Yeti, Bigfoot, Sasquatch o Sasquacth

Home

              Indice

Blocca fondo

L'abominevole uomo delle nevi: un errore di traduzione

 

 

Bisognava ascoltarli di più gli sherpa e la gente dell'Himalaya circa le orme sulla neve avvistate da esploratori e alpinisti occidentali. Tutto all'inizio rimase circoscritto agli ufficiali inglesi, ma nel settembre del 1921 la cosa ebbe risonanza attraverso un giornale il New Statesman di Calcutta. Il giornalista riferì che sull’Himalaya c'era “un abominevole uomo delle nevi”. Riferiva quanto era accaduto al tenente colonnello Charles Kennet Howard-Bury durante un'esplorazione alpinista sull'Himalaya. Il tenente colonnello si imbatté in una pista di grandi orme e subito le attribuì ad un lupo saltellante, ma gli sherpa (guide e portatori di alta quota) che lo accompagnavano dissero che invece si trattava di un Metoh Kangmi. Bisognava approfondire bene il senso di quel termine, ma non lo si fece con la conseguenza che Henry Newman, giornalista del New Statesman, tradusse con “abominevole uomo delle nevi” ricorrendo all'idea darwiniana di un uomo-scimmia, creando così il mito occidentale dell'abominevole uomo delle nevi. 
Ora si sa che Metoh, nella parlata degli sherpa Boatia, significa “uomo-orso”, in riferimento alla concezione sciamanica circa l'orso, considerato abitato da uno spirito particolarmente importante per gli sciamani. Kangmi significa invece “pupazzo di neve”. Ricordo che il termine sciamano deriva dalla parola della lingua tungusi “saman” che significa “uomo che sa”. I Tungusi sono una popolazione siberiana  facente parte degli “Altaci”.

 

Tanti termini per lo Yeti

In seguito si è saputo che la gente dell'Hymalaia usava per designare l'essere misterioso, agli escursionisti occidentali, il termine Yeh-teh, che vuol dire “quella cosa là”. Yeh-the venne poi occidentalizzato in Yeti. Ma i locali, nella diversità dei vari villaggi, usavano anche i termini Mi-teh, che vuol dire “una cosa vivente simile ad un uomo che non ha un'esistenza umana”, come anche Meh-teh “cosa umana che non è un uomo” o anche Mieh-tuh, che significa “colui che può portare via un uomo”. L'orientalista Yonah Aharon ha avanzato l'ipotesi che Metoh deriverebbe da Meh-the o Mieh-tuh.

In distinzione da Mi-teh si usava Dzu-the, riferendosi a una “cosa grossa”.  Ma molti sono i nomi usati nei vari villaggi della regione Hymalaiana. Ad esempio nelle provincie tibetane di Amdo e di Kham si usa Mi-go e Mi-gu, che significano “creatura veloce che si muove come un uomo”. Ma tanti altri sono i termini usati in quei villaggi Himalayani, individuanti sempre la “stessa cosa”: tshemo, rish, drish, nayalme, rimi, raki-migred, mi-ghen-po, nameswe, dremo, tschemong, meti, scurkpa, baman, jangol, e tanti altri ancora, fino a un centinaio.

E' fondato, a partire dai riti sciamanici, usare tanti termini per non menzionare il nome che dava accesso allo spirito dell'animale in modo da attirarne la benevolenza, mentre se ne poteva attirare l'inimicizia in caso fossero stati utilizzati in termini offensivi, cioè non rituali.

Districarsi in questa babele è francamente molto arduo.

 

L'orso Yety

     

Per gli esploratori-alpinisti occidentali il primo significativo accostamento tra l'orso e lo Yet-teh avvenne nel 1960 quando una spedizione condotta da Edmund Hillary - il primo a scalare l'Everest nel 1953 - e Desmon Doig rinvenne nell'area dell'Everest due pellicce. Le pellicce furono presentate alla gente locale che le identificò come “pellicce dello Yeti”. L'esame scientifico appurò che si trattava dell'orso azzurro (Ursus arctos pruinosus), una rarissima varietà dell'orso bruno (Ursus arctos).

 

Reinhold Messner ha messo in evidenza, attraverso lunghi contatti con la gente dei villaggi, la connessione stretta tra Yeh-teh e orso nell'ambito dello sciamanesimo; “Yeti, mito e verità, ed Feltrinelli, collana Travel, 1999”. Il Dalai Lama disse, mutuando la cosa dall'ambiente, che lo Yeti era l'orso. L'importanza dell'orso nello sciamanesimo era tuttavia noto agli studiosi delle religioni.

Reinhold Messner vide in una sera due grandi esseri, che identificò come orsi ritti sulle zampe posteriori, che di lì a poco scomparvero tra i boschi.

Reinhold Messner, tuttavia, si trovò un giorno di fronte ad orme che non erano affatto di orso, poiché non avevano artigli, e mostravano un'andatura bipede. Però ignorò la non presenza degli artigli e disse che l'orso poneva le zampe posteriori nell'esatto punto dove poneva le zampe anteriori, così da sembrare un bipede, dunque erano le orme dello “tshemo”, secondo un nome locale, dell'orso bruno, dello Yeti.  Mettere le zampe posteriori nel punto delle anteriori l'orso lo può fare per qualche passo, ma non per lunghi tratti. Messner non descrisse con precisione quelle orme, e non le misurò. In fondo a Messner premeva che rimanesse il fascino del mito e non prevalesse la chiarezza della scienza.

