Crolla il castello di carte
costruito su padre Jorge
di
Nello Scavo
C’è
un documento classificato che per anni è stato preso per buono:
“Direzione del culto, raccoglitore 9, schedario B2B, Arcivescovado di
Buenos Aires, documento 9”. La polizia politica argentina annotava che
«nonostante la buona volontà di padre Bergoglio - frase, questa, che
aveva lo scopo di far passare il gesuita per un “collaborazionista” -,
la Compagnia Argentina (il riferimento è ai gesuiti, ndr) non ha fatto
pulizia al suo interno. I gesuiti furbi per qualche tempo sono rimasti
in disparte, ma adesso con gran sostegno dall’esterno di certi vescovi
terzomondistti hanno cominciato una nuova fase».
A dubitare della veridicità di simili accuse - oltre a personalità come
l’ex dissidente e premio Nobel per la Pace Adolfo Perez Esquival - ci
sono organizzazioni che certo non passano per essere filo-cattoliche.
Amnesty International è tra queste.
Se
ci fosse stato qualcosa su Bergoglio, certamente Amnesty lo avrebbe
saputo e denunciato
Perciò, pur con la cautela che contraddistingue l’organizzazione, viene
spiegato che «non abbiamo documenti per confermare o smentire la
partecipazione del nuovo Papa in questi fatti. Nessuna accusa formale -
si legge nel testo protocollato come "ad uso esclusivamente interno" - è
stata rivolta contro Jorge Mario Bergoglio, e non abbiamo alcun
documento nei nostri archivi riguardanti un qualsiasi coinvolgimento
dell’ex arcivescovo di Buenos Aires in altri casi». Peraltro, «non
dobbiamo dimenticare che all’interno della chiesa in Argentina e nella
regione sono stati molti coloro che si opponevano a questi regimi e
hanno subito intimidazioni, torture, sparizioni o l’esecuzione. Molti di
loro - aggiunge Amnesty - hanno lavorato e continuano a lavorare per la
promozione e la protezione dei diritti umani per tutti, senza
discriminazioni».
Nel 2010, interrogato come «persona informata dei fatti», dunque senza
alcun capo d’imputazione, il futuro Papa ribadì alle autorità ciò che
aveva confidato solo agli amici più stretti. L’allora cardinale
Bergoglio rivelò di aver salvato numerosi dissidenti, ma mai se ne fece
pubblico vanto.
Padre Franz Jalics: «La
verità e il tempo ci hanno riconciliati»
Padre Franz Jalics, torturato, ferma le calunnie. “Auguro al Pontefice
la ricca benedizione di Dio per il suo ufficio”
Padre Franz Jalics, gesuita ungherese missionario in Argentina negli
anni della dittatura militare, ha voluto scrivere la parola «fine» alle
illazioni con cui da anni viene alimentata la falsa leggenda di un
Bergoglio cinico a tal punto da vendere due confratelli alla polizia
militare.
Jalics è uno dei due gesuiti arrestati e torturati per cinque mesi, nel
1976, con l’accusa di aver fiancheggiato i guerriglieri comunisti. Papa
Francesco, allora giovane padre provinciale dei gesuiti argentini,
secondo alcune accuse non avrebbe protetto i due confratelli.
Solo anni dopo ebbi la possibilità di parlare di quegli avvenimenti con
padre Bergoglio, che nel frattempo era stato nominato arcivescovo di
Buenos Aires. Dopo quel colloquio abbiamo celebrato insieme una Messa
pubblica e ci siamo abbracciati solennemente». Un gesto commovente,
volutamente compiuto davanti a migliaia di fedeli, perché le calunnie
potessero essere fermate.
«Dal 1957, ho vissuto a Buenos Aires. Nel 1974 – ha scritto il gesuita
in una breve memoria in tedesco –, mosso dal desiderio interiore di
vivere il Vangelo e far conoscere le condizioni di terribile povertà,
con il permesso dell’Arcivescovo Aramburu e dell’allora padre Jorge
Mario Bergoglio, ho vissuto con un confratello in una “favela”. Da lì
abbiamo comunque proseguito nel nostro insegnamento all’Università».
I
guai per i due padri di frontiera arriveranno molto presto. «La giunta
militare ha ucciso circa 30mila persone, guerriglieri della sinistra
come anche incolpevoli civili. Noi due nella favela non avevamo contatti
né con la giunta né con la guerriglia».
