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Quando si va in un Santuario la prima cosa che si vuole sapere è la sua storia, le sue origini, e così accade anche per il Santuario della Rocca presente a Cento.
Le documentazioni a disposizione sono varie e non concordanti se non nel punto che l’immagine della Beata Vergine era in origine nel locale del corpo di guardia della Rocca di Cento. Poi le divergenze. Una tradizione, quella fissata nel foglietto manoscritto che si può chiamare
“Memoria 1597” [1], dice che l’immagine venne fatta dipingere nel 1597 da un certo marchese Basus, originario di Napoli, che la volle rapportata all’immagine del Santuario della Madonna dell’Arco a Nola. Il manoscritto presenta notevoli inesattezze. Innanzi tutto, non risulta negli elenchi della nobiltà napoletana una casato dei Basus, ma potrebbe essere una variazione dei nominativi di Bazio, Batio, Bacius, Bacio, che si ritrovano negli elenchi nobiliari, ma non sono insigniti del titolo di Marchesi [2]. Il manoscritto si presenta redatto nel 1597, ma pone il miracolo della Madonna dell’Arco “circa l’anno 1588”, mentre invece è avvenuto nel 1450. Il manoscritto cita il domenicano Fra Domenico Maria Marchese rettore del Collegio di S. Tommaso dei Domenicani di Napoli, ma il collegio venne costituito nel 1633 [3]. Il padre domenicano è effettivamente esistito, ma non ha mai trattato della Madonna dell’Arco. Errato pure il maschile S. Anastasio, perché in realtà è S. Anastasia. Così bisogna concludere che il foglio manoscritto non è stato scritto nel 1597,
ma più tardi.
“Memoria 1597 -
Come trovavasi nella Terra di Cento il Marchese Basus Napolitano, il quale fè dipingere nella Gran Rocca di Cento un’Immagine di Maria Sempre Vergine con una gocciola di sangue che le sortisce dal naso, e questa per il gran miracolo accaduto l’anno 1588 dalla Madonna detta dell’Arco dipinta in un muro vicino alla Volla di S. Anastasio, che è della città di Nola, distante dalla Città di Napoli intorno a sei miglia, che giocando avanri a detta Immagine alcuni giovani, uno di essi perdendo pigliò una palla e l’avventò sacrilegamente a quella Sacra Immagine, e la colpì nel volto, e si vide miracolosamente scaturir sangue nel luogo della percossa, e gli restò impressa la lividura e tintura di sangue e fino ad oggi chiaramente si vede. Il tutto si vede più ampiamente stampato il miracolo e referto dal Padre Maestro Fra’ Domenico Maria Marchese Rettore del Collegio di S. Tommaso dei Domenicani di Napoli” [4].
Lo storico centese don Giovanni Monteforti (1715 - 1782) nella sua “Storia della Città di Cento” [5] scritta nel 1762 afferma che: “Quando ivi (nella Rocca) fosse dipinta egli è incerto. Ma crederò di non andar lungi dal vero, se diravvi essere stata dipinta in questo luogo, già fabbricato per il corpo di guardia del Presidio della Rocca, quando il Card. Calandrino ne formò cotal mole nel 1460. C’hanno altri che pensano essere stata ivi fatta dipingere da certo soldato, che di una simile Immagine venerata nel suo paese andava altamente divoto”. Come si vede lo storico accenna alla tradizione che ha determinato il manoscritto titolato “Memoria 1597”, che però lo storico non cita.
Lo stesso storico nella sua “Storia di Cento”, redatta nel 1765, non diede credito alla voce che l’Immagine colpita da un temerario soldato avesse emesso sangue: “Nel mentre che bollivano le guerre già motivate, o fosse per una falsa voce sparsa in Cento, che l’Immagine di M. V. dipinta in una Camera a terreno della Centese Rocca mandato aveva né tempi addietro dalle narici sangue all’ingiuria a lei fatta di una palla da un temerario soldato a quella parte gettata, o forse più veridicamente perché Lorenzo Cipri (ndr. Il promotore primo della devozione alla Madonna della Rocca) si prese a cuore quell’Immagine negletta”. [6]
Il Monteforti riportò quanto scritto nel 1762 anche nello scritto del 1773 “Delle Chiese e delle cose della Città di Cento” [7]. Lo stesso fece nello scritto del 1780 “Memorie storiche delle Chiese della Città” [8].
