Una signorina al telefono: padre Paolo è obbligatorio curarsi? 23 Dicembre 2006  

 

 

 

“Padre Paolo, è obbligatorio curarsi o no? In questi giorni si è parlato del diritto di rifiutare una terapia”.

“Moralmente uno è obbligato a curarsi, non può considerare la vita come un disvalore. La libertà di rifiutare una terapia che la Costituzione sancisce riguarda l'aspetto giuridico del rapporto paziente medico. Può avvenire che il medico presenti per una determinata operazione una percentuale di rischio. Il soggetto deve prendere una decisione libera e questa libertà ce l'ha perché può rifiutare di sottoporsi ad un intervento, quindi deve firmare che si assume la percentuale di rischio. In caso di cattivo esito il paziente non può avere una rivalsa sul team medico, eccetto che questo abbia commesso un grave errore di malasanità”.

“Ecco, nel caso che uno abbia un tumore, non è che si possa sottrarre alla chemioterapia?”. “Moralmente è sempre tenuto a conservare, a tutelare, la propria vita, anche se fosse per un solo giorno di vita in più: Giovanni Paolo II non si è sottratto alle cure, alla tracheotomia; giuridicamente è libero di rifiutarla. Il principio giuridico non avalla però il suicidio, ma solo vuole difendere il paziente da un imperativo medico, qualora le terapie presentategli gli siano sospette, oppure cariche di un tale rischio che gli pare giusto di non sottoporsi ad esse. Quindi l'ottica legislativa non avalla il suicidio, come in questi giorni si è voluto sostenere nel caso di Welby”.

“Ma io dico, anche nel caso in cui un tumore sia in metastasi, uno non deve desistere dalla chemioterapia, perché potrebbe reagire positivamente, anche in questo caso”.

“Sì, il principio di libertà va coniugato con il principio che non si può disporre di un diritto a morire. Questo diritto inserirebbe nella società il principio di fuga di fronte a qualsiasi pericolo, di fronte a qualsiasi disagio psicologico; il primo pessimo risultato del diritto a morire sarebbe un'impennata del numero dei suicidi. Il suicidio come atto di liberazione nobile; mentre invece è sempre una fuga. Non parlo del caso in cui uno, travolto dalla depressione e non più capace di intendere, si dà la morte. Questo caso la Chiesa lo comprende e per questo ne celebra il funerale religioso. Nel caso invece di una volontà di morire annunciata, coscientemente voluta, com'è il caso di Welby la Chiesa  rifiuta di compiere il rito funebre religioso. Si tratta di un suicidio. Con questo la Chiesa non intende esprimere un giudizio che equivalga ad un pronunciamento sulla salvezza eterna del soggetto; la Chiesa non ha tutti gli elementi per potere formulare questo giudizio - dovrebbe avere una conoscenza esauriente del cuore di un soggetto fino all'ultimo istante - tuttavia vede che il gesto del suicidio è oggettivamente malsano e riprovato da Dio. Privatamente poi ognuno può pronunciare un giudizio di probabilità circa la riprovazione eterna di un suicida, ma poiché si tratta di un giudizio di sola probabilità, e quindi non infallibile, la carità della Chiesa trova lo spazio per poter pregare anche per quell'uomo, per questo il Vicariato di Roma mentre rifiuta i funerali per Welby, come suicida, non rinuncia a pregare per lui. Fare i funerali per un suicida cosciente del suo gesto significherebbe incoraggiare il suicidio. Il codice penale all'articolo 580 dice che <Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l'altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l'esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni>. Ora il codice punisce in un caso specifico, ma è certo che chi avalla in qualche modo il suicidio rientra nella riprovazione morale, anche se non penale, del codice”.

“Sa tante cose!”

“L'articolo del codice l'ho letto oggi sui giornali; non sono un giurista”

“Grazie, padre Paolo”.  

 

Inserito il 24 Dicembre 2006

 

La politica non può introdurre il diritto alla morte: 20 Dicembre 2006

 

 

 

C'è da rimanere sgomenti come si sta trattando il caso Welby, di questo uomo angosciato, che in questo momento vuole morire e morire senza dolore, appunto la cosiddetta "dolce morte".

Esiste realmente il diritto del malato a rifiutare una terapia, ma non esiste per il medico il diritto di dare la morte. Uno rifiuta una terapia perché non ci crede, perché la ritiene inutile, magari perché la vuole fare finita con la vita, ma non si uccide: vuole che le cose per lui vadano come potevano andare 100 anni. Una tale persona mentre esercita il diritto di rifiutare una terapia, non chiede a qualcuno di staccare la spina; si lascia morire, non coinvolge nessuno nella sua scelta. Nel caso di Welby il problema è che egli vuole coinvolgere qualcuno. Diritto di Welby era quello di non farsi fare la tracheotomia e applicare il respiratore, ma una volta che ha accettato questo cammino di vita non può poi chiedere a qualcuno che glielo interrompa. Può chiedere invece che gli sia applicata una terapia di contenimento del dolore, questo è un suo diritto: Dio non ha comandato il dolore, fermo rimanendo che il dolore dà maturità alla vita e che unisce profondamente a Cristo se vissuto con la positività della fede. C'è un diritto a vedere sollevate le proprie sofferenze.

Il caso Welby può determinare il rischio che nel rapporto medico e paziente si inserisca una norma giuridica che decida quando si è giunti all'accanimento terapeutico. L'accanimento terapeutico è una realtà che coinvolge il medico e anche il paziente. In questo senso va letto il testamento biologico, legislativamente propugnabile, ma senza farne un obbligo, che consiste nell'esprimere il proprio contributo a far sì che il giudizio sull'accanimento terapeutico sia bilaterale, sottraendo così il medico allo scrupolo di diventare un datore di morte, e nello stesso tempo sottraendo il paziente all’accanimento terapeutico spesso fatto per la ricerca, o per altre ragioni, che potrebbero risiedere in eredità, o nel far sopravvivere uomini simbolo.

Resta il respiratore. Non si può dire che esso è accanimento terapeutico su di un uomo come Welby che ragiona, che si presenta, che vuole vivere in definitiva la sua posizione come un contributo agli altri - contributo erroneo, ma tant'è -, egli non si trova nella condizione di uno che stia subendo un accanimento terapeutico per il fatto che ha un respiratore, che ha accettato, ma che per toglierselo ha bisogno dell'intervento di qualcuno. Ma ecco, il dolore. E' questo che Welby deve chiedere, il lenimento del dolore, che oggi può arrivare al 90% e oltre. La morte verrà, perché non si tratta solo del respiratore, ma di un insieme di cose che minano Welby.

Al diritto di rifiutare una terapia non può corrispondere mai un dovere legislativo a dare la morte da parte di qualcuno, fosse il medico o un familiare dell'infermo. Oggi si dice che l'eutanasia clandestina è praticata in Italia; è una notizia falsa, basti pensare che nei paesi dove vige l'eutanasia pochi la richiedono. Piuttosto in Italia potrebbe esserci (Ma chi ha dati per dire questo?) l'eutanasia non richiesta, quella che nasce dalla svogliatezza di assistere fino alla fine un malato affinché abbia esistenza dignitosa, e ciò è penalmente perseguibile.

