Buddha-Isa (Leggenda di Cristo in Kashmir)

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Nikolai Notovitch alla fine del XIX secolo, in un monastero di Hemis nella zona del Ladakh ai piedi dell'Himalaya nel Tibet, trovò dei rotoli che parlavano di un Isa o Isha. I rotoli furono confezionati dopo il VII secolo d-C. in India e passarono poi nel Nepal e quindi nel Tibet.

Parlano di un Isa o Isha nato in Israele, che all'età di tredici anni con una carovana giunse a Sindh in India.

Venne ricevuto dai sacerdoti di Brahma e conobbe i Veda.

Il suo messaggio di uguaglianza e il suo monoteismo gli inimicò i sacerdoti di Brahma e dovette fuggire verso il Nepal e il Tibet, cioè in terra buddista. Si diresse poi verso la Persia, dalla quale venne espulso. Quindi, ritornò in Israele. Venne crocifisso, ma venne sottratto al supplizio che non era pensato come pena di morte, ma solo come tortura. Venne curato dai suoi e poi fuggì in Kashmir dove si sposò ed ebbe figli. Morì in Kasmhir. La sua tomba sarebbe a Sriagar nella capitale del Kashmir.

I buddhisti considerarono Isa o Isha una reincarnazione di Buddha, il Buddha-Isa.

 

Andreas Faber - Kaiser, “Gesù visse e morì in Kashmir”, ed. De Vecchi, Milano 1975.

Aziz Kashimir, “Cristo in Kashmir”, ed. Atlantide, Roma 1996.

 

Esistono in testi indù le parole mahesa, masiha, mishihu, connesse all'aramaico mesiha o all'ebraico masiah o, molto meglio, all'arabo masih. Tali parole sono usate in alcuni testi indù successivi alla presenza cristiana in India, ma dovettero fare ingresso nell'uso indù molto prima con le armate di Alessandro Magno, che, conquistatrici, si spinsero fino al fiume Indo, al quale giunsero nel 326 a.C., mettendo a contatto culture lontane; ma non sono da escludere antichissimi influssi della lingua aramaica o araba.

Presso gli ebrei e i cristiani tali parole hanno il significato di re consacrato con un'unzione. Il significato invece che hanno nel mondo indù va collegato con la radice araba “msh”, che oltre “misurare” significa “strofinare”, cioè togliere l'impurità. Il Corano, che non pensa a Gesù come salvatore, ma solo come profeta, usa il termine “masih” nel senso di “purificato dagli errori e dalle debolezze umane”, proprio appoggiandosi alla radice araba “msh”.

 

La parola ebraica mesiah (traslitterazione in greco messias; Gv 1,41; 4,25) è tradotta usualmente nel Nuovo Testamento con Christos, da chrio: ungere.

Il Corano designa Gesù con il nome Isa (sura 2, 45), mentre gli arabo-cristiani lo chiamano Yasu. Non ci sono studi su come Muhammad (570 - 632 d.C) giunse a dare a Gesù il nome Isa (signore), ma probabilmente avvenne attraverso carovanieri cristiani nestoriani di ritorno dall'India: il termine Isa deriva da isha, che è una forma contratta della parola (lingua sanscrito) ishvara (controllore supremo, signore).

Anche l'Islam entrò a contatto con l'India in seguito a conquiste territoriali che arrivarono oltre il Gange. Questo incontro di civiltà portò a coniare, dal Kashmir al Tibet, nomi come Yusu, Yusuf, Yuz, Issa, Issana, Yusaasaf, Yuz-Asaph, Yus Zasaf.

Anche il termine El, per designare Dio, si trova in tardi testi indù, e ciò prova ancora il contatto con la cultura semitica. El (“essere forte”) era un nome di Dio per gli ebrei, ma già lo era per i Cananei. Ad Ugarit si usava 'l, in accadico ilu, in arabo ilah.  In testi indù che precedono il contatto con l'Islam si incontra anche allah (al-ilah), che vuol dire precisamente il dio, ed era usato in Arabia anche prima dell'avvento di Muhammad. Anche un nome arabo, “Amadh”, si incontra nei testi indù. Tutto ciò dice di antichi contatti di civiltà.