Neppure lo storico centese dott. Giacomo Gatti (1719 - 1795) nella sua “Storia di Cento dalle origini al 1795” cita la
“Memoria 1597” e parla solo di un “divoto artista”: “In Rocca, in una Camera, che di quartiere à soldati serviva, nel muro di piano esisteva un'Immagine di Maria Vergine ed essa Immagine da un divoto Artista” [9]. Giacomo Gatti non riferisce la voce di un miracolo conseguente ad un colpo inferto all’Immagine.
La voce circa il miracolo del sangue scaturito dallo sfregio inferto all’Immagine come visto era già presente nel 1762.
Tale voce venne ripresa da padre Antonio Tosi (1726 - 1810), il quale non ebbe dubbi sul miracolo, mentre ben si vede che dipende dallo scritto del Monteforti del 1762: “Nel mese di marzo videsi terminata la Cappellina posta in questa Rocca che di prima era una semplice piccola stanza a terreno e da una parte di questa eravi sul muro dipinta un’Immagine di Maria Vergine, la quale in passato da un temerario soldato aviale gettato in faccia una palla, dalla quale percossa, essa
Vergine dalle narici avea tramandato vivo sangue” [10].
Il dott. Gaetano Atti nel suo “Sunto storico della Città di Cento” del 1853 (pag. 54
- 55), scrisse: “In una stanza terrena della Rocca, luogo di presidio militare, era dipinta nel 1460 o in quel torno, una Immagine di M. V. col Bambino in braccio. Dicesi che un soldato polacco la effigiasse a similitudine di una miracoloso Immagine di Cracovia (Częstochowa); e che un altro soldato da furore diabolico invaso la ferisse nella faccia con una freccia, e ne sgorgasse per divino volere una pioggia di Sangue. Divenuta in progresso di tempo quella stanza una cella d’ingombro e di poi una bottega d’un legnaiuolo fu la B. V. venerata da persone che vi convenivano per cura di Lorenzo Cipri nel 1714; ma morto il padrone non vi fu più chi la prendesse in cura, finché il sacerdote centese Giuseppe Gallerani ravvivando la spenta divozione ridusse in miglior stato l’Immagine, convertì la stanza in una decente Cappella, ornandola dal pavimento al tetto, e ricavandone un lume sufficiente. Cresciuta mirabilmente la pietà dei divoti poté ottenere dalla Camera Apostolica il permesso della celebrazione della Messa, provviste le suppellettili sacre”.
1] Cento, Arch. Com. Sez. I, ar, 3, coll. 83.
2] G. Ceci: “I Feudatari napoletani alla fine del secolo XVI”, in Arch. Stor. per le province napoletane, 1899.
Erasmo Ricca: “La nobiltà del Regno delle due Sicilie”, Napoli, 1859.
Candida Gonzaga: “Memorie delle famiglie nobili delle province meridionali”, Napoli, 1833.
Scipione Ammirato: “Delle famiglie nobili napoletane”, Firenze, 1630 e 1651.
3] S. L. Forte, OP : “Le provincie domenicane in Italia nel 1650. Conventi e religiosi”, in Arch. Fratrum Praedicatorum 39, 1969, pag. 462.
4] Cento, Arch. Com. Sez I, ar. 3,coll. 83.
5] Cento, Arch Com. Sez I, ar. 3, sc. 2, vol. 46, num. 162.
6] Cento, Arch. Com. Sez. I, ar. 3, sc. I, vol. 3, pag. 508.
7] Cento, Arch. Com. Sez I, ar. 3, sc. 2, vol. 47, pag. 135.
8] Cento. Arch. Com. Sez III, sc. I, vol. 155, pag. 63.
9] Cento. Arch. Com. Sez. I, ar. 3, sc. I, vol. 27, pag. 215.
10] Cento. Arch. Com. Sez. I, ar. 3, sc. 2, vol. 69, pag.157.