Il Tribunale di Roma ha dichiarato che si è in presenza di un vuoto legislativo. Dunque bisogna colmarlo. Ma ecco il rischio, quello di un ingresso legislativo nel rapporto paziente-medico, a sfavore della libertà del medico. Infatti la Procura di Roma ha affermato il coesistere di due diritti: quello del malato di rifiutare una terapia, quello del medico di non dare la morte, di non tradire la sua deontologia. Il caso Welby è bloccato dal diritto-dovere del medico di servire la vita e di dare al paziente condizioni dignitose, accompagnandolo con cure palliative fino alla fine; ora come lo si vuole sbloccare il caso? Violando legislativamente il diritto del medico di essere medico. Ora si vuole fare una legge speciale per ribadire il diritto del malato (Costituzione art. 32) a rifiutare una terapia, e nello stesso tempo per narcotizzare (narcoticizzare) la coscienza del medico, il quale si troverebbe ad obbedire, e ad essere sottratto così dal peso di essere additato come un "dottor morte"; ma qualcuno lo dovrà pur essere, e  allora sarà il "legislator-morte". Si dice che non si dà così spazio all'eutanasia, ma solo si attacca l'accanimento terapeutico. Ma ecco l'errore: "far respirare uno non è accanimento terapeutico". Al signor Welby garantiamo invece la lotta contro il dolore, e magari aiutiamolo a vedere il suo stato non come una prostrazione ineluttabile, visto che altri pazienti come lui danno l'esempio di amore alla vita.

Ma non tutti i giudici fanno appello al potere legislativo. I giudici della corte di appello di Milano si sono espressi per la settima volta contro il ricorso di staccare la spiana a Eluana, che vive in stato pressochè vegetativo, ma non è morta affatto. La richiesta di staccare la spina è ammissibile hanno detto, ma non è ammissibile procedere nel merito.

Ma la Procura di Roma ha ora fatto un reclamo depositato ieri (19 dicembre 2006) per bocciare la decisione con cui il giudice monocratico Angela Salvo del Tribunale di Roma ha negato che si possa staccare la spina del ventilatore applicato al signor Welby. La decisione del Tribunale sarà ora collegiale. Il procuratore Giovanni Ferrara e i suoi sostituti Salvatore Vitello e Francesco Loy chiedono che venga affermata "l'esistenza del diritto del ricorrente a interrompere il trattamento terapeutico non voluto con le modalità richieste". E' quanto già la Procura di Roma aveva detto, aggiungendo però che l'ultima parola è da lasciare ai medici. Il giudice Angela Salvo aveva introdotto il concetto che manca una legislazione e perciò la richiesta se signor Welby non può essere accolta. Ma la Procura ora dice che il medico "non ha il diritto di curare" contro la volontà del paziente, e quindi il ricorso riduce il medico ad un esecutore ineluttabile della volontà del malato di morire; il medico non farebbe morire nessuno: è il soggetto che chiede che venga staccata la spina. Ma ancora bisogna ribadire se un ventilatore è accanimento terapeutico, o semplicemente dare ad un soggetto le condizioni di respirare; un medico potrà togliere medicine, terapie, assecondando la volontà del paziente, ma non il respiratore ad un uomo cosciente; staccare la spina non è proprio del medico, bisognerebbe che si introducesse un'altra figura che facesse questo. Terribile! Si avrebbe un funzionario dipendente di un qualche ente pubblico che fa la professione di staccare le spine: orribile, a dir poco!

 

Oggi (20 Dicembre) il Consiglio superiore della santità ha dichiarato che nel caso di Welby non è accanimento terapeutico mantenere attaccato il respiratore. 

L'oncologo Umberto Veronesi, ribaltando il vero con il falso, ha rilasciato una dichiarazione nella quale afferma che il problema non sta nello stabilire se c'è o meno l'accanimento, ma nel rispettare la volontà del paziente; il medico ascoltando la sua coscienza dovrebbe staccare la spina secondo la volontà del  paziente, se non lo facesse sarebbe per la paura di incorrere in una trasgressione della norma. 

Tutto il contrario del giuramento di Ippocrate, dove la coscienza medica è solo per la vita.

Ma quanti sono coloro che pregano per il signor Welby?

Recitiamo per lui un'Ave Maria!

 

Inserito il 20 Dicembre 2006

 

Il caso Piergiorgio Welby: la ventilazione, l'alimentazione via sondino non possono essere accanimento terapeutico

12 Dicembre 2006

 

 

La Procura (i PM Salvatore Vitello e Francesca Loy e il procuratore capo Giovanni Ferrara) affermano l'esistenza del "diritto ad interrompere un trattamento non voluto, con le modalità richieste"; con ciò la richiesta di Piergiorgio Welby di interrompere la ventilazione mediante macchina è legittima.  A questo punto, espressa la volontà del soggetto, non resterebbe ai medici, nel caso specifico, che la terapia antidolorifica e sedativa, ma la Procura di Roma ha affermato anche che non si può imporre ai medici di staccare la spina, cioè la macchina di ventilazione. I medici devono loro giudicare l'opportunità di fare questo, con la possibilità di valutare "in un momento successivo" se si debba ripristinare la terapia, che dovrebbe essere a rigor di logica il ripristino della ventilazione, se la ventilazione dovesse essere assimilata nel loro giudizio ad un procedimento terapeutico, e quindi ad accanimento terapeutico. La Procura riconosce dunque al medico il compito di discernere la necessità di proseguire per il bene del paziente una terapia, fino al confine dell'accanimento, confine del quale la magistratura non può averne competenza, anche perché ogni caso si presenta come caso singolo. La posizione di non dare un diktat ai medici è corretta, ma il Procuratore capo e i due PM non hanno fatto chiarezza giuridica distinguendo il mantenimento delle elementari condizioni di vita (ventilazione, idratazione, alimentazione) dall'accanimento terapeutico, che è uno sconfinamento oneroso e inconcludente circa le possibilità terapeutiche messe in campo.

L'accanimento terapeutico, nel caso del signor Welby, potrebbe riferirsi al progetto complessivo di cura che gli viene fatto; qualora, appunto, fosse accanimento. Solo in tal caso l'accanimento andrebbe sospeso, facendo subentrare un'adeguata terapia del dolore. 

E' rilevante il fatto che il signor Welby non abbia chiesto la sospensione dell'accanimento terapeutico nel senso di progetto complessivo di cura, e non abbia chiesto di non soffrire, ma ha chiesto di morire, facendo sì che venga staccata la spina. La morte non è un diritto che possa essere avanzato.

Il signor Welby potrebbe invece essere portato in un centro specializzato (ora si trova a casa sua) con l'assistenza di personale idoneo al caso, capace quindi di ridurre le sue sofferenze al minimo, cioè al 7 o 8%.  

E' importante far notare che il caso del signor Welby non può diventare il caso universale, il caso modello.

Il caso del signor Welby non è la situazione di un soggetto in coma irreversibile e profondo, mantenuto in vita vegetativa da una macchina, per cui ad un certo punto ci si può porre la domanda se l'accanimento stia proprio nell'uso della macchina, ma è un soggetto in piena coscienza, con una vita intellettuale.

Similmente, il caso di Theresa (Terry) Schiavo, della Florida, non rientrava nel giudizio di un accanimento terapeutico via macchina, visto che il soggetto, nonostante le lesioni cerebrali subite in un collasso cardiaco, presentava segni di coscienza; purtroppo venne staccata la spina della macchina che la teneva in vita.

Altri pazienti, vincolati ad un letto nelle stesse condizioni del signor Welby, alla cui persona va il nostro rispetto, non sentono come accanimento terapeutico il supporto costante di una macchina.

