La spedizione di H. Cortes

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Hernan Cortés - noto come Hernando o Fernando, o Fernand come lui si firmava - nato a Medellin in Estremadura l'anno 1485, nel 1511 lo troviamo a Cuba segretario del Governatore don Diego Velasquez, che per disfarsene lo inviò ad esplorare la penisola dello Yucatan, dove Hernan Cortés approdò Il 21 aprile del 1519. Lo Yucatan era la terra dei Maya, l'avevano occupata nel V secolo d.C. I Maya, erano diventati potenti per essersi diffusi nell'America centrale, per poi espandersi ancora nel Guatemala e nell'estremo sud del Mexico. Essi entrarono in fecondo contatto intorno al 900 a.C con popolazioni come gli Olmechi, i Totonachi, i Toltechi, i Zapotechi, e realizzarono costruzioni di grandi centri urbani con livelli architettonici sorprendenti. In seguito i Maya registrarono divisioni, lotte tra città e città, giungendo ad un inesorabile declino. Quando gli Spagnoli arrivarono nello Yucatan i Maya erano ormai ridotti al nulla.

Certamente con i conquistadores del nuovo mondo, mossi dalla sete dell'oro e della gloria,  era ben poco possibile il concetto che prima dell'occupazione armata dovesse esserci l'evangelizzazione, o meglio, che nessuna azione militare dovesse compromettere una corretta evangelizzazione. Che fosse poco possibile lo sperimentò ben presto, con Hernan Cortés, il più rappresentativo dei conquistadores, padre Bartolomeo de Olmedo (1485-1524), un religioso dell'Ordine della Mercede posto accanto a lui come consigliere e confessore, quando suggerì di non procedere subito all'abbattimento degli idoli della tribù dei Totonachi. (I Totonachi erano una popolazione india stanziatasi sulla costa a nord di Veracruz - città che verrà fondata da Cortés - sul golfo del Messico. Vennero sottomessi agli Aztechi nel 1200 d. C. Furono il primo popolo che Cortés incontrò). Niente da fare, Hernan Cortés decise di procedere subito, ottenendo un effetto trauma nei Totonachi, rappresentato dal fatto che sugli Spagnoli gli dei abbattuti nei loro idoli non si vendicarono. I Totonachi interpretarono la cosa non come una debolezza dei loro dei ma come l'attestazione di una speciale natura semidivina degli uomini di Cortés. Nacque così il mito della loro natura di semidei, che Cortés non cercò affatto di distruggere, come fece ad esempio san Paolo a Listra (At 14,15), e impressionò Motecuhzoma  Xocoyotzin (Signore adirato giovane: tecuhtli “signore”, zomalli “adirato”, xocoyotl “giovane o ultimo figlio”) l'imperatore azteco - chiamato dagli Spagnoli Montezuma - spingendolo a non attaccare Cortés, ma a mandargli doni pur affermando che non avanzasse in territorio Azteco, che a metà del XV secolo si estendeva in tutto il Centro America, dal Pacifico all’Atlantico. Ma Cortés non ci pensò neppure un attimo a fermarsi. Buttandosi dietro le spalle anche gli ordini di don Diego Velasquez, e fatte bruciare ad arte le navi affinché i suoi soldati non avessero l'idea di tornare indietro, cominciò ad inoltrarsi verso l'interno tra continue difficoltà date dalla geografia e da tutti i problemi logistici. Poi si arrivò ai primi scontri con gli Aztechi, mentre le popolazioni locali simpatizzavano per gli Spagnoli vedendoli loro liberatori dal ferreo dominio degli Aztechi, che mietevano da loro, con guerre apposite, xochi yayotl (letteralmente: “guerre fiorite”), migliaia e migliaia di prigionieri da sacrificare ai loro dei.

