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Salvator Mundi
Katia La Rosa, nata a Milazzo, ha conseguito la Laurea Magistrale in Scienze Economiche. Giornalista specializzata nel settore dell’informazione pubblica e privata. Dal 2007 collabora con il Parlamento. Al servizio del Senato della Repubblica, nell’ambito della comunicazione e dell’informazione, ha prestato la sua opera presso l’Ufficio Valutazione Impatto. Attualmente ricopre il ruolo di membro del Consiglio di Amministrazione del gruppo quotato Olidada SPA. Nel settore giornalistico collabora con la rivista dello Stato Maggiore di Difesa del Ministero di Giustizia. La sua carriera è anche rivolta al mondo accademico, dove riveste l’incarico di docente di “Teoria e Tecnica della comunicazione di Massa” e “Sociologia Generale, in atenei E-Learning" (Vedi pag. 10; libro “Salvator Mundi”).
Il testo SALVATOR MUNDI, Manifesto per la Pace, è stato redatto a cura di Katia La Rosa, fondatrice dell’omonimo movimento; e mi è giunto tra le mani a seguito di una visita a Loreto della qualificata Collaboratrice della rivista dello Stato Maggiore della Difesa, e di un gruppo (circa 10 persone) aderente al movimento “Salvator
Mundi”, da lei fondato, nel quale spiccava il vicepresidente della Camera dei Deputati, Giorgio Mulè; questo il 22 Ottobre 2023. ll testo, non di pubblica divulgazione, edito da
Publiscoop, raccoglie interventi di valore, di varie competenze, nella prospettiva della pace.
L’accoglienza venne fatta da un frate, che recitò una preghiera alla Madonna, come di consueto.
Al frate venne data una copia del Manifesto per la Pace da consegnare al Vescovo, assente.
Nel testo si parla del “Salvator Mundi”, ed è ovvio l’interesse della Chiesa che da 2000 anni testimonia Gesù Cristo; Gesù, conosciuto a Nazareth come
il figlio del falegname (Mt 13,55; Lc 4,22), o anche il falegname (Mc 6,3), di un paesello della Galilea, e che venne ucciso su di una croce come un agitatore del popolo.
“Il falegname”, eppure di lui si continua a parlare. Lui, non quale falegname, ma Figlio di Dio, incarnatosi nel grembo verginale di Maria per potenza dello Spirito Santo.
“Figlio di Dio”, e se non fosse così come si spiegherebbe la sua presa bimillenaria sui popoli?
Di lui si parla per un’ininterrotta testimonianza che parte dai Dodici e dai 72 discepoli, che ne annunciarono il regno, regno dei cieli. Furono i Dodici ad annunciare Cristo morto e risorto; e la Chiesa era già prima che venissero scritti i Vangeli (I sec.). La Chiesa, già in azione dall’uscita dei Dodici dal Cenacolo; ben presto ricca delle lettere di Paolo, Pietro, Giovanni, Giacomo, Giuda, nonché dei Vangeli Canonici, continuamente citati dai Padri della Chiesa.
Ma chi è il “Salvator Mundi” per il Manifesto per la Pace?
Non può essere una risposta facile perché la presentazione teologica del libro sul “Salvator Mundi” è molto stringata: “La mia speranza è che l’esempio del Salvator Mundi: Un Dio che ha scelto di morire come uomo, rappresenti la vera redenzione sia nell’animo umano, che nel cuore del mondo!” (Katia La Rosa; pag. 10). Tuttavia, a questa stringata presentazione vanno aggiunte significative assenze di verità su Cristo. Manca il Figlio Unigenito di Dio, nato, secondo la natura umana, da Maria per potenza di Spirito Santo; manca la Trinità; manca la Risurrezione
fisica di Cristo; manca la Chiesa fondata da Cristo.
Poi, ci sono posizioni sul rapporto tra fede e scienza, non ben meditate e calibrate. Infine il
simbolismo iniziatico connesso a una statua di legno raffigurante Cristo.
Con tutte queste assenze di verità su Cristo, il “Salvator Mundi” del
Manifesto per la Pace, può essere avvicinato alla concezione dei
Vangeli gnostici (apocrifi eretici; II e III sec.), dove si ha l’uomo Gesù, al quale l’Essere divino si è unito al momento del Battesimo nel Giordano, abbandonandolo poi al momento della morte, così da non risultare salvatore se non per la conoscenza da lui comunicata (gnosi).
Ripeto, si avvicina perché se la morte di Gesù è la morte di
un Dio come scrive Katia La Rosa “Un Dio che ha scelto di morire come uomo”, dovrebbe esserci la menzione della Risurrezione, immancabile segno glorioso della vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte.
Considerando il parallelo con la dottrina gnostica, il Salvator Mundi risulta un uomo particolarmente unito all’Essenza divina, e
divinizzato per questo; precisando che non è l’Essenza divina, cioè Dio, che si è incarnato in una natura umana perché siamo
nel pensiero antitrinitario del Modalismo (Fine sec II e IV),
La sua morte nel Manifesto per la Pace è dovuta alla sua dedizione all’uomo, e questo è vero, ma non è vero che ciò abbia il contenuto del solo esempio.
