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Le Leggi razziali, antisemite, furono un
abominio denunciato dalla Chiesa |
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Queste le parole
dell'Onorevole Fini nell'aula di Montecitorio (16 dicembre 2008): “L'ideologia
fascista non spiega da sola l'infamia delle leggi razziali. C'è da chiedersi
perché la società italiana si sia adeguata nel suo insieme alla legislazione
antiebraica e perché, salvo talune luminose eccezioni, non siano state
registrate manifestazioni particolari di resistenza. Nemmeno, mi duole dirlo -
ha sottolineato Fini - da parte della Chiesa cattolica”.
L'Osservatore Romano ha
subito reagito parlando di attacco alla Chiesa per fini “di meschino
opportunismo politico”; in altre parole il presidente della Camera vuole
dare attenuanti alle sue radici fasciste e porsi nel contempo sulla vetta dello
sdegno contro le leggi razziali.
Fini in sostanza dice: Se
gli italiani fossero scesi in piazza contro le leggi razziali e se la Chiesa
avesse fatto altrettanto, il fascismo non sarebbe caduto in tale infamia e si
sarebbe ravveduto in tempo. Dunque, al fascismo mancò chi lo avvisasse. Certo -
così si deduce dal discorso del massimo scranno di Montecitorio -, non bastavano
alcuni richiami autorevoli, ci voleva una generazione di martiri sotto i
manganelli fascisti, per far retrocedere il fascismo dall'infamia razzista. Se
poi Fini vuole dire che la Chiesa fu acquiescente circa le leggi razziali,
questo non appartiene più ai sogni di una ecatombe di martiri, ma alla non
documentazione storica, e ciò è grave.
La Radio Vaticana si è
espressa subito con gli storici Francesco Malgeri e Andrea Riccardi: “La
Chiesa reagì subito alle leggi razziali del 1938”
Pio XI subito e
pubblicamente parlò contro il “Manifesto della razza”, pubblicato il 15 luglio
1938 sul “Giornale d'Italia”. Lo stesso giorno, durante un’udienza, Pio XI
disse: “Oggi stesso siamo venuti a sapere qualcosa di molto grave: si tratta,
ora, di una vera apostasia”. Il 21 luglio, ricevendo in udienza gli
assistenti ecclesiastici di Azione Cattolica, di nuovo disse: “Cattolico vuol
dire universale, non razzistico, nazionalistico, separatistico. Queste ideologie
finiscono con il non essere neppure umane”. Il 28 luglio, rivolgendosi agli
alunni di Propaganda Fide, Pio XI disse ancora: “Il genere umano non è che
una sola e universale razza di uomini. Non c’è posto per delle razze speciali...
La dignità umana consiste nel costituire una sola e grande famiglia, il genere
umano, la razza umana”. L'8 agosto 1938 la Segreteria di Stato informò il
governo americano, per cercare di far conoscere all'estero quanto stava succedendo
in Italia e in Germania.
Le Leggi razziali
cominciarono ad essere emanate dal 5 settembre 1938, fino al 29 giugno 1939. Nel
contempo il Governo nazionale provvide a proibire “di pubblicare commenti
sulla questione razziale divergenti dal senso del Governo nazionale”. La
stampa cattolica era imbavagliata e le era impedito di divulgare le parole del
Pontefice.
Il 5 novembre il
Pontefice scrisse una lettera direttamente al re, Vittorio Emanuele III,
protestando perché la legge "per la tutela della razza ariana"
oltre tutto comprendeva norme in aperto contrasto con il Concordato stipulato l’11 febbraio
del 1929 tra Santa Sede e Regno d’Italia. Nella lettera, Pio XI lamentava anche
che Mussolini non avesse preso in considerazione la protesta della Santa Sede.
La lettera è stata
riportata per intero su Panorama (n. 7, 16 febbraio 2006).
Il re rispose al
Papa di aver trasmesso a Mussolini il suo messaggio e che questo sarebbe stato
tenuto “in massimo conto”. La risposta non era tuttavia di Vittorio Emanuele, ma
di Mussolini stesso che aveva redatto la bozza. Mussolini disse al sovrano che
la Santa Sede aveva punti di vista “molto antitetici” con l'Italia fascista e
che stava tirando troppo la corda.