A Fernand Cortés e agli ufficiali della truppa, all'indomani della vittoriosa battaglia di Ceutla sugli Aztechi, vennero donate dagli stessi una ventina di ragazze con l'intento di mettere i capi in contrasto tra di loro per il possesso delle donne. Una di queste, l'indiana Melitzin, era destinata a Cortés. La fanciulla era estremamente intelligente e piena di coraggio, e passò dalla parte spagnola. Cortés volle che ricevesse il Battesimo, e le fu dato il nome di Marina. Di lì a poco Cortés, che era già sposato, la fece la sua amante. Con ciò veniva consumata una rottura con padre Bartolomeo de Olmedo, che non poteva più assolverlo. Marina conosceva la lingua maya e anche la lingua nahuatl degli Aztechi, inoltre sapeva  molte cose circa il territorio e le usanze Azteche e Maya. In breve la giovane divenne capace di parlare il castigliano diventando l'interprete di Cortés. In tutti i contatti con gli Aztechi la donna gli fece da interprete e da consigliera. Cortés con l'aiuto di Marina era diplomaticamente autosufficiente e nello stesso tempo spinto all'epica propria degli amanti illeciti, che vanno contro tutto. Marina dovette anche essere l'insegnante linguistica dei soldati spagnoli. La giovane, entrando in dialogo con i Totonachi, seppe della presenza di un sacerdote spagnolo loro prigioniero, il frate cistercense Jerónimo de Aguilar, imprigionato nello Yucatan dopo il naufragio di 12 esploratori; tale circostanza consentì al frate cistercense di imparare la lingua  maya (Jeronimo de Aguillar quando ritornerà nel 1535 in Spagna sarà il primo a preparare in Europa il cioccolato, ciò nel monastero di Piedra Nuevalos).  Fu rintracciato anche un altro spagnolo nello Yucatan, che fuggito dalla prigione si era sposato con una india e ne aveva avuto dei figli, era  Gonzalo Guerrero, ma costui non volle seguire l'avventura di Cortés e rimase nella sua situazione. Cortés ebbe così subito a sua disposizione due interpreti. Tutto ciò gli diede un enorme vantaggio rispetto a Cristoforo Colombo, che sbarcato nella penisola maya, domandò agli indigeni il nome della loro terra ed essi risposero in lingua maya “Yucatan”, cioè “non ti capiamo”, e Cristoforo Colombo, non conoscendo la lingua locale, credette di essere riuscito a comunicare con gli indigeni e chiamò con tale  nome la penisola.

