3 novembre 2019: il Card. Camillo Ruini in un’intervista sul Corriere della Sera a proposito del preti sposati, oggetto di discussione del Sinodo sull’Amazzonia, ha lasciato questa dichiarazione all’intervistatore Aldo Cazzullo:
 
 
Domanda: “Il Sinodo sull’Amazzonia potrebbe consentire ai diaconi sposati di diventare preti. L’impressione è che possa essere il grimaldello per far saltare l’obbligo del celibato. O no?”.
Risposta:
“In Amazzonia, e anche in altre parti del mondo, c’è una grave carenza di sacerdoti, e le comunità cristiane rimangono spesso prive della messa. È comprensibile che vi sia una spinta a ordinare sacerdoti dei diaconi sposati, e in questo senso si è orientato a maggioranza il Sinodo, A mio parere, però, si tratta di una scelta sbagliata. E spero e prego che il Papa, nella prossima Esortazione apostolica post-sinodale, non la confermi”.

Domanda: “Perché sbagliata?”.
Risposta: “Le ragioni principali sono due. Il celibato dei sacerdoti è un grande segno di dedizione totale a Dio e al servizio dei fratelli, specialmente in un contesto erotizzato come l’attuale. Rinunciarvi, sia pure eccezionalmente, sarebbe un cedimento allo spirito del mondo, che cerca sempre di penetrare nella Chiesa, e che difficilmente si arresterebbe ai casi eccezionali come l’Amazzonia. E poi oggi il matrimonio è profondamente in crisi: i sacerdoti sposati e le loro consorti sarebbero esposti agli effetti di questa crisi, e la loro condizione umana e spirituale non potrebbe non risentirne”.

Domanda: “Sta dicendo che un prete divorziato sarebbe un guaio?”.
Risposta: “È così”.

E’ molto forte che il Card. Ruini abbia espresso riserva sul parere maggioritario dei vescovi del Sinodo (113, su 184 vescovi partecipanti, appartenevano alle diocesi amazzoniche. La votazione del documento finale sui preti sposati è stata: 128 a favore, e 48 contrari). Il sinodo, però, non è stato un’espressione magisteriale della Chiesa, ma solo un organismo di discussione, di consultazione, di orientamento: le conclusioni spettano al Papa.

Inserito il 4 Ottobre 2019
 
 
26 ottobre 2019: votazione Sinodo Amazzonia
 
 
La discussione sulla possibilità di ordinare sacerdoti dei “viri probati” sposati, si è conclusa con una votazione: 128 a favore, e 48 contrari.
Circa gli studi sulla possibilità del diaconato alle donne la votazione è risultata di 137 a favore e di 30 contrari. A questo proposito Papa Francesco ha detto che riconvocherà la commissione già istituita per tale studio il 2 agosto 2016.
La tradizione non va tuttavia smontata ha detto papa Francesco. In concreto si parla di una deroga valida solo per l’Amazzonia, e non di un varco contro il celibato. Il Papa ha dato il via a una dicastero che curerà proprio l’azione della Chiesa nell’Amazzonia,
Entro la fine dell’anno il Pontefice presenterà le sue conclusioni finali.

