I consumi
L'equilibrio occidentale, fondato sulla democrazia, è
l'ambito nel quale si attua il mercato, il quale ha le sue leggi nella domanda e
nell’offerta.
Domanda e offerta che producono il vincente o il perdente in
base alla qualità e al prezzo dei prodotti. Chi offre il miglior prodotto al più
basso prezzo è vincente. La linea più seguita attualmente fa coincidere il
meglio con il nuovo, che quindi rende irrimediabilmente obsoleto
il prodotto della concorrenza.
Il consumismo ha bisogno di consumatori, così oltre ai
bisogni di prima necessità e a quelli prodotti dalla modernità, i consumi
vengono indotti sulla base dello sfruttamento
dell'effetto di comparazione: certe persone vengono influenzate dal consumo dei
propri conoscenti, o da colleghi di lavoro, o comunque da persone socialmente
affermate, nella speranza di poter condividere questo loro stato di affermazione
imitandoli nelle abitudini di consumo. In altre parole, certo più pesanti,
è lo sfruttamento del vizio dell'invidia.
E' quanto con sgomento annotava il Qoelet circa 2300 anni fa:
“Ho osservato anche che ogni fatica e ogni successo ottenuto non sono che
invidia dell'uno verso l'altro”. Quando questo male dell'invidia divamperà
meno nel mondo ci saranno certamente dei risvolti economici
positivi poiché si sceglierà il prodotto più
valido, più duraturo anche se meno sfavillante per complessità tecnologia, più
nuovo anche, e calerà il bisogno di prodotti per affermare la propria
superiorità e suscitare invidia.
Il lavorare sull'invidia crea mercato, ma dissolve la
compagine umana ledendo la solidarietà, l'accettazione dell'altro, e fomentando
l'emarginazione dell'altro, l'edonismo, l'insofferenza, cioè corrodendo la
ricchezza uomo, che è alla base degli equilibri sociali.
Non sempre
vince il migliore
Nel libero mercato dovrebbe sempre vincere il migliore, ma
non è così e spesso invece vince il più forte. Mi spiego, il migliore di per sé
è anche il più forte nel mercato, proprio perché è il migliore, ma questo si ha
quando le opportunità di partenza non sono sbilanciate in modo tale che vi siano
delle posizioni di dominanza. Di fatto, però, le cose non stanno così, il più
forte è quello che ha condizioni di partenza di netto vantaggio. Da qui il
rimedio posto dalle leggi antitrust. Ma è ben difficile vigilare su tutti i
favoreggiamenti, gli accordi occulti, lo spionaggio.
La
liberalizzazione del mercato mondiale
Oggi tutto risulta sbilanciato dall'enorme fenomeno della
globalizzazione, della libertà di mercato nel mondo sancita 15 aprile 1994
dall'accordo a Marrakech, in Marocco, (World Trade Organization).
Tutto è avvenuto con una velocità impressionante, che ha
spiazzato gli Stati, i Governi, le strutture sindacali nazionali, diventate in
breve inappropriate a tutelare il mondo del lavoro a livello globale. Le
conseguenze sono enormi. Sappiamo che l'India è diventata in breve un
consumatore di prodotti dell'occidente, ma è anche diventata un produttore che
ha al suo attivo la tecnologia occidentale, e nello stesso tempo una forza
lavoro a bassissimo costo, con la conseguenza di un'esportazione a bassi costi.
L'India avrebbe pronta un'auto che costa 1700 euro, ma non
può offrirla nel
mercato occidentale perché l'industria costruttrice, la Tata Motors, sarebbe
penalizzata e perciò verrà lanciata nel mercato europeo tra un due anni a 5.000
euro per rispondere alle nostre norme di sicurezza e di inquinamento (la Nana ha
un motore piccolo 625 cc. Con 30 CV, ma è inquinante).
Ma il basso costo del lavoro dei paesi che si stanno
affacciando in un'economia di mercato globale,
è da tempo sfruttato dalle imprese che diventate internazionali, attraverso
accorpamenti, fusioni, sanno esprimere grandi abilità strategiche nello
sfruttare le leggi locali favorevoli.
L'agilità di delocalizzazione delle
imprese è facilitata al massimo dalle tecnologie: in un dischetto c'è
tutto il programma di una catena di montaggio.
Il processo che si è innestato non è risolvibile in breve,
anche perché l'operaio orientale al presente vede in genere migliorate le sue
condizioni rispetto al passato e non ha ancora acquistato una diffusa coscienza
del proprio valore contrattuale.