Motecuhzoma Xocoyotzin, che fin dall'inizio era stato avvertito dell'avanzata spagnola, non va visto come un imbelle. Egli si rese conto che non si trovava di fronte solo al piccolo esercito di Hernàn Cortés che sommava a 508 soldati, 200 indigeni cubani, 16 cavalli, 32 balestre, 50 archibugi a pietra focaia e l0 cannoni, ma di fronte a delle avanguardie di una civiltà lontana che dimostrava la sua potenza con grandi navi, con armi tuonanti, con archibugi micidiali oltre che con balestre di precisione e con spade e armature di acciaio, mentre lui era fermo solo al bronzo, e Cortés aveva anche cavalli, agili e veloci, mai prima visti dagli Aztechi. La disfatta subita nella piana di Ceutla l'aveva persuaso di questo. A Ceutla gli Atzechi sommavano a circa 16.000 uomini, ma al piccolo esercito di Cortés, diminuito di un contingente che rimase a Villa Rica Vera Cruz (nome che indica contemporaneamente la sete dell'oro e degli onori e la passione per la vittoria della croce), si era unito un contingente di alcune migliaia di Totonachi, che si erano alleati con lui, così come in seguito fecero tanti altri popoli; la disparità numerica era grandissima, ma dinnanzi al fuoco devastante che usciva dai tuonanti cannoni puntati ad alzo zero e dagli archibugi, le truppe azteche cedettero. Motecuhzoma Xocoyotzin decisamente mitizzò Cortés e gli Spagnoli. Che Motecuhzoma pensasse che Cortés fosse Topiltizin Quetzalcoaltl (Topiltizin: “Signore nostro”; Quetzalcoatl: “Quetzalha riferimento al meraviglioso piumaggio dell'uccello quetzal, mentreCoalt”, è il serpente. Il nome era della divinità più importante, ma era spesso adottato da re e sacerdoti) mitico dio-sovrano dei Toltechi che ritornava sulla base di una leggenda azteca non pare possibile, sia per il fatto che Motecuhzoma non ignorava che già altri Spagnoli erano arrivati antecedentemente nello Yucatan, ed alcuni di loro erano stati fatti prigionieri, sia perché il mito del ritorno di Quetzalcoatl, re di Tollan scacciato dai sacerdoti di Tollan perché voleva abolire i sacrifici umani, non poteva avere spazio nella concezione azteca dove tutto era vincente, e dove i sacrifici umani erano fatto religioso centrale, e mezzo di terrore per dominare i popoli a loro sottomessi.(Totelchi deriva da "Toltec" che significa "grande maestro artigiano") poiché i Totelchi furono grandi costruttori e artisti. E' il popolo che aveva preceduto gli Aztechi nella regione del Messico e che poi era emigrato nello Yucatan dove venne assorbito dai Maya. La capitale Tolteca era Tollan e forse è da far coincidere con Tula, che significa “luogo dove crescono i giunchi”, oppure con Teotihuacan; ma non andrebbe trascurata l'identificazione con Tenochititlan, la capitale azteca, almeno nel pensiero Motecuhzoma, visto che al tempo dei conquistadores Tenochititlan veniva anche chiamata Tollan. Comunque Motecuhzoma rimase attratto dal fatto che la data dell'arrivo di Cortes (1519) coincideva anche con quella dei 52 anni che segnavano un giro completo della “ruota” calendarica degli Aztechi. L'ammirazione di Motecuhzoma proseguì di fronte alle carte geografiche che Cortés gli presentava circa il mondo; egli avvertì benissimo che quelle carte scardinavano la cosmologia azteca, che riteneva che la terra fosse un disco circondato dalle acque; ed era stupito di fronte all'ago magnetico della bussola che puntava invariabilmente sul nord. Un ufficiale di Cortés, Diego de Ordaz, fece accrescere ulteriormente l’ammirazione, salendo per primo sulla sommità del vulcano Popocatepetl alto ben 5400 m; il vulcano venne così demitizzato. Motecuhzoma Xocoyotzin cercava di comprendere come si conciliassero religione e potere politico nella spedizione di Cortés, ma senza riuscirvi perché la libertà di Cortés gli sfuggiva, mentre  egli era legato al potere religioso con legami inestricabili, e il potere religioso era legato ai presagi, alle divinazioni. Padre Bernardino de Sahagun parla di presagi di sconfitta avuti da Motecuhzoma Xocoyotzin, ma indubbiamente i presagi infausti non vennero resi di pubblico dominio, visto che si tentò anche il confronto bellico, forse a seguito di un prevalere di una parte interventista tra gli Aztechi. Quali furono questi presagi era difficile da conoscere, e padre Bernardino de Sahagun, che li volle riferire, non potè che raccogliere descrizioni dubbie; ma certo i presagi negativi all'indomani della sconfitta divennero per gli Aztechi funzionali a mantenere il credito verso i loro dei, capaci di rivelare il futuro; ma furono anche funzionali agli Spagnoli che potevano dire che il vero Dio aveva avvisato gli Aztechi di non opporsi a loro.

