Il mito è
originario della Frigia, ed è testimoniato da due versioni che divergono sul
fatto che in una l'amante di Attis è Agdistis e nell'altra è Cibele. Gli
antecedenti del mito partono dal tentativo di Zeus di avere un rapporto sessuale
con Gea (identificata con la frigia Cibele), dea della Terra. Gea, secondo la
teogonia di Esiodo, nacque dal Caos, che è la materia primordiale divinizzata,
ma senza avere in sé niente di personale. Il Caos diede la vita a Gea la quale,
per partenogenesi, diede vita ad Urano (il cielo stellato) e a Ponto (le
profondità marine). Gea poi si unì ad Urano dando vita ad Oceano (divinità
maschile delle acque, che si unì a Teti divinità femminile delle acque, nata
anch'essa da Gea e da Urano. Oceano e Teti generarono 3000 fiumi), e ad altri
titani. Poi da Gea e Urano nacque Crono, che nutrì avversità per il padre Urano,
poi nacque Rea che divenne sposa di Crono. Dai due nacque Zeus e sei dei dodici
dei dell'Olimpo (Zeus, Era, Poseidone, Ares, Ermes, Efesto, Afrodite, Atena,
Apollo, Artemide, Demetra, Estia, che cedette il suo posto a Dionisio. L'Olimpo
coi suoi 2.918 metri di altezza è la montagna più alta della Grecia).
Il tentativo
di Zeus di fecondare Gea col suo consenso fallì perché la dea si sottrasse e il
seme di Zeus cadde a terra. L'atto di Zeus era spinto dalla volontà di
appropriarsi della dea dalla quale aveva avuto origine tutto il mondo e gli dei
a partire dal Caos. Era un volersi porre come rivale di Urano, che Crono, padre
di Zeus, odiava.
Dalla terra,
resa feconda dal seme di Zeus, emerse un essere bisessuale, Agdistis. L'essere
si dimostra tanto violento, tanto feroce da spaventare gli dei dell'Olimpo.
Dionisio, allora, gli tese un tranello legandogli i genitali con un filo fissato
ad una pianta. Salito Agdistis sulla pianta venne precipitato a terra e così
venne evirato. Dal sangue di Agdistis caduto a terra nacque un mandorlo (Il
mandorlo è un simbolo di giovinezza. E' la prima pianta a fiorire in primavera
dichiarando così chiuso l'inverno).
La figlia del
dio fluviale Sangarios (fiume della Frigia), di nome Nana, mangiò, senza nulla
sapere, un frutto del mandorlo e rimase incinta. Il padre di Nana, ignorando
tutto, rigettò la figlia, che però venne aiutata da Gea (Cibele) a portare a
termine la gravidanza. Nacque Attis, che dovette vivere tra le montagne,
allattato da una capra (attagos, in frigio, da qui il nome Attis).
Una versione
del mito, quella che ben presto si arrestò lasciando posto all'altra, dice che
Attis divenne compagno di caccia di Agdisis, ormai unisessuale, e suo amante. Il
re di Pessinunte, Mida, volle dare in sposa ad Attis sua figlia, affinché si
civilizzasse.
Durante la
festa nuziale intervenne Agdistis, che coi suoi poteri fece impazzire la sposa
la quale si tagliò i seni. Attis, sconvolto, andò sotto un pino e si evirò,
dando poi i suoi genitali a Agdisis prima di morire, in riscatto del tradimento.
La sposa poi si uccise gettandosi sul cadavere di Attis. Gea (Cibele) poi
seppellì i genitali di Attis.
L'altra
versione del mito, che prevalse sulla prima centrata su Agdisis e Attis, trovò
grande diffusione, ponendo al centro Cibele e Attis come amanti.
Attis,
tuttavia, si innamorò della figlia del re Mida per sposarla. Nel mezzo della
cerimonia nuziale giunse Cibele che, innamorata tradita, gettò la pazzia su
Attis. Questi andò ad evirarsi rinunciando, così, il matrimonio con la figlia
del re Mida, e riparando il tradimento a Cibele, e così morì. Dal suo sangue
caduto in terra nacquero delle viole.