Seguirono altre
lettere di protesta
della Santa Sede: quella del 13 novembre 1938
e quella del 22 successivo. Ad esse il Governo italiano rispose con una nota del
29 novembre, cui il Vaticano replicò con altra nota del 14 dicembre. La Santa
Sede si sentiva colpita anche nel suo stesso essere interno. Le pareva abnorme,
direttamente contro i Patti Lateranensi (11 febbraio 1929), la legge che vietava
che un cattolico di razza ebraica sposasse un cattolico di razza ariana.
Parlare di antisemitismo da parte della Chiesa è solo una manifestazione di mala
fede. Si potrà dire che lungo i secoli c'è stato da parte della Chiesa
dell'antigiudaismo, ora superato, ma non dell'antisemitismo.
Ma accanto a queste
prese di posizione al vertice della Chiesa, non mancarono le prese di posizione
capillari tra i fedeli, pur in un regime di assoluta vigilanza. Non restò alla
fine che soccorrere, nascondere nelle canoniche, nei conventi, gli ebrei cercati
per condurli nei campi di sterminio.
Non mancarono
predicatori coraggiosi come padre Francesco Antonio Samoggia da Bologna,
Cappuccino della Provincia religiosa Bolognese. Acerrimo avversario della
ferocia nazifascista, aiutò a più non posso i perseguitati dal regime. Venne
arrestato in convento (Castelbolognese) per mezzo di due spie che si
presentarono come degli evasi inglesi bisognosi di aiuto. Condotto al carcere di
Ravenna venne trasferito al Forte di Verona, dove il suo zelo evangelico lo
spinse a stare vicino ai gerarchi fascisti (Galeazzo Ciano e altri) condannati
alla fucilazione “come traditori del fascismo ” sostenendoli religiosamente (25
luglio 1943). Trasferito al carcere di Bologna (nov. 1943) padre Samoggia venne
processato nel marzo 1944 a Verona e condannato alla deportazione in Germania.
Un'azione diplomatica riuscì ad ottenergli il ritorno nel carcere di S. Giovanni
in Monte a Bologna, dove venne liberato da partigiani travestiti da ufficiali
tedeschi il 9 agosto 1944. Passò poi la linea del fronte e raggiunse Roma
(liberata il 4 giugno 1944) dove svolse il compito di cappellano dei profughi.
Pur antifascista, padre Francesco Samoggia, non aderì al comunismo,
manifestandosi pubblicamente contro il totalitarismo rosso, dopo aver lottato
con quello nero.
Ma tanti e tanti
sono stati i generosi che nel silenzio hanno agito e anche hanno pagato con la
vita la loro generosità.
Il dissenso cattolico si espresse infine
nella resistenza all'invasore tedesco. Enrico Mattei, presidente dell'Eni, morto
per un incidente aereo poco chiaro, fu un capo della resistenza. Egli fornì il
dato che i cattolici (i bianchi, in distinzione dai rossi) che parteciparono attivamente alla Resistenza
furono all'inizio 65.000, distribuiti in 180 brigate. Il numero complessivo
degli aderenti attivi alla Resistenza era all'inizio di 130.000 combattenti.
Verso la fine del conflitto i cattolici raggiunsero il numero di 80.000 su
200.000 combattenti (Avvenire, 24 aprile 2008, Roberto Berretta). Va
sottolineato che i partigiani bianchi rifiutarono azioni che non badavano a
proteggere le popolazioni civili dalle rappresaglie tedesche e fasciste.
Lo storico (laico)
Giorgio Bocca in Storia d'Italia, Arnaldo Editore, ammette che senza l'aiuto del
clero i ¾ della pianura Padana sarebbero stati chiusi alle forze della
resistenza. Tale aiuto del clero avvenne nella consapevolezza della giusta causa
partigiana, ma non per il gradimento delle prospettive rosse.
Inserito il 18 Dicembre 2008
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Testamento Biologico,
una proposta che fa discutere: 24 novembre 2008 |
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Ormai si profila una legge
che regoli la materia relativa alle decisioni di un paziente nei casi in cui si
stimino situazioni ultimative di vita. I termini di questa legge dovranno essere
discussi in Parlamento.
Il Testamento Biologico è la
dizione più corrente nei media, ma non di più. E' una proposta che vuole
stabilire il valore giuridico di un'azione da esercitarsi nel caso che il
paziente si venga a trovare in uno stato di non coscienza prolungata.
Correttamente il presidente
della Repubblica non parla di Testamento Biologico, ma di Legge su fine vita.