IL CASO
La falsa agenzia del Papa
«misogino»
Ripescando un fantomatico lancio dell’agenzia di stampa argentina Telam,
l’allora arcivescovo di Buenos Aires diventa autore di un’esternazione
dal sorprendente tono misogino: «Le donne sono naturalmente inadatte per
compiti politici. L’ordine naturale e i fatti ci insegnano che l’uomo è
un uomo politico per eccellenza (...). Abbiamo avuto una donna come
presidente della nazione e tutti sappiamo cosa è successo». Nelle ultime
ore, innumerevoli siti han fatto a gara nel rilanciarla. Pure alcuni
quotidiani italiani, con corredo di commenti indignati. E ci mancherebbe
altro: cosa sarà passato per il capo di Bergoglio? Nulla. Mai detto
nulla del genere. Né l’agenzia Telam aveva mai lanciato quella notizia.
Una
bufala, sulla cui origine è caccia grossa, roba da filologi
dell’immondizia. Al momento, il falso (datato 4 giugno 2007) sembrerebbe
opera di un’organizzazione anticlericale messicana. La patacca fu
ripresa dal quotidiano del Costarica "El Clarin" e da altri organi
d’informazione, ma senza troppo clamore. Fino all’approdo in Italia, a
opera di un anonimo utente del sito Yahoo Answer, tal "Bumper Crop".
Ripreso oggi con entusiasmo da chi non vedeva l’ora di spargere fango
sul nuovo Pontefice. In effetti, sarebbe dovuto apparire curioso, anche
al più inesperto dei cronisti, che l’agenzia argentina non citasse in
quale circostanza quelle parole sarebbero state dette o scritte da
Bergoglio. Ieri l’agenzia, da noi interpellata, cascava dalle nuvole.
Padre Lombardi: “Su
Bergoglio calunnie anticlericali”
di
Mimmo Muolo
La
campagna contro Bergoglio è ben nota e risale già a diversi anni fa. È
portata avanti da una pubblicazione caratterizzata da campagne a volte
calunniose e diffamatorie. La matrice anticlericale di questa campagna e
di altre accuse contro Bergoglio è nota ed evidente».
Ha usato parole perentorie padre Federico Lombardi ieri nel quotidiano
briefing con i media di tutto il mondo per fare chiarezza su
insinuazioni apparse su alcuni organi di informazione dopo l’elezione
del Papa argentino. «L’accusa - ha aggiunto il portavoce vaticano - si
riferisce al tempo in cui Bergoglio non era ancora vescovo, ma superiore
dei Gesuiti in Argentina, e a due sacerdoti che sono stati rapiti e che
lui non avrebbe protetto - questa era l’accusa -. Non vi è mai stata
un’accusa concreta credibile nei suoi confronti. La giustizia argentina
– ha detto ancora Lombardi - lo ha interrogato una volta come persona
informata sui fatti, ma non gli ha mai imputato nulla. Egli ha negato in
modo documentato le accuse.
Vi sono invece moltissime dichiarazioni che dimostrano quanto Bergoglio
fece per proteggere molte persone nel tempo della dittatura militare. È
noto il ruolo di Bergoglio – una volta diventato vescovo – nel
promuovere la richiesta di perdono della Chiesa in Argentina per non
aver fatto abbastanza nel tempo della dittatura. Le accuse appartengono
quindi all’uso di analisi storico-sociologiche del periodo dittatoriale
fatte da anni da elementi della sinistra anticlericale per attaccare la
Chiesa e devono essere respinte con decisione».
Quelle false accuse per gli anni bui
Di Nello
Scavo
I "generali" del presidente Videla, stando ad alcune "veline" piazzate
negli archivi del regime e ora emerse, consideravano il futuro pontefice
come un loro «collaborazionista». E già qui s’annusa il veleno della
macchinazione. Per una ragione semplice: alla "fonte Bergoglio" non
viene attribuito nessun soprannome, nessun codice segreto, nessuna
identità protetta. Mentre per gli altri informatori e doppiogiochisti,
negli schedari venivano usati nomi di comodo, così da occultarli e
proteggerli. Perché mai si doveva rischiare di far saltare la copertura
di una gola profonda così preziosa?
La montatura ha parzialmente dato i suoi frutti visto che ancora oggi
c’è chi continua a domandarsi, come acriticamente stanno facendo alcuni
mass media internazionali, se dare credito a quelle voci alimentate,
come vedremo, da alcune foto grossolanamente ritoccate.