Il
caso Cina, come il caso Russia, si colora ancor più di difficoltà per l'assenza
di democrazia. In Cina esiste l'iniziativa imprenditoriale privata - sotto il
controllo centrale dello Stato che detiene la proprietà - e questa attinge a
masse operaie che fanno capo al sindacato di Stato e che sono
quindi impossibilitate ad
organizzarsi autonomamente. In Cina si hanno continue ribellioni (nel 2007 si
sono contate 80.000 ribellioni di piazza), tutte sedate con la violenza. Il
volto attuale della Cina è precisamente quello di un comunismo capitalista, che
ha adottato l'idea di un primato economico nel mondo. Il suo potere è enorme, si
pensi che circa il 40% del debito pubblico americano è sanato da capitale
cinese.
Il caso Russia, è diverso da quello della Cina, poiché
presenta solo degli inizi di imprenditoria privata (introduzione del diritto di
proprietà industriale). Questa possibilità di imprenditoria privata ha
richiamato investimenti industriali dall'America e dall'Europa, anche in ragione
degli stipendi bassi degli operai. La Russia si trova attualmente bisognosa di
grandi investimenti esteri per rimodernare le sue infrastrutture.
La sua ricchezza è quella energetica (petrolio e gas), ma in
un regime di monopolio di Stato si ha una carenza di istallazione di nuove
tecnologie necessarie per aumentare il potere estrattivo. Ancora mira a
sviluppare il suo potere bellico, risultando una delle due massime superpotenze
militari del mondo. La Russia complessivamente risulta
in svantaggio nello sviluppo economico rispetto alla
Cina e
all’India.
Il mondo arabo trova la sua risorsa maggiore nel petrolio, ma
sta pure sviluppando l'industria e ha enormi capitali investiti in Occidente,
cioè grosse fette azionarie in industrie con interconnessioni nelle borse
mondiali e forte espansione mondiale nel settore dei media.
L'economia è quella che regola la globalizzazione e
addirittura fa dimenticare anche i disaccordi. Tra Egitto e Israele sono
stati stipulati accordi commerciali.
E se vogliamo una notizia proprio da sorpresa, lo storico
grattacielo di New York, il Chrysler Building (319 m.), è di proprietà araba dal
luglio 2008 per il 90% (Abu Dhabi Investiment Council, Emirati Arabi, l'ha
acquistato per 800 milioni di dollari); per il 10% è della immobiliare Tishman
Speyer Properties, che ne controlla la proprietà e la gestione.
La tentazione di fronte ad una globalizzazione fatta sulla
spinta dell'economia è quella di rifugiarsi nelle idee di Adam Smith (1723-1790)
sul liberismo, e di fatto lo si sta facendo.
Due false
profezie
Adam Smith affermava che le leggi del mercato
(domanda-offerta) sono intrinsecamente vere e che se seguite producono ricchezza
e distribuzione della stessa.
Amico di Jean Rousseau, il filosofo del mito del
bon sauvage, Adam vedeva nell'etica morale in campo economico un
moralismo, ma non aveva ragione, poiché le leggi del mercato non possono essere
la guida dell'uomo; esse hanno certamente la loro logica, ma non possono
governare l'uomo, che deve essere invece l'attore e il fine del processo
economico.
La profezia di Adam Smith che le leggi del mercato avrebbero
portato di per sé il bene sulla terra era e rimane falsa.
Falsa pure la profezia opposta, che cioè l'economia di stato
comunista avrebbe portato il bene per tutti.
Il fatto
religioso
Il libero mercato deve avere una visione corretta dell'uomo,
e perciò un quadro etico vero, corrispondente all'essere umano.
Una considerazione corretta
dell'uomo non prescinde mai dal fatto religioso, che
ha sempre una valenza pubblica, e anche quando lo si volesse
relegato a puro sentimento religioso privato avrebbe pur sempre la capacità di
dar il via ad un consociativismo religioso.
Il fatto religioso ha importanza nell'economia.
L'ateismo stesso è una visione religiosa, anche se in negativo, ed esprime una
visione dell'uomo e sostiene un programma da attuare, una sua profezia.
E' interessante per cogliere la connessione tra religione ed
economia (libero mercato) il lavoro del sociologo Max Weber (1905) “L'etica
protestante e il capitalismo”. Max Weber vede nella dottrina protestante
sulla predestinazione, che cioè Dio decide di suo arbitrio di mandare uno
all'inferno e un altro in paradiso indipendentemente da quello che un uomo
faccia (Adam Smith, che poi passò alle idee dell'illuminismo, era di famiglia
presbiteriana, e i Presbiteriani accolgono le tesi di Calvino, che sono crude
circa il predestinazionismo), una causa importantissima dell'affermarsi del
capitalismo.