Senza potere religioso Motecuhzoma Xocoyotzin non poteva sussistere e per questo doveva curarne l'esistenza, pagando in lentezza e in legami con schemi inamovibili. Cortes, invece, sembrava potersi separare dal potere religioso, pur rimanendovi unito, e avere una velocità di manovra inaudita. Motecuhzoma  Xocoyotzin, di fronte all'impatto con Cortes e di fronte ai presagi divinatori di disfatta, non poteva che risolversi per un processo usatissimo nella storia, cioè quello di far passare i propri dei dentro il quadro della religione dei vincitori; ma Motecuhzoma fece di più parlando di un ritorno liberatorio di Topiltizin Quetzalcoaltl. Il mito diceva che Topiltizin Quetzalcoatl, re e sacerdote dei Totelchi, regnante in Tollan, vessato dal dio Tezcatlipoca (dio della notte, delle tentazioni), si era autoincenerito nel fuoco diventando il pianeta Venere, e in tal modo aveva lasciato la terra. Secondo un mito, Topiltizin era nato miracolosamente da Chimaman, che concepì dopo avere inghiottito uno smeraldo grezzo. Un'altra redazione del mito dice che nacque da una relazione sessuale tra Mixcoatl con Chimalman, che si presentò a lui nuda, ed egli per difendersi le lanciò frecce che però non la colpirono (Chimalman vuol dire “scudo deposto”, e poi l'eroe Mixcoatl giacque con lei. Il mito del ritorno di Topiltizin dovette essere arricchito dalla presentazione di un Topiltizin Quetzalcoatl mite, che non voleva sacrifici umani, ma solo sacrifici di farfalle, insetti, serpenti e piccoli animali, il che non risulta ad un'indagine corretta, anche per il semplice fatto che la cosa sarebbe stata del tutto invisa alla casta sacerdotale fautrice dei sacrifici umanai. Un vero assurdo, poi, se si pensa che il sistema Azteco era pensato in tutto vincente, e addirittura per mezzo dei sacrifici umani pensava di mantenere in essere il corso del sole, con  effetti cosmologici. L'argomento di un Toplizin Quetzalcoatl mite, era però funzionale a togliere agli Spagnoli l'argomento dell'orrore dei sacrifici umani. Topiltizin, di conseguenza, venne pensato combattuto dalla classe sacerdotale e per questo fuggito sopra un'imbarcazione fatta di pelli di serpenti, promettendo che sarebbe ritornato, per un cambio di civiltà. Questo ritorno futuro era un invito alla resistenza, ma la narrazione della barca di pelli di serpenti con la quale Topiltizin Quetzalcoatl si era indirizzato nel mare nella direzione da dove erano venuti gli Spagnoli era nello stesso tempo a favore degli Spagnoli. (Si hanno tre distinti Quetzalcoaltl. Il primo è quello della creazione dell'universo come “Serpente piumato”. Uccello e serpente, Queztaocatlt ha in sé il cielo e la terra. Il Serpente piumato è il plasmatore dell'uomo e dell'universo a partire dalla materia preesistente - non esiste il concetto di creazione ex nihilo -; il secondo visto che sacerdoti e re prendevano il nome di Quetzalcoaltl, è quello del sovrano-sacerdote totelco, re e sacerdote di Tollan, trasformato, mediante spontanea incenerazione, in Tlahuizcalpantecutli, il Signore dell'alba, cioè il pianeta Venere; il terzo  è quello che ebbe il via dal sincretismo di fronte ai conquistatori spagnoli).

Cortés, già entrato pacificamente a Tenochtitlan l'8 novembre 1519, inorridito dal vedere ai piedi della grande piramide a gradoni dedicata al dio Huitzilopochtli, inaugurata nel 1486 d.C., centotrentaseimila teschi di vittime sacrificate, certamente si avvide delle manovre sincrestiste e, forse proprio per questo, fece sequestrare Motecuhzoma Xocoyotzin costringendolo a firmare un atto di sottomissione a Carlo V. Poi ideò che Topiltizin Quetzalcoatl fosse in realtà san Tommaso, che cacciato da quelle terre, perché voleva abolire i sacrifici umani, aveva annunciato l'arrivo di stranieri e la disfatta Azteca, e non un liberatorio cambio di civiltà. (Cf. “Quetzalcoaltl, saggi sulla religione azteca”, Emanuela Monaco (Docente della Facoltà di Scienze Umanistiche dell’Università di Roma “La Sapienza”), ed. Bulzoni, 1997 Roma, pag 113ss).