Dal
New
York Times fino al foglio argentino
Pagina 12, sono in diversi a riportare accuse di
«connivenza» con i militari. Secondo alcune testimonianze raccolte dal
giornalista Horacio Verbitsky, diventato "oracolo" delle accuse al Papa,
Bergoglio aveva «tolto la protezione – riassume la Bbc – a due sacerdoti
che operavano nelle baraccopoli» di Buenos Aires, allontanandoli dai
gesuiti ed esponendoli alla rappresaglia dei militari. «Nel 2010 fu
chiamato a testimoniare sul caso, dichiarando di aver chiesto ai vertici
del regime il rilascio» dei due parroci poi effettivamente liberati,
sottolinea la Bbc, secondo la quale il futuro papa è stato sentito dagli
inquirenti anche «nel caso di Elena de La Cuadra, figlia di una delle
cofondatrici delle Abuelas de Plaza de Mayo, sparita quando era
incinta». E Bergoglio, aggiunge la rete britannica, è stato infine
citato anche in una causa penale aperta in Francia per il sequestro e
l’omicidio del sacerdote Gabriel Longueville, nel 1976. La notizia che
manca, però, è che la giustizia ha sancito che sul suo operato non
c’erano macchie, mentre altri sacerdoti sono stati condannati.
Ad
alimentare la leggenda nera del "gesuita traditore" ci sono poi alcune
immagini a suo tempo confezionate ad arte. Per esempio, come ha
segnalato ieri "ilpost.it", la didascalia originale della foto nella
quale Videla riceve la comunione da un sacerdote, ripreso di spalle, non
fa alcun riferimento a Bergoglio. Era il 1990 e il gesuita aveva poco
più di 50 anni, mentre nell’immagine si vede un celebrante piuttosto
anziano porgere la particola al generale. «L’ex presidente argentino
Jorge Rafael Videla – si legge nella didascalia originale dell’immagine
custodita dall’agenzia Corbis – riceve la comunione in una chiesa di
rito cattolico romano a Buenos Aires, in questa foto del 20 dicembre
1990». Eppure, opportunamente "tagliata" in modo da rendere quasi
impossibile l’identificazione del prete, quello scatto è stato fatto
passare per la prova regina della «contiguità» di Bergoglio anche dopo
la caduta del regime, nel 1983.
Di
tutto questo su certa stampa internazionale non c’è stranamente traccia.
Neanche un interrogativo sul perché si siano agitate accuse così pesanti
sulla base di elementi così fragili, inconsistenti e manipolati.
La Corte Suprema argentina: «Bergoglio mai sospettato di
complicità»
Il presidente della Corte Suprema di Giustizia argentina, Ricardo
Lorenzetti, ha detto oggi che Papa Francesco "è una persona
assolutamente innocente" e non è stato sospettato di nessuna complicità
con le violazioni dei diritti umani commesse durante la dittatura
militare (1976-83).
Esquivel: mai complice dei
generali, intervenne per i confratelli
di MichelaCoricelli
«Bergoglio non è stato complice della dittatura». Nessuna
connivenza. Lo hanno già chiarito in molti, diverse volte: le
ricostruzioni storiche di quello che accadde durante il regime
militare argentino, la relazione con la Chiesa e la posizione
dell’allora superiore gesuita si sono moltiplicate nelle ultime ore.
Hanno parlato in tanti, sono state rispolverate vecchie teorie, sono
stati ricordati libri e frasi già ascoltate.
Ma se a dirlo a Bbc Mundo è l’argentino Adolfo Pérez Esquivel,
premio Nobel per la Pace, il chiarimento fa scalpore e in poche ore
fa anche il giro del mondo: le sue parole rimbalzano velocemente
dall’America Latina all’Europa.
«Non c’è nessun legame che lo colleghi con la dittatura», ha
dichiarato il Nobel. «Bergoglio viene criticato perché si dice che
non fece tutto il necessario per far uscire di prigione due
sacerdoti». Ma «io so personalmente che molti vescovi chiedevano
alla giunta militare la liberazione di prigionieri e sacerdoti e
questa non veniva concesso», ha aggiunto il noto attivista dei
diritti umani.
Ci sono stati settori della società argentina che hanno detto che
Bergoglio fu complice. Io dico di no. È il contrario. Chiese che i
due sacerdoti fossero rilasciati. Io so che lui reclamò sicurezza
per loro e si adoperò anche per la sicurezza di altre persone.
Sono stato con lui varie volte, ho partecipato a diverse riunioni in
arcivescovado. Abbiamo parlato di diversi problemi, della situazione
del nostro Paese, dei diritti umani. Su questo fronte Bergoglio è
molto vicino ai poveri, ai più piccoli, ai più bisognosi e in
generale a chi soffre. Poi c’è un altro aspetto: è un uomo molto
sobrio, contrario all’ostentazione. È molto evangelico.