Il “Salvator Mundi” appare così gnosticizzante. Se sto sbagliando qualcuno mi dica che le verità assenti su Cristo, lo erano solo
incidentalmente, per distrazione.
Il “Salvator Mundi” risulta il “Figlio adorato” della “Vergine Madre” (Invocazione per i naviganti. Pag. 32), ma non l’Incarnazione della seconda Persona della Trinità, cioè il Verbo, il Figlio unigenito del Padre.
Il termine “Vergine Madre”
non è spiegato, ma non si connette al concepimento verginale ad
opera della potenza dello Spirito Santo (Lc 1,35), per cui viene
intesa solo l’integrità morale della Madre.
In tale concezione,
Gesù non sarebbe il centro della storia, ma solo uno tra i tanti
iniziati; il più Grande, il Principe di quelli giunti a una
conoscenza superiore delle congiunzioni tra Dio, il mondo e l’uomo.
Gesù iniziato e iniziatore, non è diventato tale in un
momento successivo alla sua nascita, ma nella stessa nascita da Maria,
donna moralmente alta. Questo apre al pensiero che l’anima di Gesù
non sia stata creata nel concepimento, nel grembo della Madre, e perciò
sia preesistente. La preesistenza dell’anima di
Gesù avrebbe un chiaro antecedente in Edouard Schuré. Per tale autore
l’anima dell’uomo Gesù è un’anima preesistente in cielo,
attratta da Maria a venire in terra per mezzo del suo grembo. (Cf. “I
Grandi Iniziati”; Edouard Schuré. Ed. Laterza, 1906, pag. 400-401:
“L’anima chiamata ad una missione
divina proviene da un mondo divino: essa agisce liberamente e
coscientemente; ma perché possa entrare in scena nella vita terreste
occorre un vaso prezioso, occorre una madre superiore”).
Con la preesistenza lo stringato appunto teologico del “Manifesto
per la Pace” (“Un Dio che ha
scelto di morire come uomo”) pone
Gesù quale Dio, in ragione dell’anima preesistente in “un
mondo divino”. Ciò risulta in
accordo col fatto, già visto, che, nella formula non si accenna alla
risurrezione fisica di Cristo dalla morte, cioè in un corpo
numericamente uguale a quello nato da Maria. Si ha dunque un
dualismo tra anima e corpo, e non un sinolo anima-corpo,
cioè una unità sostanziale, e questa è anche la verità Biblica.
Con il dualismo si sfocia, seguendo i filosofi dualisti, quali
Pitagora, Empedocle, Platone, nella dottrina della reincarnazione.
Dottrina che Aristotele considerò di derivazione mitologica, perciò non
proveniente dalla ragione.
Considerare una conoscenza di Edouard
Schuré (1841 - 1929) in Katia La Rosa non è una cosa campata in aria;
infatti, le prime righe dell’introduzione di Edouard Schuré (“I
Grandi Iniziati”) toccano il tema scienza e religione
presente in Katia La Rosa: “Il più
gran male del nostro tempo è che la scienza e la religione vi appaiono
come due forze nemiche e irriducibili”;
e l’autore prospetta che saranno nel futuro unite, anzi fuse in una
forza viva: “La scienza
[sperimentale] e la religione, fuse nuovamente [come nel legame
primordiale dell’antica teosofia - India, Egitto, Grecia -] in una forza
viva, lavoreranno insieme di comune accordo per il bene dell’umanità”.
La medesima speranza si trova nella “Lettera all’uomo” (vedi
più sotto): “La storia insegna che
l’umanità ha sempre trovato la forza di superare le sfide più ardue, e
questa non sarà un’eccezione. Rifletti: la mia presenza è una scelta, un
impegno che richiede coraggio e dedizione (…). Ricorda oh uomo, il vero
miracolo sei tu nella tua capacità di scelta e nella possibilità di
fondere il cuore con la mente, lo spirito con la materia, la fede con la
scienza per contemplare quell’eterna architettura universale, di cui fai
parte e il cui “sapere” coincide con l’”amore”, fin dalle origini dei
tempi. Non disperdere la grazia che ti è stata concessa, perché io, non
ho smesso di credere nei miracoli e nella grandezza del tuo essere
“umanità” in questa terra”.
Katia La Rosa ha usato, nella sala Conferenze della Camera dei Deputati, parole di afflato risorgimentale connesse alla sua iniziativa “l’Italia in un abbraccio” (25 marzo 2023): “L’Italia in questo particolare momento storico, si unirà in un abbraccio, per esaltare l’identità nazionale. Oggi serve, solidarietà autentica, mobilitazione e coesione nazionale. Un patriottismo sociale, capace di abbracciare l’intera umanità (…). Per fondare un nuovo risorgimento e unire i popoli in una rete di filantropia”.
Patriottismo e filantropia sono termini che si trovano condivisi dagli ideali del Risorgimento; oggi Katia La Rosa ancora li usa, quando ci sono altri termini contemporanei, quali difesa della Nazione, o della Patria [Termine destinato a restare, col suo conseguente
Patrioti: difensori della Patria], solidarietà Nazionale e tra i Popoli, promozione umana, regole internazionali, scambi culturali e commerciali.