In seguito Messner ha rivisto quella sua lettura delle orme allineandosi a leggere lo Yeti come un lontano discendente del Gigantopiteco.

 

La gamba dello Yeti

           

La connessione tra l'orso e lo sciamanesimo apparve in tutta la sua forza quando il 28 agosto 2003 (Articolo sul Tempo, 8 gennaio) l'esploratore-alpinista Serghiei Semionov, un siberiano di poche parole, trovò su di un ghiacciaio della catena siberiana dell'Altai una gamba, dal piede al ginocchio, con pelo rossiccio; il piede aveva artigli. In due successive spedizioni trovò anche alcune costole e frammenti del bacino dello stesso animale.

I reperti risalivano a migliaia di anni fa ed erano in stato di buona conservazione. L'esploratore sottopose i reperti a molti sciamani. Il giornale riferisce: “Mi ha soprattutto colpito il fatto che tutti gli sciamani cui ho mostrato l'arto, tra cui una donna, non hanno avuto dubbi. <E' l'arto di uno Yeti” mi hanno detto, ed hanno compiuto dei riti magici. Gli sciamani considerano gli Yeti esseri magici, appartenenti ad un'altra dimensione, che ogni tanto appaiono nella nostra. E mi hanno detto che io sono stato scelto per comunicare con loro. Ma mi hanno avvertito - aggiunge con un mezzo sorriso -  che proprio rimuovendo la gamba sono stato la causa dei violenti terremoti che da allora hanno colpito la regione dell'Altai”. La prima scossa, fortissima superiore ai 7 gradi Richter venne registrata due settimane dopo il ritrovamento. Ovviamente non c'è nessuna relazione tra il ritrovamento della gamba e i terremoti, ma ciò dice come lo spirito dell'orso gli sciamani lo collegano con le forze della natura. Una mancanza rituale di rispetto verso l'orso crea gravi danni. In altre parola Serghiei Semionov aveva commesso una grave infrazione non trattando i resti dell'orso con procedure rituali.

La gamba venne fatta esaminare dal dottor Juri Kemer dell'Istituto di anatomia veterinaria di Barnaul, nella Repubblica dell'Altai. Quello che disse non si sa di preciso. Alcuni dissero che non lo considerava di un orso. Fecero l'esame ai raggi X e a dire il vero si tratta invece di un orso. L'alluce del piede è all'esterno e non all'interno come nell'uomo e nelle scimmie, e possiede tre falangi, inoltre ha gli artigli, non retraibili. Esaminando la pianta del piede si vede pure il consueto ciuffo di peli, che permette all'animale di non scivolare sul ghiaccio. Si tratta con ogni evidenza di un orso bruno.

 

Le prime grandi impronte

                                                            

Di fronte a impronte grandi e senza artigli si erano già trovati, nel 1951, due esploratori alpinisti, Erich Shipton e Michel Ward. Le trovarono a sud ovest del passo di Melung-Tese, a quota 6.000 m, sul Gauri Sankar, una cima della catena dell'Himalaya situata presso il confine tra il Nepal e il Tibet. Seguirono le orme per circa un km e mezzo, fino ad un crepaccio che impedì loro di proseguire, ma le orme proseguivano oltre il crepaccio, largo circa un metro. Le orme verso il crepaccio erano nitide perché stampate su di un leggero strato di neve stesosi sul ghiaccio. Erano lunghe circa 33 cm e larghe circa 20 cm. Vennero scattate alcune foto. Da queste si vede che l'alluce non è nella parte esterna del piede come nell'orso, ma interna come nell'uomo e nelle scimmie, e non ci sono artigli. Le dita sono 5, anche se l'ultimo dito è appena visibile. Queste foto sono indubbiamente un documento oggettivo, considerando anche che nessun burlone le avrebbe fatte, e soprattutto non sarebbe stato capace di saltare il crepaccio.

Una foto fa vedere come c'era anche una scia di orme più piccole che deviarono di fronte al crepaccio, con ciò qualcuno ha pensato che nell'orma fotografata siano presenti due orme sovrapposte, ma la cosa non è fondata anche perché non è pensabile che venisse fotografata un'orma che presentava il problema di una intersecazione delle due scie.

Il problema dello Yeti non può dunque ridursi all'orso, c'è un'altra creatura che si aggira per le cime Himalayane.

 

Nel marzo del 1970 sull'Annapurna I, la più alta (8.091 m) delle sei cime del massiccio Annapurna, nel Nepal centrale, lo scalatore, Dom Whillans, mentre sulle cinque pomeridiane si accingeva ad accamparsi in quota udì strani suoni simili a urla. Lo sherpa che lo accompagnava gli disse che era il richiamo dello Yeh-the. Lo scalatore intravide a distanza una figura scura nella neve che subito scomparve dietro un costone. Il giorno dopo fece una ricognizione per studiare una parete con Mike Thompson, al quale raccontò cosa aveva visto la sera prima, ricevendo il parere che fosse un orso. La notte che seguì fu di freddo intensissimo anche dentro i sacchi a pelo, ma Dom Whillians di tanto in tanto si alzava e usciva dalla tenda sperando di vedere l'animale. C'era la luna e tutto era ben visibile e Whillians aveva anche un binocolo. Improvvisamente, vide un grosso animale che descrisse come una scimmia a quattro zampe, sbucare da una zona in ombra di un costone. Seguì l'animale per diversi minuti, l'animale si diresse velocemente verso delle scogliere e sparì. Il giorno dopo Dom Whillians si recò con due sherpa sul posto e trovò le orme, profonde mezzo metro. I due sherpa non dissero niente fingendo addirittura di non vedere le orme. Questo comportamento  indicava che non volevano violare un qualche tabù. Lo Yeti è pensato dai locali come apportatore di bene, ma anche di distruzione.