Quella piazza con i «fratelli schiavi»
di Lucia Capuzzi
Era il 25 settembre 2012, e una folla si era radunata nella piazza
Constitución, di fronte alla stazione principale di Buenos Aires,
per partecipare alla “Messa per le vittime di tratta e traffico di
persone”. Un appuntamento ormai fisso per credenti, non credenti,
fedeli di altre confessioni, mamme delle ragazzine cadute nel buco
nero della “prostituzione forzata”, ex lavoratori delle fabbriche
clandestine, migranti irregolari abituati ad essere invisibili e ora
al centro dell’attenzione di quel prelato così illustre.
C’era anche Olga, boliviana, illegale, impiegata in nero in una
sartoria abusiva, mamma single di due bimbe. «Volevo battezzarle ma
avevo paura che mi chiedessero i documenti o mi cacciassero perché
non ero sposata», afferma. Quel giorno, però, al termine della
funzione, trovò il coraggio di avvicinarsi a monsignor Bergoglio. E
gli disse: «Vorrebbe battezzare le mie figlie? Però non ho marito né
documenti». Il cardinale sorrise e le rispose: «Sarà un onore».
I fuori programma erano d’obbligo alla Messa che dal 2008
l’arcivescovo aveva deciso di celebrare per il popolo degli
invisibili tra gli invisibili, «i fratelli schiavi». Quel mezzo
milione di esseri umani (secondo la stima più cauta) – donne, uomini
e bambini – sfruttati nei laboratori-scantinati che producono a
bassissimo costo abiti per la grandi marche, nei postriboli
illegali, nella raccolta di fragole, nella coltivazione di soia.
«In Argentina la schiavitù esiste. Eccome. Lo sa che solo a Buenos
Aires ci sono tremila laboratori tessili clandestini che sfruttano
25mila persone? Il punto è che se ne parla poco. Perché dietro la
tratta, il traffico, la schiavitù moderna si nascondono grandi
mafie. Solo il cardinale aveva il coraggio di denunciarlo
pubblicamente…», dice ad Avvenire Sherer che, nel caos
della crisi del 2001, ha creato, insieme ad altri amici, la
Fondazione Alameda per la lotta alle moderne schiavitù. L’incontro
con il cardinale avvenne sette anni più tardi. «Gli scrivemmo una
lettera, a mano, tanto non pensavamo ci rispondesse. E, invece…». E,
invece, il cardinal Bergoglio fissò subito un incontro. «E appena
entrammo, ci domando: “Ditemi come posso aiutarvi”». Da quel giorno
lo ha fatto in ogni modo possibile. «Quando gli segnalavamo il caso
di un ex schiavo riscattato, lo incontrava e non si limitava a
dirgli qualche bella parola. Si preoccupava per la sua sicurezza,
gli cercava un posto dove stare, lo chiamava per sapere se aveva
bisogno di qualcosa».
L’impegno del cardinale ha «svegliato l’opinione pubblica», dichiara
Sherer. Non è un caso che il governo argentino, dopo anni di
silenzio, abbia approvato, nel dicembre 2012, una legge che
indurisce le pene per i “mercanti di uomini”.
La prima Messa per le vittime di tratta, l’arcivescovo la celebrò
nella chiesa Madre de los Emigrantes, nella Boca. Poi, decise che si
svolgesse all’aperto. «E in un luogo simbolico: la piazza dove le
prostitute-schiave si vendono ad ogni ora del giorno e della notte.
Tutta la città le vede, nessuno le guarda. Il cardinale voleva
lanciare un messaggio forte a tutti i cittadini, cattolici e non
cattolici», racconta ad Avvenire padre Juan José Cervantes,
sacerdote scalabriniano messicano che da vent’anni dirige il
Dipartimento per i migranti dell’arcivescovado. La struttura –
fortemente sostenuta dal cardinale – assiste in media mille persone
all’anno. «Gli irregolari non conoscono i loro diritti. Non sanno,
per esempio, che i cittadini del Mercosur possono ottenere il
permesso di soggiorno con facilità. Noi offriamo assistenza
giuridica, psicologica, ma soprattutto accompagnamento. Il cardinale
me lo ripeteva sempre: “Non siamo burocrati. Dobbiamo fare in modo
che le persone si sentano accolte, anche se vengono solo per fare
due chiacchiere”».
Per la stessa ragione, la sera, invece di guardare la tv – che non
aveva – monsignor Bergoglio passeggiava per il centro, quando questo
si svuota di passanti e si riempie di “cartoneros”, i disoccupati
che sopravvivono raccogliendo rifiuti. Quando ne vedeva uno con le
mani immerse nella spazzatura, si fermava e si metteva a
chiacchierare. Poi, tirava fuori il suo mate (recipiente di zucca
dove si beve una specie di tè: gli argentini lo portano spesso con
sé), e glielo offriva. «Un sorso a te e uno a me – diceva –. Da
buoni fratelli».