Filantropia è, in particolare, un termine collegato alla beneficenza, al mondo dei ricchi, e non proprio alla
promozione dei Popoli, e francamente non è, nel suo significato corrente, pienamente cristiano.
Katia La Rosa, di educazione cattolica, lasciò per molto tempo la vita di preghiera; la ricominciò, ormai vagamente connessa con la sua formazione cattolica, durante la pandemia, pregando Gesù (Intervista Sat 2000, 30 novembre 2023)
Il movimento “Salvator Mundi” non si appoggia a nessuna professione cristiana esistente, e vuole essere originale.
Il movimento si presenta animato da altruismo universale, da ricerca della pace da trarre dal profondo dell’uomo e da attuare con il libero arbitrio, indirizzato nel giusto senso. Il movimento vuole essere
le mani del “Salvator Mundi”, per un mondo pacificato in un amore universale, avente come riferimento
simbolico la statua donata a Katia La Rosa da un restauratore di Genova: un
Cristo senza le mani. La statua di legno era originariamente ad Alessandria, ma travolta da un’alluvione (1998) venne recuperata solo in pezzi, senza ritrovare le mani. Katia La Rosa la scoprì casualmente mentre era nei vicoli di Genova (8 giugno 2023). Quasi sperduta nei vicoli si trovò davanti a una porta senza alcuna insegna. Vi entrò senza che ne avesse una ragione e si trovò dinanzi la statua di un
Cristo senza le mani. La abbracciò dicendo: “Saremo noi le tue mani” (Sat2000, 30 novembre 2023),
cioè la tua carne in terra. Ritornò per acquistarla, ma ebbe di più: il restauratore gliela regalò.
Va detto che a Genova si trova, nella Chiesa di San Pietro in Banchi, una statua di Cristo senza le mani. È un calco, per una statua in bronzo, rappresentante il Cristo senza le mani, spezzate incidentalmente nel laboratorio di un marmista. Accanto alla statua c’è la scritta di un anonimo fiammingo del XV sec, “Cristo non ha più mani ha soltanto le nostre mani per fare le sue opere”; poi l’anonimo compositore procede con
i piedi e con le labbra: per raccontare di sé agli uomini di oggi”.
La foto del busto di questo Cristo della chiesa genovese, ha trovato posto sulla copertina del testo “Salvator Mundi”. Ciò fa comprendere da dove Katia La Rosa abbia preso l’espressione: “Saremo noi le tue mani” (Sat2000).
Altro riferimento iconografico del movimento è il dipinto di Leonardo da Vinci “Salvator Mundi”, oggetto di dibattito critico circa la sua autenticità, ma che dà la possibilità a Katia La Rosa di accostare nella persona di Leonardo
la fede e la scienza. “L’immagine del “Salvator Mundi” rispecchia ed interpreta la conoscenza umana e la sua relazione con il divino. Il dipinto, che fonde genialità scientifica con il messaggio di speranza e di redenzione offerto da Cristo, è un ottimo punto di partenza per dimostrare come scienza e fede possano convivere in armonia, quali pilastri fondamentali per la salvezza del mondo”
(Pag. 10). Ancora Katia La Rosa parla della ragione e della fede citando
Pascal: “‹Il cuore e la mente -
sosteneva Blaise Pascal -, la fede e la ragione sono intimamente
connessi›; (Katia La Rosa
prosegue)
e solo attraverso il loro equilibrio si
può raggiungere una verità superiore e una comprensione più profonda
della realtà”. Giusto, ma non si
tratta di equilibrio tra due spinte, per una verità
superiore. Per Pascal la fede è autentica fede e la
ragione non è debilitata ragione. Non fideismo e non
filosofismo, che messi insieme creano astruserie. Katia La Rosa
cita pure Albert Einstein: “La
scienza senza la religione è zoppa, la religione senza la fede è cieca”.
(Ndr. Dal saggio Religione e scienza, Einstein 1930). Katia La Rosa,
a seguito della citazione, dice che è “necessario
un approccio equilibrato tra la razionalità della scienza e la
spiritualità della fede” (Pag.
10). Einstein ebbe come religione una religione cosmica
dettata dallo stupore dell’uomo di fronte all’ordine e alla
intelligibilità scientifica del creato, senza alcuna pretesa di accedere
al tutto del suo mistero. Ma pur non dichiarata zoppa la sua
religione, fu invece molto zoppa, perché non intese che la
religione (ebraica e cristiana) sono la testimonianza dell’azione di Dio
nella storia, il segno del suo amore per l’uomo.
Katia La Rosa parla di “spiritualità
della fede”, che non è un sentire
religioso, da equilibrare con la ratio della scienza, ma l’azione
spirituale con la quale la fede - realtà soprannaturale - opera in
concomitanza con l’intelletto; e nella traduzione in realtà di vita, con
la volontà. Così non si ha il precipitare della fede nel fideismo;
come, per viceversa, negando il soprannaturale della fede, si ha il
piombare nel filosofismo.
