Il Giudizio di Dio  
 
   
     

Presso Dio c’è misericordia e giustizia” (Sir 5,6).

La condizione delle anime separate nel Vecchio Testamento
Né Adamo né Eva, se fossero rimasti in Dio, avrebbero conosciuto la morte e perciò sarebbero stati assunti al cielo al termine del loro cammino sulla terra. Il cielo era per loro aperto. Cielo come stato beatifico nella visione di Dio, e cielo anche come luogo dal momento che vi sarebbero saliti.
Il cielo con il peccato originale fu chiuso. L’aldilà di conseguenza diventava un luogo di insoddisfazione, silenzioso, lontano dalla gioia di sentirsi nella vita. Tale luogo gli ebrei lo chiamarono sheol (שאול Sh'ol), la cui etimologia, benché abbia molte proposte di soluzione, è incerta. Tuttavia, ciò che era lo sheol per gli antichi ebrei è chiaramente e immediatamente espresso nel libro di Giobbe (10,21): “Prima che me ne vada senza ritorno, verso la terra delle tenebre e dell’ombra di morte, terra di oscurità e di disordine, dove la luce è come le tenebre”. Parole tragiche che hanno in sé il significato di una mortificazione, di una condanna alla prigione, di uno stato di inazione, di assenza di vitalità. Lo stesso senso tragico lo si ha in modo molto esplicito nel libro di Qoelet (9,10): “Non ci sarà né attività né calcolo né scienza nel regno dei morti, dove stai per andare”. I defunti sono detti rěphā’îm, cioè deboli, spossati.
Solo nei libri del Pentateuco (Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio), nel libro dei Giudici e nei Re, si ha una visione dello sheol che non appare differenziata tra buoni e cattivi, ma ciò non vuol dire che fosse negata. Di fronte alle ingiustizie del mondo non si tardò ad evidenziare che i giusti hanno un esito diverso dai malvagi nell’aldilà, così in Giobbe, nei Salmi (35,5; 37:1; 94:1-3), nei Proverbi (11,3s), in Qoelet (12,13-14). Tale visione si precisa ancora poi nei profeti (Is 14,15s; 66,24; Ez 32,23s; Dn 12,1), e si manifesta come forza di eroicità contro i persecutori (2Mac 7,1s), ed è sapienza che guida (Sap 5,3-13).
Nello sheol c’è divisione tra i buoni e i malvagi, ciò è conforme alla giustizia retributiva di Dio.
Nello sheol c’è anche posto per la purificazione, come si vede dal libro dei Maccabei (12,43-46).

Lo sheol perse, pian piano, per i giusti, i connotati drammatici di prigione oscura, caliginosa, priva di vita. Per i giusti la letteratura giudaica arrivò a parlare di “seno di Abramo” (Apocalisse di Sofonia, apocrifo 1sec a.C. - 1sec. d.C; Quarto libro dei Maccabei, apocrifo, fine 1 sec a.C - 1 sec d.C; Lc 16, 19-31), di uno stato di contentezza, pur segnato dalla lontananza da Dio, rimanendo la colpa originale.

Cristo dopo la morte andò con la sua anima negli inferi (Mt 16,18) a liberare le anime dei giusti che erano prigionieri (1Pt 3,18-19).

Per i giusti c’è una ricompensa gloriosa che è già in fieri nello sheol, ma che aspetta per attuarsi l’avvento del liberatore dai peccati (in particolare dal peccato originale: il peccato del mondo Gv 1,29). Per i malvagi c’è già una condanna eterna, che diventerà di peso maggiore di fronte alla visione della liberazione trionfale dei giusti.

La necessità del giudizio
La ricompensa non può che essere congiunta ad un giudizio. Giudizio che si divide in particolare e universale. Particolare per ciascuna persona, universale, alla fine del tempo, per tutto il genere umano.
Questa distinzione venne più volte, seppur subordinatamente al tema della immediata retribuzione dopo la morte, affermata dal Magistero [definizioni del Concilio II di Lione (1274); di Benedetto XII (1336), del Concilio di Firenze(1439), delle professioni di fede prescritte ai dissidenti da Gregorio XIII (1048) e da Benedetto XIV (1468)]; ed è anche logica, infatti, il giudizio particolare riguarda l’anima dei singoli, quello universale riguarda anche il corpo dei singoli, e ancor più le relazioni degli uomini con Dio e tra di loro, essendo tutti (universale) presenti fisicamente nella risurrezione.