     

Nel dicembre del 1972 il medico Howard Emery, facente parte di una spedizione nel Nepal orientale, trovò una mattina, a quota 4.000 m sul monte Kongma La, delle orme tra le tende dell'accampamento. Le orme misuravano 23 cm di lunghezza e 12 di larghezza. Le dita erano ripiegate come mostra il calco che venne fatto, e con ciò si può stimare una lunghezza del piede di circa 30 cm.

 

Lo Yeti orango

Nel 2001 venne segnalata nella foresta di cedri del Bhutan la presenza di un animale che ricalcava le sembianze di altre descrizioni sullo Yeti. La guardia che lo vide lo descrisse in questo modo: “Era alto circa 1,80 m. aveva lunghe braccia ed era peloso. La faccia aveva colore rossastro e il naso assomigliava a quello di uno scimpanzé”. Sul luogo dell'avvistamento si recò un'equipe guidata da Sonam Dhendup per effettuare delle riprese che però non dettero risultati. Tuttavia venne trovato un ciuffo di peli scuri impigliati nella corteccia di un cedro, che venne consegnato a Bryan Sykes dell'Università di Oxfort, uno specialista nell'estrazione del DNA e del suo esame. Lo scienziato giunse alla conclusione che il DNA non era di un essere umano, e neppure di un orso o di altro essere di cui si disponesse il confronto. Interrogato se trattandosi di qualche varietà di animale si poteva vedere dal DNA la specie di base, rimandò a quanto già dichiarato nel New Scientist, non aggiungendo nulla.

Il professor Fiorenzo Facchini, allora direttore dell'Istituto di antropologia dell'Università di Bologna, concluse che la descrizione dell'animale conduceva a considerare una specie ignota di orango. L'orango è presente nel nord asiatico ed è l'unica scimmia antropomorfa che si trova fuori dell'area africana. L'orango può arrivare a circa 1,70 m di altezza.

 

Dovette essere un orango l'essere che N.A. Tombazi, nel 1925, vide sul ghiacciaio Zemu che scende dal Kangchenjunga (la terza cima più alta del mondo - 8.586 m - situata al confine tra il Nepal e lo Stato indiano del Sikkim) a quota 4500 m.

A 300 m più in basso Tombazi vide, stagliato nella neve, un essere che gli parve di forma umana. L'animale di colore marron scuro era su due gambe e sradicava con le mani dei rododendri nani. Tombazi, fotografo della Royal Geographical Society di Londra, non riuscì a scattare una fotografia poiché lo vide per un solo minuto dopo di che l'essere sparì nel folto della boscaglia. Due ore dopo discendendo si recò nel punto dove aveva visto l'essere dalla forma umanoide e vi trovò una cinquantina di orme. Così le descrisse: “Erano simili per forma a quelle di un uomo, ma lunghe solo 15/17 cm per circa 10 cm di larghezza nella parte più larga del piede. I segni delle cinque dita distinte e il collo del piede erano perfettamente chiari, ma la traccia del tacco era indistinta”. Da questa descrizione si può supporre che l'animale poggiava sulle nocche, come fa obbligatoriamente un orango. Infatti l'orango non ha una vera articolazione interfalangea, come il gorilla e lo scimpanzé, per cui per camminare in piedi sul terreno deve tenere le dita curve all'interno del piede.

Tombazi pensò che si trattasse di un monaco eremita, ma anche di una bestia a lui sconosciuta. Descrisse il fatto alla gente del posto che sentenziò che quello era il demone Kanchenjungla.

 

           

Le impronte trovate dall'abate geografo Pierre Bordet presente nella spedizione francese per raggiungere la vetta della quinta cima più alta del mondo (8.462), il monte Makalu nell'Himalaya, possono benissimo essere di un orango specializzato a camminare sulle zampe posteriori per evitare il più possibile il freddo del contatto con la neve. Pierre Bordet fotografò le orme che avevano quattro dita, precisamente come si richiede da un orango il cui pollice è piccolo e perciò non compare. Le orme viste da Pierre Bordet erano lunghe circa 20 cm e si trovavano su di un pendio di 30-40 gradi. Così le descrisse l'abate geologo: “Ho seguito le impronte per più di un kilometro, contandone circa 3000. Erano tutte dello stesso tipo, profondamente impresse da un piede di sembianze umane. La pianta era ellittica e davanti ad essa erano impresse le forme circolari delle dita, che erano quattro e non cinque. Il primo dito all'interno era più grande dei restanti, che erano maggiori di quello di un uomo e non possedevano artigli (...). Nell'impronta impressa più chiaramente si notavano dei piccoli ponti di neve che dividevano le dita, mostrando che queste erano leggermente separate quando la creatura camminava. La lunghezza delle orme era di circa 20 cm (ndr. Compatibili con quelle viste da Tombazi) mentre la distanza dall'una e dall'altra era di 50 cm”. I professori Berlioz e Aramburg del Museo di storia naturale di Parigi esaminarono le impronte, ma si espressero in maniera generica pensando a un orso (ma l'orso ha gli artigli, e non retraibili) oppure a una scimmia; a questo riguardo l'abate geogrago fotografò delle orme dove erano presenti due impronte che segnalano che il quadrumane a volte camminava in modo bipede, ma altre volte poneva l'impronta dei piedi su quella delle mani.