Non si tratta di
equilibrio tra forza della religione e forza della scienza, ma di
cammino in Cristo, che non aliena la realtà umana, e perciò le lascia la
sua vocazione a conoscere e a dominare le cose della terra,
rispettandola (Gn 1,28; 2,15).
Per Katia La Rosa la fede trova
il suo equilibrante nella scienza impedendo una cultura
oscurantista, chiusa; ma non è affatto così, se non per menti
grette, statiche, bloccanti l’apporto del succedersi delle generazioni.
Avere fede non vuol dire acquisire debolezza di mente,
ma, tutto il contrario, vigore di mente. Anzi non è la fede ad
avere bisogno, per essere, della scienza, ma la scienza - nel suo piano
specifico - ha bisogno della fede, accompagnata dalle prove di
credibilità (miracoli, eroicità di virtù, ecc.), per non dare il via a
opere di corruzione e di morte, e spazio a ipotesi poggianti sulle
nuvole mentali.
Fede e scienza sono indubbiamente
congiunte nella promozione del bene dell’uomo, tuttavia sono su piani
diversi. La fede si trova di fronte a una rivelazione; infatti se ciò
che è rivelato fosse raggiungibile dalla sola ragione, non ci sarebbe
bisogno della fede. La scienza invece procede per ricerca e per
verifica, per sperimentazione, per essa basta l’intelligenza umana.
Scienza e filosofia sono un tema importante per conoscere
l’uomo e il suo agire, ma nel Manifesto per la Pace non è
presente, neppure quando cita (Pag.10) Blaise Pascal, avendone
l’opportunità di parlarne. Infatti per Pascal la ragione trova
il suo atto nel pensiero filosofico e, in campo distinto, nella scienza,
per poi nella fede diventare teologia.
Subito va detto
che quando Aristotile riteneva che la fisica e la
metafisica appartenessero a un medesimo tipo di sapere, creando con
ciò un’ipoteca che pesò fino a Galileo, la scienza sperimentale
c’era. Era scienza sperimentale il valutare i metalli, circa la loro
estrazione, la loro fusibilità, la loro purità, il loro impiego. La
scienza sperimentale c’era nella medicina, nella ricerca di farmaci
tratti dalle erbe o da minerali, e provandoli, sperimentandoli. C’era
nella chirurgia, purtroppo a spese degli schiavi. C’era nella ricerca
dell’efficienza bellica delle armi. C’era nell’astronomia attraverso
l’osservazione dei fenomeni celesti, la loro frequenza, il loro
andamento.
Scienza e filosofia sono entrambe espressione
della ragione umana, che è una, sia che elabori la scienza o
che sviluppi la filosofia; sia l’una che l’altra riconoscono
l’intelligibilità del reale. La scienza esamina come avvenga un dato
fenomeno indagandolo attraverso l’esperimento (provando e riprovando);
viene a riconoscere leggi, caratterizzate dall’essere costanti,
esprimendole poi in termini quantitativi, cioè matematici;
senza con ciò pensare di ridurre tutto a matematizzazione, poiché
esistono anche le qualità delle cose. La filosofia comincia
sempre dall’esperienza, dal contatto con la realtà delle cose e con l’intuizione
astrattiva coglie nelle cose le nozioni di ente, di divenire, di
sostanza, di causa, ecc. Quanto alla filosofia, ogni uomo,
inevitabilmente per il suo stesso essere razionale, pur in modo
embrionale, ha un pensiero filosofico, metafisico,
chiamato a svilupparsi. Lo scienziato inevitabilmente ha il concetto di
ente, di divenire, di causa, di non contraddittorietà, ecc. Il
filosofo, poi, inevitabilmente se vuole vivere, si trova a contatto con
la scienza, e la pratica o l’apprezza nei risultati, frutto di altri.
Giungere a vedere sul campo quali sono i semi migliori da piantare, e li
si seleziona, migliorando i raccolti. La profondità delle arature,
l’efficacia delle concimazioni, l’alternanza delle culture, sono frutto
di sperimentazioni sul campo. Pure il filosofo ha il sentore che ci sono
variazioni di pressione atmosferica concomitanti con le fasi lunari, o
il vento, e conclude che hanno ragione quelli che dicono che è meglio
travasare il vino o imbottigliarlo in certi momenti. Oppure si trova
sgomento nel vedere marcire il suo cibo, e così ricerca quale sia il
modo migliore per conservarlo per qualche tempo, e quindi conviene che è
ottima una ghiacciaia con la neve, o l’acqua gelida del pozzo, oppure la
bollitura. Questo è rivolto a scopi pratici, ma il filosofo vorrebbe
pure sapere come funziona la luce. Certo, non sapendolo dice che la luce
ha la “virtus illuminativa”, ma comprende che ha detto solo che
essa ha la caratteristica di illuminare, e non può accontentarsi di
questo, anche se, e saggiamente, deve pensare che ci sono cose alle
quali non può accedere se non fino a un certo punto. Così non può
accontentarsi di dire che un certo infuso per il sonno ha la “virtus
dormitiva”,
ma cercare di spiegarsi perché accade questo, senza pretendere ancora di
potere svelare tutto il mistero chimico fisiologico. Questa ricerca
è la ricerca della comprensione delle cose e fa parte dell’attività
dell’uomo. Nel libro della Genesi (2,16) si legge che Dio diede da
mangiare di tutti gli alberi del giardino, tranne uno, lo sappiamo.