Il celibato sacerdotale è un dono che non va toccato; comunque presso diversi riti orientali in comunione con Roma (Ucraina, rito greco-albanese in Calabria: Lungro; e in Sicilia: Piana degli Albanesi) ci sono dei preti sposati, alla condizione che siano già sposati e abbiano dato ampia prova di virtù; siano, inoltre, sposati una sola volta, includendo lo stato di vedovanza. L’episcopato è tenuto al celibato e per questo è usualmente tratto dal mondo monastico.
Negli ordinariati anglo-cattolici in Gran Bretagna, Australia e in Nord America si contano parecchie decine di preti sposati, in comunione con Roma.
Nella Slovacchia e nella Repubblica Ceca negli anni del regime comunista la Chiesa cattolica clandestina di rito latino ordinò numerosi preti e vescovi sposati, che sono stati fatti passare negli ani ‘90 al rito orientale.
Ugualmente i vescovi anglicani, ordinati validamente da vescovi vetero-cattolici (i vetero-cattolici sono comunità separate da Roma in occasione della proclamazione dell’infallibilità del successore di Pietro quando parla ex cathedra), o presso chiese ortodosse, e poi passati al cattolicesimo, sono riammessi al ministero come semplici sacerdoti, con compiti - in qualche caso - di governo, pur non potendo ordinare preti e vescovi.
C’è una differenza, però, tra queste situazioni e la prospettiva Amazzonia. Mentre per chi passa dalle chiese ortodosse e anglicane alla cattolica, vale l’immenso bene della comunione con Roma, nel caso dell’Amazzonia è la chiesa cattolica che introduce il principio della difficoltà di avere dei sacerdoti, nelle aree lontane, cioè in quelle dove l’attività missionaria non riesce ad impiantare adeguatamente le chiese, con la presenza del sacerdozio, chiamiamolo indigeno. Evidentemente la realtà Amazzonica è diversa da quella Africana dove la sfida di introdurre il celibato è stata sostenuta con successo, ma forse perché la presenza di missionari è stata cospicua e duratura nel tempo. In questo senso c’è da augurarsi che vada a buon fine il pensiero di far fare ai sacerdoti di recente ordinazione un anno in terra di missione.
La situazione Amazzonica, senza una decisa delimitazione, non solo territoriale, ma anche di tempo, pur con flessibilità, che consideri il provvedimento come legittimo approccio di prima emergenza, come lo fu nell’antichità di fronte al mondo pagano (1Tim 3,1s), peraltro situazione corroborata dalla prospettiva della persecuzione e del martirio, potrebbe varcare il limiti dell’Amazzonia, perché anche in altre terre (Europa, America, ecc.) si sta presentando il medesimo problema, e non è che già non se ne parli. Comunque, tutto ciò è già stato posto sul tappeto delle discussioni dal momento che non si intende creare un varco nel celibato, partendo dal caso Amazzonia.
Come informazione si ha che attualmente i preti sposati in comunione con Roma sono circa 4 mila in tutto il mondo, rispetto ai 260 mila preti diocesani per i quali il celibato è una irrevocabile promessa. A parte vanno contati i sacerdoti religiosi, per i quali il celibato è scelta con la professione dei voti. Chiaro che il celibato, in concreto, è il medesimo.

Inserito il 27 Ottobre 2019
 
 
Instrumentum Laboris
Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per la Regione Panamazzonica (6-27 ottobre 2019)
 
 
Le precise parole circa eventuali prospettive sul celibato sacerdotale nei luoghi più remoti della terra Amazzonica, in attesa della conclusione dei lavori del Sinodo e delle successive disposizioni del Pontefice.

“Affermando che il celibato è un dono per la Chiesa, si chiede che, per le zone più remote della regione, si studi la possibilità di ordinazione sacerdotale di anziani, preferibilmente indigeni, rispettati e accettati dalla loro comunità, sebbene possano avere già una famiglia costituita e stabile, al fine di assicurare i Sacramenti che accompagnano e sostengono la vita cristiana”.

http://www.sinodoamazonico.va/content/sinodoamazonico/it/documenti/l-instrumentum-laboris-per-il-sinodo-sull-amazzonia1.html
 
Inserito il 14 Ottobre 2019
 
 
17 aprile 2019. Eutanasia: card. Ruini, “indispensabile ristabilire una positiva sinergia fra i politici cattolici e il loro naturale retroterra”
"Servizio Informazione Religiosa"
 
 
“L’argomento principale a favore della eutanasia è la rivendicazione della libertà, una dimensione essenziale. La croce di Cristo non ha senso se i peccati dell’uomo non sono atti di grande libertà. Perché dunque non consentire la libertà di eutanasia?”. A chiederlo è il card. Camillo Ruini, intervenuto alla presentazione del libro di Eugenia Roccella. “La risposta – ha detto – è che non si può separare la libertà dall’essere. L’uomo è un essere in relazione e quindi la nostra libertà non può prescindere dagli altri. Non potremmo essere liberi se all’origine non ci fosse la libertà creatrice di Dio. È questo il senso di parole antiche quali: la vita è sacra o la vita è un dono di Dio. Ora, nel dibattito pubblico sono difficili da spendere”. “Come è potuto avvenire in questi anni? – si è chiesto il cardinale – Si è allentata la collaborazione fra il mondo cattolico e i cattolici che operano in politica. I politici cattolici sono così isolati mentre il mondo cattolico e la stessa gerarchia rischiano di rinunciare con forza e chiarezza in materia di etica pubblica. Il risultato è l’irrilevanza che ha comportato la fine della cosiddetta eccezione italiana sui temi della vita e della famiglia. Dobbiamo tornare ad essere un interlocutore incisivo. È indispensabile ristabilire una positiva sinergia fra i politici cattolici e il loro naturale retroterra, compresi i vescovi. Si dovrebbe tentare almeno la possibilità della obiezione di coscienza per gli operatori sanitari. Riguardo al rapporto fra cultura e cristianesimo, siamo condannati come cristiani all’irrilevanza tale da paralizzare il nostro agire non solo nella sfera pubblica ma anche personale. C’è un grande lavoro da fare per recuperare il rapporto con la cultura”.


