Krsna in
sanscrito significa “scuro”, il colore della pelle della divinità è
infatti un azzurro scuro, ma una etimologia devota degli Hare Krishna si
diversifica presentando il significato di “infinitamente affascinante”.
La radice krish indicherebbe il fascino supremo, mentre il suffisso na
la gioia suprema: questi due dati indicherebbero Krishna come Supremo Brahman,
il culmine di queste due caratteristiche. Usualmente il nome Krishna viene preceduto da Sri o Shri, che
viene tradotto come “Signore”, ma è una traduzione inadeguata; Sri
piuttosto vuol dire “venerato”: è un titolo di rispetto. E'
l'ottava avatara del dio Vishnu.
La vita di
Krishna
La vita
di Krishna la si trova nel Mahabharata (la grande storia dei figli di
Bharata: un antico mitico imperatore del mondo. Bharata indica oggi più
precisamente l'India).
Krishna è
presentato come l'ottavo figlio di Devaki e Vasudeva. Nasce con la pelle color
azzurro scuro. E' capo della tribù yadava. Discende da Manu (il primo uomo) e da
Daksa (il primo brahmano) e da altri mitici eroi. Krishna è indicato come
Janardana (“colui che fa tremare i demoni”) e come Govinda (go
vuol dire vacca; protettore delle mucche e della terra). Porta sullo stendardo
l'uccello Garuda (l'uccello gigantesco che trasporta il dio Vishnu o Visnu). Ha come
attributi la conchiglia (pancajanya) col cui suono atterrisce i demoni;
il disco (vajra nabba) datogli da Agni, dio del fuoco, come arma e quindi
come segno di protezione. Insegna all'eroe Bhima, fratello maggiore di Arjuna
(due dei cinque figli del re Pandu; i Pandava), l'arte della guerra. Pandava
sono pure tutti i guerrieri che combatterono dalla parte dei Pandava nella
battaglia di Kuruksetra contro i Kaurana.
Krishna
interviene nella lotta con consigli e azioni gloriose. Offre sacrifici, compie
riti. Infine, muore per un freccia al tallone, unica parte vulnerabile,
lanciatagli per errore dal cacciatore Jara, mentre era nella foresta.
La narrazione
si trova elaborata definitivamente nell'appendice del Mahabharata, che ha il
titolo di Harivamsa (la stirpe di Hari, un nome di Vishnu), ma anche la si trova
elaborata nei Purana (Vishnu - Purana) e nel tardo Bhagvata - Purana (X - XI
sec. d.C.). In queste rielaborazioni vengono introdotti nuovi elementi.
Nella città di
Mathura, il perverso re Kamsa, usurpatore del trono di suo padre, viene a sapere
da una profezia che morirà per mano di un figlio della cugina Devaki, moglie di
Vasudeva. Credendo a ciò Kamsa fece uccidere tutti i nati di Devaki. Sfuggono
alla morte il settimo figlio, Baladeva, e l'ottavo Krishna, (sanscr. “Scuro”),
che viene scambiato con la figlia del pastore Nanda e della moglie di lui
Yasoda, che partorisce nello stesso momento in cui Krishna viene alla luce.
Venuto a
conoscenza della presenza del bimbo nel villaggio Vrindavana, il sovrano Kamsa,
per ucciderlo, inviò un demonio di nome Putana, che assunse le sembianze di una
bellissima donna la quale visitando le giovani madri chiedeva di poter tenere in
braccio i piccoli e allattarli al proprio seno. Il latte era però avvelenato e i
neonati così morivano. Quando giunse alla dimora di Krishna il demonio lo prese
per allattarlo, ma il neonato era immune dal veleno presente nel latte. Ne
risultò la dissoluzione della donna che riprese le sue vere sembianze di
demonio, svelando così la sua vera identità.
Allevato da
pastori e da mandriani, il bambino dimostra una forza eccezionale e riesce a
vincere schiere di demoni. Egli invita a sacrificare non più ad Indra (divinità
che controlla la pioggia e la folgore; era la divinità tutelare degli Arii. A
lui sono dedicati un quarto degli inni dell'intero RgVeda), ma alle Montagne,
divinità a loro più adatte poiché fanno scorrere a valle ruscelli e torrenti e
presentano i pascoli per il bestiame.