La dizione Testamento
Biologico incontra subito una difficoltà, infatti per i Testamenti patrimoniali
è sempre possibile riformularli fino all'ultimo, in virtù di diverse valutazioni
del soggetto. Per il Testamento Biologico occorrerebbe l'essere informati sulle
situazioni nuove offerte dalle terapie in evoluzione, che dovranno scaturire da
approfonditi studi sugli stati comatosi e vegetativi oggi molto carenti,
bisognerebbe avere chiaro che, ad esempio, quando si parla di coma
irreversibile, come pure di stato vegetativo irreversibile, non ci si esprime in
termini assoluti, ma solo probabilistici, visti i casi di recupero dopo
anni (Gruppo di lavoro sullo stato vegetativo e stato di minima coscienza,
voluto dal ministero del Welfare).
Il Testamento Biologico non
può essere un atto emesso quando il soggetto è lontano dalla situazione stimata
ultimativa per cui non può prendere una posizione esplicita, certa,
inequivocabile. Quale previsione poi del tempo dell'improvviso evento traumatico
potrebbe fare un uomo, così da rendere prossimo all'evento traumatico il
Testamento Biologico?
Nei casi di una malattia
progressiva a lenta evoluzione il soggetto è in grado di esprimere una
decisione, ma nel caso di un'improvvisa irruzione del trauma non è in grado di
esprimere una valutazione “inequivocabile” e “attuale”. Nel caso
di Eluana Englaro (Sentenza 9 luglio 2008 della corte di appello di Milano,
ratificata dalla Cassazione, che ha respinto il ricorso della Procura di Milano,
creando un blocco formale su di una questione che tocca ogni uomo. A Strasburgo,
presso la Corte Europea è stato tuttavia aperto un fascicolo sulla base
dell'intervento di 34 Associazioni in difesa della vita, per il superamento del
verdetto della Cassazione), si è fatto giuridicamente leva su di un
testimone al quale Eluana avrebbe detto che non avrebbe voluto vivere in tale
condizione. Stando in tal modo le cose è facile che in qualche momento uno dica
una cosa del genere, e così una parola diventa il destino di una vita.
In base al diritto
costituzionale (art.2) si argomenta che una persona può rifiutare una terapia,
ma ciò urta con la considerazione che la vita non è soltanto un bene personale,
ma anche di interesse comunitario e che la comunità riconosce il diritto alle
cure come un diritto fondamentale dell'uomo (art. 32). L'argomentazione sulla
quale si vorrebbe fondare l'eutanasia passiva è il diritto al rifiuto delle cure
(che non ha approvazione etica), ma ciò si scontra anche con il dovere
professionale del medico di esercitare la sua scienza a favore della vita.
L'argomentazione sulla
qualità della vita per far passare l'eutanasia passiva non porta al diritto di
sopprimere la vita: la qualità della vita è una cosa e la vita è un'altra. La
vita trova la sua dignità in se stessa e non nelle condizioni in cui si
trova.
Chi vuole che cessino le
terapie che tutelano la sua vita o la sostengono esercita un'esasperazione del
suo diritto di libertà, che lo deve trovar solo. L'incoercibilità del vivere
è ovviamente un fatto operativamente impossibile dal momento che uno può
suicidarsi, ma il suicidio non può chiamare in causa e coinvolgere la struttura
medica deputata alla salvaguardia della vita. La struttura medica deve
intervenire con la terapia del dolore, il soggetto deve essere assistito con
amorevolezza. Chi chiede l'eutanasia è una persona alla quale si è fatto capire
che è ingombrante, di peso, che la sua vita è inutile; è una persona che ha già
ricevuto una violenza di morte dall'ambiente che la circonda. Una legge
sull'eutanasia non rimane nell'ambito di casi singoli e isolati, ma diventa una
spinta direzionale impressa alla collettività, esattamente come è stato per la
legge (194) sull'aborto procurato; e l'esasperazione del concetto di libertà non
fa che spingere le società verso la schiavitù dell'indifferenza.
Il rifiuto dell'accanimento
terapeutico invece investe non solo la persona, ma anche la comunità in quanto i
costi gravosi che vengono impiegati del tutto inutilmente, possono essere
sostenuti per salvare molte altre persone.
Va affermato con forza che
esiste una demarcazione netta tra svolgimento terapeutico e alimentazione e
idratazione. L'alimentazione e l'idratazione di un soggetto incapace rientra
nell'assistenza caritativa di sostegno. Non c'è nulla di medicale nel nutrire
una persona e non ci sono spine da staccare, perché non ci sono macchine.
