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I primi passi della comunicazione
tra i missionari e i Mexica |
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Con la bolla
Alias felicis, del 25 giugno 1521, Papa Leone X (1513-1521) autorizzava
l’ordine serafico a iniziare l’opera di evangelizzazione nella Nuova Spagna,
l’odierno Messico.
Nel 1523
giunsero in Messico tre Francescani fiamminghi Johann Van den Auwera, Johann
Dekkers e Pietro di Gand, a cui seguirono il 13 maggio 1524 dodici francescani
guidati da fray Martin de Valencia. Questi “dodici”
provenivano tutti dalla provincia di Estremadura, titolata a San Grabriele. Nel
1526 giunse il francescano padre
Bernardino de Sahagun (1499-1590) la cui opera fu di grande importanza. Il primo
arcivescovo del Messico fu un altro francescano: don Juan de Zumarraga.
La prima azione dei primissimi missionari fu quella di bandire completamente
l'idolatria (1523), a cui si accompagnò, oltre l'abbattimento degli idoli, la
distruzione dei codici pittografici; pittografici poiché gli Aztechi non avevano
un alfabeto per esprimere i suoni. Agli occhi dei missionari e del vescovo, don
Juan de Zumarraga, quei codici erano visti come veicoli di magia, e in effetti
tanti di essi erano utilizzati per le pratiche divinatorie. Altra cosa che
impressionava era il sospetto che i colori fossero stati impastati col sangue
umano dei sacrifici. Andres de Olmos li diceva per questo “unti di sangue”.
La loro forma era a rotolo oppure a pagine piegate a fisarmonica. In tutto il
paese si cominciarono a dare alle fiamme i testi aztechi, cosa che giunse
all'apice nel 1562 con l'azione capillare del francescano Diego de Landa. Un
gesto istintivo di ribrezzo, non condiviso tuttavia da tutti; ad esempio non da
padre Bernardino de Sahagun e dal domenicano padre Diego Duran. Seguì una
riflessione maggiore, poiché i testi originali erano necessari per capire bene
l'insieme degli dei Aztechi, se si voleva giungere ad un'adeguata rimozione
dell'idolatria.
In seguito si cercarono i testi residui, e ne seguì un'ampia raccolta depositata
negli archivi di Città del Messico, ma qui alcuni manoscritti furono
saccheggiati, altri andarono perduti per l'umidità e la muffa, altri vennero
buttati via come carta straccia. In tutto rimasero 15 codici pittografici
inviati in Europa a sovrani e a corti, e ora conservati in varie biblioteche.
A circa 100
anni dalla conquista, la conoscenza del linguaggio pittografico era ormai
perduta tra gli indigeni, solo pochissimi Mexica la conservavano; tuttavia,
padre Bernardino de Sahagun e padre Diego Duran fecero per tempo copiare, nelle
opere che compilarono, i glifi da artigiani nativi in modo da conservare nel
tempo la capacità di lettura delle pittografie.
Cominciò
subito l'opera di grammatizzazione traducendo la lingua nahuatl (idioma parlato
dal popolo oggi identificato come
nahua: Aztechi,
Colhua, Tepanechi, Acolhua
ed i famosi Toltechi) in
scritto mediante l'alfabeto, per arrivare alla possibilità di comunicazione tra Mexica e Spagnoli.
Cominciava
l'opera di comunicazione tra indios e nuovi arrivati. E fu opera di
comunicazione tra i due popoli l'apparizione della Madonna di Guadalupe il 9
Dicembre 1533 all'indios Juan Diego. Quell'apparizione della Madonna, dal
colorito indios, e che impresse, ad attestazione della verità dell'apparizione,
la sua immagine sulla tilma (mantello) di Juan Diego era una
proclamazione di dignità dei cristiani mexica, ed era una condanna contro
l'orrenda teoria razziale dei nuovi proprietari terrieri accorsi dalla Spagna,
che gli indios erano di una razza inferiore, senza l'anima razionale. La Chiesa
intervenne su tale aberrazione e il 2 giugno 1537, su sollecitazione dei presuli
d’America, che già avevano preso posizione in merito, giunse il pronunciamento
di Papa Paolo III (1534-1549) con la bolla Sublimis Deus, nella quale
riaffermava la dignità degli indigeni, la loro piena capacità di ricevere il
Vangelo, e il loro diritto alla libertà, condannando ogni forma di schiavitù:
era una parola forte ai governanti di Spagna, i quali avevano posto la
condizione che i missionari che andavano in Messico fossero da loro graditi.
Carlo V promulgò, nel
novembre del 1542 e nel giugno del 1543, il corpus giuridico delle
Leyes Nuevas. In esse si accentuava il carattere missionario della
Conquista, affermando i temi della guerra giusta, del diritto naturale e dei
doveri di un governo cristiano, e questo aboliva la schiavitù. Ma la pratica
della schiavitù degli indios continuò, fin tanto che la loro liberazione venne
concessa, riducendo in schiavitù gli Africani in sostituzione degli indios.
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