Non è affatto indegna di essere vissuta la vita di uno che viva con il supporto di una macchina.

La fine di un accanimento terapeutico non va ricercata nello staccare la spina di una macchina di sostegno, ma nel giudizio che l'impegno terapeutico abbia raggiunto il confine oltre il quale si raggiunge l'accanimento terapeutico; certo un giudizio difficile da dare, ma nessuno lo può  dare se non la coscienza professionale di un team di medici.

Ora si attende il pronunciamento del giudice monocratico del Tribunale Civile, Angela Salvio, sul ricorso del signor Welby di voler che venga staccata la spina.  

 

Inserito il 12 Dicembre 2006

 

La manipolazione mentale sull'Embrione: 1° Dicembre 2006

                                                        

 

Si è voluto dare pari trattamento alle staminali adulte e a quelle embrionali; ma il cosiddetto pari trattamento è preceduto, nel caso delle staminali embrionali, dall'uccisione dell'Embrione. La differenza è tanta: da una parte un prelievo su tessuto di adulto, dall'altra la soppressione dell'Embrione.

Sappiamo che il 30 Maggio 2006 il ministro per l'Università e la Ricerca, Fabio Mussi, ha ritirato la firma dell'Italia alla dichiarazione etica facendo saltare la compagine contraria all'uso delle staminali embrionali formata da Germania, Slovenia, Polonia, Austria e Malta e quindi Italia. Il 19 Luglio il Senato italiano approvava per un solo voto un impegno del Governo a sostenere in sede Europea ricerche che non tocchino l'Embrione, ma dava l'approvazione alla sperimentazione sugli embrioni congelati, non più impiantabili. Il 24 Luglio 2006 il Consiglio competività dell'Unione decide di vietare il finanziamento di ricerche che tocchino gli Embrioni, ma approva stanziamenti per le ricerche sulle staminali embrionali: una stranezza tragica. Il 20 settembre un gruppo trasversale di europarlamentari italiani scrive al Presidente del Consiglio Romano Prodi, ricordandogli l'impegno preso il 26 Luglio alla Camera dei Deputati, di fare il possibile affinchè venga stabilita una data certa, oltre la quale non toccare altri Embrioni oltre quelle già congelati. Il 2 Ottobre Fabio Mussi conferma la volontà di mantenere fede alla risoluzione del Senato del 19 Luglio.

Per gli Embrioni congelati l'UE, il 15 Giugno 2006, prevedeva che si fissasse una data oltre la quale non si potessero più estrarre cellule embrionali. Si poneva cioè un limite alla distruzione di vite umane ai suoi albori.

Il VII programma sul quadro ricerca dell'UE ieri (30 Novembre) ha dato il via, grazie al ritiro dell'appoggio dell'Italia per mezzo di Fabio Mussi contro l'uso delle staminali embrionali, alla sperimentazione su cellule embrionali senza definire una data limite, oltre la quale non si possono più distruggere embrioni congelati. Ma  non solo questo è stato fatto, poiché si è vietata la distruzione di Embrioni creati ai fini della ricerca; ma nessun Team di ricerca ha in mente di produrre Embrioni ai fini della ricerca; dunque la disposizione è solo fumo negli occhi. Dunque, non c'è data oltre la quale è impedito distruggere gli embrioni congelati per trarne linee di cellule staminali per la sperimentazione in campo terapeutico. E va aggiunto che il successo terapeutico è già stato dato dalle staminali adulte, sicché una visione etica non dovrebbe neppure pensare all'Embrione; è una violenza etica parlare di pari trattamento delle embrionali con quelle adulte. Chiaro che non finanziare la ricerca che includa la produzione di Embrioni, e poi finanziare tutte le operazioni successive sulle staminali embrionali, non protegge affatto l'Embrione dalla sperimentazione.

Ecco i passaggi del VII programma quadro di Bruxelles sulle staminali embrionali: “La commissione non finanzierà progetti che includono attività di ricerca che distruggano embrioni umani, anche per la produzione di cellule staminali (...): L'esclusione del finanziamento di questo passaggio non impedisce alla UE di finanziare le fasi successive che comportano l'uso di cellule staminali umane”. Proprio non ci siamo. Quanti Italiani sono contro questo? Tanti come ha testimoniato l'ultimo referendum. 

 

Inserito il 2 Dicembre 2006

 

A Pietrelcina pensando a padre Pio:

rivista “Pietrelcina la terra di padre Pio” anno XI N.10 Ottobre 2006

 

 

E' dottrina notissima che il culto dei santi si compone di tre note: la venerazione, l'invocazione e l'imitazione.                 

Se manca una delle tre note il culto ai santi risulta sbilanciato. Allo sbilanciamento concorrono spesso le biografie, le celebrazioni recital, le ricostruzioni cinematografiche, le predicazioni. Lo sbilanciamento avviene sempre perché si trascura l'imitazione, cosicché il santo viene amato, invocato, ma in un senso debole, con il retropensiero di delegare a lui tutto senza impegno personale di conversione. Non manca poi una dottrina su questa omissione dell'imitazione, che suona così: "Quel santo è ammirabile, ma non imitabile". Osservazione questa che scardina il Vangelo poiché, come tutti sanno, Cristo disse: "Fate come me che sono mite e umile di cuore"; dunque l'infinitamente ammirabile Gesù è imitabile, certo nei gradi a noi possibili.

Padre Pio non è esente dalla famosissima dotta conclusione: "E' ammirabile, non imitabile!".

Molta letteratura celebrativa su padre Pio sembra puntare proprio sulla venerazione e sull'invocazione; cosicché la sua vita viene presentata in un tale alone celebrativo che sembra soffocare la  nostra, non stimolarla; sembra paralizzarla relegandola nell'insignificanza.

Pietrelcina è un aiuto insostituibile a sottrarsi alla soffocante valanga celebrativa, e per percepire padre Pio, proprio come imitabile, come uno di noi, che a differenza di noi - ecco il punto - ha voluto essere santo, corrispondendo alla generosità di Dio con grande generosità.

Pietrelcina contiene delle pagine importanti, che narrano l'infanzia di padre Pio e i primi anni del suo essere frate Cappuccino e Sacerdote. Pagine non di carta, non sfogliabili in un libro, ma sfogliabili, consultabili nel nucleo storico di Pietrelcina, collocato sulla "Murgia" e nell'ampia campagna di Piana Romana.

Le case della famiglia Forgione sono un documento di semplicità di vita. Sono tanto distanti quegli ambienti dai nostri dotati di tutti i confort, eppure quegli ambienti ci affascinano, perché riusciamo a percepire che lì le persone contavano, gli affetti erano struttura di vita, legame saldo; lì gli altri erano percepiti come esistenti, e non come esistenti e non esistenti.

Padre Pio vide confermato il suo cuore di bambino dall'esempio dei grandi, della mamma, del papà: uno esisteva nel cuore dell'altro. Questo era il complessivo clima morale di Pietrelcina, ancora presente, ben percepibile nella Messa delle ore 6.00, durante la novena della Madonna della Libera. In quella mattiniera celebrazione Eucaristica si vede il cuore caldo di Pietrelcina. Non ci sono pellegrini, solo i fedeli di Pietrelcina. Il cuore caldo non rinuncia ad un momento di agape attorno al predicatore; immancabilmente ogni mattina, in itineranza da bar a bar, un piccolo gruppo offre ai frati cappuccino e cornetto.