Parlare di alimentazione e idratazione forzata perché fatta col sondino è
assurdo poiché allora sarebbe forzata l'alimentazione di tanti bambini o tanti
anziani non autosufficienti.
Quanto ai costi
dell'alimentazione e idratazione via sondino sono di nessuna incidenza, basta
l'amorevole assistenza.
Il Testamento Biologico
rischia di essere solo uno strumento strisciante per introdurre l'eutanasia (chi
l'ha proposto è il prof. Umberto Veronesi) poiché la vita è sempre
inviolabile e indisponibile ad ogni posizione ideologica.
Le dichiarazione “inequivocabili”
e “attuali”, quindi “rese in forma certa ed esplicita” trovano il
loro ambito legale solo nel quadro del dialogo con il medico, vincolato ad agire
sempre con scienza e coscienza, quando si tratti di casi dubbi di accanimento
terapeutico. La valutazione non può essere ispirata all'eutanasia passiva, ma
all'effettiva valutazione di accanimento terapeutico nei casi dubbi, dove è in
gioco anche l'effettiva accettabilità del paziente. |
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Le dichiarazioni del Card.
Bagnasco presidente della CEI sono chiarite in questi quattro punto.
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1) Il riconoscimento legale
di “dichiarazioni inequivocabili” rese in forma certa ed esplicita.
2) Garanzia di presa in
carico del malato e di rapporto fiduciario con il medico agente in scienza e
coscienza.
3) Inefficacia di
dichiarazioni che si riferiscano a trattamenti di sostegno vitali: alimentazione
e idratazione, come pure (il caso Welby) la ventilazione, anch'essa sostegno
vitale e non terapeutico.
4) Finalità di evitare forme
inutili di accanimento terapeutico, e di fomentare forme di eutanasia
mascherata. |
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Inserito il 1° Dicembre 2008
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L'arte non intacca la
fede: 4 Settembre 2008 |
Nessuna paura caro amico per l'arte, quasi che ti potesse
compromettere la fede. Vero è che tanta arte contemporanea non ha come substrato
profondo il vero, il bello, il buono. Nel passato c'era questo. L'uomo era
rivolto ad esprimere le tensioni dell'anima verso l'alto, verso il vero, il
bello, il buono. Ma anche oggi ci sono veri artisti. Conosco due pittrici
quotate che vedono le cose nella luce della verità; fanno bei quadri, paesaggi.
Si ispirano agli impressionisti come Monet, Cezanne, Van Gogh, ma nonostante
questo sono originali, perché vi mettono del loro, del loro cuore; pensano
all'impatto che avrà un quadro in un ambiente, e vogliono che produca serenità,
ottimismo, tono spirituale. Non sono quadri religiosi, ma sanno cogliere le
tante e tante, e tante, pagine che Dio ci offre nel creato. La fede è luce,
gioia, accettazione serena delle difficoltà, amore verso Dio e gli uomini; la
fede è fonte di comunicazione sincera, ricca d'amore. L'arte è un linguaggio, ed
è perciò comunicazione. Non è soliloquio. Un quadro non può essere un
soliloquio. L'arte è anche emozione, comunicazione intima, non può essere solo
cervello. Non può essere mai ridotta solo a tecnica del colore o del volume, a
capacità cromatica, a bilanciamento dei volumi, sarebbe solo maniera, mestiere.
Tanta arte oggi è vuota di contenuto, pura ricerca di trovare qualcosa che sia
in qualche modo dirompente, almeno per un attimo, non importa che poi tutto si
dissolva nel vuoto. Il vuoto! Ecco allora il critico di maniera, di mestiere,
l'incaricato a trovare i contenuti profondi, le novità che sfuggono ai comuni
mortali, i percorsi culturali raffinati. Il critico d'arte, esecutore a sua
volta di un'arte,
quella di mettere, di porre sull'opera una casacca onorevole, brillante,
intelligente; ma la casacca dura solo per un istante perché sotto non ci sono
spalle, braccia, torso, vita. La presentazione critica corre il rischio di non
essere più l'amplificazione di ciò che comunica l'opera, ma l’inutile copertura
del suo vuoto. Chiaro che se tu rimani impigliato nelle maglie di questa critica
ti trovi a fare il pensiero che mi hai detto: "Corro
il rischio di perdere la fede". Tu leggi pure la critica, ma sappi valutarla per quello che tante
volte è: mestiere. Ti accorgerai che quello che un critico di maniera dice di
un'opera sostanzialmente lo dice anche per un'altra, salvo cambiare alcuni
connotati; la sua critica è un vero genere letterario. E' un abito pronto per
tutte le evenienze; basta qualche aggiustaggio, qualche colpetto nuovo, e tutto
è fatto. Tu, però, guarda alle opere e lascia da parte le casacche. Guarda le
opere vi troverai l'uomo, la sua solitudine, il suo desiderio di spensieratezza,
di vita, o un groviglio di idee senza capo nè coda, voglia di comparire, oppure,
e questo è il caso della vera arte, comunicazione che parte dal bello, dal vero,
dal buono.