23 aprile 2019. In morte di Cristina: 38 anni in coma, amata dal padre. Ma non fa notizia
"Il Timone"



Lo spazio di una breve o poco più. Tanto le hanno dedicato i grandi media italiani. La maggior parte delle testate, a onor del vero, si limita a riprendere il trafiletto diffuso dall’Ansa il 10 aprile: «Cristina Magrini, la donna bolognese che da 38 anni viveva in stato di minima coscienza, è morta oggi all’età di 53 anni all’ospedale Maggiore di Bologna, dov’era ricoverata da alcuni giorni. La triste storia di Cristina e di suo padre Romano, 86 anni, che si è sempre battuto per il diritto all’assistenza, anche grazie al sostegno dell’associazione che porta il nome della figlia (Insieme per Cristina onlus), era cominciata il 18 novembre del 1981, quando l’allora 15enne venne investita sotto casa, a Bologna, finendo in coma vigile […]».
D’altra parte, per Cristina Magrini non c’è stata nessuna campagna dei Radicali per chiedere l’eutanasia e quindi, come si dice in gergo “non c’è la notizia”. La notizia c’era, e per settimane ha abitato gli spazi informativi, nel caso di deejay Fabo, perché lui ha chiesto di andare in Svizzera e ottenuto il suicidio assistito; la notizia c’era nel caso di Eluana Englaro il cui padre ha lottato perché la figlia morisse, e che è morta nel più atroce dei modi, di sete e di fame. Ma nel caso di Cristina Magrini? Non solo c’è stato un padre che non ha chiesto l’eutanasia per la figlia, ma Romano Magrini in questi quasi 38 anni dedicati notte e giorno alla figlia disabile ha soltanto chiesto, ripetutamente chiesto, una cosa: aiuti e assistenza per Cristina. E tutto questo ai media non interessa, tanto che il Corriere scrive: «Si può dire che in realtà Cristina Magrini, morta ieri a 53 anni, se ne fosse già andata quel drammatico 18 novembre 1981, quando appena 15enne venne investita sotto casa finendo in coma vigile, su una sedia a rotelle e assistita in tutto».
Ma Cristina era invece viva e amata, così come lo è Vincent Lambert, quarantaduenne tetraplegico francese sul cui capo pende una condanna a morte perché la sua vita è considerata non abbastanza degna: secondo i giudici continuare a curarlo, ad alimentarlo e idratarlo costituirebbe «ostinazione irragionevole» poiché «è in stato vegetativo cronico irreversibile e non può accedere ad alcuno stato di coscienza». Anche di Vincent Lambert non troverete che poche briciole sui media italiani: non è una storia funzionale alla narrazione che vuole automatizzare la relazione tra la sofferenza a un sedicente «diritto all’autodeterminazione», non è funzionale alla campagna già in atto che vuole portare anche il nostro Paese ad adottare una legge esplicitamente eutanasica; e dunque queste storie non vanno raccontate
Significative le parole che l’arcivescovo di Bologna Matteo Zuppi ha pronunciato poco dopo la nascita al cielo di Cristina Magrini: «Nessuno sia alleato della morte, Gesù ci chiede di credere sempre nella luce della vita, di amarla e difenderla per chiunque, perché l’amore non scappa, non si rassegna, non si perde. Oggi è Pasqua per Cristina. E noi vediamo con ancora più chiarezza la forza della luce, forza che libera dalla morte».

Inserito il 23 Aprile 2019
 
 

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