Indra,
incollerito, scatena un tremendo uragano distruttore. Krishna difende i pastori
sollevando il monte Govardhana e facendone un parapioggia. Krishna viene così
riconosciuto come avatara di Vishnu, e viene adorato dai pastori e
mandriani.
Krishna si
compiace di gare rituali, delle danze delle gopi (campagnole) piene
d'amore per lui.
Durante la
sanguinosa battaglia di Kurukshetra, Krishna prese le parti dei virtuosi
principi Pandava contro i loro cugini Kaurava, usurpatori del regno.
Krishna,
essendo imparentato con entrambi i rami della famiglia, chiese ad Arjuna e a
Duryodhana, il maggiore dei Kaurava, giunti alla sua dimora per chiedere
alleanza, di poter scegliere tra il suo esercito e la sua presenza fisica nel
campo di battaglia, con la condizione di non combattere. Il Pandava, Arjuna,
scelse la sua vicinanza e così Krishna divenne il suo auriga, rendendo
soddisfatto anche Duryodhana.
Arjuna, prima
della battaglia, trovandosi davanti ai cugini, nonni e amici schierati con
l'avversario, cedette all'angoscia e agli affetti e si rannicchiò piangendo
rifiutandosi di combattere. Krishna gli infuse coraggio, rammentandogli il suo
dharma (regola) di guerriero e impartendogli una serie di insegnamenti
volti a raggiungere la realizzazione spirituale, tali insegnamenti sono
contenuti nella Bhagavad-Gita (canto del Beato: Krishna). I
Pandava ottennero così la vittoria nella battaglia di Kurukshetra, nonostante
l'inferiorità numerica.
Kamsa, falliti
i tentativi di opporsi a Krishna e al fratello Baladeva, venne poi ucciso da
Krisnha.
Il suocero di
Kamsa, il re Jarasandha e Maghada, per vendicarlo assedia Mathura, ma è
sconfitto.
Krishna,
ribollente di vigore amoroso, rapisce Rukmini, sorella di Rukmin e fidanzata del
re Sisupala. Incalzato da Rukmini, Krishna si trasferisce con il suo popolo
verso occidente dove fonda la città di Dvaraka nel Gujarat. Sposa Rukmini dalla
quale ha tredici figli e tredici figlie. Sposa poi altre sette regine e 16.000
donne, generando innumerevoli figli e figlie. Una feroce lotta interna distrusse
la sua stirpe e così si ritirò in un bosco a praticare l'ascesi. Qui un
cacciatore lo scambiò per una gazzella e lo colpì al piede, da ciò la morte.
Krishna lasciò quindi il suo corpo e riacquistò la sua forma divina. La morte
fisica di Krishna avvenne nel 3102 a.C., e segnò la fine della terza era del
mondo, il Dvapara Yuga, e l'inizio dell'era attuale, il Kali Yuga. (Gli Yuga
nella credenza induista sono quattro. Il krta o satya (l'età
dell'oro), il treta (l'età dell'argento), il dvapara (l'età del
bronzo, durata 864.000 anni), il kali (l'età del ferro; l'attuale).
Note
Krishna nasce da un
connubio. La sua concezione non è affatto verginale come ha voluto narrare
Eduard Schuré o Schurè, molto citato al proposito, ma rigettato anche dagli Hare Krishna.
Il corpo di Krishna non è in
tutto omologabile a quello umano, esso è invulnerabile. Solo nel tallone
presenta un lato mortale, cioè in un punto dove una ferita è ampiamente
risanabile. La sua morte non è stata una morte sacrificale. Assolutamente non è
stato crocifisso come ha voluto affermare la D. Murdok (Acharya s) sulla base di
alcuni dubbi e tardi disegni.
La dottrina di Krishna è
contenuta nella Bhavavad-Gita (300 a.C.?) ed era professata da una scuola
religiosa detta “dei seguaci del beato”, cioè Krishna. Nella Bhavavad-Gita non è
ancora esplicitato che Krishna è un avatara del dio Vishnu. Lo sarà nel
Mahabharata dove Krishna è chiaramente presentato come l'ottava avatara di
Visnhu, quindi come Vishnu stesso.
Schuré e Acharya S dicono
che Krishna camminava sulle acque e moltiplicava pani e pesci, ma ciò non è mai
accaduto. Invece ciò viene detto, ma con netta derivazione cristiana (Cf. E. W.
