Tema specifico affidato a padre Paolo Berti:

Il lavoro come espressione viva dell'uomo: i punti cardinali in un contesto in forte evoluzione

 

Credo che una preghiera del Breviario Romano (IV settimana, ora terza), sia un'ottima porta di ingresso al tema del lavoro nel contesto delle dinamiche odierne, sia per l'apertura e fiducia nel progresso dell'uomo nel suo compito di adattare a sé la terra, sia perché il lavoro dell'uomo viene definito, molto acutamente, “lavoro solidale”.

O Dio, nostro Padre, che al lavoro solidale di tutti gli uomini hai affidato il compito di promuovere sempre nuove conquiste, donaci di collaborare all'opera della creazione con adesione filiale al tuo volere in spirito di vera fraternità”.

 

Lontani da mitizzazioni

 

 

L'uomo sempre ha cercato di assoggettare le cose della terra per i suoi bisogni, sempre ha cercato “forze motrici”, che lo aiutassero. Così la forza degli animali, così la forza del vento per le vele delle navi e le pale dei mulini, così la forza dell'acqua per muovere le ruote dei mulini, così la forza dell'elasticità del legno e del ferro per l'arco, strumento di caccia e purtroppo di guerra, così ha usato anche la dilatazione del legno, e in questo furono maestri gli egizi, che con sovrapposizioni di legni inzuppati d'acqua elevavano le gigantesche pietre delle piramidi, e con tasselli di legno imbevuti d'acqua staccavano gli obelischi dalla roccia. Sempre l'uomo ha succhiato come da un grande seno le risorse della terra, anche se bloccato in questo dalla divinizzazione degli elementi della natura, per cui ogni realtà era chiusa nella mitologia.

L'accelerazione del cammino dell'uomo nell'adattare a sé le cose, ha avuto inizio con la scoperta della macchina a vapore. Prima macchine in campo bellico ce n'erano, e pure nel campo dell'edilizia, basti ricordare che i maestri Comacini erano detti tali perché lavoravano cum machinis; ma la forza motrice era limitata. La macchina a vapore connessa all'uso del carbone permise invece un salto gigantesco. Alla nuova forza motrice si associò la macchina utensile nelle fabbriche e l'inizio delle ferrovie, nonché l'ingresso delle navi a vapore. Seguì la scoperta della catena di montaggio, con il conseguente frazionamento del lavoro in tante singole operazioni. Seguì l'automazione, cioè il controllo della macchina mediante una macchina: macchine meccanografiche, transistor, microcircuiti, microprocessori. Quindi giunse l'informatica, la telematica, la robotica.

Non è affatto un caso che tale accelerazione sia avvenuta in terra cristiana, magari in terra cristiana che si era allontanata dalla mappatura originaria dei valori cristiani, ma certo la mappatura primigenia restava come radice feconda. La denumizzazione della natura è un evento cristiano, anzi giudaico e cristiano, così pure la centralità dell'uomo come persona, come essere libero capace di assoggettare la terra a sé, nell'impegno a non assoggettarsi mai alla terra, come era della numizzazione della natura. Il “dominate” delle prime righe della Genesi, dice proprio che l'uomo è signore della terra e non deve far sì che la terra numizzata assoggetti l'uomo. Le radici giudaico cristiane restano, anche se l'Europa non le ha volute riconoscere nella sua carta Costituzionale.