L'assunto predestinazionista protestante introduce in Dio
un'ingiustizia, un arbitrio inaccettabile, e crea il problema di sapere se si è
predestinati, e ciò deve approdare ad una certezza assoluta. Ora il successo
economico viene inteso come segno della benedizione di Dio e dunque di
predestinazione. L'uomo deve lavorare non si può chiudere nell'ozio, e dunque il
capitalista non può cessare di fare investimenti, di aumentare la sua capacità
produttiva, come il lavoratore di lavorare. Chi non ha successo economico ha un
segno in meno di predestinazione, gli resta l'indefesso lavoro. Accanto al
successo economico, come segno di predestinazione, ci sono le opere buone di
beneficenza, di soccorso alla massa povera. Così il capitalista farà opere di
filantropia, cosa che non coincide con la promozione sociale del povero. Non a
caso Lutero scelse, dopo un prima esortazione ai contadini di sottomettersi ai
principi, di essere contro di loro, che stavano rigettando l'introduzione di
nuovi pesi tributari (M. Lutero, 1523: “Contro le bande brigatesche e
micidiali masnade dei contadini”: Essi devono essere
considerati “al bando di Dio e degli uomini”. Chi li elimina “agisce chiaramente
in modo giusto”. I contadini massacrati furono circa 100.000). Max Weber
dimostra, dati alla mano, che il capitalismo si è proprio sviluppato in terra
protestante, mentre nel mondo cattolico persisteva l'agricoltura e l'avvento
industriale era limitato.
La concezione di un Dio ingiusto, di un Cristo morto solo per
alcuni, non dava più la differenza con le altre religioni.
La famosa frase “La religione è l'oppio dei popoli” di Karl
Marx (1818 - 1883) è l'emblema del rigetto della religione in nome della
terrenità. Credo che sia interessante notare che il padre di Marx era il rabbino
di Treviri (Germania), poi convertitosi nel 1817 alla chiesa Luterana, portando
nella sua scelta anche i figli. Tutto ciò per l'opportunismo di sottrarsi
alla pressione antiebraica dello stato Prussiano di Federico Guglielmo III. E
credo sia interessare sapere che il padre di Marx guardasse con grande simpatia
all'illuminismo francese avendo a cuore personaggi come Voltaire e Rousseau,
proprio personaggi frequentati da Adam Smith.
Se il capitalismo aveva carta libera in terra protestante, in
terra cattolica non ebbe subito un argine, poiché tanta predicazione del tempo
presentava alle masse lavoratrici, certo, un Cristo che muore per tutti, ma che
chiedeva la rassegnazione di fronte all'ingiustizia, trascurando di presentare
con chiarezza come la giustizia è un diritto elementare che va difeso, e che la
carità portata da Cristo per affratellare gli uomini non offusca il diritto di
reagire nell'ordine, con mezzi pacifici, con la forza associativa,
all'ingiustizia. Sarà l'enciclica “Rerum novarum” (1991) a porre in chiarezza la
dottrina della Chiesa circa la proprietà privata, il diritto alla giusta
retribuzione, il diritto di associazione dei lavoratori per il confronto
contrattuale e quindi i sindacati, liberi però dall'ideologia atea socialista e
attenti al magistero della Chiesa.
Le
encicliche sociali della Chiesa: un cammino di presenza costante
La “Rerum novarum” rappresenta il fondamento della dottrina
sociale della Chiesa, che si è arricchita di vari documenti: la “Quadragesimo
anno” di Pio XI (1931) dove vengono riaffermati i punti della “Rerum novarum” di
Leone XIII guardando alla situazione del comunismo sovietico e alla crisi
finanziaria del 1929; la “Pacem in terris” di Giovanni XXIII (1963) dove viene
presentata l'unità della famiglia umana, il bene comune da perseguire, la
necessità di un'autorità politica mondiale; la “Populorum progressio” di Paolo
VI (1967) dove viene affermato che la pace passa attraverso la cooperazione tra
i popoli e la promozione dei popoli sottosviluppati; la “Octagesima adveniens”
di Paolo VI /1971) che tocca i temi delle comunicazioni sociali, del ruolo della
donna, dell'ecologia, delle discriminazioni sociali; la “Laborem exercens” di
Giovanni Paolo II, dove il lavoro viene visto come vocazione dell'uomo ad essere
concreatore in amoroso ascolto e dipendenza da
Dio, così il lavoro viene sottratto all'essere semplicemente
“fonte di reddito”; la “Sollecitudo rei
socialis” di Giovanni Paolo II (1987), che riprende a 20 anni di distanza la
“Populorum progressio”; la “Centesimus anno” di Giovanni Paolo II (1991) che
commemora il centenario della rerum Novarum rilanciandone la dottrina nei nuovi
contesti, tra i quali la caduta del muro di Berlino (1989) e la riunificazione
della Germania (1990), la “Caritas in veritate” di Benedetto XVI (2009), dove si
afferma che la carità è la via maestra della dottrina sociale della Chiesa, e
che lo sviluppo ha bisogno di verità senza la quale “l'agire sociale cade in
balia di privati interessi e di logiche di potere, con effetti disgregatori
sulla società”.