Inserito il 4 Settembre 2008
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“Benedetto XVI, Quebec. Divorziati risposati
ed Eucaristia”: 22 giugno 2008 |
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In occasione del 49°
Congresso Eucaristico Internazionale a Quebec (Canada) il Pontefice ha toccato
il tema dei divorziati risposati circa la Comunione Eucaristica.
Ecco il punto particolare:
“Nonostante la nostra debolezza e il nostro peccato, Cristo vuole dimorare in
noi. Per questo, dobbiamo fare tutto il possibile per riceverlo in un cuore
puro, ritrovando costantemente, mediante il sacramento del perdono, quella
purezza che il peccato ha macchiato, “armonizzando la nostra anima con la nostra
voce” (Cf. Sacrosantum Concilium, n. 11).
Di fatto, il peccato,
soprattutto quello grave, si oppone all'azione della grazia eucaristica in noi.
D'altro canto, coloro che non possono comunicarsi per la loro situazione
troveranno comunque in una comunione di desiderio e nella partecipazione
all'Eucaristia una forza e un'efficacia salvatrice”.
Queste parole, ben
ponderate, sono state tradotte da alcuni giornali il questo modo: “La
Comunione solo per i puri; per i divorziati c'è salvezza”. Chiaro che in tal
modo tutto viene svisato.
Sembrerebbe che quelli che
possono accedere alla Comunione siano una particolare categoria “i puri”,
mentre per i divorziati risposati c'è ugualmente salvezza, ma a livello
inferiore. Insomma, tutti salvi.
Ma il Pontefice ha detto
diversamente. Non ha parlato di “puri”, ma di uomini riconciliati con Dio
col sacramento del perdono, al quale tutti possono accedere se vogliono
rimuovere il loro stato di peccato.
I divorziati risposati, fin
tanto che vivono da marito e moglie e non da fratello e sorella, non sono nella
condizione di accedere al sacramento del perdono e quindi all'Eucaristia.
Tuttavia il Pontefice vede
nella “comunione di desiderio” e nella partecipazione alla celebrazione
Eucaristica “una forza e un'efficacia salvatrice”, nel senso che aiuta i
divorziati risposati a non essere chiusi alla considerazione del disagio
spirituale da essi contratto, e ad accogliere da Dio la comunicazione della
forza per decidersi per la risoluzione della loro situazione. Certo tante volte
la soluzione viene da loro procrastinata, ma tuttavia non viene esclusa con un
atto di rottura con la Chiesa.
Il Pontefice non ha detto
“salvezza in ogni caso per tutti” ed Eucaristia solo per “i puri”.
E' importante sottolineare
che Benedetto XVI parla di “comunione di desiderio” e non di “comunione
spirituale”. Infatti per comunione
spirituale si intende un atto d'amore che si esercita sulla base del pensiero di
avere ricevuto Gesù nel cuore, e ciò avviene proprio sulla base della
possibilità di ricevere realmente il Corpo del Signore nella partecipazione alla
celebrazione Eucaristica. La “comunione spirituale” è così una pratica di
pietà nell'ambito di un cuore che, libero dal peccato, può accedere
all'Eucaristia.
La “comunione di
desiderio”, invece, è quella di ricevere l'Eucaristia, ma avendo
l'impedimento a riceverla. Per cui tra "la comunione spirituale" e "la comunione di
desiderio" vi sono gradi di differenza. Quanto alla salvezza eterna per i divorziati risposati la Chiesa,
mentre li sollecita a risolvere la loro posizione, lascia tutto allo sguardo
misericordioso di Dio che scruta i cuori.
Inserito il 2 Luglio 2008
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