Forse nessuno lo ha ancora fatto, ma ho molto osservato i volti dei Pietrelcinesi per trovarvi tratti somatici rimandanti a quelli di padre Pio. Ho visto qua e là. Nessuna indagine scientifica, ma il dna di padre Pio è proprio della terra di Pietrelcina, in generale del Sannio. Patrimonio genetico di gente resistente, vivace e calma, unito al dna cristiano che ha come geni le virtù teologali e le virtù cardinali, nonchè i sette doni dello Spirito Santo.

A Pietrelcina si vede l'uomo Francesco Forgione, ma anche si percepisce nitido il frate padre Pio. Sopra un sasso, nel silenzio alberato di Piana Romana, nel nascondimento, nella preghiera, nella bellezza del creato amava stare lungamente padre Pio. Bellezza del creato e crocifissione si unirono in modo plastico nel giorno della prima stimmatizzazione avvenuta accanto ad un olmo, il cui tronco è conservato gelosamente nella Porziuncola di Piana Romana. Bellezza del creato e crocifissione: le due note amatissime di Francesco d'Assisi.

C'è molto da esplorare ancora sulla realtà francescana di padre Pio, e bisogna farlo, altrimenti si insiste solo sulle stimmate, le lotte contro il demonio, le bilocazioni, i tanti rosari che diceva ogni giorno.

Padre Pio era un frate, un frate che aveva voluto essere tale fino in fondo. Un giorno venne domandato a padre Pio da Cleonice Morcaldi (La mia vita vicino a padre Pio; ed Dehoniane, Roma 1997, pag. 74): "Voi chi siete?”; e  padre Pio rispose: "Sono un frate, tormento di anime e fuoco divoratore", in altre parole un testimone di Cristo, come si ricava dal cap. 11 dell'Apocalisse, dove i due testimoni, figura di tutti i testimoni di Cristo, "erano il tormento degli abitanti della terra", perchè la loro testimonianza scuoteva le coscienze. Dei due testimoni viene pure detto: "Se qualcuno pensasse di far loro del male, uscirà dalla loro bocca un fuoco che divorerà i loro nemici", fuoco,che è la veemenza della testimonianza d'amore, per tale testimonianza il testimone vive e fa vivere, ma chi la rifiuta piomba nel buio; “fare del male” non è colpire il testimone, ma cercare di azzerare la sua testimonianza:essa rimarrà.

"Un frate", disse padre Pio.

La gente pensa che un frate sia un uomo consacrato chiuso dentro un'istituzione, legato a doppia mandata da regole; vivente in un mondo a parte. Ma così non è. Il frate non vive in un mondo a parte, è nel mondo, pur non essendo del mondo. E' un fratello che vive per gli altri. Il suo stile di vita è improntato non alla formalità, ma alla carità. E' un testimone verificabile, visibile, come è visibile una città posta su di un monte, o una lampada sopra il moggio. Vive nel nascondimento interiore non vantandosi di nulla se non della croce di Cristo, ragione della sua vita e forza della sua testimonianza.

Quella torretta, che erge da uno dei tanti vicoli di "Pietra pulcina" sembrerebbe di un eremita, invece adattissima ad un francescano. Essa richiama la piccola cella nel bosco di S. Antonio a Montepaolo, quella cella fatta costruire dallo stesso su di un noce a Camposanpiero; richiama le lunghe solitudini di Francesco alla Verna. Non fuga dalla fraternità, dalla vita comune, ma momenti di silenzio, di intensa preghiera. La fraternità quando diventa un imperativo ossessionante svuota il frate; essa è invece il luogo della carità, e la carità viene da Dio. All'amore fraterno va sempre unità la carità ci rammenta Pietro (2Pt 1,7); quando amore fraterno e carità, cioè amore a Dio e amore fraterno sono disuniti più non esistono. Quella torretta com'è affascinante! Mistero quella permanenza: una malattia misteriosa lo colpiva e se ne andava quando era a Pietrelcina. Quella malattia dava l'obbedienza per Pietrelcina.

Anche noi, mi viene da dire, abbiamo malattie - non misteriose -, ma certo dell'anima. Pietrelcina le può curare? Credo veramente di sì, anzi certamente sì; ma bisogna saper leggere le sue pagine silenziose, che narrano, a loro modo, molto dell'infanzia di padre Pio e dei suoi primi anni di frate Sacerdote.

padre Paolo Berti.

 

Inserito il 22 Novembre 2006

 

I presupposti della democrazia: 16 Giugno 2006

 

 

"Il referendum sulla fecondazione assistita, che comprendeva il quesito sulle staminali ha dato a tutti l'opportunità di venir a sapere che le staminali adulte, cioè tratte da un adulto sono vincenti sul piano dell'impiego terapeutico rispetto a quelle tratte dallo smembramento di un embrione. Infatti le staminali embrionali hanno una potenzialità di impatto con i tessuti da risanare che non è gestibile. Gli unici risultati terapeutici si sono avuti con le staminali adulte, e la ricerca in Italia, come in molte parti del mondo, si è indirizzata proprio sulle staminali adulte. Dire che bisogna percorrere la strada delle staminali embrionali è affermare una linea scientificamente non corretta, ma solo uitlitaristica. Mi spiego gli embrioni da usare saranno quelli soprannumerari; quelli che provengono dalla fecondazione in vitro, che verrebbero così utilizzati per ricavare staminali. Si avrebbe così un collegamento utilitaristico tra fecondazione in vitro e cellule staminali. Ma il concetto di processo utilitaristico non coincide con l'eticità dello stesso. L'utile, in questo caso, esisterebbe nel reperimento del materiale biologico, cioè negli embrioni soprannumerari che sono poi vite umane nel loro inizio; ma l'utile non esiste nel risultato terapeutico. Il ministro Mussi ha certamente ascoltato le voci del mondo scientifico circa il fallire delle cellule staminali embrionali, ma nonostante ciò ha perseguito quelle del mondo ideologico, che vorrebbero far quadrare il cerchio con la morale dell'utilitarismo. Da una parte il sovrannumero degli embrioni congelati, e qui c'è una delle gravi controindicazioni della fecondazione in vitro, dall'altra il loro utilizzo terapeutico, che è un'illusione. Un errore - tutti lo sanno, se riflettono - non sana un errore, ma lo approfondisce drammaticamente.

Il mondo cattolico ha reagito, si sta formando "un forte fronte politico trasversale", quello che si era visto per il referendum; un fronte capace di agire in Parlamento per far ritirare al ministro Mussi la sua lettera - unilaterale - di adesione all'Ue circa la ricerca sulle cellule staminali embrionali.

E a Strasburgo, intanto, si è votata una promozione sulla ricerca delle cellule staminale embrionali, con stanziamento di 50 miliardi di euro, che ovviamente dovranno essere ricavati dalle varie Nazioni UE, e qui bisogna prendere la posizione di non dare neppure un centesimo a questo progetto, che verrà sottoposto a decisone definitiva a metà luglio. A Strasburgo si sono avuti 284 sì e 249 no, con 32 astenuti. C'è stato il voto contrario di una cinquantina di appartenenti al PPE, più gli astenuti. Certo ogni Nazione dell'UE resta nel diritto di seguire nel suo interno le proprie leggi - per l'Itala la legge 40 -, ma intanto ci sarebbero pronti i soldi per accogliere altro e perseguirlo, se si scalzassero le proprie leggi. Strasburgo si è vincolato a non produrre clonazioni, modificazioni del patrimonio genetico, produzioni di embrioni per la ricerca e l'approvvigionamento di staminali.