Breve
sintesi dei punti della dottrina sociale (Cf. Compendio della dottrina sociale
della Chiesa, del Pontificio consiglio della giustizia e della pace, ed.
Vaticana, 2005)
La dottrina sociale della Chiesa presenta così dei punti ben
precisi: il diritto di proprietà, accessibile a tutti, e quindi il no al
monopolio assoluto di proprietà del territorio nazionale da parte di uno Stato
(Russia e Cina); la destinazione universale dei beni della terra, che impedisce
che il diritto di proprietà sia un fatto assoluto ed intoccabile, come nel
sistema liberista; il bene del capitale che ha
il compito di permette la formazione delle strutture per la produzione della
ricchezza e di creare posti di lavoro; il bene comune, che è garanzia di una
distribuzione giusta delle ricchezze prodotte; l'azione regolatrice dello Stato
che tutela i lavoratori con gli ammortizzatori sociali di fronte ai
ridimensionamenti aziendali, ai cambi di strategie e di fronte alle sconfitte
dei mercati; le strutture sindacali per dare forza
contrattuale ai lavoratori; la presenza dei corpi intermedi, che agiscono
indipendentemente dai meccanismi di mercato e che occupano aree di intervento
sociale in modo complementare allo Stato. I corpi intermedi di volontariato si
possono costituire ed essere socialmente utili impegnando il tempo dei
lavoratori pensionati. Esempio ne sono le
società onlus che coniugano armonicamente efficienza produttiva e solidarietà, e
che meritano perciò il 5 per mille di detrazione dell'imponibile fiscale di un
cittadino interessato a questo.
La
competizione di mercato
La competizione di mercato ha bisogno di creatività e di
cooperazione industriale ai fini di un prodotto di qualità e di basso costo.
Oggi tuttavia questo ideale conosce delle impressionanti perturbative date da
una globalizzazione che ha sorpreso le autorità locali degli Stati, trovatisi in
condizioni di debolezza di fronte all'azione delle multinazionali, che producono
ricchezza, ma purtroppo per pochi, creando così i presupposti per disordini
sociali e dure repressioni.
Ma l'uomo autentico non fugge da queste cose ma come un buon
timoniere che regola la nave in mezzo ai flutti e ai venti,
rimane al proprio posto in completa onestà.
Nella competizione imprenditoriale occorre avere il senso
della responsabilità, che si configura non solo come virtù individuale, ma come
virtù sociale.
Con la responsabilità sono coinvolte molte virtù: la
diligenza, la laboriosità, la prudenza nell'assumere i rischi, l'essere
affidabili e fedeli nei rapporti interpersonali, l'affezione all'azienda.
L'affezione all'azienda va difesa, non va minata innestandovi
la lotta di classe. L'affezione all'impresa fa parte dell'affezione al proprio
lavoro. Ovviamente, tale affezione va promossa con un trattamento dignitoso del
personale. I quadri dirigenti devono essere operatori di solidarietà.
Chi possiede alte qualità di dirigenza e di progettualità ha
tuttavia il diritto di passare ad altra azienda per cercare condizioni migliori
di lavoro, di opportunità nella ricerca, da qui lo stimolo a trattenere “i
cervelli”. Ma voglio dire ci sono dei “cervelli” che preferiscono restare per
sollevare un'azienda, sentendo questa vocazione.
Nel libero mercato bisogna saper perdere e saper vincere. Ad
una sconfitta non deve corrispondere il disfattismo, ma una rinnovata
compattezza perché si può vincere ancora. Se si vince non si deve stravincere
cercando l'eliminazione dell'avversario, ed è qui che lo Stato deve saper
sostenere, se opportuno, un'azienda altrimenti si formano blocchi di potere.
