Gli iniziati di Pitagora

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La figura di Pitagora è difficile da tracciare, i dati di cui si dispone sono molti tardi, come le vite di Diogene Laterzio (Laerzio) (180 d.C. 240 d.C.), di Porfirio (234 - 301/5 d.C) e di Giamblico (ca. 259 - 330 d.C) sono troppo lontane dal tempo in cui egli visse per essere esenti da superfetazioni trasfiguranti, e di fatto non lo sono, tratteggiando un uomo dai molteplici poteri divini, abile in ogni direzione. Troppo chiaro che Porfirio, avversario acerrimo del cristianesimo, volle configurare un antagonista a Cristo con l'immagine di un Pitagora dotato di poteri speciali. Giamblico, allievo di Porfirio, nel suo scritto sulla vita di Pitagora, non fece opera differente.

Laterzio ci rivela che molti scritti attribuiti a Pitagora sono in realtà di Astone di Crotone di età ellenistica (323 - 31 a.C), e sappiamo che di scritti autentici di Pitagora non ce ne sono giunti, e con tutta probabilità neppure scrisse qualcosa, dal momento che il suo insegnamento era trasmesso oralmente ed era sotto il vincolo del segreto.

In questo stato di cose non sappiamo neppure se è veramente suo il famosissimo “teorema di Pitagora”, che in ogni caso è di scuola pitagorica.

Soltanto nel IV secolo a.C. Filolao di Crotone e Archite misero in scritto le dottrine pitagoriche, presentando già l'esistenza di differenziazioni.

 

 

Detto ciò, gli studiosi si sono mossi con molta circospezione, rimanendo sui dati generali e più sicuri.

Pitagora nacque a Samo nel VI secolo. Di famiglia benestante ebbe l'opportunità di ricevere l'insegnamento di vari maestri. La tradizione menziona i nomi di Fercide di Siro, di Talete, di Anassimandro. Il VI secolo vide il sostituirsi del sistema politico fondato sull'aristocrazia con quello del tiranno eletto dal popolo, cioè la democrazia. Il nome Pitagora significa “annunciatore del Pizio”, cioè uno che comunica i responsi del dio. A Delfi c'era un santuario dedicato ad Apollo Pizio. Pizio deriva da pyth, radice del verbo pynthànomai (interrogo). A Delfo c'era il più grande tempio oracolare del dio Apollo, che attingeva il suo sapere da Zeus, interrogandolo.

Il nome Pitagora indica, quindi, un legame con la divinità oracolare di Delfo, e lascia pensare che Pitagora si presentasse come uno che riceveva istruzioni dal dio Apollo.

Pitagora restò a Samo fino al momento in cui Policrate si proclamò tiranno dell'isola, scalzando la precedente struttura aristocratica della quale faceva parte Pitagora. Il “tiranno”, che significa “signore”, prometteva una redistribuzione delle ricchezze a favore dei meno abbienti e l'uguaglianza di tutti di fronte alle leggi “isonomia”.

Esule da Samo, Pitagora verso il 530 giunse a Crotone, dove venne accolto favorevolmente dall'aristocrazia, che si vedeva minacciata dalle nuove idee politiche che stavano dilagando e che già erano presenti a Sibari, vittoriosa nella battaglia di Sagra sui crotonesi. In questa situazione favorevole Pitagora fondò una scuola filosofica, la prima per quanto arcaica e rudimentale, con le caratteristiche di un sodalizio; una scuola filosofica religiosa. Una scuola filosofica religiosa con una strutturazione interna dimostrativa dell'efficienza del sistema aristocratico, fondato sulla diversità dei livelli. La comunità di Pitagora aveva in sé la volontà di presentare risolti tutti i contrasti sociali determinati dall'aristocrazia attraverso l'armonia delle parti. L'azione della comunità, che aveva regole ferree, fino alla comunione dei beni, prevedeva un insegnamento all'esterno presso gli essoterici (esterni, in pratica i cittadini di Crotone) e uno presso gli esoterici (interni, quelli che venivano a far parte del sodalizio). Gli essoterici erano detti pitagoristi, gli esoterici erano detti pitagorici. Tra i pitagorici c'era la suddivisione in akusmatici (“akuo”, ascolto; ascoltatori, in prova, che non vivevano la vita comune e continuavano a possedere i loro beni) e in matematici (“manthano”, imparo), gli iniziati, che vivevano insieme in una ferrea disciplina e con la comunione dei beni. C'era all'interno del sodalizio anche un gruppo di politici. Il loro scopo era probabilmente quello di interconnettere il sodalizio con l'aristocrazia della città, e nello stesso riversare l'armonia del sodalizio nella città.