 

Entusiasmi senza controllo

Nel 2003 vennero trovati sulle colline Garo nelle foreste del nord-est dell'India due peli di 33 e 44 mm, e poiché l'area (Stato del Meghalaya) fu oggetto di presunti avvistamenti dello Yeti i due peli assursero nel luglio del 2008 agli onori della stampa. Il Corriere della Sera.it del 28 luglio 2008 riferiva che i due peli erano stati portati alla Oxford Brookes University e che avevano “un'incredibile somiglianza” con i peli trovati da Edmund Hillary. Con eccitazione Ian Redmond, esperto di scimmie antropomorfe, rilasciava all'Indipendent on Sunday questa dichiarazione: “E' la prova più evidente che lo Yeti possa esistere. Siamo entusiasti dei primi risultati, anche se ci sono ancora molti test da fare. Eravamo sicuri che appartenesse ad una specie conosciuta, invece no. I peli ora saranno ingranditi da un potentissimo microscopio a Oxford e spediti in due diversi laboratori per estrarne il DNA”. Da un laboratorio americano, dove vennero effettuate le analisi,  arrivò la risposta comunicata il 13 ottobre 2008 sul BBC News. Si trattava di peli di una capra himalayana chiamata Goral. Questa notizia non ha trovato sufficiente divulgazione nei mass-media. Come si vede l'abominevole informazione esiste con certezza.

 

Il 9 aprile 2019 dei militari dell’esercito della base di Makalu, sul monte Makalu (India) hanno scattato tre foto di orme da loro attribuite allo yeti. Le orme sono lunghe 81 cm e larghe 38 cm. Quello che si può dire è che tali orme sono di proporzioni tali (da elefante) da rimandare a racchette da neve (ciaspole). Le orme intrecciano altre piste e tutto è ben poco chiaro. I militari hanno comunicato, di loro iniziativa, la notizia su Twitter e il web ha reagito con scetticismo e ironia. I militari a tale reazione hanno risposto di avere consegnato le foto a degli esperti, ma nulla si sa delle loro - eventuali - conclusioni a più settimane di distanza (oggi 4 maggio 2019). Tutto fa pensare a una burla passatempo dei militari.

  

Impronte a dita aperte

  

Ma altra impronta avvicinabile a quella fotografata da Shipton è stata ritrovata alla confluenza dei fiumi Ghettekhola e Dudhokshi vicino al villaggio di Monju, 250 km a nord-ovest di Kathamandu (capitale del Nepal) e a 200 km ad est della stessa. Il ritrovamento è avvenuto il 30 novembre 2007 da parte di un'equipe di ricercatori per la trasmissione televisiva “Destination Truth”. Alcune persone avevano segnalato la presenza di yeti in quella zona dove sorge l'Everest, e il gruppo di ricercatori vi si era recato piazzando nella zona, a quota 2.850 m, una serie di telecamere a raggi infrarossi. Le telecamere in azione per una settimana non intercettarono niente, ma uno del gruppo vide su di un letto di sabbia su roccia delle impronte. Una era molto nitida e le altre due non erano altrettanto complete. L'impronta completa, della quale venne preso il calco, misura in lunghezza circa quella dell'orma fotografata da Shipton, le dita sono invece aperte, per una presa sul terreno sabbioso su fondo roccioso, che non doveva essere facile per l'animale.

 

Impronte riconducibili alla scimmia Langur dell'Himalaya  (Semnopithecus schistaceus)

     

Una spedizione giapponese di sette alpinisti, organizzata da Kuniaki Yagihara, del gruppo “Yeti Project Japan”, ha trascorso, nell'agosto/settembre del 2008, 42 giorni lungo i pendii del Dhaulagiri,  situato a nord del Nepal. Il gruppo ha rinvenuto tre impronte a quota 4.400 m. Il presidente del gruppo “Yeti Project Japan” ha detto che non erano di orso, né di lupo o di leopardo delle nevi, e  ha suggerito che tali impronte conducevano allo Yeti. L'esame delle impronte, lunghe 20 cm, non conduce però ad un piede umano, ma piuttosto all'impronta di una scimmia Langur. Le impronte, poi, risultano compromesse dallo scioglimento della neve.

 

Lo scalpo dello Yeti

Nel 1954 il “Daily Mail” finanziò una spedizione con a capo Edmund Hillary con lo scopo di fare ricerche sullo Yeti. La spedizione non approdò a niente se non a sapere che in alcuni monasteri buddisti, e con sicurezza nei monasteri di Pangboche e di Khumjung si trovavano degli scalpi di Yeti. Il conquistatore dell'Everest ottenne dal monastero di Khumjung di poter esaminare uno scalpo. Alle prime osservazioni fatte a Londra sembrò che non appartenesse a nessuna specie animale conosciuta, ma poi si vide con chiarezza che lo scalpo era fatto di pelle di capra himalayana. La foggia a berretta poteva essere ottenuta con facilità sottoponendo una pelle di capra all'azione del vapore.

 

La mano dello Yeti

Anche la mano dello Yeti si diceva che fosse presente nei monasteri. Una mano si rivelò subito di un orso, un'altra, più intrigante, si rivelò di un leopardo delle nevi contraffatto con l'inserzione di altre ossa di animale.