 

"Dizionario del Corano", voce Gesù, ed. Mondadori, Milano, 2007.

 

Nota

 

Tre semplicissime ragioni si oppongono al pensiero che l'Isa o Isha del Kasmhir sia Gesù, oltre a tutte quelle contenute nei Vangeli, nella storia palestinese e romana, e nella patristica della Chiesa.

 

1) La prima ragione sta nel nome. Il nome Gesù, infatti, non è in nessun modo una derivazione da Isa o isha, né da Issa o da Yuz, nomi presenti nel Kashmir, o dal persiano Iuzu. 

Come è noto, il nome Gesù è una italianizzazione del latino Iesus, il quale deriva dal greco Iesous, il quale a sua volta deriva dall'aramaico Yeshua, abbreviazione di Yehoshua, che vuol dire: Dio salvezza. Ye corrisponde alla forma contratta di Yeovè. In ebraico si ha Jahvéh, che rende, con la vocalizzazione, il tetragramma YHWH.

Come si vede non c'è alcun rapporto tra i nomi Gesù, Yeoshua, Iesous, Iesus, e Isa o Isha o Issa.

 

2) Altra ragione è che la crocifissione non era una tortura che poteva essere inflitta senza la sentenza di morte, come è attestato senza possibilità di incertezze dall'abbondante documentazione romana. La crocifissione di Gesù venne preceduta dalla flagellazione, che non aveva limiti di colpi, se non quando il corpo del suppliziato era sanguinante. Bastava la flagellazione romana per togliere la salute ad un uomo per il resto dei suoi giorni, anche se guariva dalle ferite.

Giuseppe Flavio (37 d.C - ca. 100 d.C.), che non parla mai di Gesù, riferisce (Autobiografia  IV, 75) che durante la guerra giudaica contro Roma vide, tra i tanti crocifissi, tre crocifissi suoi compagni e chiese a Tito Cesare che venissero staccati dalla croce. Due di essi morirono e uno si riprese. La crocifissione doveva essere stata eseguita legando i polsi e le caviglie dei condannati con corde. Era molto frequente per i Romani un’esecuzione del genere, specie nelle crocifissioni di massa, e il soggetto moriva per asfissia. Se quell'uomo di cui parla Giuseppe Flavio fosse stato fissato con chiodi a causa del sopraggiungere del tetano nessun medico ne avrebbe potuto arrestare la fine. L’impresa di guarigione sarebbe disperata anche oggi.

I quattro Vangeli, ognuno dei quali, come è noto, ha una sua indole, formano un fronte talmente compatto e storicamente coerente che pensare che qualcuno vi abbia posto delle alterazioni non può essere altro che un'operazione ideologica.

I Vangeli poi non sono una composizione lontana dagli avvenimenti da essi descritti, ma sono stati redatti negli immediati decenni successivi, quando la Chiesa aveva già testimoniato oralmente il Cristo e già aveva testimoniato la sua fede con il sangue.

 

3) Terza ragione è che la narrazione su Buddha-Isa deriva dall'influsso della presenza di comunità cristiane nestoriane in India, documentabili dal VII sec. d.C. Ma già prima l'area era sotto l'interesse dei nestoriani; infatti nel 498 il patriarca nestoriano di Seleucia divenne patriarca della Persia, della Siria, della Cina e dell'India, e perciò queste ampie regioni conobbero la presenza di missionari nestoriani, e quindi contatti con quelle culture.

Dai testi copti manichei si sa che comunità cristiane di origine persiana furono presenti in India dal 260 in poi.

Nel VI secolo il mercante egiziano Cosma Indicopleuste visitò le comunità del Malabar (India sud-occidentale). Risalente allo steso periodo, presso Madras, è stata ritrovata una croce cristiana. A Kalayama nel Malabar nel VI secolo c'era un vescovo cristiano, mentre nel 639 il re indiano Siladitya riceve una missione di cristiani siriaci.