Cibele ottenne
poi da Zeus che il corpo di Attis non imputridisse e che i capelli continuassero
a crescere e che potesse muovere il dito mignolo della mano. Cibele diede
sepoltura ai genitali di Attis, che diventò così dio della vegetazione, che
sboccia a primavera dopo la sospensione di vita nell'inverno.
Note
Nella versione
frigia del mito si può cogliere che Attis cerca di liberarsi da Agdistis, ma si
trova di fronte ad una vendetta tremenda che non colpisce lui, ma la sua sposa.
Attis decide di evirarsi per non ritornare con Agdistis, al quale dà poi quanto
desiderava: i suoi genitali evirati. Cibele poi li seppellì. Il male originato
da Zeus nella sua bramosia verso Gea (Cibele), trova il suo superamento
attraverso un atto d'amore di Attis per la sposa.
Nella seconda
versione si narra di Attis che impazzisce di fronte al dolore di Cibele
innamorata di lui e per mezzo dell'evirazione si riscatta e si riaggancia a lei.
Il mito ha
aspetti tragici, nei quali risalta un amore passionale, pesante, istintivo, che
di fronte al tradimento diventa feroce, placandosi solo con l'autodistruzione
del traditore, che per questo merita un trionfo: le viole che spuntano dal suo
sangue. E' il dio della vegetazione.
Non si ha
affatto una risurrezione di Attis, solo qualche minimo segno funzionale al tema
vegetativo. Le viole che spuntano sono il segno di trionfo dell'amore di Attis.
La morte
avviene per evirazione e dissanguamento. Non è accettabile, neppure per scherzo,
la fantasia di parlare di crocifissione di Attis.
Il
concepimento di Nana non avviene per la potenza creatrice divina, né per seme
umano, ma per seme vegetale di mitica fantasia. Si è totalmente lontani dal
Vangelo.
Il mito nell'epoca ellenistica: i
misteri di Attis e di Cibele
Il mito di
Attis e di Cibele in epoca ellenistica si caricò di nuovi significati.
Innanzitutto crebbe enormemente la figura di Cibele fino a diventare la madre di
tutti gli dei nella sua identificazione con Gea. L'evirazione di Attis divenne
sempre più un atto di culto verso la dea, che piuttosto l'occasione per
celebrarlo come dio della vegetazione. Attis evirandosi aveva sigillato la sua
appartenenza alla dea, e la dea aveva ottenuto da Zeus che gli fosse data una
vita corporea anche se minimale. L'evirazione diventò l'evento centrale degli
adepti ai misteri di Attis e Cibele.
A Roma il
culto arrivò il 4 aprile 204 a.C. con la costruzione di un tempio sul Palatino.
I sacerdoti della dea Cibele, detti i Coribanti, vivevano quasi del tutto
segregati nell'area del tempio. Era vietato ad un cittadino romano e anche ad
uno schiavo romano diventare un adepto mediante l'evirazione. Per i romani era
un vero non senso. Per gli orientali c'era una lunga tradizione di eunuchi che
occupavano cariche nello stato e di norma erano addetti agli harem regali.
Tuttavia agli
aspetti esterni del culto a Cibele e Attis non c'era un divieto di
partecipazione. All'inizio la festa veniva celebrata un giorno all'anno, poi in
seguito venne dato maggiore spazio alle cerimonie.
Una
caratteristica del culto a Cibele era il sacrificio di un toro, il cui sangue
veniva fatto colare sugli iniziandi. Il toro rappresentava la potenza
fecondatrice intatta e potente (il bue è un toro castrato). La perdita della
potenza generatrice dell'iniziato nell'evirazione veniva compensata dall’essere
toccati dal sangue della vittima uccisa, a cui ne seguiva un'ascesa nel culto
misterico, l'accesso ad un nuovo status. Era il taurobolium, che
veniva celebrato una volta all'anno, e dava una purità rituale indistruttibile o
solo di 20 anni, a seconda del grado di iniziazione.