Nel 1959 una spedizione, finanziata dal miliardario americano Tom Slik, trovò nel monastero di Tengboche una mano disseccata, che un monaco attribuiva allo Yeti. Peter Byrne trafugò un dito della mano riuscendo a farlo uscire dal Nepal nascondendolo nella biancheria della moglie che era con lui. Dall'India poi il reperto venne portato in Inghilterra presso L'Università di Oxford, che disse che non era possibile definirne l'appartenenza e fu classificato come dito di un primate di specie sconosciuta.

 

Per la gente del posto: due tipi di Yeti

  

I locali sembrano distinguere due tipi di “cosa vivente”, lo Yeh-teh e il Dru-teh, una distinzione che si basa sulla dimensione della corporatura (Dru-the è la creatura grossa: l'orso e anche la misteriosa scimmia discendente dal Gigantopiteco. Yet-the, quella meno grossa che farebbe pensare all’orango.

Il Gigantopiteco è una grossa scimmia antropomorfa estintasi 300.000 anni fa, e perciò presente al tempo dell'Homo erectus. Il Gigantopiteco è stato scoperto nel 1935 col ritrovamento di denti molto grossi nella zona di Hong Kong, e nel 1956 con il ritrovamento nello Kwangsi in Cina di una sua mandibola, a cui seguirono altri ritrovamenti di mandibole nell'India, nel Pakistan. Il Gigantopiteco era un quadrumane, la mandibola ha infatti la conformazione rettangolare propria delle scimmie. La sua altezza da eretto doveva aggirarsi sui 2,50 m. La sua estinzione avvenne per cambi climatici e per il sopraggiungere di animali come il panda meglio adatti al cambio climatico. Si ipotizza che varietà del Gigantopiteco si siano adattate a nuove condizioni di vita, dando origine allo Yeti. In particolare, il bipedismo dello Yeti è fatto risalire ad un'istintiva protezione dalla sofferenza del contatto col freddo della neve. Si è notato infatti che uno scimpanzé abituato a stare eretto in una gabbia stretta alla fine quando venne lasciato in libertà continuò a stare e camminare eretto, e i giovani scimpanzé ne seguirono il modello, per dei tratti.

Alle impronte dello Yeti (tranne l'orso e la varietà di orango postulata dalle orme e dalle descrizioni) manca il corpo o lo scheletro dell'animale, ma nessuno parla di burloni, poiché a migliaia di metri di altezza in mezzo a neve e ghiacciai i burloni non ci vanno, ma solo spedizioni ben organizzate e costose. Lo scheletro del postulato animale discendente dal Gigantopiteco non potrebbe essere trovato sulle nevi, ma nelle foreste dell'Himalaya. Sulle nevi l'animale ci sarebbe casualmente per arrivare a zone dove procacciarsi il cibo.

 

Il “The snow walter”

Il mito occidentale dell'abominevole uomo delle nevi venne alimentato nel 1996 da un video confezionato dalla Paramount per spettacolo “Paranormal Borderland”. Il video, un falso, entrò in circolazione e ancora in tanti siti viene presentato come prova certa dell'abominevole uomo delle nevi. Il video è noto sotto il titolo “The snow walter”.

 

Bigfoot (piedone)

C'è una versione americana dello Yeti, che parte dalla California  e che tratta di un mitologico Big foot (piedone) o anche Sasquatch o Sasquacth che significa “uomo peloso” ed è una anglicizzazione della parola sésquac degli indiani del Nord America. Il significato della parola sésqauc va collegato alla credenza sciamanica degli indiani del Nord America che l'orso sia l'incarnazione dello spirito di uno sciamano cattivo, che perciò va placato per non averne del male.

 

Nel 1925 era avvenuto che un boscaiolo, un certo Albert Ostam, fu rapito nei boschi del nord dello Stato di Washington da un  Bigfoot. Durante i tre giorni di prigionia si affiatò con il capobranco,  per cui riuscì a fuggire indisturbato. Nel 1925 nei pressi dell'Ape Canyon, sempre nello stato di Washington, un minatore di nome Fred Beck venne assalito, insieme ad altri minatori, da un essere peloso dalle proporzioni di un grosso gorilla, con altezza superiore ai 2 metri. Beck gli sparò una fucilata, ma subito dal folto della foresta uscirono altri esseri pelosi e i minatori dovettero fuggire mettendosi in salvo dentro un capanno per attrezzi. Quando uscirono videro attorno al capanno delle orme molto grandi, umanoidi,  molto lunghe.

  

Nell'agosto del 1958, durante la costruzione di una strada attraverso zone quasi del tutto sconosciute e piene di vegetazione, a Bluff Creek Valley o Bluff Creeking Valley, nelle montagne rocciose del nord della California, un operatore di bulldozer di nome Gerald (Jerry) Crew vide delle grandi impronte di piedi nudi della lunghezza di 16 pollici (40,64 cm) con un passo di 40/60 pollici (101,6/152 cm), quasi il doppio di quello dell'uomo. Un operaio del cantiere, di nome Raymond Wallace, osservò le orme e disse che erano di un essere da lui conosciuto. La cosa finì subito sul giornale Times Humboldt di Eureka, che coniò il termine Bigfoot.