Di fronte al rapido succedersi delle conquiste scientifiche e tecnologiche bisogna mettersi in posizione di rifiuto dell'esaltazione mitizzante del progresso scientifico e tecnologico, quasi fosse la via che l'uomo ha trovato per la sua deificazione. Una mitizzazione del progresso porterebbe a sacrificare l'uomo nella sua realtà vera, fatta di relazioni umane vive, sentite e operose. Noi vediamo come oggi si parla sempre meno del futuro dell'uomo, in quanto uomo, in quanto essere sociale. Dopo il fallimento delle ideologie, quando si parla di futuro si parla di innovazione tecnologica, di avanzamento scientifico: avremo robot che ci serviranno a tavola; con un telecomando potremo regolare tutte le luci, i colori, la modulazione degli spazi, le aperture, di casa nostra: è la cosiddetta “domotica”; faremo “passeggiate spaziali”; avremo abiti a fibre tessili speciali che si dilatano o si restringono in base ad un rilevatore di temperatura, e quindi con spaziature più o meno intense, tali da avere sempre una temperatura gradevole, e via dicendo. Del futuro dell'uomo, in quanto uomo, si parla sempre meno. Il futuro dell'uomo è un'incognita che verrà risolta dal progresso tecnologico; ed ecco la mitizzazione, cioè la costruzione di un idolo preposto a plasmare l'uomo.

La preghiera vista non prevede affatto che le conquiste dell'uomo diventino l'idolo chiamato a plasmare l'uomo: l'uomo è al centro del processo, ne è l'autore e ne è il dominatore.

Ma ecco, che l'uomo odierno, in una natura demitizzata nella quale si vuole riconoscere signore assoluto, produce l'assurdo, di mitizzare il suo progresso, la sua opera è opera da dei; ma la ruggine colpisce le rotaie, le lamiere, le smaltature, le guarnizioni, i motori. Noi operiamo nel tempo, e per l'uomo che è nel tempo, per l'uomo che è pellegrino in questa terra. Un uomo che si fa dio vuole essere adorato dagli uomini, ma poiché ognuno vuole essere un dio e vuole l'altro prono davanti a sé ne nascerebbe un frenetico individualismo pieno di dissoluzione.

 

La ricchezza relazionale dell'uomo

 

 

L'accelerazione dei sistemi di produzione, ha generato problemi, disagi sociali, movimenti di difesa, di solidarietà. La complessità dei problemi è diventata in breve enorme e ha perso di vista la soluzione che rimane sempre quella di guardare l'uomo nella sua interezza di persona. L'uomo è stato spezzettato in homo faber, in homo economicus, in homo socialis, in homo ludens, con semplificazioni che lo hanno impoverito. Al rapporto famiglia-capitale, della società industriale liberista, si oppose il rapporto società-lavoro dell'ideologia marxista. In una si sacrificava la realtà sociale degli uomini, riducendo l'uomo a pezzo operante e isolato di una catena di montaggio, nell'altra si sacrificava l'intima realtà della famiglia, il diritto di proprietà, per affermare la socialità. Semplificazioni che non furono strumenti di approccio alla complessità, ma soluzioni globali alla complessità. Famiglia e società furono visti come antagonisti. L'uomo non è solo faber, sapiens, religiosus, ludens, socialis, amans, familiaris, ma è tutto ciò nella realtà della sua persona. E' questa l'affermazione che fa da pista, da orientamento, per affrontare con saggezza la complessità, per leggerla per quella che è, cioè ricchezza, non facendola quindi degenerare in complicazione, in povertà umana, in definitiva. La realtà umana è piena di ricchezza relazionale, sia all'interno della famiglia, sia nella società, sia nel mondo del lavoro, sia nel rapporto che l'uomo ha con il creato, sia con i prodotti da lui costruiti.

 

La molla che conduce l'uomo al lavoro non può essere - né lo è - solo il bisogno del cibo, del vestito, della casa. Ci sono altre molle ben più alte che lo muovono al lavoro, perché l'uomo non ha solo un corpo da nutrire, da vestire, da riparare, da riposare, da tutelare, ha una mente e un cuore.

Una mente che esige conoscenza e un cuore che vuole amore e dare amore. Corpo, mente, cuore, sono tre realtà inscindibili, e quando l'uomo è colpito in una di queste tre realtà entra in stato di sofferenza e cerca di reagire, e lo ha fatto e lo farà sempre.