Da quanto si legge di Isa o Isha nei rotoli Tibetani, più che da nestoriani puri le notizie sul “Signore” giunsero da gnostici imbevuti delle dottrina degli eretici Basilide e Marcione. Basilide, scrittore di più opere, nell'intervallo di tempo tra il 120 e il 140 d.C., diceva, con una stravolgimento impressionante della realtà storica, che Gesù non era morto e la crocifissione l'aveva subita Simone di Cirene. Marcione, che nel 144 diede inizio alla prima scissione nel cristianesimo, sosteneva invece che il corpo di Cristo non era reale come il nostro, poiché Cristo non poteva assumere l'opacità della carne. In questo Marcione seguiva il docetismo (dokein: apparire) degli gnostici. Marcione non fu precisamente uno gnostico, ma diventò un veicolo dello gnosticismo e del manicheismo e la sua influenza rimase attiva fino al IV secolo, e quindi poté avere influenze sui nestoriani. Comunque l'influsso gnostico poté giungere a persone dell'India attraverso le carovane commerciali.

 

Ma il dato di Isha o Isa è molto antico, tanto che si è voluto parlare di una profezia induista su Gesù Cristo. Infatti di Ishaa si parla nel Pratisarga Parvana del Bhavishya Mahapurana terzo kanda (capitolo) versi 16-33.

 

Un testo che non riguarda i cristiani, se non per conoscere il mondo indù

 

Pratisarga Parvana del Bhavishya Mahapurana terzo kanda (capitolo) versi 16-33

 

Prolusione

 

“Shalivahan, che fu nipote di Bikrama Jit, andò al potere. Sconfisse i Cinesi, i Parti, gli Sciyti e i Battriabi. Tracciò un confine tra i territori di Arias (gli Arii) e di Mlecca, e infine ordinò il ritiro in territorio indiano”.

 

Svolgimento

 

ekadaa tu shkadhisho

himatungari samaayayau

hunadeshasya madhye vai

giristhan purusam shubhano

dadarsha balaram raajaa

 

“Una volta, il capo dei Saka (popolo dei Sakia con capitale a Kapilavastu) si diresse verso Himatunga (Himalaya) e nel centro della regione chiamata Huna (nel Ladak, nel Tibet occidentale. Il punto focale della regione è il monte Kailasc con i laghi Manosarvar e Raksal Tal), il potente re Shalivahan vide una persona propizia seduta su una montagna. La sua pelle era di colore chiaro e indossava abiti bianchi.

 

ko bharam iti tam praaha

su hovacha mudanvitah

iishaa putragm maam viddhi

kumaarigarbha sambhavam

 

Il re chiese:

<Chi sei, o santo uomo?>.

Egli rispose con grande gioia:

<Dovresti sapere che io sono Ishaa Putra (il Signore Figlio), e sono nato da una vergine.

 

mlecca dharmasya vaktaram

satyavata paraayanam

iti srutva nrpa praaha

dharmah ko bhavato matah

 

Io sono l'illustratore della religione dei Mlecca e aderisco rigorosamente alla Verità Assoluta (Brahman)>.

Sentendo ciò, il re gli chiese:

<Secondo te, quali sono i principi della religione?>.

 

shruto vaaca maharaja

prapte satyasya amkshaye

nirmaaryaade mlechadesh

mahiso 'ham samaagatah

 

Ascoltando queste domande del re  Shalivahan, Ishaa Putra disse:

<O re, quando è sopravvenuta la distruzione della verità, io Mahiso (Grande Signore. Mah, da Maha: grande; iso, da ishvara: signore, colui che controlla), sono venuto in questo paese dei Mlecca dove i principi della religione non sono seguiti.

Imbattendomi in quella condizione tremenda e irreligiosa che si propagava da Mlechadesch (la regione dei Mlecca), mi sono dedicato al profetismo (meglio: concentrazione benevola).

 

mlecchasa athaapito dharmo

mayaa tacchrnu bhuupate

maanasam nirmalam krtva

malam dehe subhaasbham

naiganam apamasthaya

japeta nirmalam param

nyayena satyavacasaa

manasyai kena manavah

dhyayena pujayedisham

suurya-mandala-samsthitam

acaloyam prabhuh sakshat-

athaa suuryacalah sada

 

O re, per favore, ascolta quali principi religiosi ho stabilito tra i Mlecca. L'essere vivente è soggetto a contaminazioni buone e cattive. La mente deve essere purificata accettando un'adeguata condotta e recitando il japa (japa-mala: corona a 108 grani, usata per la recitazione dei santi nomi delle divinità). Recitando i santi nomi si ottiene la più alta purificazione. Come il sole inamovibile attrae, da tutte le direzioni, gli elementi di tutti gli esseri viventi, il Supremo della regione solare, che è fisso e che è infinitamente affascinante, attrae i cuori di tutti gli esseri viventi. Così, seguendo le regole, essendo veritiero, sereno e meditativo, o discendente di Manu, si dovrebbe adorare l'Eterno inamovibile.