Speriamo che tutto non si riduca a confronto politico tra governo e opposizione, poiché la verità sull'uomo non può passare nell'oblio più colposo. Si dice che non verrà modificato il risultato del referendum, però "in nome della scienza, con le dovute cautele e precisazioni, si deve procedere ad agire sull'embrione", ma queste sono parole vuote, tattiche. Del resto chi vuole impedire la ricerca scientifica? Il problema è che non deve essere fatta a spese dell'embrione, cioè della vita umana nel suo inizio.

La Chiesa sta parlando chiaro. Le parole dell'Osservatore Romano sono fortissime sul il silenzio del governo circa l'azione del ministro Mussi.

Fuori da ogni sorpresa è la reazione contro la Chiesa: "Ingerenza nella laicità dello Stato", quasi che laicità voglia dire arbitrio sull'uomo, e non salvaguardia del rispetto profondo che si deve all'uomo. Qualcosa non funziona! Si è ai confini della percezione di essere di fronte ad un complessivo franamento dei valori, capace di ridurre una nazione ad un cumulo di macerie morali. Ci si aspettava una risoluzione dei problemi dell'occupazione, dei salari, ed ecco che saltano fuori dirompenti fatti che i cattolici di centrosinistra credevano facilmente gestibili, fin sul nascere, o ancor meglio, non affiorabili; invece no. L'idea dei pacs va avanti; la liberalizzazione della droga diventa un argomento di esordio, la violenza sull'embrione, rifiutata da un referendum, compare dirompente. Il complesso problema dell'immigrazione pare essere considerato superabile con la legittimazione di tutte le entrate in Italia, nel presupposto che l'attesa di un posto di lavoro sia di brevissimo tempo, e non di lungo tempo come in realtà.

Si rimane sconcertati che posizioni inaccettabili entrino nel discorso quotidiano attraverso il "discutiamone; noi siamo disposti al confronto; non abbiamo preclusioni, ma vogliamo discuterne". Tutto bene, certo, confrontarsi, ma purché non sia intesa come l'occasione di rivoluzione culturale all'insegna dell'errore. Bisognerebbe avere un popolo con la capacità di conoscere i fatti attraverso canali d'informazione corretti, ma oggi i canali d'informazione troppo spesso sono di parte. La democrazia è un sistema politico valido nel presupposto che il popolo, gravato di responsabilità, sia libero, sovrano, ma anche informato rettamente e moralmente sano. Quando la democrazia mancasse di una sola di queste note fallisce le sue ragioni.

Emerge che la verità non è più cercata nell'oggettività delle cose, ma la si attenda solo dal confronto dialettico, dall'abilità dialettica, esibita per mezzo del potere mediatico. E' il relativismo di cui parla Benedetto XVI, e il relativismo in democrazia è capillarmente devastante. 

Cosa fare? Un credente prega e sa che la storia non sfugge mai dalle mani di Dio, il quale è tanto onnipotente da saper ricavare il bene anche dal male. Nessuna aura, nessun fatalismo, nessuna pigrizia; certo la Chiesa non perderà mai il suo inserimento orante e vincente nella storia, e questo per mezzo dell'abbraccio alla croce di Cristo".  

 

Inserito il 17 Giugno 2006

 

L'aborto farmaceutico: Ru486. Un'ipoteca sulla salute della donna, oltre che un grave errore etico: 25 Maggio 2006

 

 

"Stanno proprio mettendo in campo la liberalizzazione dell'aborto", mi dice una signora. "Purtroppo è quello a cui vogliono tendere con l'autorizzazione alla pillola Ru486". "E' un altro attacco all'embrione". "Speriamo che la proposta del Ministro per la Salute Livia Turco si areni, perché, oltre tutto, la Ru486 fa proprio male alla salute".

 

 

Propongo alcuni passi di Eugenia Roccella tratti da un articolo su Avvenire del 24 Maggio 2006:

 

"La campagna propagandistica ha costruito intorno alla pillola abortiva Ru486, il mito di un aborto facile, indolore, sicuro. La realtà è ben diversa. Il metodo chimico è più invasivo, doloroso, complicato e soprattutto più rischioso di quello tradizionale. Pochi sanno che l'intero procedimento dura come minimo 15 giorni, che comporta effetti collaterali pesanti (crampi violenti, vomito, diarrea, emicranie, e così via), che gli antidolorifici vengono in genere somministrati di routine, che le perdite di sangue durano settimane, che una percentuale non indifferente si conclude comunque con un intervento chirurgico, che il 56% delle donne che lo praticano, dovendo controllare il flusso emorragico, riconosce l'embrione espulso, che infine c'è un alto numero di complicanze gravi che comportano l'ospedalizzazione, come emorragie o infezioni. Ma c'è di peggio: la Ru486 ha già ucciso almeno 12 donne, di cui 5 in Europa e 7 in America, e dai paesi terzi le poche informazioni che riescono ad attraversare la cortina di silenzio e di indifferenza stesa intorno alle morti per aborto sono sconvolgenti. Nel dicembre 2005 il New England Journal of Medicine, la rivista di medicina più autorevole in campo internazionale, aveva calcolato una mortalità per aborto chimico 10 volte più alta di quella per aborto chirurgico, ma la percentuale, con lo stillicidio di incidenti letali che continua, è ormai molto più elevata. Di tutto questo, però, la grande stampa italiana finora non ha mai parlato, ignorando anche l'acceso dibattito che si è svolto negli USA sulla sicurezza della pillola abortiva, e che ha visto storiche testate liberal come il New York Times virare fino a schierarsi con decisione contro la kill pill".  

 

Inserito il 25 Maggio 2006

 

 Il Vangelo di Giuda: una menzogna dei Cainiti: 4 Maggio 2006

 

 

“Padre - mi dice una signorina qualche giorno fa - non ci si capisce più niente. Hanno detto che è stato ritrovato uno scritto dei primi tempi della Chiesa dove si dice che Giuda era il discepolo prediletto e che Gesù gli ha chiesto di tradirlo così avrebbe salvato gli uomini! Io non capisco proprio. Giuda allora era necessario affinché Gesù venisse messo in croce! Tradendolo sarebbe stato un collaboratore di Gesù!”.

“Conosco la notizia e mi sono informato. Si tratta di un testo di 66 pagine, il Vangelo di Giuda, scritto in copto saidico, proprio di alcune regioni egizie, ma in origine doveva essere in greco Lo scritto, è stato trovato negli anni 70, nel mercato dell’antiquariato in Egitto. Il testo forse proveniva da una località a Nord di Nag Hammadi, dove alla fine degli anni 40, sono stati ritrovati molti testi gnostici. Il test della datazione al carbonio ha presentato la data della fine del III secolo o l’inizio del IV. Il testo venne scritto da una setta gnostica, quella dei Cainiti, che celebrava proprio la figura di Caino, e a questo aggiungeva la venerazione del Serpente che tentò (secondo loro emancipò) Eva, Cam, i Sodomiti, Esaù, e quindi Giuda. Come vedi proprio gente messa male. Sant’Ireneo, vescovo di Lione, ma greco di origine, conosceva quel testo e nel suo libro “Contro le eresie”, (XXXI; c.180 d.C.) presenta la setta dei Cainiti e il loro scritto: <Essi dichiarano che solo Giuda il traditore conosceva a Verità come nessun altro e che per questo ha realizzato il mistero del tradimento, in seguito al quale tutto, in terra e in cielo, rimase sconvolto. Essi hanno dunque prodotto una storia fondata su dette basi e l’hanno chiamata Vangelo di Giuda>. C’è da stare allegri con le grandi notizie che mettono in giro; e lo fanno per amore dei soldi e per mettere la gente contro la Chiesa”.