 

L'uomo nel lavoro vuole conoscere la realtà, vuole godere dei risultati, della consapevolezza del valore, dell'incidenza, del suo lavoro nell'azione complessiva degli uomini. Il lavoro ha un contenuto intellettuale. Un tecnico si appassiona alla ricerca di soluzioni, e ricorre alla conoscenza che gli giunge dall'attività scientifica. Qui si può osservare subito che non tutti possono accedere ai piani della ricerca, della elaborazione di nuove realtà tecnologiche, di nuove nozioni scientifiche. Verissimo, ma l'uomo ha anche un cuore, un cuore che deve saper comunicare a chi non è nei livelli della ricerca, ma solo dell'operatività, la realtà che vive. Il cuore è volontà di partecipare e di far partecipare la gioia dello sguardo complessivo sul lavoro. Il lavoro per essere realmente una realtà sociale deve avere come parola d'ordine la partecipazione, non solo dei beni materiali, ma anche intellettuali. Va da sé che non tutti potranno accedere ai livelli del linguaggio specializzato del tecnico, dello scienziato, e alle loro conoscenze, ma al succo tutti possono accedere, al succo presentato in termini semplici, ma precisi, senza tocchi mitizzanti alla Piero Angela, tanto per intenderci. O senza umiliazioni, come accade di avvertire quando uno scienziato ti ferisce esibendoti con alterità e sbrigatività le sue conoscenze.

L'uomo ha un cuore: chiede di essere amato e vuole donare amore. Se l'uomo perde il cuore diventa interiormente un mostro. Imbocca la strada della socializzazione nell'odio, cosa che abbiamo visto anche di recente e ancora vediamo: un gruppo che si compatta perché è contro un altro gruppo; una nazione che si compatta perché è contro un'altra nazione; un partito che si compatta non su veri ideali e veri servizi, ma perché è contro altri.

La vera globalizzazione è nemica dell'odio. La falsa globalizzazione, intesa come incameramento e schiavizzazione dell'altro alla propria cultura è amica dell'odio. E' pure falsa globalizzazione quella che fosse retta da una ipocrita compassione per i poveri.

Qui si potrebbe aprire una riflessione sulla concomitanza di violenza e no global, come rifiuto della vera globalizzazione, e nello stesso tempo come lotta di concorrenza con le varie idee e piani di globalizzazione. La globalizzazione non può essere ridotta a modernità, poiché è innanzitutto verità e amore. La globalizzazione  vuol dire il cammino nel mondo della verità sull'uomo.

 

La famiglia come nucleo pulsante di relazioni che si irradiano nella società

 

 

Ma non basta all'uomo l'amore di solidarietà. L'uomo ha scritto nel suo cuore un altro amore, che lo interpella sempre, profondamente, come realtà essenziale al suo dilatarsi sociale. E' l'amore tra l'uomo e la donna segnato dalla fecondità dei figli. L'unione coniugale dona un'esperienza profonda dell'amore, che non comporta la chiusura in se stessa, ma una responsabilità di inserimento sociale, già manifesto nello stesso banchetto nuziale. L'unione coniugale, pur nella sua esclusività, è una molla potentissima della socialità; un luogo di ricarica alla solidarietà, al lavoro solidale, al senso del lavoro; un luogo dove l'esperienza esterna trova il suo godimento più intimo; il luogo dove vengono riparate le ferite causate degli urti esterni.

L'amore tra l'uomo e la donna è generatore di motivazioni al lavoro, non soltanto per la sussistenza, ma anche per la progettualità. Dio ha dato il dominio sulla terra non soltanto all'uomo, o soltanto alla donna, ma ad entrambi. Questa verità postula una comunione tra l'uomo e la donna che è profondissima nell'unione coniugale, dalla quale sgorga una correttezza di rapporto  tra gli uomini e le donne e le donne e gli uomini. Se saltasse l'unione coniugale, salterebbe il corretto rapporto tra l'uomo e la donna in tutta la società.