Indubbiamente, Pitagora fondò il suo sodalizio considerando le iniziazioni praticate nei templi, ma si differenziò profondamente da esse introducendo la novità di una speculazione filosofica, anche se in quanto tale embrionale, attraverso la riflessione sui numeri, vero suo campo d'azione.

Il sodalizio coltivava la credenza nella reincarnazione, che non può essere pensata originata da Pitagora, ma da una divulgazione culturale a cui Pitagora ebbe accesso, o più direttamente dall'orfismo. Tale credenza è riconducibile, in maniera sufficientemente documentata, alla riflessione indiana dei Veda e delle Upanisap (secolo XVI-XV a.C). Nulla dall'Egitto, contrariamente ad una notizia di Erodoto (484 - 425 a.C). (Storie, II 123): "...e furono ancora gli Egiziani a formulare per primi la dottrina che l'anima dell'uomo è immortale, e, quando il corpo si dissolve, entra essa in un altro animale che, di volta in volta, viene al mondo.

Dopo essere passata per tutti gli animali della terra, del mare e dell'aria, di nuovo l'anima entra nel corpo di un altro uomo che nasce alla vita: questo giro di trasmigrazione per l'anima si compie, dicono, in tremila anni.

Di questa teoria si valsero alcuni fra i filosofi greci, chi prima, chi dopo; come se fosse stata loro propria: io ne conosco i nomi, ma tuttavia non ne parlo".

La credenza della metempsicosi entrò in aree dell'Egitto solo dopo che l'avevano adottata gli orfici e i pitagorici.

Erodoto ascoltò una rielaborazione sincretista, in chiave di metempsicosi, del cammino del defunto nell'aldilà presente nel cosiddetto Libro dei Morti, che comprende più autori e tempi diversi di composizione (testi nelle piramidi, nei sarcofagi, nei papiri). Questi testi entrarono in disuso verso il 30 a.C..

Tutta la concezione egizia dell'aldilà, dell'imbalsamazione delle salme, smentisce la notizia di Erodoto.

 

Gli akusmatici

 

Essi venivano introdotti in un insegnamento più intenso degli essoterici e dovevano sottostare alle regole dettate dagli akusmata.

Gli akusmata erano dei precetti considerati “sentenze divine”, che venivano dati da Pitagora.

Non bisognava mangiare le fave, perché esse ricordavano le porte dell'Ade.

Non si doveva raccogliere il cibo caduto a terra dalla mensa, perché esso era destinato ai morti.

Non si doveva toccare il gallo bianco.

Non si dovevano toccare certi pesci ritenuti sacri.

Non bisognava spezzare il pane con le mani.

Bisognava evitare i segni di lutto.

Non bisognava mangiare cefali e triglie.

Non bisognava mangiare uova.

Ecc.

Giamblico riferisce che gli akusmatici  venivano interrogati con tre tipi di domande: “Che cos'è?”, “Che cosa è meglio?”,  “Che cosa si deve fare o non fare?”.

Le domande erano tutte iniziatiche.

Che cosa sono le Isole dei beati?”: “Il sole e la luna”.

Che cos'è l'Oracolo di Delfi?”: “La tetrattile che è l'armonia delle Sirene”.