“Ma il punto che mi turba è che viene detto che Giuda era necessario alla salvezza. Io spesso l’ho pensato. Se non c’era Giuda Gesù non sarebbe finito sulla croce e quindi non ci avrebbe salvati”.

“Le cose non stanno così. Giuda il traditore non fece che facilitare il Sinedrio nell’attuare la sua decisione di mettere a morte Gesù. Il Sinedrio in un modo o in un altro per mezzo di sicari avrebbe ucciso Gesù. Ma Gerusalemme doveva accogliere Gesù, questa era la vocazione della città. Il Vangelo di Giovanni ci dice (1,11): “Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto”; dunque, dovevano accoglierlo. Israele sarebbe diventato la Chiesa”.

“Ma, allora non ci sarebbe stato il sacrificio di Gesù!”.

“Ecco, la morte, Cristo l’avrebbe subita per mano di Roma. Roma, che adorava Cesare come dio, si sarebbe messa contro Gesù, avrebbe cercato di sopprimerlo e lo avrebbe soppresso, perché Gesù non avrebbe indietreggiato di fronte alla persecuzione per poi chiedere ai suoi discepoli di sostenerla loro; lui andando in cielo. Chi avrebbe seguito un tale comandante, che se la dà a gambe. Ecco, vedi che Giuda non era affatto necessario alla redenzione. Il discepolo traditore rese solo più amara la passione di Gesù. Giuda facilitò solo il Sinedrio. Voglio aggiungere che la giustizia del Padre poteva essere soddisfatta anche solo con il sangue sparso nell’Orto degli Ulivi, ma il Padre chiese tutto al Figlio; così noi non possiamo dubitare dell’amore di Dio. Se Gesù si fosse fermato all’Orto degli Ulivi e fosse poi salito al cielo noi avremmo ironizzato su Cristo, che di fronte alla morte si era ritirato. Avremmo detto: “Noi poi dovremmo morire per lui, e lui se ne è andato di fronte alla morte”. Il Padre ha così voluto che il Figlio non indietreggiasse, e così è stato. Noi non possiamo dubitare dell’amore di Dio. Satana sembrò vincitore del Cristo, ma quando vide che era morto pronunciando parole d’amore, vide la sua totale sconfitta, perché non ebbe più spazi per accusare presso gli uomini Dio di poco amore”.

“Ho capito”.

“Bene! Giuda non fu affatto l’eroe che viene presentato dal cosiddetto “Vangelo di Giuda”. I Cainiti erano degli gnostici e dicevano che Jahvéh era il creatore malvagio della materia. L’anima, intesa come una scntilla del divino, era così in una prigione e da questa doveva sottrarsi accogliendo la dottrina dell’ Eone Cristo, che proviene da Dio buono che sarebbe quello del Nuovo Testamento, contrapposto al dio malvagio, del Vecchio Testamento. Ora il Serpente con la sua azione cercò di emancipare Eva dal dominio gretto di Jahvéh; così cercò di emancipare Caino, e via di seguito. La legge morale della Bibbia sarebbe una coercizione data da Jahvéh, e quindi da abbandonare per dare vita ad una situazione di progresso, di emancipazione. Caino si liberò e costruì una città.

Ma, sta attenta; Gesù per il testo, che dai passi che ho potuto vedere è molto contorto, non si è incarnato realmente, la sua vita in terra è stata solo apparentemente umana. L’Eone Cristo era in un corpo, ma un corpo, come dire, manovrato dall'Eone; un corpo non pienamente di uomo, cioè con un'anima che lo informa. Solo un involucro la cui realtà che lo muoveva era l'Eone Cristo, un'emanazione del Dio buono; l'Eone occupa il posto dell'anima, che per gli gnostici, ripeto, è una prigioniera del corpo e non la forma sostanziale del corpo. Nell'Eone Cristo si ha così un'umanità apparente, un uomo che non è precisamente tale, mentre Gesù è vero Dio e vero uomo; in lui ci sono due nature, la natura divina e quella umana, in una sola Persona, quella seconda della Santissima Trinità.

Ma tornando al cosiddetto Vangelo di Giuda, la richiesta a Giuda di tradirlo appare una richiesta di liberazione dal corpo, carcere fatto dal Dio cattivo. Così il tradimento di Giuda è un servizio che Gesù chiese. Il passo chiave del cosiddetto Vangelo di Giuda è questo: “Ma tu (Giuda) li supererai tutti, perché tu sacrificherai l'uomo che mi riveste”. Giuda, colui che superò tutti per il tradimento, possedette poi la dottrina della liberazione dal giogo del Dio Cattivo. Così è scritto in un passo del Vangelo di Giuda riguardo alla sua iniziazione alla conoscenza (gnosi), che lo scritto presenta come un entrare nella nube luminosa: “Allontanati dagli altri, a te rivelerò i misteri del Regno. Un Regno che raggiungerai, ma con molta sofferenza. Ti ho detto tutto. Apri gli occhi, guarda la nube  e la luce che da essa emana e le stelle che la circondano. La stella che indica la via è la tua stella”. E Giuda “aprì gli occhi, vide la nube luminosa e vi entrò”. Come vedi lo gnosticismo ha in sé il dualismo che sarà poi del manicheismo. Voglio dirti che c’è stato un infelice che ha voluto vedere nella celebrazione gnostica di Giuda un’arma che spunta ogni antigiudaismo, confondendo una persona con un’etnia; una persona con una religione. Ignorando che il Giuda gnostico è il più grande antigiudeo, perché nega che Jahvéh sia l’unico Dio e che sia provvidente e buono.

Come vedi il cosiddetto Vangelo di Giuda è una cosa contorta, morbosa, piena di pessimismo verso il corpo umano, piena di lacerazione dell'unità dell'uomo, completamente falsa nel tratteggiare l'identità di Cristo”.  

 

Inserito il 5 Maggio 2006

 

Una domanda oggi ricorrente: 1° Maggio 2006

 

 

Diverse persone sono rimaste colpite dall'illazione del Codice da Vinci di Dan Brown che Gesù fosse sposato con la Maddalena.

Il romanzo "Codice da Vinci" è stato confutato pagina per pagina da moltissimi autori, ma purtroppo la sua imponente divulgazione ha interessato 40 milioni di lettori e a ciò si deve aggiungere che tra poco la Sony metterà nelle sale cinematografiche il film relativo così è necessario chiarire un attimo la questione.

Dan Brown per la sua affermazione si appoggia al vangelo apocrifo gnostico di Filippo, rinvenuto nel 1945 presso Nag Hammadi in Egitto, in un esemplare non ben conservato. La datazione dell'apocrifo (cioè non facente parte del Canone) gnostico lo fa risalire al III secolo, quindi molto più tardi dei Vangeli. Un frammento del testo gnostico dice: "...la compagna del...è Maria Maddalena...più di... discepoli...le dava un bacio sulla...".