La famiglia è completa quando ci sono i figli. Essi sono una molla potentissima per progettare il futuro. I giovani obbligano a pensare, a progettare il futuro; obbligano a non rimanere circoscritti nel presente, con la conseguenza che in breve ci sarebbe il blocco di ogni relazione realizzante l'uomo. I giovani sono futuro. I genitori vedono per mezzo dei figli il futuro, così pure la società vede per mezzo dei giovani il futuro. I giovani sono una risorsa per tutti. Essi hanno il dovere di accogliere con gratitudine e rispetto quanto le generazioni che li precedono hanno preparato, ma hanno anche il diritto al loro apporto costruttivo. Ogni generazione essendo fatta ad “immagine e somiglianza di Dio” è concreatrice e perciò deve portare il suo tassello concreatore. Si fa un errore grave quando si vuole che il giovane perpetui esattamente quello che ha fatto la generazione precedente. La ragione dell'arretramento culturale di tanti popoli è da vedere nel fatto che essi si sono bloccati a mitologie dove il presente, la storia, non ha spessore, non richiede compiti, se non quello di non riconoscerla, poiché solo la ripetizione del passato garantisce la liberazione dagli affanni del presente. Queste mitologie sono sempre state scosse da ribaltamenti, da opere di conquista di un popolo su di un altro popolo, ma alla fine delle conquiste, dei travolgimenti, di nuovo la ripetizione del passato come garanzia del presente e del futuro. Chi pensa alle mitologie agrarie, chi pensa alla tetra religione Maya dove i sacrifici umani sono finalizzati a mantenere in essere il sole e l'ordine cosmico, altrimenti tutto sarebbe sconvolto, chi  pensa al buddismo promotore della filosofia del non essere, ha esempi sufficienti di staticità. Lo stesso Islam è carico di staticità, anche se poi l'uomo riesce ad emergere molte volte superando gli elementi di paralisi. Infatti l'Islam nega la presenza delle cause seconde. Veramente il detto che “non si muove foglia che Dio non voglia”, non è inteso nel senso che Dio ha creato le cause seconde, le quali una volta create hanno autonomia di operazione, ma nel senso che il vento ha una sola causa: Allah. Chi legge la mistica Islamica si trova di fronte all'idea che la creazione non è mantenuta nell'essere da Dio, che l'ha creata, ma è continuamente creata da Dio, il che comporta l'assurdo che Allah in ogni istante distrugga e faccia l'essere; così che esso non è mantenuto nell'esistenza da Dio, ma continuamente fatto e rifatto da Dio. La genialità araba ha dovuto sempre superare questo ostacolo posto dalla mistica islamica. E addirittura viene detto che l'Islamico usa oggi delle conquiste occidentali come se raccogliesse frutti da un albero, senza accedere a ciò che ha determinato il progresso occidentale, cioè l'affermazione giudaico-cristiana dell’autonomia delle realtà terrestri, che ovviamente va gestita non escludendo Dio nell'affermazione di una radicale autonomia, quasi che il genere umano non avesse bisogno della Provvidenza.

Così la società migliora nelle sue relazioni, nel suo agire sul creato, nel suo uso delle potenzialità tecniche e scientifiche acquisite, nell'uso dei suoi prodotti, nel miglioramento dei suoi prodotti attraverso l'apporto delle generazioni, ma senza rotture. Le rotture, le grandi devastazioni, accadono quando una società si è cristallizzata nel presente e vuole che il futuro perpetui il presente. La società aristocratica è scoppiata perché era fissa al presente e il futuro lo pensava come ripetizione del presente. La società borghese capitalistica e industriale ha conosciuto difficoltà quando ha pensato di potere perpetuarsi, senza le critiche di nessuno, nel futuro. Il regime cinese ha conosciuto l'esplosione giovanile di Tienanmen. Così il muro di Berlino è crollato quando le profezie del benessere comunista erano crollate e ancora si insisteva nel mantenerle ad ogni costo.

 

Il lavoro realtà sociale e quindi ordinata

 

 

Per amore o per forza l'uomo deve vivere insieme agli altri. Egli senza gli altri non si compie né su quanto chiede il corpo, né su quanto chiede la mente, né su quanto chiede il cuore. Facilissimo questo da capire.

