Il Sufismo

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Il nome

 

Il sufismo è il nome di un movimento mistico islamico giunto a notevole popolarità nell'Islam, anche se la maggioranza degli islamici non lo segue. Presso i Sunniti trova diffusa accoglienza, mentre tra gli Sciiti ne ha poca.

Il suo nome, secondo il pensiero più comune e più accreditato, deriva dalla veste di lana di cammello (suf ) usata dai sufi. Ma altri fanno derivare la parola da suffa, designante il portico antistante la casa-moschea di maometto a Medina, dove i pii musulmani si riunivano. Altri pensano al termine safa che significa purezza. Altri ancora a saff al-awwal, che significa in prima fila, ovviamente davanti ad Allah. Il primo ad essere chiamato sufi è stato Abu Hashim 'Othman ibn Sharik di Kufa morto intorno al 776. Da Basra e da Kufa, sulla frontiera mesopotamica del deserto arabico, il movimento ascetico si diffuse ovunque nel mondo islamico, particolarmente nel Khorasan, conquistata all'Islam verso il 700 d.C. La regione di Khorasan era prima di religione zoroastriana, con tracce visibili di buddhismo, che un tempo vi era stato fiorente.

 

L'origine

 

Il sufismo prese le mosse da una contestazione del ritualismo legalistico della vita religiosa, prodottosi dopo le grandi conquiste territoriali e il governo dei  “quattro califfi ben guidati”. Successivamente si ebbero califfi dediti ad una vita fastosa e molle, che scandalizzava i pii. In questo quadro di corruzione la capitale venne prima trasferita dall'araba Medina alla siriaca Damasco, poi si passò a Baghdad, in terra persiana, in un allontanamento progressivo dalla terra araba.

Va affermato che le radici del sufismo si trovano in vari passi del Corano, e quindi il sufismo non è altro che un movimento all'interno nell'Islam.

Ad esempio nel versetto (sura 2,177) si legge: “La pietà non consiste nel volger la faccia verso l'oriente o verso l'occidente, bensì la vera pietà è quella di chi crede in Dio”. Nel versetto (sura 5,23) si raccomanda: “In Dio solo confidate, se siete credenti”. Nel versetto (sura 65,3) si legge: “Per colui che confida in Dio, Dio è aiuto bastante”. Nel versetto (sura 2,186) vien detto: “Quando i miei servitori ti chiederanno di me, dì loro che io sono vicino”.  Nel versetto (sura V,54) si legge: “Dio susciterà uomini che egli amerà come essi ameranno lui”.

Il patto che viene stipulato tra il sufi e il suo maestro ritualizza l'impegno dei compagni di Maometto con lui come si legge in (sura 48,10): “Coloro che prestano giuramento di fedeltà a te, prestano giuramento di fedeltà a Dio”. Lo “svelamento” di Dio, meta del sufi, si fonda poi sul versetto (sura 50,22): “A questo tu non pensavi, e noi te l'abbiamo scoperchiato, e ora, la tua vista è acuta”.

 

Gli apporti esterni

 

Certamente, si registrano nel sufismo elementi derivati dalla filosofia greca attraverso le traduzioni siriache. Anche le filosofie indiane, il buddhismo, ebbero il loro influsso sul sufismo. Sono chiari i riferimenti ai metodi yoga quanto alla tecniche di respirazione e di recitazione di tipo mantrico. Non manca poi al sufismo l'apporto del cristianesimo. E' noto, infatti, che il sufi Ibrahim ibn Adham (777), originario del Khorasan, ebbe in Siria contatti non superficiali con anacoreti cristiani di eresia gnostica. Il sufi Ibrahim ibn Adham fondò poi nel Khorasan una scuola di asceti. Il suo successore Shaqiq di Balkh (m. 810) definì per primo, come diversi affermano, la tawakkul, cioè l'annullamento della propria volontà di fronte a Dio.   

 

Il programma sufi

 

 

Punto di partenza del sufi è l'ascetica (zuhd), cioè la mortificazione del suo essere al fine di una purificazione che renda il sufi capace di giungere al tawhid, cioè allo stato mistico in cui scompare l'umanità e rimane solo la divinità. Per raggiungere tale stato bisogna porsi sotto la direttiva di un maestro di spirito (saih, mursid) e seguirne ciecamente le indicazioni. La lunga via da percorrere (tariq) vuole l'annullamento della propria volontà rimettendosi (tawakkul) in tutto ad Allah. La passività del sufi, tuttavia, è corredata dell'orgoglio di essere poveri, di essere un dervish (povero). La povertà religiosa è fonte di umiltà (tawadu, kushu), ma per contraddizione la povertà viene connessa all'orgoglio, al vanto. “La povertà (faqr) è il mio orgoglio” recita un hadith di Maometto; hadith diventato la parola d'ordine di molte congregazioni sufi.

Il sufi mira a far scomparire la sua umanità, la coscienza di se stesso e del mondo per riprodurre la situazione precedente la creazione di sé e del mondo, quando tutto era solo nella mente di Dio, quando non c'era altro che Dio. Questa posizione del misticismo sufi non è in assoluto panteista, anche se lo rasenta, ma giunge ad un monismo di tipo neoplatonico, per il quale sopra il visibile c'è il mondo delle idee divine, che è la vera realtà.