Gli articoli 87 e 89 della Costituzione Europea vietano
gli aiuti di Stato, ma prevedono pure
(paragrafi 2 e 3) degli interventi, che non turbando la libera concorrenza con
la creazione di situazioni di dominanza, possono aiutare un'azienda, o un
settore, in difficoltà a ritornare competitiva, rigorosamente con il propri
mezzi. Tali aiuti sono aiuti temporanei e proporzionati, controllati da
una Commissione. La Costituzione Europea
prevede pure aiuti di Stato per le regioni meno sviluppate. Prevede
inoltre stanziamenti europei per programmi di
interesse comunitario. Il piano Jaques Delors ha stanziato 500 miliardi di euro
da spendersi nelle infrastrutture europee, in particolare il 40% per le
ferrovie. La TAV italiana ha quindi al suo attivo parte di questo stanziamento
europeo.
L'uomo: una
persona
Come si vede, la democrazia occidentale è riuscita ad
elaborare un sistema di giustizia economica, che al presente è tuttavia minato
da una globalizzazione che procede solo su base economica creando
disarticolazioni sociali, come si può notare
dal fatto che la ricchezza mondiale è cresciuta, ma nello stesso tempo sono
cresciute le aree di povertà. Ci si aspetterebbe un abbassamento demografico in
queste aree, ma non è così esse nei prossimi dieci o venti anni produrranno un
innalzamento demografico di 2 miliardi di persone. E perché? Perché le nascite
vengono considerate una sicurezza in un contesto di mancanza di presenza dello
Stato. Ne nasce un aumento enorme di persone che premeranno per un accesso al
benessere, ma purtroppo anche riserve immense di manodopera da sfruttare.
Cosa fare? Intanto dobbiamo rimanere uomini, leggere gli
uomini come “persone” e non tanto come “individui”. Individuo e persona
ovviamente non sono due cose separate in un uomo, ma c'è una distinzione di
significato. “Individuo” dice l'essere uno, mentre “persona” dice la dignità di
quell'uno, la sua vocazioni intrinseca alla relazione, all'apporto partecipativo
nelle attività. Di solito si dice: “L'individuo del quale bisogna rispettarne le
caratteristiche di essere libero, razionale, capace di relazione”, ora tutte
queste specificazioni sono contenute in una sola parola: “persona”. “Persona”
dice anche “individuo”, ma “individuo” non dice immediatamente “persona”.
Rimaniamo dunque persone, che agiscono come tali avendo a
cuore il bene.
Inutile sarebbe rifugiarsi in una romantica capanna
aspettando che il processo nel quale viviamo si componga in equilibrio etico.
Dobbiamo fare la nostra parte, sapendo che il futuro comincia anche con il mio
presente. Neppure dobbiamo sognare un'epoca millenaristica, ma rimanere nella
realtà consapevoli che il bene dovrà essere
sempre perseguito e prodotto.
Voi sarete interessati a sapere che cosa c'entra un frate in
economia. C'entra, eccome! Intanto con la preghiera, l'incoraggiamento a
perseguire il rispetto dell'uomo; ma c'entra anche come costante testimone dei
beni dello spirito, e dell’esistenza di una
meta eterna e felice che non può mai essere dimenticata e preferita
all'orizzonte terreno.
Traccia
bibliografica
Emmanuel Mounier: “Rivoluzione personalista e comunitaria”
(1935), ed. Comunità, Milano, 1949.
Jacque Maritain: “La persona e il bene comune”(1946),
ed. Morcelliana, Brescia, 1993.
Emile James: “Storia del pensiero economico”(1959),
ed. Garzanti, Milano, 1963.
Stefano Zamagni: “Non profit come economia civile”,
ed. Il Mulino, 1998, Bologna.
Peter D. Groenewegen, Giovanni Vaggi: “Il pensiero
economico dal mercantilismo al monetarismo”, ed. Carrocci, Roma, 2003.
Simona Di Ciaccio: “Il fattore relazioni interpersonali,
fondamento e risorsa per lo sviluppo economico”, ed. Città Nuova, Roma,
2004.
Pontificio Consiglio della giustizia e della pace: “Compendio
della dottrina sociale cattolica”, ed. Vaticana, Roma, 2005.
Giulio Tremonti: “La paura e la speranza”, Oscar
Mondadori, Milano, 2008.
Benedetto XVI: “Enciclica: Caritas in Veritate”, ed.
Vaticana, Roma, 2009.
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