La consultazione dei documenti dell’Archivio centese è stata facilitata dal lavoro di ricerca di padre Donato da S. Giovanni in Persiceto (O.F.M.Cap): “I Conventi dei Frati Minori Cappuccini della Provincia di Bologna”, vol III, pag. 238 - 239; ed. Faenza, Fratelli Lega, 1960.
Il volume è presente nella Biblioteca dei frati Cappuccini custodi del Santuario della Madonna della Rocca.
Come si vede, circa la data del dipinto, c’è concordanza nel pensiero di risalire all’epoca della costruzione della Rocca, ad eccezione della “Memoria del 1597”, che lo fa risalire al 1597. L’esame stilistico dell’affresco conduce a una datazione compatibile con la costruzione della Rocca, infatti si ha uno stile, di impianto gotico,
che presenta una sensibilità quattrocentesca per il volume.
A questo
punto veramente nessuno studioso può dire una parola che possa andare oltre questa rassegna di dati. Resta però da “ascoltare”, attraverso l’esame scientifico, quanto l’affresco dice di se stesso.
Il restauratore dell’Immagine (1939), il pittore Giuseppe Rivani , in un articolo su Avvenire del 20 aprile 1939 scriveva: “Il particolare più interessante è poi dato dalla macchia di sangue che non risulterebbe costituita da materia colorante ma da una sostanza dura e compatta di cui una particella in questi giorni viene sottoposta ad esame chimico presso la nostra R. Università onde assodarne la precisa natura, essendovi il sospetto che si tratti di vero sangue raggrumato il quale riempie una profonda solcatura che dovrebbe rappresentare la ferita inferta nell’intonaco dipinto da un corpo contundente lanciato a viva forza”. Giuseppe Rivani ebbe modo di valutare la profonda solcatura dal momento che fu lui ad eseguire lo stacco dell’affresco dal muro di mattoni, che già era stato trasportato nella Chiesa vicina dedicata allo Spirito Santo, trasferendolo su di un supporto leggero per facilitare le processioni. I risultati dell'esame
del materiale non si ritrovano nelle edizioni successive di Avvenire e non si ha traccia di esse negli archivi Universitari e non si trovano neppure nella Cronaca del Convento. Tutto rimase sospeso.
Nel 1995, finalmente, si fece l’esame scientifico del materiale ritenuto sangue. Il quesito venne sottoposto al laboratorio di Polizia scientifica di Roma, prelevando un frammento del materiale. Il tecnico, Sandro Tavano, dava questo esito: “All’uopo dai referti è stato asportato un microcampione sul quale è stato determinato il valore di ossiemoglobina misurato come rapporto tra l’altezza del pigmento ematico evidenziato a fronte del solvente e dell’ematina, utilizzando la tecnica della cromatografia su gel di silice. L’esame ha fornito risultato negativo per la natura ematica delle tracce”. Il laboratorio però non stabiliva quale era la natura specifica del materiale. Per questo si ricorse al prof.
Giuseppe Chiavari del Dipartimento di Chimica G. Ciamician di Bologna.
Il professore usò il procedimento di
pirolisi-gascromatografia-spettrometria di massa. Il risultato
inequivocabile fu che si trattava di cera (c’era di api).
Nelle fotografie al microscopio effettuate presso l’Istituto di Medicina Legale (via Irnerio, Bologna) risultarono chiaramente dei granuli rossi, che all’esame sono risultati di un ossido di piombo (minio) [1].
Questi rilevamenti sull’Immagine conducono alla conclusione che certamente ci fu un oltraggio inferto all’Immagine, e che un pio soldato volle riempire la profonda incisione con della cera mischiata a minio, memore del miracolo di Nola.
Non si ha quindi un’Immagine originariamente dipinta come una copia dell’Immagine di Nola, o una in ricordo di quella di Częstochowa, che nel 1430 venne profanata con due colpi d'ascia, e gli sfregi sono ancora visibili. Si ha invece un’Immagine autonoma, prodotta da un pittore per il locale del corpo di guardia della Rocca, che poi venne oltraggiata e restaurata devotamente con cera colorata con minio.