La formula
iniziatica riportata da Firmico Materno (inizio IV-350 d.C.) è la pista che ci
conduce nell'interno del culto misterico: “Ho mangiato del timpano, ho bevuto
dal cembalo, ho portato il cerno, sono sceso nella camera nuziale”.
Queste parole
ci dicono che il miste prima si stordiva nella musica che lo portava in
uno stato estatico (si nutriva di musica). Egli aveva con sé un vaso di
terracotta: il cerno. Quindi scendeva nella “camera nuziale”. Questa
discesa nella camera nuziale è rimasta problematica, ma una lettura complessiva
del mito ci porta a dire che era la stanza dell'evirazione. Il vaso di
terracotta era per raccogliere gli elementi anatomici e il sangue. “Camera
nuziale”, perché l'evirazione poneva l'adepto in un amore sponsale esclusivo
per la dea, visto che non gli era concesso più rapporto con donna.
L'evirazione, come perdita irrimediabile di potenza virile, se compiuta per la
l'appartenenza alla dea dava al miste la garanzia della protezione
speciale della dea, che aveva dimostrato di amare Attis fino a gesti passionali
di gelosia.
Il culto
misterico di Attis si sviluppò in senso ellenistico, nel clima culturale dello
stoicismo, del neoplatonismo, dove il Fato era la forza oscura che dominava i
passi degli uomini.
La festa si
teneva a Roma il 4 aprile. Consisteva in una processione.
Sotto
l'imperatore Claudio (10 a.C. - 54 d.C.) avvenne la riorganizzazione delle feste
alla quale venne dato lo spazio di sei giorni. Il primo giorno, il 22 marzo
(equinozio di primavera) era detto “arbor intrat” e consisteva nel
trasporto di un pino simbolo di Attis. In questo primo giorno e nel seguente si
svolgevano le lamentazioni su Attis. Il 24 era detto “sanguis”; i
sacerdoti eunuchi si flagellavano e si incidevano le carni per farne sgorgare il
sangue, il tutto in una danza frenetica attorno al pino. La danza e le incisioni
hanno antiche radici: la Bibbia (1Re 18,20s) ce le presenta circa il culto di
Baal. I neofiti in quel giorno danzavano anch'essi a suon di musica fino al
raggiungimento di uno stato di esaltazione mistica, alla quale seguiva
l'autocastrazione. In quel giorno veniva sepolto il pino e anche le parti
anatomiche tagliate.
Il 25 (quarto
giorno) era detto “hilaria”; giorno di gioia per la rivitalizzazione di
Attis. Il 26 era detto “requieto”, giorno di calma, di riposo. Il 27 la
statua di Cibele veniva portata nel fiume Almo per essere lavata. E tutto
terminava. (L'Almo era un fiume dell'agro romano, sfociava nel Tevere. Si
riteneva che fosse sede di una ninfa, che veniva venerata mentre si immergevano
nell'acqua le statue degli dei).
Note
Le notizie che
possediamo sul culto misterico sono tutte postume al cristianesimo, ma non c'è
da vedervi delle imitazioni. L'espressione “renatus in aeternum”, per
colui che aveva fatto il rito del sangue nel taurobolio, non è derivata dal
cristianesimo, in quanto il concetto di rinascita era un concetto che l'uomo
aveva elaborato, ad esempio, pensando che una città veniva ricostruita; che il
pelo degli animale cade e ricresce. Il risveglio della vegetazione suggeriva
l'idea di una rinascita. Certo, il “renatus” dell'adepto di Cibele era
una pura illusione. Un dio che non è non può operare nulla.
Il passaggio
obbligato del pagano era quello di giungere al monoteismo, alla trascendenza
dell'unico Dio, poi si poteva accedere alla rivelazione cristiana.
I Cristiani di
fronte al paganesimo non ebbero difficoltà nel denunciare la falsità degli dei.