Si tratta di un bacio sul labbro nel senso preciso di un'azione iniziatica degli gnostici e non sponsale.  La parola esce dalla bocca e così viene messa in bocca alla Maddalena, che la deve trasmettere. Così in altro passo del Vangelo di Filippo si legge: "...dalla bocca, se il Logos viene da quel luogo, egli nutre dalla sua bocca...è per questo che noi ci baciamo l'un l'altro". Dunque nessun bacio sponsale.

C'è un altro testo gnostico che l'autore invoca ed è tratto dal Vangelo di Maria Maddalena, scritto molto più tardi dei Vangeli canonici. La Maddalena vi appare depositaria di un messaggio particolare e rivoluzionario. "...ma Andrea replicò e disse ai fratelli: "Dite che cosa pensate di quanto ella ha detto. Io, almeno, non credo che il Salvatore abbia detto ciò. Queste dottrine, infatti, sono sicuramente insegnamenti diversi (...). Riguardo a questo parlò anche Pietro (...). Ci dobbiamo ricredere tutti e ascoltare lei? Forse egli l'ha anteposta a noi? (...). Levi (Matteo) replicò a Pietro dicendo: "Tu sei sempre irruente, Pietro! Ora io vedo che ti scagli contro la donna come...gli avversari. Se il Salvatore l'ha resa degna, chi sei tu che la respingi?". Come si vede nessuna menzione di legami familiari, ma solo l'impostazione gnostica di emarginare gli Apostoli e il magistero della Chiesa, presentando una dottrina rivelata e superiore data non agli Apostoli, ma alla Maddalena, ad una donna.

Ma che cos'è lo gnosticismo? E' un movimento ereticale dei primi secoli della Chiesa, che trae materiale dal Platonismo e dal Mazdeismo. Comunque esso si configura come un'eresia in ambito cristiano.

Questi i tratti caratteristici.

Dio è unico e inconoscibile (l'Eone perfetto ed eterno). Da lui per emanazione procedono coppie di divinità minori (Eoni),che si generano gli uni dagli altri all'infinito costituendo così la pienezza del divino (Pleroma). Sophia, l'ultima delle divinità minori generate, volle conoscere l'inconoscibile Dio e per questo venne cacciata dal mondo della Luce. Essa emanò una serie di enti inferiori (Arconti), tra i quali c'è Jadabaoth, cioè Jahvéh, il Dio del Vecchio Testamento, che è posto in contrasto duale con il Dio del Nuovo Testamento, che coincide con l'Eone perfetto ed eterno. Jadabaoth creò il mondo inferiore, il mondo materiale del cosmo e dell'uomo. Sophia si pentì e salì di nuovo fino ai margini della Luce.

Il corpo umano è parte del mondo inferiore e l'anima, particella della Luce o Pneuma, vi si trova imprigionata. Non si pensi che l'idea dei due apocrifi gnostici di affidare alla Maddalena un messaggio superiore a quello degli Apostoli sia per l'emancipazione della donna, poiché invece è rivolto a staccare il soggetto dall'essere corporeo, di cui fa parte l'essere sessuale. L'anima può sfuggire al giogo di Jadabaoth, ma gli uomini non conoscono questa possibilità. Per questo venne inviato in terra l'Eone Cristo affinché dicesse la verità agli uomini.

L'Eone Cristo non poteva assumere un corpo, che è materiale e rende prigioniera l'anima, per questo non si incarnò, ma assunse solo un'apparenza umana. Così non soffrì, non morì, non risuscitò, ma tutto fu un'apparenza. (Vedi anche Docetismo).

Lo gnosticismo praticava il rigorismo ascetico  come rifiuto della corporeità, ma anche il lassismo nell'idea che l'anima non venisse contaminata dall'azione peccaminosa compiuta col corpo. La salvezza era data dalla conoscenza inziatica.  

 

Inserito il 1° Maggio 2006

 

L'uomo teologo Carlo Maria Martini: il male minore   21 Aprile 2006

 

 

Sull'Espresso di oggi il Card. Martini dice che il profilattico in caso di Aids è il male minore. Si giungerebbe così a porre argine alla trasmissione della malattia. Il male minore dunque è l'uso del profilattico in caso di situazione Aids, il male maggiore cosa sarebbe? La trasmissione dell'Aids. Ma si potrebbe pensare, di fronte alla fluidità verbale del giornalismo, che il male maggiore a questo punto sia la continenza, cosa però che il Cardinale non afferma. Evidentemente questo non è, e, anzi, una vera educazione alla sessualità deve includere la continenza, poiché la continenza non oscura il valore della sessualità, ma lo afferma. Di fatto l'educazione sessuale non include oggi la prospettiva della castità. Giustamente il vescovo Alessandro Maggiolini in un articolo di oggi ( 21 Aprile) sul Resto del Carlino trova difficoltoso da accettare l'intervento del Card. Martini su materie delicate, che riguardano in ogni caso l'ambito matrimoniale e non l'avventura sicura, su di un giornale. Di fronte all'Aids la terapia è quella di dare il vero valore alla sessualità. Vero valore che si esprime solo nell'ambito coniugale. Se l'Aids si è venuto ad introdurre nell'ambito coniugale per l'extraconiugalità di uno dei coniugi esso risulta un test drammatico sulla loro fedeltà reciproca. Un marchio al vizio, voglio dire senza mezze parole. La coppia allora è invitata ad un cammino di riconciliazione, di accettazione del danno, che può avere soluzione non nel "male minore", ma in un bene maggiore: la continenza per il Regno.

Il Cardinale presenta anche quasi un'apertura all'impianto in utero di embrioni congelati in donne single; ma parlare solo di impianto in utero, come si esprime il Cardinale, è riduttivo - non è però nell'intenzione del Cardinale - della realtà personale dell'embrione, per cui vale anche qui il termine adozione, come per i bambini nati. La soluzione dell'impianto in donne single non è valida; il problema può essere risolto con l'adozione degli embrioni da parte di coppie. Un embrione non ha solo il diritto di svilupparsi, ma ha anche il diritto di avere una volta nato un ambiente familiare completo. Secondo il mio parere, nel caso in cui il bambino non trovi al momento una coppia che lo adotti, può essere dato in affido anche a persone single, ma solo in affido, non con una realtà definitiva. Un bambino, quando chiama mamma una persona deve poter dire papà alla persona complementare. Ci sono dei casi particolari in cui l'adozione ad un single è consentita dalla legge, ma sono casi diversi dalla mia considerazione di affido ad un single. La legge 184 del 4 Maggio 1983 prevede che si può avere l'adozione da parte di un single se uno dei due coniugi, nel corso dell'affidamento preadottivo, che dura un anno o anche più a seconda delle circostanze, muore o diviene incapace, o se, sempre nel corso dell'affidamento preadottivo interviene una pronuncia di separazione tra i coniugi affidatari. La legge ammette inoltre l'adozione da parte di un single se il richiedente è unito al minore, orfano di padre e di madre, da un vincolo di parentela fino al sesto grado, o da rapporto duraturo e stabile preesistente alla perdita dei genitori, nonché quando sia figlio di genitori in gravi ed irreversibili condizioni di salute.

Assolutamente va affermato che l'accoglienza di un embrione nell'utero di una donna single non realizza il caso di un affido venendo a realizzarsi tra l'embrione e la donna, nella gestazione, dei connotati fisici di maternità, assenti nell'affido.

