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L'approccio al mondo culturale dei
Mexica
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I codici pittografici erano
solo la base su cui si edificava la dottrina circa le varie divinità indigene,
ma non essendovi una lingua scritta il potere della conoscenza, che era nelle
mani della casta sacerdotale e nobiliare, conosceva il soggettivismo. La
mitologia occidentale greco-romana era riuscita a darsi una configurazione -
quella pubblica della polis - per la presenza della scrittura, che creava
dei documenti stabili, anche se non mancavano variazioni nella redazione dei
vari miti. Nel mondo degli amerindi questo non era avvenuto. Una divinità fluiva
in un'altra, un attributo si moltiplicava con sfumature in più divinità e le
pittografie sembravano fatte apposta con i loro densi simbolismi per creare
difficoltà di comprensione ai missionari. Le divinità sembravano pullulare
diventando patrone di uno o di un altro gruppo sociale: i cacciatori, i
pescatori, gli artigiani, i commercianti, i guerrieri, gli agricoltori, i
governanti, i sacerdoti, i costruttori, ecc. (Cf. “La religione del Messico
antico”, Sergio Botta, docente di Storia e istituzioni delle Americhe presso
l'Università di Roma “La Sapienza”, ed. Carocci, Roma, 2006, pag. 117).
Non mancavano le divinità
maggiori, cioè le più universali, ma la loro qualificazione legata alle arti
sciamaniche (Da “saman”, in lingua tunguso, popolazione della
Siberia. Significa: “colui che sta fuori da sé”) contribuiva a far sì che
non si avesse una “rivelazione” definita. Con tutto ciò le pittografie
erano eseguite su basi di regole precise. Il tlacuilo (scriba azteco) non
poteva mettere niente di suo: doveva essere anonimo.
Si può subito intravedere la
grande fatica di Sahagun, di Andreas de Olmos, di Diego Duran, di Toribio de
Benavente (detto Motolina), di Juan Tovar, di Juan de Torquemada, ecc., nel
raccogliere i dati e nel cercare di decifrarli per comunicarceli, selezionando,
interpretando. I loro lavori vanno avvicinati con grande rispetto e ammirazione.
Per i missionari era di
necessità entrare in quel mondo, se si voleva adeguatamente trasmettere la
liberazione portata da Cristo. Non bastava abbattere gli idoli, non bastava
gridare contro l'orrore dei sacrifici umani, che purtroppo qua e là
continuavano; bisognava andare oltre e il primo strumento che lo poteva
permettere era l'alfabetizzazione delle lingue native. In tal modo si sarebbe
potuto fissare per scritto il sapere religioso dei Mexica ed entrare nel loro
mondo culturale, e anche intercettare le abilità sincretiste, che si stavano
profilando, anzi che già agivano. La scrittura avrebbe reso oggettivabile nel
tempo il pensiero nativo. Altra avvertenza dei missionari fu quella che con
l'alfabetizzazione non si venne ad abolire le parlate native, imponendo lo
spagnolo o il latino. L'alfabetizzazione permise così un decisivo salto di
qualità della comunicazione. La prima opera di
alfabetizzazione risale a Pedro de Gante, uno dei tre francescani di origine
fiamminga che per primi giunsero a Tenochtitlan. Pedro de Gante giunse a
compilare un catechismo il lingua nahuatl alfabetizzata.
I francescani che
sopraggiunsero non fecero che accelerare l'opera di alfabetizzazione fondando
nel 1536 un centro culturale di grande importanza: “Il Collegio Imperial de
la Santa Cruz de Tlatelolco”, sotto il patrocinio del vicerè Antonio de
Mendoza.
Dal Collegio partì nel 1559
l'opera di ascolto dei Mexica per fissare in scritto i loro tratti religiosi e
civili. L'animatore primo di questa azione fu padre Bernardino de Sahagun,
formato nella prestigiosa Università di Salamanca. Egli predispose una serie
minuta di domande da porre ai nativi per poi trascriverne le risposte. In questo
lavoro collaborarono gli studenti indigeni del Collegio, diventati trilingue:
nahuatl, castigliano, latino.