Hopkins, “India old anda new”, N.Y - Londra 1902), per Madhva (1199 -
1274/76), fondatore di un movimento indù sorto proprio nella zona indiana più
cristianizzata.
Gli Hare
Krishna
Nel 1966 Abhay Charan
Bhaktivedanta Swami Prabhupada (1896 - 1977) fondò a New York l'Associazione
Internazionale per la Coscienza di Krishna, basata su di una interpretazione
della Bhagavad-Gita.
A. C. Bhaktivedanta Swami
Prabhupada nel 1950 si separò dalla sua famiglia (era sposato con Radharani Datta
e poi in seguito scelse un'altra donna non soddisfatto della prima; ebbe un
figlio) e si ritirò a Vrndavana, dove c'è un antico eremo dedicato a Krishna,
dove morì.
Il nucleo dell'Associazione
consiste nel ripetere indefinitamente questo mantra (mantra deriva dalla
combinazione di due parole sanscrite: manas “mente” e trayati
“liberare”. E' liberare la mente inducendo così la concentrazione
devota).
Il maha mantra
(grande mantra) deve essere ripetuto 1728 volte al giorno. Il conto esatto è
garantito da una corona (japa-mala) di 108 grani.
Hare Krishna
Hare Krishna Krishna Hare Hare |
Hare
Rama Hare Rama Rama Rama Hare Hare |
Il maha mantra è
rivolto in primo luogo a Radha e poi a Krishna, contrariamente a quanto si pensa
comunemente. Hare è infatti una forte vocativo a Radha , alla Madre Hara, altro
nome di Radha. Radha è la gopi prima di Krisnha. Ad essa ci si rivolge
come modello di amore a Krishna. Radha vuol dire “colei che adora Krishna nel
migliore dei modi”, è la forma personale della sua potenza interna di
felicità. Pur adorando Krishna-Vishnu, Radha non è una creatura distinta da
Krishna, ma una manifestazione di Krishna al femminile. Quindi è Krishna che
adora se stesso mediante Radha, che è la sua forma femminile. In tal modo,
Krishna si dimostra il migliore adoratore di se stesso. Come Radha Krishna è il
dio che adora e come Krishna è il dio che è adorato. La relazione tra Radha e
Krishna è dettata dall'identità nella differenza. In essenza sono un'unica
entità, che si manifesta in due identità distinte. E' un biduità personale con
una sola essenza. L'amore tra i due è l'amore che Krishna vuole avere per sé, ma
c'è una differenza, mentre Radha adora Krishna, Krishna ama solo Radha poiché la
produce per se stesso, e non per lei. Così è Krishna che predomina, nei termini
di speculazione filosofica (tattva), ma questo non è importante per gli
Hare Krishna perché più importante della tattva é la lila (gioco),
cioè il divertimento trascendentale offerto da Radha, così Radha
recupera l'uguaglianza.
Tutte le divinità maschili
induiste hanno una pareda che è prodotta da essi come emanazione della loro
energia divina femminile (sakti).La sakti, in tal modo, diventa
realtà personale adorata nell'induismo.
Senza avvedersene, il
modello Krishna Radha risente del rapporto uomo donna nell'induismo. L'uomo ama
la moglie, la moglie adora il marito. Adorando il marito con lila (gioco
trascendentale amoroso), la donna esercita il suo fascino sul marito legandolo a
sé. I due, il marito e la moglie, sono una sola carne, come Radha e Krishna sono
una stessa essenza.
Radha ricorre continuamente
al lila, manifestandosi sotto la forma delle gopi del villaggio
Vrindavana, che amarono e adorarono Krishna. Le gopi sono così le
kaya-vyuha, le varie espressione dell'unica persona di Radha, le espressioni
delle sue emozioni, dei suoi impulsi adoranti Krishna. Il nome Rama (composto da
raja “sovrano” e maha “grande“, è il nome del
settimo avatara di Vishnu) nel maha mantra è un nome di Krishna,
con il senso di fonte inesauribile di felicità”.
Krishna si identifica in
tutto con Visnhu “il sostegno di ciò che esiste”. Krishna è il Param Brahman,
il Brahman Supremo. Brahman diventa solo la radiosità radiante del corpo
trascendentale di Krishna. Brahma è il creatore dell'universo per mezzo di
emanazione. Shiva, generato da Brahma, è il puro devoto incaricato della
distruzione dell'universo alla fine della vita di Brahma.