Quante ferite ricevute e mai medicate dagli offensori. Quanti raggiri occulti verranno alla luce (Cf. Lc 12,3). Quante accuse contro la giustizia del Giudice divino e contro i giusti, e quale terribile condanna del Giudice, le cui piaghe saranno folgoranti, e sarà glorificato da cori e cori di esaltazione della sua giustizia e di condanna degli empi (Lc 11,31-32). Quante sorprese nel vedere persone che si erano stimate giuste e invece erano degli ipocriti, e quante sorprese nel vedere persone che erano state considerate maledette essere tra i risorti nella gloria.

Il giudizio particolare
La teologia del giudizio particolare venne condizionata, presso alcuni primi autori cristiani, dalla visione di uno sheol inteso dai testi biblici veterotestamentari come luogo oscuro, di assenza di vitalità, fino al punto di giungere a pensare che le anime fossero sottoposte a un unico giudizio, alla fine del mondo, essendo prima come in uno stato di letargia. Cosi san Giustino (100 - 162/168), così sant’Ireneo (130 - 202), così Tertulliano (155 ca. - 230 ca.), che faceva eccezione per i martiri, capaci di accedere subito alla visione dell’Essenza divina, mentre i dannati avevano subito i supplizi della condanna, formulando con ciò l’esistenza di un giudizio, anche se stranamente selettivo [letargia di attesa secondo lo sheol, per i più; gloria nel cielo per i valorosi della fede; punizione nell’inferno per i morti in stato di inimicizia con Dio].
Lattanzio (250 ca. - 317 ca.), invece, riteneva che tutte le anime rimanessero in attesa dell’unico giudizio finale in un qualche luogo; la loro sorte era per essi incerta sino alla fine.
Taziano (120 ca. - 180 ca.) avversò il giudizio particolare affermando che l’anima non è immortale per se stessa, muore e si dissolve, se non conosce la verità, per poi risorgere con il corpo, e se allora conoscerà la verità non morirà di nuovo, altrimenti morirà per le pene con il corpo. La sua posizione era insostenibile sia di fronte alla filosofia, sia di fronte alla rivelazione.
Vigilanzio (m. dopo il 406), che san Girolamo (347 - 419/420) chiamò Dormitanzio, riteneva che le anime separate sono come in uno stato di sonnolenza, che durerà sino alla fine del mondo. Verranno destate per il giudizio universale dove si avrà premio o condanna. Tale posizione è priva di fondamento di fronte alla parabola del ricco epulone, e alle parole date al buon ladrone, e anche alle parole precise dell’Apocalisse (6,9-10; 7,10; 14,3; 15,2). Inoltre, se il sonno dell’anima fosse un evento naturale bisognerebbe dire che l’anima sarebbe in grado di ricevere un sonno del tutto particolare, indotto da Dio, poiché l’anima non è fatta per prendere sonno; infatti, si legge nel Cantico dei Cantici (5,2): “Mi sono addormentata, ma veglia il mio cuore”. Abramo, Isacco, Giacobbe erano vivi, svegli, poiché Dio è il Dio dei vivi (Es 3,6; Mt 22,32; Mc 12, 26; Lc 20,37).

Nel IV e V secolo si chiarì, con l’autorità di grandi dottori della Chiesa, la distinzione tra giudizio particolare e giudizio universale. Cosi san Giovanni Crisostomo (344/354 – 407), sant’Efrem (306 - 373), san Gregorio Nazianzeno (329 - 300 ca.), san Gregorio Nisseno (335 – 395 ca.), san Girolamo (347 - 419/420), sant’Agostino (354 - 430). Tuttavia, già prima era chiara la dottrina sull’immediato ingresso delle anime nella gloria; così sant’Ignazio d’Antiochia (35 - 107 ca.), san Clemente Romano (m. 100), san Policarpo di Smirne (69 ca. - 155), san Cipriano (210 - 258), san Dionigi d’Alessandria (190 ca. - 264), Origene (185 - 254), prima delle sue deviazioni platoniche.
L’errore riapparve presso la cristianità d’Oriente con Fozio (m. 893), trasmettendosi poi a quei teologi che si posero in dissenso circa la definizione del Concilio di Firenze (1439) sull’immediata retribuzione dopo la morte e non alla fine del mondo, che ovviamente include strettamente il giudizio particolare. Nei sec. XVI - XVIII l’errore circa il giudizio particolare si trova diffuso nelle chiese scismatiche d’Oriente. Ci fu tuttavia un cambiamento presso gli autori Slavi e quelli della scuola di Kiev. L’errore penetrò lentamente anche presso la chiesa di Russia, ma poi subentrò in essa l’incertezza sull’erroneo assunto.
In Occidente ci fu la breve disputa tra Francescani e Domenicani durante il pontificato di Giovanni XXII (m. 1334). Il papa si mostrò favorevole a livello di opinione privata (quindi non Magistero) a quei teologi minoriti che ritenevano che certamente si sarebbe avuto per i giusti l’ingresso nel cielo subito dopo la morte, ma la visione beatifica si sarebbe avuta solo dopo la risurrezione della carne. Una posizione che non aveva fondamento alcuno. Il papa ormai al termine della vita dichiarò essere quella una sua opinione personale. La disputa venne troncata dall’intervento di Benedetto XII (1336).