Quanto al corpo basta pensare che senza il pastore che tiene dietro il gregge non avremmo il formaggio, non la lana extravergine, non la carne; senza l'uomo della centrale elettrica non avremmo la corrente e quindi il bruciatore che funziona il frigorifero, l'ascensore, il telefono, la televisione, ecc.; senza il contadino non avremmo le patate, i carciofi, l'uva, il vino, il frumento, ecc., senza il ferroviere non potremmo superare in breve distanze grandi, dovremmo andare a cavallo o con la diligenza o a piedi, le merci poi andrebbero a rilento, non arriverebbero se non in quantità limitate e con ritardi immensi. L'alta velocità non potrà far a meno del sistema satellitare Galileo per la gestione delle percorrenze. Cose ovvie queste, eppure vanno presentate all'attenzione per evitare sempre insorgenti illusioni di autosufficienza.

Abbiamo bisogno degli altri quanto alla mente: abbiamo bisogno di scuole, di università, di insegnanti, e non solo per l'orizzonte professionale, ma per quello umano: l'uomo ha bisogno di essere soddisfatto nelle sue esigenze di essere razionale, ha bisogno di conoscere, ha bisogno di pensare e di ricevere pensiero.

Abbiamo bisogno degli altri quanto al cuore. Un bambino che venisse sempre vilipeso diventerebbe esitante, non sicuro delle sue possibilità, acquisterebbe gravi note di nevrosi. Così pure un operaio, un impiegato, che non ricevesse rispetto, stima sul posto di lavoro, diventerebbe esitante, scontento, sofferente. Sappiamo bene quanto è devastante il mobbing. L'uomo ha bisogno di amare e di essere amato per compiersi.

Vivere insieme per forza è un'agonia. Quante le famiglie dove si sta insieme per forza. Quanti sono gli operai, gli impiegati, che operano nel posto di lavoro per forza.

L'uomo deve vivere con gli altri e perciò è necessario che viva in una situazione di ordine. Senza ordine non c'è risultato, non c'è riconoscimento, non c'è produzione, non c'è scambio di valori umani. Chi dice non obbedisco e neppure comando, dice una stoltezza, suggestiva magari perché sogna che tutto si risolva per amore. Ma l'amore, proprio l'amore esige l'ordine, altrimenti si ha solo il caos e quindi non si ha il bene per nessuno.

L'attività dell'uomo è una realtà ordinata e non potrebbe essere che così perché i risultati per il bene comune si ottengono attraverso vari compiti che vanno coordinati. Non tutti possono essere ingegneri elettronici, o informatici; non tutti chirurghi, non tutti dirigenti. E' necessario che ci sia anche il contadino, l'operatore ecologico (Cosa sarebbero le nostre città se non ci fosse lo smaltimento dei rifiuti?), gli addetti alle pulizie. E' necessario che ci siano i vigili, i poliziotti, e anche i soldati perché le armi sono una dura necessità se si vuole una garanzia di difesa da aggressioni. Dunque non tutti possono avere lavori “in vista”, ma tutti i lavori hanno una loro imprescindibile necessità. Cosa farebbe un chirurgo se il personale delle pulizie non igienizzasse l'ospedale? Niente: infezioni su infezioni. Cosa farebbe il primario di medicina, o di qualsivoglia altra unità ospedaliera, se a mezzogiorno non arrivasse dalla cucina il carrello con i pasti. Cosa farebbe un primario se non ci fosse il servizio di lavanderia? Niente, dopo un po' l'ospedale sarebbe pieno di fetore.

Tutto questo non si esaurisce nel capitolo dell'organizzazione del personale, nella suddivisione dei compiti, nella funzionalità dell'insieme, ma si apre alla necessità di riconoscere che il lavoro, quello umile, quello del dipendente, necessario quanto quello del dirigente, non dà affatto la misura della dignità della persona, la quale si attende sempre rispetto e riconoscimento, e partecipazione sul procedere complessivo di un'azienda attraverso corsi di informazione, chiaro che saranno a livello divulgativo, ma intanto sono necessari perché l'uomo non è soltanto corpo - qui basterebbe la molla dello stipendio mensile - ma ha anche una mente e un cuore.

