarnazione. Satana pensò nella sua mente di menzogna che mai il Verbo avrebbe assunto una natura umana, stando così con uomini che avevano scelto lui. Ma l’Incarnazione del Verbo venne confermata. Proprio a Satana vennero rivolte le parole riguardo alla donna e alla sua stirpe vincitrice (Gn 3,15).
Allora Satana si adoperò a rendere oscuro il più possibile il genere umano, che divenne disgustoso cedendo al Male, tanto che Dio causò il diluvio (prendiamo la narrazione del diluvio nella sua portata teologica), ma nello stesso tempo il genere umano rimase nel gruppo noetico. L’Incarnazione del Verbo resta.
Poi, Dio costituì Israele e infine ecco la Donna. Satana cercò di fare capitolare la Donna (non conosciamo le tentazioni che Maria subì, ma certo ci furono), ma Maria vinse obbedendo a Dio, conosciuto nelle Scritture con le luci dello Spirito Santo, e poi avendo nel grembo e tra le braccia il Verbo incarnato. Satana allora volle sedurre il Cristo nel deserto, ma fu vinto dalla sua obbedienza al Padre attraverso la citazione delle Scritture. Infine Satana creò la macchina infernale della morte atroce di Cristo. Nell’orto degli olivi lo tentò prospettandogli che nessuno lo avrebbe seguito lungo la strada che voleva percorrere, e gli fece vedere gli orrendi peccati degli uomini che avrebbero commesso scegliendo lui, l’Odio.
Che Satana lo tentasse nell’orto degli ulivi è fatto che appare logico considerando il tormento di Cristo, fino a sudare sangue. Di fronte ai tormenti imminenti Satana sperava di far indietreggiare Cristo, ma Cristo non indietreggiò: vinse la tristezza, la paura, la solitudine data dai tre discepoli addormentati, l’orrore della visione dei peccati, che pur si addossava per espiarli. Non tornò indietro Cristo. Se fosse tornato indietro, ci avrebbe insegnato la viltà. Andò avanti, catturato, vilipeso, flagellato e crocefisso, non pronunciò parola di maledizione, ma solo amore espresse. Il Padre taceva su di lui; taceva perché lo trattava da peccato (2Cor 5,21). Il grido “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?” (Mc 15, 34) rivela il silenzio del Padre, il rigore del Padre sul Figlio amatissimo. Ci si domanda, dove trovava la forza il Padre per tacere? Dalla terza Persona, lo Spirito Santo, che mentre dava la forza al Padre di tacere sul Cristo dava al Cristo la forza d’amore di perdonare, di espiare.
Quando Satana vide Cristo morto si sentì sgretolato. Non aveva più spazio l’accusatore per insinuare negli uomini il dubbio circa l’amore di Dio. Satana allora attaccò la Chiesa e continua a farlo, ma “le porte degli inferi non prevarranno contro di essa” (Mt 16,18). |