A questo punto, la data 1597, presentata dalla “Memoria 1597”,
acquista valore storico collegandola al tempo della vicenda di Cesare
d’Este, che dopo la morte di Alfonso II d’Este - duca di Ferrara -
avvenuta il 27 ottobre 1597, si era autoproclamato illegittimamente
erede. Contro Cesare d’Este, e chi lo appoggiava, venne lanciata il 22
dicembre 1597 la scomunica da Clemente VIII. Nella Rocca di Cento c’era
al comando Lodovico di Fino, schierato con Cesare d’Este. Va detto che
la città di Cento era passata al Ducato di Ferrara, Modena, Reggio
Emilia, come donazione di Alessandro VI Borgia per il matrimonio di
Lucrezia Borgia con Alfonso d’Este nel 1502. La Rocca era dunque in quel
tempo Estense. La scomunica fece un forte effetto sui soldati, e ci furono numerose diserzioni
nella Rocca. In questo contesto un soldato schierato con Cesare d’Este,
probabilmente lo stesso comandante Lodovico di Fino, che dovette
scrivere a
Cesare d’Este che non riusciva a trattenere i soldati, preso dalla
rabbia oltraggiò l’Immagine. Solo in una tale condizione di disordine
uno poteva azzardarsi a colpire l’Immagine poiché rischiava veramente punizioni severe. Cesare d’Este rinunciò ben presto alle sue pretese e nel 1598 il Ducato di Ferrara passò allo Stato della Chiesa. Cesare d’Este si rifugiò a Finale Emilia in terra Modenese. La Rocca fu così
ben presto occupata da soldati dell’esercito pontificio. Uno di questi soldati, che la "Memoria 1597" indica in un certo Basus
(Bazio, Batio, Bacius, Bacio?), proveniente da Napoli e comandante della Rocca riparò devotamente l’Immagine oltraggiata, ricordando il miracolo di Nola [1].
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La devozione alla Madonna della Rocca crebbe e la Vergine elargì numerose grazie testimoniate da numerose tavolette votive, come si legge nell’inventario del 1818. Nel 1804 si ebbe la traslazione dell’Immagine nella vicina
Chiesa dello Spirito Santo. Ciò venne reso necessario perché la Rocca venne adibita a Carcere e il culto nella
Cappellina veniva disturbato dalle grida ed imprecazioni dei carcerati.
Lo storico centese Antonio Tosi così riferisce: “Dopo aversi non solo del tutto restaurata e non poco allungata la Chiesa dello Spirito Santo, e nello stesso tempo erettavi una più decente sagrestia, il tutto con buon disegno (…). La tanto miracolosa Immagine, che di prima esisteva nella Chiesuola di Rocca, su d’un grosso muro dipinta, e che di già dalli 6 luglio di quest’anno 1804, era stata da essa Chiesuola levata e privatamente trasportata dai Confratelli di S. Croce e posta indi all’altare maggiore” [2].
La “Memoria 1597” divenne nel 1804 la base ufficiale della storia dell’Immagine, come si leggeva in due lapidi poste sull’interno e sull’esterno della porta della sagrestia della chiesa dello Spirito Santo. Quella all’interno diceva:
“Imago/Mariae Genitricis Dei/a saeculo XVI/magno in onore habita/in arce centesi/nuper carceribus tota adsignata/uti loco digniori coleretur/muro exciso/huc translata IX kal. Octob./anno MDCCCIV”. In quella all’interno stava scritto: “Basus Marchio/praef. Arcis centesimis/imaginem Mariae Virginis/quae a pluviis impetratis nomen accepit/ex archetypo prodigiis claro/extante in pago S. Anastasi ad urbem Nolam/in muro arcis eiusdem/pingendam curavit an. MDXCVII/saccello deinceps a populo extructo/et ampliato”.
Nel dicembre del 1857 i Cappuccini divennero i custodi della Chiesa. Nel 1884 la Chiesa venne quasi del tutto demolita per una costruzione più grande e più degna.
1] Paolo Berti: “L’Immagine della B. Vergine della Rocca”, studio monografico, pag. 19, Grafiche Dehoniane,
1995, Bologna).
2] Cento, Arch. Com. Sez. I, ar. 3 sc. 2, vol. 72, pag. 252-255.
Fotografia al microscopio con 400 ingrandimenti e in controluce su bordo sottile di frammento. Si notano i granuli di ossido di piombo.
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