Che cos'è il tuono?”: “E' una minaccia per spaventare quelli che sono nell'Ade”.

Ecc.

 

I matematici

 

Dopo un lungo periodo di prova (anni) si diventava “matematici”, cioè si veniva iniziati al sapere numerico. Si era vincolati al segreto totale di quanto appreso, si mettevano in comune i beni.

Si accedeva a parlare direttamente con Pitagora.

Quanto alle donne, anch'esse potevano essere incorporate nel sodalizio, come si vede in elenchi giunti a noi.

Pitagora era sposato (il nome della moglie è forse Teano) e aveva figli: Arimnesto, Telauge, Esara (figlia).

Il sodalizio non escludeva il matrimonio. Infatti stando ai “Versi aurei”, che vanno riferiti a Pitagora, anche se non da lui scritti, si parlava di dominio sul sesso, alla stessa stregua del dominio sulla gola, sulla collera, sul sonno: “Approfondisci lo studio di queste cose e queste altre domina: il ventre anzitutto e così pure il sonno, sesso e collera”.

 

I numeri

 

Per Pitagora i numeri erano segno della quantità, ma nello stesso tempo erano la quantità. Il numero uno veniva infatti rappresentato anche con un sassolino, il due con due sassolini, ecc. Ne risultava che lo zero era sconosciuto. Mettendo insieme i sassolini ne risultavano figure geometriche e interessanti costruzioni. Ponendo in stratificazione un sassolino, poi due sassolini, poi tre sassolini e quattro sassolini, si otteneva una figura di dieci sassolini, chiamata tetraktys, il triangolo equilatero, che era sacro per i pitagorici e su di esso facevano il loro giuramento di appartenenza al sodalizio in maniera piena e nel vincolo di non rivelarne i segreti matematici. L'uno rappresentava il punto, il due la linea, il tre il piano, il quattro il solido, tutta la realtà era in quei numeri. Il 10, la somma dei primi quattro numeri, era il numero perfetto. Ma al tetraktys faceva capo anche la speculazione sui rapporti numerici in riferimento alle note musicali. Si narra che Pitagora fece le osservazioni sui rapporti numerici delle note musicali ascoltando delle corde vibranti munite di pesi diversi. Così Pitagora trovò che l'ottava è caratterizzata dal rapporto (2:1), la quinta (3:2), la quarta (4:3), e come tutti questi numeri siano presenti nel tetraktys (1, 2, 3, 4). I pitagorici notarono che i numeri che esprimono l'ottava, la quinta, la quarta (2, 3, 4) danno come somma 9, che è il triplo del tre, primo numero dispari, definente il piano e il triangolo, figura geometrica che per somma produce tutte le figure piane. Il triangolo è pure la faccia della più semplice figura solida, il tetraedo, che ha quattro facce e quattro vertici, e quindi comprende il numero quattro. Tre poi sono le dimensioni di ogni corpo (lunghezza, larghezza, altezza). Il numero 9 veniva inteso come simbolo di giustizia e di completezza, essendo numero contenuto nei gradi della circonferenza: 360°. Il numero 10 era il numero perfetto, 1 +  9 =10. Come si vede i pitagorici, che per primi trassero i numeri dall'impiego pratico del commercio e delle misurazioni per una speculazione su di essi, furono dei numeristi, cioè svilupparono una ricerca sui numeri convinti di avere in essi la chiave di accesso alla realtà, anzi quasi una sovranità conoscitiva sulla realtà. Per i pitagorici il numero era il costitutivo primo della realtà; una visione che è stata definita “mistica dei numeri”.

I pitagorici usavano i numeri anche come elementi simbolici di determinate realtà. Il numero 1 corrispondeva all'intelletto, all'anima, il numero 2 all'opinione, il numero 3 alla saldezza del pensiero, all'esattezza, il 4 alla giustizia.