Raymond Wallace in seguito affermò che aveva girato da 6.000 a 15.000 metri di pellicola sul Bigfoot, ma questi nessuno li vide né in vita né dopo la sua morte. Semplicemente le pellicole non erano mai esistite. Alla sua morte (2002) il figlio Michael consegnò due grandi piedi di legno usati dal padre, e disse che Raymond Wallace usava seminare orme nel nord California. I due piedi di legno presentavano orme quasi uguali a quelle rilevate da Gerald Crew. La moglie si fece poi fotografare in costume da scimmia.

 

Era solo burlesco l'agire di Raymond o c'erano anche interessi economici per ventilare la storia del Bigfoot? Circa la ricerca di notorietà e di denaro, non ci sono dubbi. Certamente Raymond Wallace non era un uomo isolato, e anzi si può azzardare che l'agire burlesco di Raymond cominciò per volere  nascondere l'identità di un gruppo segreto di cui faceva parte.

 

Il filmato di Roger Patterson

        

Ciò che portò alla ribalta mondiale il cosiddetto Bigfoot fu il filmato girato il 20 ottobre 1967 nella Bluff Creeking Valley.

Erano state infatti avvistate nella zona delle orme di carattere umanoide molto lunghe, così Roger Patterson e Bob Gilmin decisero di recarsi nel luogo dei ritrovamenti per un servizio televisivo su quelle impronte. Procedevano a cavallo tra gli alberi della foresta quando improvvisamente videro un essere peloso a circa 30 metri di distanza. Patterson fece appena in tempo a filmare per 20 secondi l'essere sconosciuto prima che sparisse nella foresta. Il filmato venne proiettato alla British Columbia University di Vancuver. Dopo la proiezione il naturalista canadese Frank Beebe notò subito che se anche l'essere aveva il seno, le spalle, il bacino, i glutei erano di un maschio. Il seno era pienamente ricoperto di pelliccia e pure il volto, che aveva solo una feritoia a livello degli occhi e una più piccola a livello della bocca. Come si vede da un fotogramma c'è il volto di un uomo dietro l'impellicciamento.

Le orme rilevate nella zona erano larghe e lunghe, quasi il doppio del piede umano. Avevano la particolarità di essere piatte, piedi piatti, cioè con una tara anatomica che comporta disturbi alla deambulazione. Il piede del Bigfoot non è per la corsa. Il filmato di Patterson fa vedere che la figura ha i piedi con un profilo piatto, ma con un leggero affossamento centrale. Ciò è in similitudine con il profilo dei piedi di legno ritrovati nella casa di Raymond Wallace.

Roger Patterson dichiarò fino alla sua morte (1972) che il filmato era autentico.

Dobbiamo dargli credito. Ma allora come si spiega la presenza di quella figura impellicciata?

Non è fuori contesto pensare che Patterson si sia trovato di fronte ad un esponente di un gruppo di ispirazione sciamanica praticante il travestitismo in scimmione a scopi magici (nel nord California è presente ancora lo sciamanesimo). In particolare lo sciamanesimo conosce il travestimento magico transessuale, per cui si spiega un maschio in apparenza di femmina.

 

Qualcuno volle commentare il filmato dicendo che il costume di scimmia venne fatto dal grande sarto Jhon Cambers, ma è solo pubblicità perché quel costume non rivela di necessità l'arte di un grande sarto, bastando molto meno. Si volle dare anche un nome a quell'uomo impellicciato e lo si trovò in un pensionato, un certo Bob Heironimus. Anche la famiglia di Raymond Wallace volle dire la sua affermando che la persona impellicciata da scimmia era la moglie di Raymond. 

Che dire delle orme? Le orme fanno parte del travestitismo magico. A proposito dei piedoni esiste una varietà di forme, anche se tutti sono grandi e piatti, il che vuol dire che ognuno degli iniziati li fa un po', nei dettagli, a modo suo.

Che dire degli avvistamenti fatti da parecchie persone? Bisogna dire che non ci sono foto o video senza fondato sospetto di falsità, e che, comunque, i soggetti appena visti scappano, alimentando con ciò il pensiero di piccoli gruppi segreti e non di Bigfoot aggressivi, all'attacco, come è ormai nell'immaginario collettivo.

 

Affari con il Bigfoot

Ma intanto si è sviluppata la Bigfootmania alimentata dai giornali e televisioni. Chi fa una burla relativa al Bigfoot è sicuro che finisce sui giornali.

Il 15 agosto 2008 in una conferenza stampa presso il Crownw Plaza Hotel di Palo Alto (California) due serissimi poliziotti dissero che, facendo una battuta di caccia nelle foreste del nord della Georgia (USA), avevano incontrato un Bigfoot e lo avevano ucciso e congelato. Avevano anche inviato tre campioni dell'animale ad una Università del Minnesota per l'esame del DNA. I duecento giornalisti accorsi rimasero perplessi quando Matthew Whitton e Rick Dyer dovettero dire che un campione consegnato aveva un DNA di uomo, e un altro di un opossum, il terzo campione “per motivi tecnici, non era stato analizzato. I due cacciatori volevano buttare tutto sulla stranezza dei risultati del DNA come prova di un essere complesso, ma i giornalisti rimasero scettici su tutta la cosa. Intanto la cosa fece il giro del mondo. In seguito Matthew Whitton e Rick Dyer ammisero di avere creato un falso usando un costume da carnevale. Ma perché fecero tutto questo? Per burla? Per affari! Infatti Dyer si era messo a gestire visite in Georgia per incontri con il Bigfoot. Il signor Tom Biscardi, che presente alla conferenza sosteneva l'autenticità, vende impronte di Bigfoot e cose affini.