Tutti gli alberi; ossia conoscere i misteri del creato, senza la pretesa
di venire a capo di tutto (Qoelet 3,11). Tutti gli alberi, fuorché
quello della conoscenza del bene e del male, poiché il male non
emancipa, ma lega, asservisce, fa perire.
Al termine del libro manifesto c’è una lettera all’uomo di Katia La Rosa, sotto la veste di una personificazione della pace.
Mio caro uomo,
sono la pace, quel desiderio che tanto brami nei momenti più complessi della tua vita. Nella mia intangibilità, puoi ascoltarmi, attraverso la voce della tua coscienza e vedermi, come proiezione delle tue azioni.
Tuttavia, nonostante la tua indifferenza, non ho perso la fiducia nella tua specie. Credo fermamente, che tu possa cambiare, evolvere e riscoprire quel senso di umanità che ti ha sempre contraddistinto, per la tua capacità naturale. Si. Perché tu uomo, puoi generare la vita. Ti è stato concesso il dono più prezioso, che però spesso hai calpestato usando impropriamente il tuo libero arbitrio, perché procreare, non significa sopprimere. Nonostante gli sforzi e i progressi, il mio abbraccio non avvolge ancora tutti gli angoli della Terra. Mi dispero fortemente, nel vedere ancora e ancora, vittime innocenti, bambini, che avevano una speranza, ma che tu oggi, continui a sacrificare sull’altare di volgari interessi economici.
Con le tue azioni, sei riuscito a scalfire il mio equilibrio e a farmi provare il dolore più grande. E sai perché? Ho visto tutto il male, che hai perpetrato e che, nonostante tutto, sei ancora in grado di commettere. Ti prego fermati!
È giunto il momento, che tu riconosca l’importanza di agire con responsabilità e amore verso il prossimo e il nostro pianeta. Sono stata plasmata dall’amore divino, e persevero ancora nel credere nella tua capacità di redenzione, ma soprattutto nella tua forza di riscatto. Per questo, oggi, mi appello ancora una volta alla tua coscienza, perché tu possa ritrovare quel senso di umanità ormai perduto. Mi rivolgo a te con lo stesso cuore di una madre, per farti comprendere quanto sia preziosa la mia presenza nella tua vita. Sono la sicurezza di quel rifugio, che ti farà crescere lontano dai mali della vita, il sereno respiro della consolazione, l’abbraccio che stringe a sé un’anima fragile e il segno della riconciliazione dopo un dissidio.
Mio caro uomo, ti prego di guardare dentro di te. Non permettere che l’odio, l’indifferenza, la sete di potere o il timore del diverso, allontanino il tuo cuore dalla fede e dal bene sovrano. È per questo motivo che mi sto sforzando di parlare anche attraverso le voci di coloro che lottano per la giustizia e l’affermazione di valori che, anche tu sai di essere universali. Sono proprio queste voci, che possono risvegliare la tua anima. Lo spirito ti darà la forza e la convinzione per scegliere e superare ogni difficoltà e la conoscenza ne illuminerà la sua giusta direzione.
Ti prego, uomo, riconosci il tuo valore abbracciando il cambiamento. Sii artefice del tuo destino. Ogni individuo ha un suo ruolo cruciale da svolgere, e il tuo contributo, per quanto piccolo possa sembrarti, è indispensabile. Non permettere che la paura e l’incertezza ti distolgano dal tuo cammino. La storia insegna che l’umanità ha sempre trovato la forza di superare le sfide più ardue, e questa non sarà un’eccezione. Rifletti: la mia presenza è una scelta, un impegno che richiede coraggio e dedizione.
Mio caro uomo, desidero infine rammentarti, tre semplici parole, che non devi pronunciare, ma semplicemente vivere: “Ama, dona e perdona”.
Ama
Senza riserve, perché oltrepassare le barriere significa vedere l’altro come un’estensione di noi stessi;
Dona
Senza limiti, perché la vera ricchezza sta nella condivisione;
Perdona
Senza condizioni, perché il cuore non batte solo per amare, ma anche per perdonare.
Che la nostra storia, dunque, sia scritta su queste tre parole, e che il nostro futuro sia un’ode al coraggio di quel popolo, che è stato capace di riscattarsi con la fede e con la forza della conoscenza.
Perché, ricorda oh uomo, il vero miracolo sei tu nella tua capacità di scelta e nella possibilità di fondere il cuore con la mente, lo spirito con la materia, la fede con la scienza per contemplare quell’eterna architettura universale, di cui fai parte e il cui “sapere” coincide con l’”amore”, fin dalle origini dei tempi. Non disperdere la grazia che ti è stata concessa, perché io, non ho smesso di credere nei miracoli e nella grandezza del tuo essere “umanità” in questa terra.
La tua pace.