Note
E'
un pensiero complesso quello presentato dagli Hare Krishna, ma essi dicono che è accessibile con
l'esperienza di Krishna, con la coscienza di Krishna, con l'essere coscienti di
lui.
L'approccio razionale di una
teodicea (branca della filosofia che tratta dell’esistenza di Dio e dei
suoi attributi) non è possibile. La ragione deve muoversi solo dentro il quadro
stabilito, moltiplicando le soluzioni verbali.
Va detto che gli Hara
Krishna, seguendo la
Bhagavad-Gita (”Il
canto del Beato”),
non spingono il fare ascetico ad estremismi e hanno una valutazione positiva
dell'azione umana e della vita sociale, questo perché la loro dottrina unisce il
monismo panteista al dualismo fondato “sull'altro da sé”;
ma la sintesi è inesistente, benché venga presentata come comprensibile ai
devoti che arrivano alla “coscienza di Krishna”, seguendo l'itinerario
presentato dal guru, autorizzato a trasmettere e a far giungere alla “coscienza
di Krishna”.
La posizione cristiana è
molto diversa nei riguardi dell'incontro tra fede e ragione. Il cristiano
afferma l'esistenza del mistero rivelato, cioè di verità che sorpassano la
portata della ragione, ma riconosce che la ragione può arrivare a cogliere
l'esistenza di un unico Dio, trascendente, creatore ex nihilo di tutte le
cose, onnipotente, provvidente, sussistente in se stesso. Di fronte alla
rivelazione occorre indubbiamente la fede, ma, ecco che la fede, illuminando
l'intelletto, si apre al pensiero teologico, che può giungere fino al “punto
oscuro”, cioè al punto luminosissimo non affrontabile dall'intellectus-fidei;
così come l'occhio fissando il sole si trova oscurato perché incapace di
sostenerne la luce.
Hare Krishna
sposati e non sposati
Il celibato (Brahmacarya;
carya: centro) è praticato dagli Hare Krishna. Essi devono cancellare il
desiderio sessuale. Tale esercizio parte dalla concezione del corpo come fatto
accidentale (reincarnazione), e non unito sostanzialmente all'anima per l'unità
uomo.
La consacrazione verginale
cristiana non è dettata da una negatività verso il corpo, ma esclusivamente
dalla volontà di un amore indiviso. Essa non abolisce il dato sessualità,
distinguendo tra sessualità e genitalità. La sessualità è il dato
che costituisce l'uomo nel genere maschile e femminile, la genitalità è
l'esercizio specifico, genitale della sessualità. Così, per il consacrato
cristiano la sessualità è il dato originario del suo essere uomo o donna.
Tuttavia, il consacrato domina la carne, in quanto ferita dalla colpa originale,
ma non desidera essere precisamente liberato dal corpo, ma soppravestito
(2 Cor 5,4) nella risurrezione.
Gli Hare Krishna avviano al
celibato gli adepti fin da bambini, ma si sono presentati seri inconvenienti,
con risvolti di plagio.
Sono, tuttavia,
brahmacarya anche gli sposati che osservano le norme vediche della vita
coniugale: solo rapporti con la moglie, con apertura alla vita. Gli sposati
sono, tuttavia, chiamati più specificamente adhicarin, indossano una
veste bianca, che per le donne è simile al sari indiano. I brahmacarya
vestono invece una veste color giallo zafferano. I membri maschi sono rasati,
con una sola treccia detta sikka.
Gli adhicarin o
grasta-brahmacary possono praticare la bhakti, ma non la Jnana
(sapere spirituale, o conoscenza, che porta a vivere la distinzione tra corpo e
anima, in una visione dualista che il cristianesimo rifiuta) e la dhyana
(la pratica della meditazione trascendentale), che esigono la castità completa.
La bhakti permette
una vita sessuale perché la bhakti-yoga
(Bhakti - devozione/amore, e Yoga - unione) viene detta così potente che
appena ci si dedica a Sri Krishna si perde automaticamente ogni
attrazione per i piaceri sessuali.
“Enciclopedia
delle religioni”, ed. Vallecchi, Firenze, 1978.
“Il
libro di Krsna” (i grandi classici dell'India), ed. Bhaktivedanta, 1985.
“La
Bhagavad-Gita, così com'è” (i grandi classici dell'India) ed. Bhaktivedanta,
1981.
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