 

Il convegno internazionale di Tashtagol

Un gruppo di scienziati (russi, americani, canadesi, svedesi, estoni, cinesi, mongolici) si è riunito recentemente, dal 6 al 9 ottobre 2011, nella città di Tashtagol (abitanti 22.835) a nord-est della Mongolia, regione Kemerovo, nella Siberia sud-occidentale per lo studio delle impronte di Bigfoot presenti nelle montagne della Shoria, precisamente nei pressi delle grotte Azasskaia.

Il tema era stabilire se il Bigfoot russo fosse originario dell'America o viceversa. Un tema che avrebbe avuto bisogno di accertare prima l'esistenza reale del Bigfoot nelle grotte non distanti.

I telegiornali hanno dato ampia notizia al fatto che gli scienziati si sono recati in una determinata grotta dove sono state rinvenute due orme; una ben conservata, l'altra non ben conservata per dilavamento. La notizia calcava la mano sul fatto che era stato trovato anche il “materasso” dello Yeti, sì perché i media non hanno fatto differenza tra Yeti e Bigfoot. Il materasso era in realtà un mucchio di foglie che anche gli orsi fanno per il lungo letargo invernale. Hanno trovato poi due peli, che andranno esaminati. Tutto ciò a detta dei media ha convinto gli scienziati, e ci viene da dire che se così fosse: “povera scienza!”.

Il territorio attorno alla grotta era marcato da rametti d'albero spezzati, e anche c'erano dei rami curiosamente intrecciati ad arco. Poi le grandi impronte, con la particolarità non solo di essere piede piatto, ma anche, stranissimamente, con capillari in rilievo. Quindi il poco ponderato responso: nella zona c'erano almeno una trentina di soggetti.

Ma il punto più forte è che è stato messo ad arte del cibo, e il mattino dopo era consumato, rimanendo a terra il sacchetto rotto.

La prima osservazione è questa: perché assieme al cibo non si sono collocate delle telecamere a raggi infrarossi? Perché non sono state messe telecamere nella zona “marcata” come si dice da rametti spezzati, cosa questa alquanto strana. Nelle spedizioni sull'Everest le telecamere sono state usate, qua c'è un territorio “marcato”, quindi di ritrovamento sicuro, e non sono state messe, come non sono stati usati i cani molecolari (da fiuto). Stranissima trascuratezza per degli scienziati, o con più verità gli scienziati sono stati invitati, a loro insaputa, ad un convegno fatto apposta per lanciare turisticamente quel territorio, che fa capo all'amministrazione regionale di Kemerovo, promotrice dell'incontro. La zona, un tempo florida per i bacini carboniferi, è in difficoltà economica. Molto onestamente, anche i media hanno osservato che c'è aria di business in quella riunione scientifica. Infatti Tashtagol ora punta molto sul turismo Bigfoot.

 

Un'impronta scientifica alla cosa è stata però doverosamente data: i due peli raccolti saranno prima esaminati a Mosca e a Pietroburgo, poi, se “le prime analisi saranno confortanti”, saranno esaminati dagli scienziati di Novosibirsk per lo studio del DNA.

Alla data della stesura di questa scheda dovrebbero i reperti essere già all'Università di Novosibirks e anche esaminati, ma non giunge ancora notizia, pur essendo passato largamente il tempo per fare le analisi. C'è da pensare che non arriveranno.

 

Gli sciamani del posto sono rimasti spiazzati di fronte ai nuovi esseri pelosi e hanno cominciato con i loro tradizionali tamburi a invocarli affinché si facessero vedere, ma niente.

Comunque chi si vuole travestire da scimmione non deve temere una fucilata perché c'è un'ordinanza che vieta l'uccisione dello Yeti.

Cosa dire? Quello che si può dire è che il filmato di 20 minuti di Patterson e burloni come Raymond Wallace, hanno fatto scuola.

 

Intanto in America si mantiene vivo il partito di quelli che affermano che il Bigfoot esiste (in particolare Jeffrey Meldrum, del dipartimento di antropologia dell'University Idao State, e affascinato nella giovinezza dal filmato di Roger Patterson, si interessa di avvistamenti e impronte del fantomatico Bigfoot dal 1993), ma non demorde il partito che vi si oppone esigendo prove certe. Tra questi ultimi, David J. Daegling, antropologo dell'University Florida, che ha invitato (“Bigfoot exposed”, Altamira, 2004) a non distanziarsi dal rigore del metodo scientifico: “Anche se avete un milione di pezzi, se tutte le prove sono inconcludenti, non è possibile contare il tutto come qualcosa che conclude”. Quello che concluderebbe è il ritrovamento di uno scheletro di Bigfoot, ma questo scheletro in mezzo a centinaia di avvistamenti e centinaia di tracce di impronte non è stato trovato, non lo si ha, ed è assolutamente strano, se il Bigfoot è dalla notte dei millenni che esiste e le foreste

del nord America non sono le impervie altezze dell'Himalaya. Ma mancano pure le prove delle telecamere, e neppure una trappola - l'unica apprestata -, fatta apposta in zona opportuna, ha funzionato (Oregon del sud, nel 1974).