Lucio Cecilio
Firmiano Lattanzio (250 - 320 ca.) nel primo libro delle “Divinae
institutiones” (databile subito dopo l'editto di tolleranza dell'aprile 311
da parte dell'imperatore Gaio Galerio Massimo, che dal 303 aveva perseguitato i
cristiani), titolato “De falsa religione”, espone subito l'altissima
motivazione dell'opera: “Se taluni conoscendo a fondo le norme della
giustizia e sapendo applicarle composero e pubblicarono le “istituzioni di
diritto civile “ per far cessare le controversie e le liti dei cittadini
discordi, quanto più utilmente e giustamente scriverò “istituzioni divine“, in
cui non tratterò dell’acqua piovana o dell’irrigazione..., ma della speranza,
della vita, della salvezza, dell’immortalità di Dio, per far cessare
superstizioni mortalmente dannose e distruggere errori vergognosissimi! “ (Libro I cap.1 pag. 73).
"E che dire
dei riti sacri? In taluni si giunge persino ad immolare agli dei vittime umane:
i Tauri (Crimea) sacrificarono a Diana gli ospiti; senonché, trattandosi di
gente barbara, non c'è da meravigliarsi di questa usanza. Ma i Latini come si
possono giustificare, se venerano Giove Laziale con sangue umano, quei Latini
che rivendicano a sé la gloria della mitezza e dell'umanità? Oltre a questi ci
sono altri riti non così disumani, ma tali che rivelano dissennatezza, come
quelli che consistono nel mutilarsi in onore della
Magna Mater (Cibele) o nel
percuotersi e nel gemere in ricordo del dolore di Iside per la perdita del
figlio (non è il figlio, ma il marito-fratello Osiride) o nell'immolare
un asinello a Priapo, in Lampsaco, perchè la bestia, su cui stava Sileno,
ragliando aveva svegliato Vesta, che Priapo, preso d'amore, insidiava
approfittando del sonno in cui era immersa; eppure:
quid turpius, quid flagitiosius, quam si Vesta
beneficio asini virgo est?. Queste storielle si trovano raccontate a
vivi colori nelle opere dei poeti; ma non si tratta di pure invenzioni della
loro fantasia: si leggano i libri dei pontefici e si troveranno cose
incredibili: uomini che danzano in modo lascivo, corrono uniti o mascherati o
coperti di fango" (Libro I, cap.21, pag. 99) .
Lattanzio non
si ferma e dice che “Esculapio, Apollo, Marte, Mercurio, Libero, Giove
stesso, che pure è chiamato Ottimo Massimo, non fecero nulla di divino; anzi si
macchiarono di gravissime colpe (stupri, adulteri, omicidi), di cui dovrebbe
vergognarsi qualsiasi uomo” (Libro I cap.10 pag.96).
Definisce balordaggini “i
riti sacri imposti da uomini di potere, che approfittarono dell’ignoranza e
della semplicità popolare per alimentare assurde convinzioni ed ottenere in
cambio onori e tributi” (libro I cap.22 pag.99).
Lattanzio,
Divinae institutiones. De opificio Dei, De ira Dei, a cura di Umberto Boella,
Firenze, 1973.
“Enciclopedia
delle religioni”, ed. Vallecchi (Cibele e Attis), Firenze, 1973.
“Misteri in
Grecia e a Roma”, mostra Colosseo 22/7/2005-8/1/2006, La grande Madre e
Attis.
"Enciclopedia
delle religioni",
ed. Vallecchi, Firenze, 1978.
Giuseppina Sechi Mestica, "Dizionario
universale di mitologia",
ed. Rusconi, 1990.
Walter
Burker, "Antichi
culti misterici",
ed. Laterza, Bari, 1991.
Giuli
Sfameni Gasparri, "Attis
e Cibele, culti, ecc."
in "Dizionario
delle religioni"
(G. Filoramo), ed. Einaudi, Torino, 1993.
Marcella Farioli, "Le
religioni misteriche",
ed. Xenia, Milano, 1998.
Paolo
Scarpi, "Le
religioni dei misteri",
fondaz. Lorenzo Valla, ed. Mondadori, Milano, 2002.
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