(Katia La Rosa)
La composizione invita al cambiamento in un tempo di tristezze. È un invito a guardare se stessi, le situazioni, in un’unità di intenti con gli altri, accogliendo le varie competenze, per unire il sapere scientifico all’amore, il che è cosa buona, se non che bisogna intendere cos’è l’amore di cui parla Cristo.
La lettera presenta una personificazione della pace e il genere letterario di una prosa poetica.
“Sono la pace, quel desiderio che tanto brami nei momenti più complessi della tua vita. Nella mia intangibilità, puoi ascoltarmi, attraverso la voce della tua coscienza e vedermi, come proiezione delle tue azioni”.
Il testo dice che è desiderio, ma ovviamente la pace è una realtà che si desidera, non un desiderio. La pace è detta “intangibile”, cioè non definibile, e Giorgio Mulè nella Sala Regina della Camera dei Deputati durante il premio “Salvator Mundi”
(11 luglio 2023) ha detto proprio questo: “La
pace non è uno slogan, una bandiera, un dogma o un’utopia, è la seria
costruzione preventiva delle regole di convivenza; può essere mutevole,
sfuggente, per questo sono fondamentali incontri come questo odierno”.
Chiaro il relativismo. Chiaro come le regole di convivenza non procedono
da una legge naturale di base, insita nell’uomo, ma da leggi fatte
dall’uomo nello sviluppo delle circostanze della sua vita sociale.
Tuttavia, contrariamente a questo, lo scrittore Carlo A. Martigli, nella
medesima circostanza, ha letto un messaggio di Phlippe Couvreur, già
Giudice della Corte Internazionale di Giustizia dell’AIA. Questo un
passo importante circa il movimento per la pace e il bene dei popoli: “E’
innegabilmente un raggio di luce e una fonte di speranza che ci ricorda
che la pace non è una chimera e che dipende dalla nostra libera volontà,
perché portiamo questo prezioso dono dentro di noi”.
(https://www.instagram.com/katialarosa.giornalista/p/CvcWmH0tfKP/).
Queste parole di Philippe Couvreur sono molto condivisibili per un
cattolico. Infatti, Philippe ha studiato filosofia tomista
all’Università cattolica di Louvain, e dal 1997 al 2017 vi è stato
docente ospite, presso la facoltà di giurisprudenza. Al contrario di
quanto espresso da Giorgio Mulè, il concetto di pace si può definire con
una semplice proposizione: “La pace è il dovere compiuto”; il
che implica l’obbedienza a dei valori di vita, validi e riscontrabili
nel cuore dell’uomo, anche se in varie culture non sono tutti
esplicitati o magari alcuni negati. Basta ricordare l’immediatamente e
universalmente comprensiva regola d’oro: “Non fare agli altri ciò
che non vorresti fosse fatto a te”. La pace ha “fiducia
nella tua specie”. La specie è il
genere umano visto con un termine evoluzionista; tuttavia è la specie
più eminente, perché avente uno spirito (anima) immortale. Non si può
pensare che il termine “tua specie”
sia stato scritto con imprecisione, sebbene sembri di sfuggita. Gesù per
Katia La Rosa è morto, immortale nell’anima, ma non risorto con il corpo
reale, nato da Maria; solo con un corpo vagamente etereo, come si è
costretti a congetturare, data l’assoluta scarsità di comunicazione
teologica del libro. La dottrina della reincarnazione, da corpo umano a
corpo umano in un evolversi, darebbe all’espressione, un senso
compiuto. “Il vero miracolo
sei tu nella tua capacità di scelta e nella possibilità di fondere il
cuore con la mente, lo spirito con la materia, la fede con la scienza
per contemplare quell’eterna architettura universale, di cui fai parte e
il cui “sapere” coincide con l’”amore”, fin dalle origini dei tempi”.
Il testo lascia intravvedere un Ente, un’Essenza divina a cui fa
capo l’uomo, parte dell’architettura universale: “l’eterna
architettura universale, di cui fai parte”.
Non si tratterebbe di panteismo, ma di
Essenza trascendente creatrice ab aeterno dell’”architettura
universale” della quale l’uomo fa
parte. Il “Salvator Mundi”, come visto sopra, presenta
l’unione della divinità con un uomo, che risulta il “Figlio
adorato” della “Vergine
Maria” (Invocazione per i
naviganti. Pag. 32). Certo non è Il Figlio Unigenito del Padre, e non si
parla mai della Trinità. “E
forse è questo il miracolo più grande, riunire fede e scienza nel
simbolo del “Salvator Munti”: sceso in terra per donare una guida
illuminata e farti ritrovare la tua vera dimensione umana”.