Le evidenze Bigfoot addotte dall'associazione americana (Canada) fondata nel 2005 da Adrian Erickson, con lo scopo di far sì che la scienza riconosca il Bigfoot, non hanno caratteri di serietà e veridicità, ma piuttosto sono funzionali ad un clima misterico. I dati genetici sui campioni biologici che l'associazione dice di aver reperito (peli, unghie, e anche denti, dicono) non sono stati esaminati che da un solo esperto (ma lo è?) e neppure in modo indipendente dall'associazione, ma in modo collaborativo, e non sono divulgati in maniera esaustiva, ma solo annunciati e ventilati. Per di più i campioni, dopo gli ipotetici esami, sarebbero andati perduti o dichiarati inutilizzabili per altri esami. Il fatto è che l'estemporanea associazione economicamente non ha decollato.

                               

Ci dovrebbero essere popolazioni di Bigfoot considerando la grande varietà delle impronte. Infatti tutte sono grandi e piatte, ma si hanno orme con dita corte e orme con dita lunghe, altre - molto raramente - con le dita divaricate, altre che hanno graffiato il terreno con dita che si sembrano contratte, ma hanno la contraddittoria particolarità che l'infossamento finale delle dita nel terreno sono di dita corte e l'alluce non si differenzia, altre appaiono come se l'essere misterioso camminasse in punta di piedi senza ergonomia essendo un piedone piatto, altre sembrano afflitte da deformità, e c'è varietà circa la linea di curvatura complessiva delle cinque dita.

 

Il business turistico nelle aree dei presunti avvistamenti comunque continua, e anche la trappola dell'Oregon fa business per i numerosi visitatori che la vanno a vedere.

 

In ultima riga va detto che ci sono casi rari di persone che sono ricoperte in tutto il corpo da una fitta peluria. Un'anomalia genetica che si chiama irsutismo.

 

Conclusione

Questa scheda è stata redatta per comunicare spirito critico e vigilanza di fronte a tanta abominevole informazione nel bel mezzo della civiltà che con buona ragione si può definire della comunicazione.

Questa scheda afferma che qualsiasi indagine veramente scientifica sul rinvenimento di altre specie animali sconosciute è la benvenuta, ma nel contempo dichiara l'assoluta non disponibilità al mito.

 

Referenze

Enciclopedia delle religioni”, ed. Vallecchi, Firenze 1970/76, v. 1,223, 249s, 773; 3,930, 1470, 1472; 5,875; 6,7.

 

The UnMuseum: Yeti: abominable snowman of the Himalayas”,1996, unmuseum.org/yeti.htm

Bignami Luigi e Domenici Viviano, “Trovato il pelo dello Yeti: il suo DNA non è umano”, Corriere della sera.it, 6 maggio 2001

Corriere della sera.it, “Trovata la gamba dello Yety”, 8 ottobre 2003

La Stampa.it, archivio dal 1992, “Sui monti Altai, un alpinista avrebbe trovato una gamba mummificata del mitico Yeti”, 31/12/2003

Red (?) “Esploratore russo a caccia dell'abominevole uomo delle nevi”, Il Tempo, 8 gennaio 2004

Mnica Ricci Argentini, Corriere della sera.it “Yeti, peli di una creatura misteriosa trovati nella giungla indiana”, 28 luglio 2008

Benedetta Perilli, “La bufala dell'estate”, Repubblica.it, 16 agosto 2008

ProgettoGalileo, “Pensavo che fosse uno Yeti invece era una capra”, 16 ottobre 2008, progettogalileo.wordpress.com

Agenzia REUTER, “Nepal, giapponesi dicono di aver trovato impronte dello Yeti”,  Giapponegiappone.it, 22 ottobre 2008

Lorenzo Rossi, excursus sullo Yeti, 23/11/2009, criptozoo.com. Il sito è stato rinnovato e l'excursus rimosso alla fine di ottobre 2011

Clan Mod (avatar Abyss warm) riporta l'articolo sullo Yeti di Lorenzo Rossi (23/11/2009) ora non più in rete dalla fine di ottobre 2011, mad4games.it/forum/archive/index.pho/t-62828.html

Enciclopedia libera”, Wikipedia.org, voce Yeti

Enciclopedia libera”, Wikipedia.org, voce Big Foot

Liceo B. Giordano, “Yeti: l'abominevole uomo delle nevi esiste?”, ndonio.it/yeti.hatml

Giuliano Di Caro, “Abominevoli resti...”, Lettera 43.it, 29 aprile 2011

Lorenzo Rossi, “Quando lo zio Tom... regolamento ambasciata americana a Kathmandu, del 30 novembre, sulle spedizioni di ricerca allo Yeti”, criptozoo.com, 22.09.11.

Tmnew, “Russia/l'uomo delle nevi, un mito lungo più di un secolo”, tmnew.it, 10 ottobre 2011

Sulle orme dello Yeti”, “La voce della Russia”, 10/10/2011, italian.ruvr.ru/2011/10/1058477775/html

Emanuela Pasqua, “Lo Yeti esiste ed è un affare”, Corriere della sera.it, 12 ottobre 2011

Mirygdy Jensis (avatar Mirygdy), “Yeti siberiano?”, naturasegreta.it/mirydgyYeti.php

Paola Rebusco, “Yeti, tra fantasia e scienza”, moebiusonline.eu/fuorionda/Yeti.shtml

Conference in Tashtagol, tourismandaviation.com/...23/10/2011

Michael Trachtengerts, “The himalayan snapshot by Shipton and Ward...”, alamas.ru

Squatchopedia” voce Yeti, www.squatchopedia.com

Squatchopedia” voce Ray Wallace...squatchopedia.com

Altre...