Al numero 10 i pitagorici avevano ispirato la loro cosmologia. Aristotile (384 - 322 a.C.), non molto simpatizzante per Pitagora, riferisce che essa aveva come centro del cosmo un grande fuoco, Hestia, la dea del focolare che, corteggiata da Poseidone e da Apollo, aveva giurato di restare vergine. La verginità di Hestia colpiva certamente i Pitagorici, che guardavano al dominio della carne come mezzo di purificazione. I romani avevano l'equivalente nella dea Vesta.

Il grande fuoco, centro misterioso del cosmo, era riflesso da una grande lente (il sole) sui pianeti, che sferici ruotavano su se stessi e attorno al sole, da esso illuminati e riscaldati: la Terra, la Luna (vista come antiterra) e i cinque pianeti allora conosciuti (Giove, Marte, Mercurio, Saturno, Venere) e poi la volta stellata. Hestia, il grande fuoco è l'uno, i pianeti la volta stellata con al centro il sole-lente sono il 9: la circonferenza.

Una cosmologia futurista quella dei pitagorici; fu, tuttavia, Aristarco di Samo (310 - 230 a. C.), che pose in un quadro scientifico il sole, come grande fuoco, al centro dell'universo, diventando così l'antesignano di Copernico. Per Aristarco la terra si muoveva attorno al sole ruotando su se stessa, attorno al suo asse. Egli spiegò l'alternarsi delle stagioni considerando l'esistenza di un'inclinazione dell'asse terrestre rispetto all'orbita della terra attorno al sole. Aristarco venne condannato per empietà per questa sua concezione eliocentrica e venne dimenticato. I suoi metodi geometrici di rilevazione erano esatti, pur non fornendo risultati precisi per la mancanza di strumenti tecnici adeguati.

 

L'insuccesso politico del sodalizio

 

Le comunità di pitagorici si diffusero in numerose città della Magna Grecia, appoggiate dall'aristocrazia, ma le cose non andarono per il meglio.

A Crotone si era superato il momento della sconfitta inflitto da Sibari con un ribaltamento della situazione: Sibari venne sconfitta da crotonesi nella battaglia di Traente. Ne seguì una spartizione dei territori conquistati che crearono malcontento tra i crotonesi, i quali giudicarono utile travolgere l'aristocrazia per passare all'elezione diretta del signore della città. La comunità di Pitagora, radunata nella casa di Milone, subì un attacco da parte di Cilone di Crotone e di un gruppo di suoi aderenti. La casa venne incendiata e fu un massacro, solo due componenti del sodalizio rimasero vivi. Pitagora era assente, morirà a Metaponto (493/92 a.C.).

Tutte le comunità pitagoriche conobbero un tramonto improvviso.

Liside, uno dei due scampati al massacro di Crotone riparò a Tebe, dove fondò una suola pitagorica. Archippo, l'altro scampato, riparò a Taranto dove fondò anch'egli una scuola pitagorica. Ma ormai era tramontata l'utopia di poter gestire i conflitti storici, politici, dentro il quadro del modello di armonia pensato da Pitagora, restava però la speculazione matematica, astronomica.

Bisogna tuttavia riconoscere che i pitagorici fecero fare alla matematica numerosi avanzamenti. A loro risalgono i numeri primi, i numeri irrazionali, la teoria dei rapporti e delle proporzioni, la teoria delle medie proporzionali, le grandezze incommensurabili, i principi geometrici, la sfericità della terra, la misurabilità dei fenomeni della natura.

Una rinascita del pitagorismo si ebbe,  con il cosiddetto neopitagorismo (I sec. a.C -  III sec. d.C), che risulta, per i numerosi nuovi influssi culturali (dallo zoroastrismo ad influssi egiziani), alquanto diverso dal pitagorismo originale. E' il neopitagorismo che compilò le opere apocrife attribuite a Pitagora. Latezio, Porfirio, Giamblico, furono dei neopitagorici.

 

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