Uno dei rischi, che permane
tuttora nelle indagini di opinione, era che i questionari potessero veicolare
risposte occidentali e non native. C'era poi la difficoltà di incontrare gente
che sapesse e fosse disposta a dire, visto che il sapere maggiore
era detenuto dalla classe sacerdotale e nobiliare, attaccata al passato e in
posizione di resistenza. C'era poi il pericolo di incorrere in depistaggi o
peggio in sicretismi col cristianesimo.
L'impresa si concluse con la
convinzione di avere individuato 12 divinità principali, un po' secondo il
modello dell'Olimpo, con la consapevolezza, però, di usarlo solo come schema
didattico di comprensione e non di precisa identificazione.
Si allargò l'indagine anche
ai costumi, alle usanze, alle conoscenze tecniche, al commercio, ai sistemi di
governo, ecc.
Questo non era senza un
disegno, perché Bernardino da Sahagun pensava, da buon francescano che aveva
assimilato la lezione missionaria di san Francesco d'Assisi, di impiantare
comunità cristiane capaci di far lievitare la cultura locale, purificandola ed
elevandola con il Vangelo, in un'ottica di attuazione di Stati cristiani
autonomi e non sotto dominazione. Per questo Sahagun non fu visto di buon occhio
dagli Spagnoli. Dello stesso avviso, cioè di costituire una Chiesa locale che
non fosse del re di Spagna, e che lievitasse Stati cristiani indigeni, era mons.
Juan de Zumarraga; ma la corona di Spagna vincolò la Chiesa a inviare missionari
che le fossero graditi, e pertanto nessun missionario poteva imbarcarsi senza
l'autorizzazione regia; era un cappio al collo: prendere o lasciare.
Bernardino da Sahagun
accettò il pensiero di un Topiltzin mite, esecratore dei sacrifici umani, e che
aveva avviato una lotta in merito pur senza successo. Sahagun non credeva
minimamente al mito che Topiltzin sarebbe ritornato nel futuro, come venne a
sapere e riportò, ma per lui Topiltzin era l'emblema dell'esistenza di giusti
all'interno del mondo Mexica. Per nulla Sahagun identificò Topiltzin con san
Tommaso; Sahagun a Salamanca aveva ben saputo che tra l'Asia e il Nuovo Mondo
c'era l'Oceano Pacifico.
Dunque, non sfuggì Sahagun
alla mistificazione di un Topiltzin Quetzalcoatl mite; un re giusto, il re di
Tollan (o Tula) era affascinante per Sahagun, che vi vedeva la radice di un
governo autonomo indigeno.
Circa Topiltzin, Sahagun non
sfuggì ad una serie di errori. che incontrò nelle relazioni ricevute.
Così, scrisse nelle “Antichità
Messicane”, pubblicato a spese di lord Eduard Kingsborough (1797-1837), Vol
VI, pag. 176: “Un ambasciatore fu spedito dal cielo ad una vergine di Tulan,
Chimalman, annunciando che era volontà del Dio che lei doveva concepire un
figlio; e avendo consegnata la comunicazione lasciò la casa; ed appena lui
l'aveva lasciata, lei concepì un figlio, senza collegamento con uomo, e che fu
chiamato Quetzalcoatl (...)”. Dati questi che mescolano la nascita del dio
Huitzilopochtli da Coatlicue, con quella di Cristo.
Sahagun spiega che
Quetzalcoatl Topiltzin vuol dire <Il nostro bene-adorato figlio>”; ma il
significato è forzato e va trovato piuttosto all'interno di “prezioso
gemello: Quetzalcoatl ”, “nostro principe: Topiltzin”, “nostro
signore: Topiltzin”, e poi anche “figlio nostro: Topiltzin”.
Oggi si sa dalla “Legenda
de los Soles” che il mito faceva nascere Topiltzin da Chimalman, che
apparve nuda al guerriero Mixcoalt, il quale sul momento lasciò cadere a terra
le frecce e l'arco, ma poi ripresosi lanciò frecce contro la donna, ma senza
poterla colpire (Chimalman, significa “mano-scudo”). Ella si rifugiò “nella
caverna di un gran precipizio”, ma Mixcoalt la cercò. Di nuovo vedendola
nuda le scagliò frecce, ma ancora senza poterla colpire. Alla fine giacque con
lei e venne concepito Quetzalcoatl.