Il sufi procede lungo una serie di tappe (maqamat) conquistate dal suo sforzo (le più importanti sono: l'astinenza, la povertà, la pazienza, la fiducia in Allah, l'accettazione gioiosa di tutti i decreti di Allah), ma ci sono anche a stati (ahwal) transitori che procedono da Allah: stati emozionali di timore, di gioia, di speranza, di confidenza, di soggezione, di apertura d'animo (bast), di timoroso restringimento  dell'anima (qabd).

Il sufi è mosso dall'amore (isq) mirando all'intuizione (mukasafah) dell'essere divino Dio, ad una sua conoscenza (ma'rifah) di lui, che non è la conoscenza teologica che include il procedimento speculativo, per questo il sufi tralascia la speculazione tuffandosi nell'esperienza sotto la guida di un saih, mursid.

Il sufi così persegue uno stato di unione amorosa con Allah che lo ama. La santità (wilajah) raggiunta porta con sé il potere di esercitare atti di dominio sulle cose (karamat).

La dottina sufi dice che nello stato d'unione scompare  l'io e il tu, così si hanno parole “teopatiche” (satahat). Il sufi Bajazid al-Bistami (m. nel 877-78) non diceva: “Gloria a Dio”, ma: “Gloria a me!”. Il sufi al-Hallag (m. nel 922) diceva: “Io sono Dio”; per questo venne crocifisso come blasfemo ravvisandovi una pretesa divinizzazione di sé; in seguito, con molte precisazioni, la tradizione finì per riabilitarlo.

 

I sufi vivono isolatamente oppure in confraternite di fedeli (tariqah), con impegno di riunirsi periodicamente. Il celibato, pur celebrato come alta meta, non è praticato.

 

Gli aloni del prodigioso

 

La letteratura sufi ama celebrare i prodigi dei sufi, fino alla credenza che Allah eserciti il suo governo sul mondo per mezzo di una sua gerarchia occulta di santi, che si succedono nel tempo.

I fatti prodigiosi abbondano nella letteratura sufi. Tanto per esemplificare qualcosa che ci può interessare, un sufi, Abd al-Wahhab al Sharani (1493-1565) disse di aver saziato diversi visitatori con un piccolo pezzo di pane. Di un altro sufi, Muhammad Amin al-Kurdi al-Shafii (1914) si dice la stessa cosa,  ma non si tratta affatto di moltiplicazione dei pani, bensì del senso di sazietà che ebbero i visitatori pur mangiando piccole frazioni di pane; il che, ovviamente, è aperto ad altre interpretazioni che non siano di prodigio proveniente da Dio (Arthur J. Arberry, pag. 99, 102).

Un sufi, Ibn al-Farid del Cairo (1181-1235), noto per esaltare enormemente se stesso con una semplicità spiazzante, stette diverse volte per circa dieci giorni senza mangiare né bere, né muoversi. Effettivamente un uomo in buone condizioni di salute può sopravvivere a tanto, ma ne esce malconcio. In caso che non ne uscisse malconcio, ma solo macilento, l'idratazione potrebbe essergli stata fornita dal demonio per mezzo della condensa dell'umidità atmosferica.

 

Il sufismo dapprima venne avversato, poi, sotto l'azione di mistici moderati come Abu Talib al-Makki, (m. nel 996), al-Gunajd, (m. nel 909-910), al-Quasajri, (m. nel 1074) e specialmente al-Gazali (m. nel 1111, sepolto nel Khorasan) venne accettato dall'ortodossia sunnita. Rimangono avversari irriducibili del sufismo gli hanbaliti.

 

Il sufismo entrò in stato di grave decadimento verso la seconda metà del XV secolo fino al 1900, con superstizioni, santoni in ogni dove, ignoranza.

 

Nota

 

La mistica cristiana si differenzia profondamente da quella sufita. Basti pensare alla realtà  della grazia santificante ricevuta nel Battesimo, all'elevazione in Cristo all'essere figli adottivi del Padre, all'unione con Dio, dove l'io è nel Tu e il Tu è nell'io, senza che vi sia ombra di identificazione panteistica, alla concezione dei miracoli che non sono mai potere in proprio del santo, alla Chiesa corpo mistico di Cristo, ecc. La povertà per il cristiano è sigillo di umiltà, di conformità a Cristo, di abbandono a Dio, di sostegno e nutrimento alla carità.

 

Ben distinta dal sufismo è pure la mistica ebraica, che ha come punto base l'alleanza, la Legge di Mosè, e come modello di riferimento i profeti, e vive dell'attesa del Messia. La mistica ebraica conobbe la grave contaminazione della Qabbalah (“dottrina ricevuta”), che ha, probabilmente, i suoi lontani inizi nelle comunità ebraiche che vollero rimanere in terra di Babilonia al tempo dell'esilio (vedi comunità di Elefantina). Il movimento esoterico, occulto, con una recitazione di formule basate sulla combinazioni di lettere fino al vuoto di significato (il sufismo non si presenta così, consistendo la recitazione nel pronunciare illimitatamente il nome di Allah), iniziò ad esprimersi nel XII secolo in Francia e in Spagna.

 

L'Islam e il cristianesimo”, in Ricerche religiose, 19, 1948.

Enciclopedia Cattolica”, voce Sufismo, ed. Sansoni, Firenze, 1953.

Enciclopedia delle religioni”, ed. Vallecchi, Firenze, 1973.

A. J. Arberry:  “La mistica dell'Islam”, ed. Marietti, Genova, 1986.

Il dizionario del Corano”, voce mistica, ed. Mondadori, Milano, 2007.