Nel sec. XVI l’errore riaffiorò nella realtà protestante (Lutero, 1483 - 1546, eccettuava dal sonno pochi, paucis) sotto forma di sonno delle anime, fino al giudizio universale. Calvino (1509 - 1564) sostenne che il giudizio delle anime sopite nel sonno rimaneva sospeso sino al giudizio universale.

Non è difficile intravedere nell’errata posizione di Vigilanzio gli errori di Calvino. Come non è difficile vedere nella posizione di Taziano la posizione degli avventisti, tra i quali emergono gli “Avventisti del settimo giorno”.

Il Giudice
Il Giudice delle anime prima della venuta di Cristo, è Dio, ma tale giudizio venne sigillato da Cristo per quanto riguarda i giusti dello sheol, e anche per gli ingiusti, in quanto rifiutando Dio avevano rifiutato l’azione di Dio che li voleva salvi e che procedeva dal futuro sacrificio di Cristo, attuato dall’ingiustizia degli uomini, ma immensamente al di sopra di ciò attuato dall’amore di Cristo.

Nel Nuovo Testamento il Giudice è chiaramente Cristo, poiché il Padre gli ha sottomesso ogni cosa (1Cor 19,27).

Punto importante del giudizio è quello che il Giudice deve essere visto dal giudicato, perché è Cristo, accolto o rifiutato, la ragione fontale del premio o della condanna.

Il giudizio particolare avverrà subito dopo la separazione dell’anima dal corpo. Il Giudice sarà visto con la visione mentale propria delle anime separate, le quali conservano le potenze superiori: intelletto e volontà. Queste potenze possono essere in atto, non così quelle sensitive e vegetative che hanno nell’anima la loro radice, ma si attuano, cioè passano dalla potenza all’atto, solo nel composto anima/corpo. L’atto delle potenze superiori (intelletto e volontà) si compie non più a partire dai fantasmi “phantasmata” del corpo, formati e presenti negli organi del corpo (occhi, orecchi, membra, cervello), ma per specie intellegibili infuse da Dio. Per “phantasmata” si intendono le impressioni, ovvero le immagini sensibili (species sensibilis) dalle quali l’intelletto trae le “species intellegibilis”, spogliando, per così dire, le immagini sensibili dalle note individuanti dell’oggetto percepito, per giungere ad esprimere il concetto, il verbum. Bisogna avvertire che non si può leggere tutto ciò in modo immaginoso e poi fare delle immagini costruite delle realtà concatenate meccanicamente, poiché si tratta di un ascolto del nostro processo conoscitivo, che partendo dai sensi formula attraverso l’astrazione il concetto; i concetti, che sono la base del ragionamento.

L’anima separata riceve, così, da Dio per infusione le “species intelligibilis”. E’ l’opposto del sonno luterano, calvinista, anglicano, e avventista. Va detto che l’anima in assenza delle “species intelligibilis” non è in uno stato di sonno, che avrebbe bisogno di una operazione divina della quale non si capisce il senso, ma di blocco, e Dio non vuole il blocco dell’intelligenza e della volontà delle anime. La Scrittura non presenta nell’aldilà anime in stato di blocco o di sonno se si vuole. (Sap 4,20): “Si presenteranno tremanti al rendiconto dei loro peccati”. (2Mac 15,13s): “Poi, allo stesso modo era apparso un uomo distinto per età senile e maestà, circonfuso di dignità meravigliosa e piena di magnificenza. Presa la parola, Onia disse: ʼQuesti è l’amico dei suoi fratelli, che prega molto per il popolo e per la città santa, Geremia, il profeta di Dioʼ”. Sono due esempi dove la visione beatifica non entra in campo.. Altro esempio è quello del profeta Samuele evocato dalla negromante di Endor (1Sam 28,15): “Allora Samuele disse a Saul…”.

Nel Giudizio universale il Giudice sarà visto, diversamente dal giudizio particolare, fisicamente. Infatti l’evento del suo ritorno nella gloria (At 1,11.20), quale Giudice, sarà preceduto dalla risurrezione (1Tes 5,2; 2Tes 2,1.8; Ap 19,11).