Gli “Anales di
Cuauhtitlan” narrano diversamente la nascita di Topiltzin Quetzalcoatl.
Secondo tale narrazione la donna è una vedova non risposata e si chiama, con
leggera variazione del nome, Chimanan, che concepisce Topiltzin Quetzalcoatl
dopo avere ingerito uno smeraldo grezzo.
La nascita del dio
Huitzilopochtli avviene invece per mezzo di Coatlicue, che vuol dire “veste
di serpente”. Questa donna vide cadere dall'alto un grumo di piume e lo
introdusse nel suo grembo. Il grumo di piume rappresenta lo spirito di una
vittima sacrificata, che era stata deificata. Ecco il messaggero di cui
riferisce Sahagun. La donna, per il suo gesto inverecondo, venne perseguitata
dai suoi stessi figli e messa a morte, ma Huitzilopochtli uscì dal grembo della
donna già armato di tutto punto e uccise i suoi fratelli e le sue sorelle.
Coatlicue era venerata come dea del fuoco e della fertilità, mentre
Huitzilopochtli (significa “colibrì del sud” o “colui che viene dal
sud”) era il dio della guerra e del sole. Il dio che rendeva vincenti gli
Aztechi nelle guerre per avere vittime umane. Era il dio protettore della
capitale azteca. La grande piramide a gradoni della città era dedicata a lui. In
particolare, i sacerdoti che sacrificavano le vittime umane mangiavano prima
dell'azione sanguinaria un impasto di semi di papavero raffigurante il dio, per
immedesimarsi nel presunto procuratore delle vittime da offrire al dio Sole, che
pretendeva sacrifici umani per continuare a procedere nel suo movimento celeste. Chiaro che i semi di papavero contenevano quantità di alcaloidi dell’oppio, e
che quindi l'impasto aveva effetti di droga.
Si noti il sincretismo, che
già circolava tra i nativi: Topiltzin Quetzalcoatl nasce da una vergine, senza
concorso di uomo, avendo ricevuto l'annuncio di una maternità; Topiltzin è un
sovrano mite e giusto; se ne è andato, ma per tornare un giorno come liberatore.
Il domenicano padre Diego
Duran (1537-1588), nato in Spagna, ma giunto in Messico all'età di cinque o sei
anni, ebbe una posizione diversa da Sahagun. Egli, nella sua opera “Historia
de las Indias de Nueva Espana e Islas de Tierra Firme” abbracciò l'idea di
Cortes che Topiltzin Quetzalcoatl fosse in realtà san Tommaso. Padre Diego non
ebbe la fortuna di Sahagun di frequentare l'Università di Salamanca e credeva
ancora che le Indie combaciassero con l'America, senza che ci fosse di mezzo
l'Oceano Pacifico. Dunque non aveva elementi per mettere in dubbio quello che
divulgò Cortes. Coerente con l'identificazione di Topiltzin Quetzalcoatl con san
Tommaso, Diego Duran non lo nomina mai Quetzalcoatl, ma solo Topiltzin, e mai lo
dice re di Tollan, perché contrario all'identificazione con san Tommaso. Lo
chiamò invece papa, che in nahuatl vuol dire “uomo dai capelli
lunghi”: così li portavano i sacerdoti mexica, e papa venivano
chiamati. Duran usò chiamarlo anche Hueymac, personaggio diverso da Topiltzin,
ma che accomunò a san Tommaso per il fatto che aveva affermato che non si
sarebbe sposato “fino a quando la quercia desse le mele e il sole sorgesse ad
ovest...”; una risposta evasiva, forse funzionale ad un quadro mitico, ma
per Diego Duran era una scelta celibataria.