Cortés affermò così che con gli Spagnoli si era avuto il compimento della profezia di san Tommaso. Cortés, riferendo in una relazione a Carlo V due discorsi avuti con Motecuhzoma (che gli Spagnoli chiamavano brevemente Montezuma) presenta (ottobre 1520) come l'imperatore Azteco attendesse il ritorno di un uomo: indubbiamente una riduzione di Cortés del pensiero di Motecuhzoma. Tale uomo era  san Tommaso, che ritornava per mezzo dell'invasione  spagnola, e gli Aztechi non potevano che essere visti come degli evangelizzati che avevano rifiutato il Vangelo e perseguito l'idolatria, per loro non c'era spazio per un incontro sincretistico, che ugualmente si esercitò, ma in forma sottile e strisciante.

L'idea dell'identificazione con san Tommaso, e non con un altro apostolo, non poteva che essere fantasticata da Cortés a partire dalla tradizione che voleva che l'apostolo fosse andato prima in Siria poi in Persia e infine nell'India meridionale; così, proseguendo, sarebbe giunto nelle nuove terre dalla parte opposta, dove c'era quell'oceano che Ferdinando Magellano stava percorrendo (1519-22); ma forse Cortés era fermo alla concezione di Cristoforo Colombo, che cioè l'America fosse in continuazione con l'Asia senza di mezzo il Pacifico. Non è da escludere che giocasse anche il nome Tommaso, che significa in ebraico “gemello” e di Quetzalcoatl che può essere tradotto come “gemello prezioso”. Evidentemente costruzioni, che la Chiesa non avvallò, ma che fu seguita dagli autori successivi, pur senza un'adesione che volesse scavalcare il giudizio della Chiesa. La profezia - chiamiamola così - è un aspetto nato dall'incontro tra due culture nell'ambito di uno scontro; ma ci saranno altri camuffamenti aztechi e fraintendimenti cristiani che porteranno i missionari, sopraggiunti dopo la prima e improvvida ondata evangelizzatrice, a pensare come vero che in antico ci fosse stato san Tommaso in quelle terre, facendo sì che la predicazione missionaria inevitabilmente finisse per avvalersene. Principale divulgatore della identificazione di Topiltizin con san Tommaso fu il domenicano padre Diego Duran. Padre Bernardino de Sahagun fece invece di Toplizin Quetzalcoatl, spogliato di ogni riferimento al pianeta Venere, un grande personaggio, mite, giusto, contrario ai sacrifici umani, casto, dando spazio così alla rielaborazione sincretista indigena già in atto al proposito, e che aspettava il ritorno di questo Toplizin Quetzalcoatl come emblema di resistenza religiosa al cristianesimo: loro avevano una tradizione nobile a cui attenersi e anzi nel futuro si sarebbe stabilita la loro vittoria. Padre Bernardino attesta esistente questa attesa, che ovviamente non considera. Questa posizione di padre Bernardino probabilmente è dovuta alla non accettazione della tesi di Cortès e di Duran dell'antica presenza di san Tommaso, ma il grande francescano non riuscì poi a vedere il sincretismo presente nel Topiltizin mite, nemico dei sacrifici umani, e a raggiungere la verità in merito. La teologia di Sahagun puntava sull'assistenza di Dio su tutti i popoli e osservava i “semi del verbo” presenti tra quei popoli, e in questa luce vedeva la persona storica di Ce Acalt Topiltizin Quetzalcoatl, te di Tollan, che diventerà la città di Tula. Posizione giustissima, ma solo a patto di venire a sapere la verità presente.