In un'azienda non ci possono essere astiosità tra i ruoli, ma riconoscimento del ruolo di ciascuno. Il primario, i primari, faranno bene una volta tanto ad andare a dare una stretta di mano agli addetti della cucina, della centrale termica. Non è populismo, ma comunicazione di riconoscimento del valore di ogni lavoro. Non è dare uno spunto improprio per un potere decisionale su di essi, ma solo per rendere soddisfatta l'esigenza a  cogliere la collocazione e l'importanza del proprio servizio dentro il quadro complessivo di un'azienda. Voglio ricordare che Gesù non ha fatto l'architetto, il responsabile di una tenuta agricola, o altro, ma il legnaiolo; legnaiolo, neppure falegname che presuppone un tipo di lavoro più evoluto. Questo esempio di Gesù è un insegnamento a non far coincidere il ruolo di una persona con la dignità della persona. Ma con ciò occorre il più rigoroso rispetto della dirigenza. Se in un reparto non ci fosse un caporeparto ci sarebbe solo la confusione. Se in una stazione non ci fosse un capostazione regnerebbe l'inefficienza e lo scontro tra treni.

Ma ripeto, non tutti possono essere dirigenti, come non tutti possono diventare Papi, o vescovo o Cardinali, o sacerdoti, o fondatori di un istituto, o teologi. Qua si inserisce il concetto di vocazione alla professione, come c'è la vocazione alla vita religiosa. Il buon Dio vede che c'è bisogno di tanti medici, di tanti ingegneri, di tanti poliziotti, e ispira in base alle risorse umane di ciascuno. Ma sappiamo che poi non funziona del tutto così nonostante il vaglio dei concorsi, per la presenza delle ambizioni, delle superbie, per cui uno che non si ritrova i talenti per essere un dirigente, a forza di spinte, di vie traverse, arriva ad occupare il posto che avrebbe dovuto occupare un altro. Un vero guaio che ci riporta al pensiero che non viviamo più nel paradiso terrestre. E' inevitabile incontrare nel lavoro una percentuale di disagio, di sofferenza, ed è qui che si presenta la fecondità della croce di Cristo, cioè la capacità di trarre il bene per l'uomo anche dalle cose cattive. Cosa brutta tuttavia sarebbe presentare la croce senza promuovere la correttezza dei rapporti. La Chiesa desidera che gli uomini vivano in pace e con dignità (1Tm 2,2), non vuole che siano pieni di croci. Ma certo la croce accettata senza astio né maledizione, ma mantenendo nel cuore l'amore, ha un'eredità immensa nel premio di Dio, nella lode che Dio darà a ciascuno sulla base dell'amore che ha saputo dare.

 

Portatori di senso nella realtà del lavoro

 

 

Si lavora non solo perché c'è un buon contratto di lavoro, ma si lavora perché il lavoro è una dimensione fondamentale dell'uomo, perché il lavoro è espressione viva della persona umana. L'azione sindacale per ottenere contratti di lavoro con uno stipendio e un orario in relazione agli utili conseguiti da un'azienda, è una realtà importante, ma non segna un completo approccio al tema del lavoro, anzi oggi di fronte alle strategie aziendali della globalizzazione spesso rimane impotente. Un'azienda può chiudere i battenti e trasferirsi dall'altra parte del mondo, dove la manodopera è a costo limitato, e il personale specializzato si può avvalere dell'automatizzazione e dell'informatica. Non sorprende che gran parte degli scioperi non siano oggi di carattere contrattuale, ma di carattere politico.

Qua si apre il capitolo dell'etica globalizzata, cioè del rispetto delle forze dei popoli per la loro promozione e non per il loro saccheggio. La pace ci avvertiva Paolo VI ha il nome di promozione umana.