Il simbolo guida del movimento “Salvator Mundi” è
la statua di legno colorato, alta 2 m. senza le mani, ricevuta in dono a
Genova. Va osservato però che una statua di Cristo non può
essere usata come simbolo di altre realtà che non siano lui, poiché è,
solo e unicamente un’immagine di lui. Katia la Rosa vede nella
storia della statua alluvionata; ritrovata smembrata e poi restaurata,
il simbolismo di una morte e risurrezione metaforiche. Ritrovata a
pezzi, e posta in un cesto, senza aver potuto ritrovare le mani, la
statua ha come percorso uno stato di morte, per poi, con il restauro,
giungere a una risurrezione (Sat2000, 30 novembre 2023). Katia La Rosa
stabilisce con la statua una relazione iniziatica dell’unione tra
fede e scienza. Il “forse”
sul “miracolo più grande”
è d’obbligo anche per Katia La Rosa, perché l’unione tra fede e
scienza nel simbolo del “Salvator Mundi” non è un
miracolo. Si tratta, infatti, di una fede emozionale, inclusa nella
razionalità della scienza.
La fede richiesta dalla
personificazione della pace non è legata a un’appartenenza religiosa,
poiché Katia La Rosa non fa menzione di appartenenza, anzi vuole
costituire un movimento per la pace originale, seppur con contenuti
storici, all’interno dell’umanità. Tale movimento è ecumenico,
non nel senso dell’unità delle Chiese cristiane, ma di tutte le forze
che operano per la pace, papi compresi; vedi esposizione del Card.
Silvano M. Tomasi (Pag, 18 - 22). La fede è quella che ebbe il “Salvator
Mundi” nell’umanità, ma non è esclusa la trascendenza esistendo un
autore delle capacità umane - “la
tua capacità naturale”
-, al quale bisogna fare riferimento nell’adesione all’esempio e al
messaggio del “Salvator Mundi”: “vivere
credendo, credere amando”. Katia
La Rosa si muove in un misticismo emozionale circa il “Salvator Mundi”;
misticismo emozionale equilibrato dallo spirito scientifico, e fuso nel
medesimo: “Possibilità di fondere
il cuore con la mente, lo spirito con la materia, la fede con la scienza”.
Una conferma di ciò si ha nell’intervento (Pag. 40, del libro)
del gioielliere Giovanni Licastro, appartenente al movimento “Salvator
Mundi”. L’orafo usa passi della Scrittura:
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto
voi (Gv 15,16). L’esperienza più bella che una persona possa fare è
quella dell’amore che Dio riversa nel suo cuore (ndr. Cf con Rm. 5,5):
egli ci ha amati per primo e continua ad amarci. Quando sentiamo il
desiderio di stare con lui, è lui che ci sta chiamando, quando sentiamo
la sofferenza del peccato, è lui che ci ha già perdonato, quando
sentiamo che siamo pronti a donare amore al nostro fratello, è lui che
ama in noi. È il Signore che ha scelto noi e non noi che abbiamo scelto
lui. Il testo (Gv 15,16) non
sopporta una traslazione universale a tutti gli uomini, perché è
prettamente specifico alla scelta dei Dodici. Vero è che Dio ci ha amato
per primo (Cf. 1Gv 4,10). “L’esperienza
più bella che una persona possa fare è quella dell’amore che Dio riversa
nel suo cuore (Ndr. Cf con Rm. 5,5): egli ci ha amati per primo e
continua ad amarci”. L’esperienza
più bella, per il movimento, è data da una fede emozionale connessa con
il “Salvator Mundi”, “Un
Dio che ha scelto di morire come uomo”
(pag. 10), equilibrata dalla ratio scientifica per uno stato di
conoscenza superiore. “Il
desiderio di stare con lui” è
insito nell’anima dell’uomo. Qua il desiderio viene percepito in una
situazione di fede emozionale, arginata e stabilizzata in una sintesi
con la ratio scientifica. “Quando
sentiamo la sofferenza del peccato, è lui che ci ha già perdonato”.
In realtà il dolore per il peccato commesso, viene dopo il peccato e
porta al pentimento, alla domanda di perdono a Dio. L’essere perdonati
genera gioia, gratitudine, amore, impegno. Quindi il testo non può dire
che il dolore di avere peccato è il segnale che Dio ha perdonato.
Ama
"Senza
riserve, perché oltrepassare le barriere significa vedere l’altro come
un’estensione di noi stessi”.
Giustissimo amare senza riserve, oltre gli interessi, le antipatie o le
inimicizie. Ma questo non è estensione di sé stessi, poiché in tal modo
sono sorvolati, non incontrati, in un amore universale,
quelli che ci sono nemici, perché la sofferenza che essi danno non la si
vuole accettare nel segno della croce di Cristo. Tutta questa estensione
di sé in amore universale, che sorvola il nemico, perché causa dolore,
lo si ritrova nel Buddhismo, come ricerca del non dolore.
L’amore dice Giovanni Licastro è “riversato
nel cuore da Dio” (Cf. Rm. 5,5),
guardando il “Salvator Mundi” come dice Katia La Rosa: “L’immagine
del “Salvator Mundi” rispecchia ed interpreta la conoscenza umana e la
sua relazione con il divino”
(Pag. 10). Il “Salvator Mundi” agisce con il suo esempio che
indirizza la conoscenza umana a un divino personale, intangibile e
presente, ricevendo da lui l’amore, mentre si converge con gli uomini
nel dare il via alle mutevoli regole della pace (Vedi Giorgio Mulè).
Dona
"Senza
limiti, perché la vera ricchezza sta nella condivisione”.