Dopo che Motecuhzoma  sottoscrisse l'atto di sottomissione a Carlo V, Cortés diede il via a Tenochtitlan ad un'opera di evangelizzazione, molto approssimativa, con collocazione di crocifissi e immagini della Vergine. L'azione cristianizzante non durò molto, perché giunse notizia a Cortés che stava arrivando da Cuba una spedizione inviata da Velasquez per arrestarlo, in quanto aveva trasgredito gli ordini di esplorare solo lo Yucatan. Ciò costrinse il conquistador a lasciare la capitale azteca per far fronte al pericolo ingaggiando battaglia contro la spedizione, vincendola e attirando a sé molti soldati della stessa. Nel frattempo l'ala azteca interventista uccise Motecuhzoma Xocoyotzin e si radunò per un rito di riaffermazione della propria religione al tempio della città. Il luogotenente di Cortés, Pedro de Alvaro, ordinò il massacro dei convenuti, così dilagò la ribellione. Tutta la tessitura di Cortès di introdurre il cristianesimo e il potere del re di Spagna in modo “indolore” cadeva, iniziava un irriducibile scontro armato. Il nuovo imperatore azteco, Cuithahuac, fratello di Motecuhzoma Xocoyotzin, riprese i sacrifici umani sacrificando tutti i prigionieri spagnoli. Era guerra. Cuithahuac morì dopo 80 giorni, di vaiolo.

Tenochtitlan era situata a circa 2240 metri di altezza e incastonata tra due maestosi vulcani, e sorgeva su due isole, adiacenti e collegate (Teuochtitlan e Tlotelolco), in mezzo al lago Texcoco. La città era collegata con la terraferma da quattro lunghe strade su massicciate gettate nel lago secondo le quattro direzioni dei punti cardinali. L'uscita da Tenochtitlan avvenne rapidissimamente, ma il 30 giugno del 1520 fu la noche triste di Cortés; parte dei suoi soldati finirono trucidati in un feroce corpo a corpo, e il carico d'oro, trasportato dai cavalli, finì nelle profondità del lago. Ai primi giorni del luglio 1520 l'esercito spagnolo era quasi distrutto. Dopo la morte di Cuithahuac il potere venne trasferito ad un giovane valoroso, Guatimozin, il quale rapidamente organizzò le forze per scacciare definitivamente gli invasori. La genialità di Cortés fece costruire a valle undici brigantini (Il brigantino è un veliero di grande manegevolezza con due o tre alberi e con una stazza che va dalle 100 alle 300 tonnellate) che vennero  poi portati smontati e montati all'altezza della città e  varati nel grande lago Texcoco che circondava Tenochtitlan. L'esercito di Cortés si trovò ricompattato. Le piroghe degli Aztechi che cercarono di rompere l'accerchiamento vennero disfatte, mentre l'artiglieria dai brigantini martellava la città dove abitavano in 250.000-300.000 , e anzi in 700.000 abitanti, contando i sobborghi sulla riva del lago.

La città colpita anche dal vaiolo, dalla rosolia e dall'influenza, malattie sconosciute agli indios e portate dai soldati Spagnoli, e rosa all'interno da una lotta tra fazioni, probabilmente per reperire vittime per sacrifici umani, dopo due mesi e mezzo di assedio offrì il 13 luglio 1521 la resa. Il tesoro imperiale venne totalmente preso. Così l'impero Azteco, il più fiorente di tutti quelli precolombiani cadde di colpo. La città venne completamente distrutta, e sulle sue macerie fu edificata Città del Messico.

Il Messico divenne colonia spagnola col nome Nuova Spagna e il re Carlo V nominò Cortés suo governatore. Cortés ritornò ad essere l'uomo fedele al suo matrimonio e l'intelligentissima e coraggiosa Marina andrà in sposa ad un altro conquistador. Cortés morirà nel 1547 a Castileja di Cuesta, in Spagna. La sua salma, come aveva chiesto prima di morire, venne trasferita a Città del Messico, cioè l'ex Tenochtitlan, e tumulata nella chiesa di Gesù Nazareno.

Hernan Cortés, "Conquista del Messico", ed. De Agostini, Novara, 1967.

William H. Prescott, "La conquista del Messico", ed. Einaudi, Torino, 1970.

Thomas Hugt, "La conquista de Mexico", ed. Planeta, Barcelona, 1994.

Antonio Aimi, "Moctezuma, il tramonto del quinto sole", ed. Mondadori, Milano, 2004.