Posta l’idea che in antico
fosse giunto in Messico san Tommaso, Duran cercò di vederne i segni del
passaggio. Così il lavacro augurale che si faceva sui neonati dichiarando che
l'acqua era elemento essenziale che li avrebbe fatti vivere sulla terra, vi
vedeva tracce del Battesimo. Nel
titolo di Tota (padre) dato al dio Tonacatecuhtli, nel titolo
di Topilzin (figlio nostro, traduzione possibile) dato a Tezcatlipoca
(bianco), cioè Quetzalcoatl, che Duran identifica, con una somma di confusioni,
con Topilzin Quetzalcoatl, nel titolo Yolomet
(cuore degli dei), dato a Tezcatlipoca (bianco), in quanto all'origine
del Sole per mezzo di un complesso processo, Duran vi vedeva tracce di un antico
annuncio della Trinità.
L'opera di
Diego Duran al pari di quelle di Sahagun non incontrarono l'avallo della Chiesa
- ma nessuna condanna
- e vennero lasciate da parte.
Del resto, il lavoro
principale di Sahagun “Historia universal de las cosas de Nueva Espana”,
redatto tra il 1576 e il 1577, con preparativi nel 1575, venne confiscato da
Filippo II re di Spagna e poi da lui regalato al granduca di Toscana. Ora è
conservato nella Biblioteca Medicea Laurenziana a Firenze.
L'altra opera di Sahagun “Antichita
Messicane” venne scoperta nel 1730 in un convento di Tolosa. Venne portata a
Madrid nel 1783 e infine pubblicata a Londra nel 1830 da lord Kingsborough.
L'opera di Diego Duran venne
poi pubblicata solo nel XIX secolo.
Così la conclusione
editoriale di due importanti opere culturali, tuttavia le idee vennero oralmente
divulgate nella formazione dei sacerdoti, e trovarono posto, rigorosamente
mediate dalla verità delle circostanze e delle persone, nell'opera
evangelizzatrice, la quale, come sempre, più che per opere al vertice, certo
importanti ed essenziali, avanza e si stabilisce per la dedizione quotidiana di
tanti e tanti umili operai.
Ma ora dalla notte dei tempi
ci sono giunte due voci del passato. Una è un'opera scritta in lingua quiché
alfabetizzata, che venne ritrovata nel primo decennio del 1700 in un convento
domenicano del Guatemala. Il religioso che la trovò ne trascrisse il testo e ne
fece una traduzione in spagnolo. Tale opera del religioso venne poi ritrovata
nel 1854 in una biblioteca di Città del Guatemala e pubblicata a Vienna. In
seguito venne pubblicata anche in francese nel 1861. L'opera venne scritta da un
sacerdote della popolazione Maya Quiché dell'area del Guatemala, per conservare
le sue credenze religiose e trasmetterle ai posteri. Evidentemente l'opera venne
intercettata dai Domenicani, e non distrutta perché importante per conoscere le
esatte posizioni delle religioni native. Il testo è stato pubblicato
recentemente in italiano: “Miti e leggende del Popolo Vuh” a cura di
Michela Craveri, ed. Bompiani, Milano 1998.
L'altro testo del medesimo
carattere è “I libri di Chilam Balam di Chumayel” di un sacerdote Maya
dello Yucatan.
Note
Non vanno neppure
considerate le scomposte ricerche di ipotetiche tracce cristiane antiche tra i mexica fatte dai Mormoni, fondati nel 1830 a Fayette (New York) da J. Smith.
Ricerca funzionale alla loro dottrina - comprendente, tra l'altro, gravissime
eresie sulla Trinità -, che Gesù Cristo abbia istituito altri 12 apostoli in
America in un suo viaggio. Ma poi, perché non in Cina, non in Africa, non in
Oceania, non in India? Ma poi, perché ha inviato i veri dodici apostoli, a
partire da Gerusalemme, dove è morto e risorto, ad andare ad ammaestrare tutte
le nazioni, in tutto il mondo (Mt 28,18; Mc 16,15), dicendo loro che, in
questo senso, avrebbero fatto opere più grandi di quelle fatte da lui (Gv
14,12), ma in Lui, con Lui e per Lui, nel dono dello Spirito Santo e nell'unità
dell'unica Chiesa, destinata a rimanere, ricca della successione apostolica,
fino alla fine del mondo(Gv 17,20s)?
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