È molto vero che si possiede ciò che si dona, ma lo si possiede come
tesoro accumulato nei cieli, non quindi nell’autocompiacimento, poiché
in tal caso in cielo non ci sarà nulla. E il dono non deve neppure
aspettarsi un ritorno, perché va dato anche a chi non può dare altro che
una preghiera, e a volte manca anche quella; questo è il Vangelo.
Perdona
"Senza
condizioni, perché il cuore non batte solo per amare, ma anche per
perdonare”. Il perdono, senza
condizioni di scambio è cosa da compiere e corrisponde al volere di
Cristo, Figlio unigenito del Padre. Tuttavia, il perdono non si ha
rinunciando al diritto di vendetta, poiché Cristo ha abolito
l’antico “occhio per occhio e dente per dente”. Il perdono,
l’attitudine al perdono, secondo il Vangelo, non è dato dalla forza
dell’amore umano, che presto si esaurisce di fronte a chi ci contraria.
Amore umano, magari in stato di sublimazione, ma amore che richiede un
cuore in Cristo nel dono dello Spirito Santo, nell’appartenenza viva
alla Chiesa. Il perdono non può essere atto che sancisce sufficienza
nei confronti di chi ha mancato con noi. La volontà di perdono
facilita la persona che ha mancato a chiedere perdono. Il perdono lo si
dà di cuore, senza porre un limite al numero dei perdoni. Questo vuole
Gesù Cristo, Figlio di Dio, poiché questo lui ha fatto e fa.
Perdonare non è un sistema per essere assenti, ritirarsi
sorvolando chi fa soffrire, senza tenere conto di lui, pregando per
lui (Mt 5,38). Dunque “senza
condizioni” dice Katia La Rosa,
ma le condizioni necessarie sono queste. Questo è il piano alto
dell’amore, del perdono secondo il Vangelo.
“Vivere credendo credere amando”.
"Salvator Mundi, a noi ti sei manifestato,
per donare al mondo il Tuo messaggio accorato,
vivere credendo, credere amando.
Con un libro ti abbiamo invocato,
e sei giunto di legno velato.
Sii rinascita per il nostro cuore,
umanità di vita nel dolore,
perché nel sacrificio di quelle tue mani,
si compia oggi,
il più grande riscatto per noi umani:
Vivere credendo, credere amando.
Saremo noi le tue mani,
nella capacità di amare
e nella volontà di cambiare,
perché tu
non hai smesso di credere
nella nostra umanità,
e noi nel tuo miracolo più grande:
Vivere credendo, morire amando”.
“Con un libro ti abbiamo invocato”. Il libro è il Manifesto per la pace, “Salvator Mundi”.
“Sei giunto di legno velato”. È la statua senza le mani.
“Perché nel sacrificio di
quelle tue mani”. Le mani, non
ritrovate, per Katia La Rosa sono simbolo di un sacrificio sostenuto. Il
simbolismo della statua è sovraccarico. “Vivere
credendo, credere amando”. È
letterariamente parlando uno slogan; ma come va inteso nel contesto
della poesia? Certamente non si ha riferimento agli abiti delle virtù
cristiane e al loro agire. “Vivere
credendo”, vuol dire attuare
moralmente, spiritualmente, la propria vita; credendo nella possibilità
dell’uomo di cambiare, se lo vuole, operando per l’unità civile,
religiosa, patriottica e universale. “Credere
amando”; si tratta, come prima,
di due realtà connesse in equilibrio, non di due virtù, operanti senza
dimensionamento reciproco, quasi ci fossero contrasti insiti. Il credere
emozionale o, con linguaggio più alto, sublimante, è buono secondo il
movimento, ma dimensionato dalla concretezza dell’operare; dalla
concretezza dell’amare.
Ma perché Katia La Rosa è andata a
Loreto nella “Santa Casa”? Vi è andata come è andata
sull’Amerigo Vespucci, sul Campidoglio, nella Camera dei Deputati, e
altrove, per lanciare il suo movimento?
Certo, ma con qualcosa di
più di un lancio del suo movimento. Ci è andata con il progetto di unire
(Intervista a Sat2000) il progetto del “Gesù
senza le mani” con la “Casa
dei Miracoli”; “Tempio
del cuore umano” (termini da lei
coniati). La giornalista ha detto di avere provato una grande
emozione potendo recitare nella Casa la poesia “Vivere
credendo, credere amando”.
Leggendola è “Come se avessi
portato Gesù nella sua casa, dalla sua mamma e papà”.
Parole queste che non hanno una concepibile collocazione da nessuna
parte, perché semmai doveva dire: “Ho incontrato Gesù, e Maria e
Giuseppe”. Il gruppo aveva in mano statuette del Gesù senza
le mani. Molte le foto (vietate) a ricordo della
visita.
Il libro “Salvator
Mundi, Manifesto per la Pace”,
che venne fatto pervenire al Vescovo riporta una dedica umanista,
non proprio ecclesiale: “Alla
tua umanità, esempio di speranza per il prossimo. Con affetto. Katia La
Rosa”.
Inserito il 22
luglio 2024
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