 

isha muurtirt-dradi praptaa

nityashuddha sivamkari

ishamasihah iti ca

mama nama pratishthitam

 

Avendo posto la forma eternamente pura e propizia del Signore Supremo (Brahman) nel mio cuore, oh protettore del pianeta Terra, ho predicato questi principi attraverso la stessa religione dei Mlecca e così il mio nome è diventato Ishamasihah (Signore purificatore)>. Masihah va collegato con la radice araba “msh”, che, oltre “misurare”, significa “strofinare”, cioè togliere l'impurità. E' nel senso di purificare che il Corano definisce Gesù Cristo “Masih”, cioè purificato dagli errori e dalle debolezze. Il personaggio presente sul monte ha purificato con la sua predicazione la religione dei Mlecca, per cui è diventato Ishamasihah.

 

iti shrutra sa bhuupale

natraa tam mlecchapujaam

sthaapayaamaasa tam tutra

mlecchastaane hi daarune

 

Dopo aver ascoltato queste parole e offrendo i propri omaggi a quella persona che è adorata dai Mlecca, il re umilmente gli chiese di potersi fermare in quella tremenda terra dei Mlecca.

 

svaraajyam praaptavaan raajaa

hayamedhan cikirat

rajyam krtva sa sasthyabdam

svarga iokamu paayayau

 

Il re, dopo avere lasciato il suo regno (la montagna) eseguì un asvamedha-yajna (sacrificio del cavallo), e, dopo avere governato sessanta anni, andò sui pianeti celesti”.

 

Note

 

Il testo adottato è quello autentico.

Innanzitutto, esso non si svolge letterariamente con il tempo futuro, ma con il presente. Il testo tratteggia un'esperienza e non una profezia. Tutto è presentato come un fatto avvenuto in un dato tempo, e non come cosa che verrà. E' importante notare che il re Shalivahan avrebbe dovuto subito identificare il personaggio della montagna senza chiedergli chi era; dunque, una conoscenza nota.

Come contesto storico si può pensare ad un momento nel quale gli Arii in espansione hanno cominciato ad assumere usi religiosi locali, integrandoli con la loro religione.

Certamente non si è in un contesto buddhista, visto come il re compie un sacrificio cruento rifiutato da Buddha.

 

Tutto converge a identificare il personaggio della montagna con il dio Siva, anglicizzato in Shiva. Infatti il monte Kailasc è dimora di Shiva. Grande Signore, Mahesuara, è un titolo del dio Siva, e tale titolo si connette perfettamente con Mahiso.

 

 

Il dio Shiva è rappresentato spesso con la pelle chiara, contrariamente a Krsna, anglicizzato in Krishna, che ha pelle scura.

Shiva è presso i Shivaiti l'asceta perfetto, lo Yogishvara (anche gli dei nella visione induista devono liberasi da quantità di karma per accedere alla consapevolezza piena di essere Brahman), e il testo lo presenta come uno Yogi.

Shiva è il dio distruttore, ma anche il dio benevolo (Shiva vuol dire “benevolo”), che sana quanto ha colpito con la sua distruzione. Egli è il primo figlio di Brahma, la sua prima emanazione.

Tutto è emanazione da Brahma è perciò Sarasvati, la sua sposa, non presta un corpo a Brahma, ma solo l'adesione amorosa dalla quale scaturisce la volontà generatrice di Brahma. Per questo il testo dice “nato da una vergine”. Il linga (fallo), un simbolo di Shiva, non è una promozione specifica dell'erotismo, ma significa la forza generativa che pervade il cosmo, che fa capo a Shiva.

Come si può vedere un abisso separa il contenuto del testo dal Vangelo.