L'attenzione allo stipendio, senza l'affezione al lavoro, che è il frutto di una ferita all'uomo nella sua interezza di corpo, mente, cuore, porta alla disaffezione al lavoro. Spesso il lavoro è vittima di un “regresso di senso”, di significato per la realizzazione della persona. Se domandassimo a bruciapelo a un giovane a che cosa serve il lavoro, molto probabilmente risponderebbe dicendo che serve per avere uno stipendio. Manca una spiritualità del lavoro, il che non significa suggerire di riempire il tempo del lavoro di giaculatorie, a cui non voglio certo togliere l'importanza, ma vuole dire essere esemplari, professionali, sociali, motivati, positivi, solidali. Il cristiano non si sentirà allontanato dal suo essere cristiano dall'impegno del lavoro, ma troverà nel suo essere cristiano le ragioni profonde del lavoro, troverà il senso del lavoro e quindi il piacere del lavoro. Le azioni di chi ha il piacere del lavoro non sono identiche a quello che non ha il piacere del lavoro. C'è un animo, un modo che guidano le azioni e le caricano di gradibilità per gli altri e, senza slittare in autocompiacimenti, per se stessi.

Il cristiano ha un grande compito nel mondo del lavoro: quello di portare con l'esempio, il sorriso, la buona parola, la buona novella della liberazione del lavoro dalla frustrazione dell'uomo, dall'avvilimento della sua identità.

Quando si rispetta l'uomo aumenta la produttività. Ma bisogna veramente rispettare l'uomo.

Il sistema paternalistico di tanti e tanti nel passato, non ha prodotto che risultati parziali e alla lunga negativi. Il paternalismo - non la paternità, che è realtà altissima, che va insieme alla fraternità, alla fratellanza, usando un termine laico - è un modo accattivante di mantenere sottomesso l'altro  facendogli credere di essere amato. Il paternalismo è intriso di sufficienza, è un concedersi per prendere, non per darsi. ll paternalismo si basa sulla presenza di doveri morali di chi ha il potere, che però non sono accompagnati da diritti giuridici, nei quali è riconosciuto al cittadino il diritto di partecipazione e critica alla gestione pubblica. Il paternalismo è valido per una società in abbozzo, ma va superato per una società adulta che attua le naturali potenzialità dell'uomo.
 

Detto questo non si può pretendere di avere a che fare con dei santi. Ognuno di noi ha le sue pesantezze, i suoi limiti, i suoi momenti meno felici; la maturità di un uomo sta anche nel comprendere i limiti degli altri senza perdere la pace. Ma va ribadito che occorre paternità vera e fratellanza vera, vera amicizia. Nelle relazioni sociali, segnate dall'amicizia e dalle relazioni professionali, si riversano in analogie socialmente vaste e complesse, le relazioni familiari prodotte dall'unione coniugale dell'uomo con la donna: la paternità, la fraternità, la  maternità con le sue sfumature di premura e tenerezza. Se saltasse la famiglia non si avrebbero più i parametri di riferimento. Scomparirebbe l'influsso sociale della paternità, della maternità, della fraternità. Non si avrebbe più la categoria giuridica del buon padre di famiglia, e pare che già sia stata messa da parte, parlando solo di responsabilità, di rettitudine, e non si potrebbe più avere un termine analogico per definire il Padre che è nei cieli. Ma l'uomo e la donna resteranno, e resterà la famiglia, cioè resterà la creazione, e resterà il lavoro come esercizio dell'essere l'uomo, fatto ad immagine di Dio.

Voglio concludere con le grandi parole di Giovanni Paolo II riprese da Benedetto XVI: “Non abbiate paura. Aprite le porte a Cristo!”. Cristo non fa ombra a ciò che è autenticamente umano, ma al contrario lo illumina e lo eleva.

Speranza certa ci viene sempre da una grande verità: Dio è tanto potente che sa trarre il bene anche dal male. Dunque nessuna paura per le difficoltà di oggi, per il male di oggi.