Comunque quanto riferisce l'Espresso non si deve attribuire al Cardinale Martini in quanto Cardinale, ma solo all'uomo teologo Carlo Maria Martini.

Poi a tutti è noto che il rimedio proprio della Chiesa contro l'Aids è il matrimonio, la fedeltà coniugale, il rispetto per l'alto valore della sessualità. I casi specifici, soggettivi, non sono oggetto di stampa divulgativa, ma di riflessione circostanziata guidata da un sacerdote e dalla preghiera.

La parola male minore non deve mai diventare una magica parola di soluzione, perché il male minore non diventa un quasi bene facendo il confronto con il male maggiore.  

 

Inserito il 21 Aprile 2006

 

Una telefonata sui Pacs: 23 Marzo 2006

 

 

"Padre Paolo sono rimasta male nel sapere che vogliono introdurre i Pacs. Non ci si capisce niente".

"Non hai tutti i torti. Noi restiamo con la Chiesa. Il Card Ruini ci ha detto che la Chiesa non accetta i Pacs".

"Ma entrambe le coalizioni li vogliono!".

"Le posizioni dei due schieramenti sono diversificate. Nel centrodestra non si accetta l'istituzione dei Pacs, e si guarda al codice civile per gestire le cosiddette unioni di fatto, tra le quali non ci sono solo due anziane sole che convivono e giocano a briscola, ma anche omosessuali. Il centrosinistra vuole i Pacs, cioè i cosiddetti patti di civile solidarietà, affermando di non mettere in discussione il valore della famiglia, e di non volere, come Zapatero, l'adozione di figli per le coppie omosessuali, tuttavia la tendenza è esattamente questa. Speriamo in alleanze trasversali che accolgano gli appelli della Chiesa.

Cosa dire? Bisogna illuminare, guarire. Io credo che una società sana debba affermare il valore di natura; non c'è civiltà quando si indebolisce il senso del dato naturale della famiglia, che del resto la nostra costituzione prevede all'Art. 29.

La libertà non può andare contro il dato della natura; non si può relativizzare il dato naturale della famiglia, o del sesso. L'omosessualità non è affatto “una variante” della sessualità, ma un oscuramento della sua realtà. Non lo si dice, ma il 30% degli omosessuali sottoposto a psicoterapia è guarito, e credo che se le terapie fossero fatte per tempo i risultati sarebbero più ampi. La scienza dovrebbe preoccuparsi anche delle disfunzioni ormonali e provvedervi. Questo con buona pace di chi dice che l'omosessualità non è una situazione anormale, e che perciò non ha bisogno di terapia. Qui non si tratta di avere la fede cristiana, ma di avere almeno il concetto di natura. Quando si misconosce il concetto di natura, si misconosce un dato di fondo.

Vedi, il rispetto per l'uomo è sempre dovuto, ma non tutto ciò che fa l'uomo merita approvazione; il furto non merita approvazione, l'adulterio non merita approvazione, e così via. Il peccato non può essere oggetto di celebrazione, perché il peccato è un'ingiustizia davanti a Dio e davanti agli uomini.

Noi richiamiamo gli uomini a ravvedersi dai disordini morali, a seguire la legge morale scritta nella loro coscienza, li invitiamo ad aderire a Cristo Salvatore; certo tollerando i loro comportamenti sbagliati, ma mai celebrandoli; anzi avendone profondo dolore. Pacs vuol dire: Patti di civile solidarietà. Un brutto nome, perché fa passare la cosa come conquista civile, ciò che non è. E così vengono proposti come un'alternativa moderna al matrimonio. Qui non ci si muove sul piano della conquista. Ma la cosa non sorprende: il mondo sempre celebra i suoi tristi progressi.

Ecco il Card. Ruini ha detto che non c'è alcun bisogno dei Pacs, di "un piccolo matrimonio", e che "Il problema è che i Pacs, al di là del nome diverso e di altre cautele verbali, sono modellati in buona parte sull'istituto matrimoniale". Il Cardinale ha anche detto, tenendo conto della realtà sociale attuale, senza far venire meno l'impegno ad aprirla al Vangelo, che "la protezione giuridica delle unioni di fatto deve seguire la strada del diritto comune e qualora emergessero alcune ulteriori esigenze, specifiche e realmente fondate, eventuali norme a loro tutela non dovrebbero comunque dar luogo a un modello legislativamente precostituito e tendere a configurare qualcosa di simile al matrimonio, ma rimanere invece nell'ambito dei diritti e doveri delle persone". Il Card Ruini sa benissimo che tanti partiti sono pronti a celebrare i Pacs come progresso sociale, come conquista di civiltà. Non si tratta di un'operazione di giustizia quella dei Pacs, come ci viene fatto credere, ma di un'operazione di celebrazione di modelli nuovi di famiglia, che non è più famiglia. Nessuno dimentica gli applausi del parlamento di Zapatero. Nessuno dimentica le parole di celebrazione di Vendola nella regione Puglia dove si sono introdotti, con un'astuta contorsione verbale i Pacs.

Il fatto elettorale? In merito alle prossime competizioni elettorali il Card. Ruini ha detto chiaramente che la Chiesa non protegge e privilegia nessuno schieramento politico, e che opera esclusivamente per  il bene dell'uomo".

"Grazie. Avevo bisogno di un po' di chiarezza".  

 

Inserito il 25 Marzo 2006

 

Vuote citazioni ecclesiali di Bertinotti a “Porta a porta”: 12 Gennaio 2006

Nel confronto con Berlusconi, che condannava il comunismo come criminale per la sua realtà storica, Fausto Bertinotti reagiva dicendo che Giovanni Paolo II ha definito il comunismo “un male relativo, storico, mentre il male assoluto è il nazismo e il fascismo”. Presentava, poi, come pensiero di Giovanni Paolo II che “il comunismo è stato un male necessario”. Quindi Bertinotti accennava ad origini lontane del comunismo chiamando in causa san Paolo e i Gesuiti. Le imprecisioni dell’onorevole Bertinotti in materia di storia della Chiesa sono molto gravi e rendono necessario un chiarimento. Giovanni Paolo II nell’enciclica “Laborem exercens” del 14 settembre 1981, prima della caduta del muro di Berlino, a proposito del comunismo dice parole molto distanti dal pensiero del leader di RC, che identifica la questione operaia e la conseguente azione sindacale, con l’ideologia comunista: “Questo conflitto, interpretato da certuni come un conflitto socio-economico a carattere di classe, ha trovato la sua espressione nel conflitto ideologico tra il liberalismo, inteso come ideologia del capitalismo, ed il marxismo, inteso come ideologia del socialismo scientifico e del comunismo, che pretende di intervenire in veste di portavoce della classe operaia, di tutto il proletariato mondiale. In questo modo il reale conflitto, che esisteva tra il mondo del lavoro ed il mondo del capitale, si è trasformato nella lotta programmata di classe, condotta con metodi non solo ideologici, ma addirittura, e prima di tutto, politici. È nota la storia di questo conflitto, come note sono anche le richieste dell'una e dell'altra parte. Il programma marxista, basato sulla filosofia di Marx e di Engels, vede nella lotta di classe l'unica via per l'eliminazione delle ingiustizie di classe, esistenti nella società, e delle classi stesse. L'attuazione di questo programma premette la collettivizzazione dei mezzi di produzione, affinché, mediante il trasferimento di questi mezzi dai privati alla collettività, il lavoro umano venga preservato dallo sfruttamento. A questo tende la lotta condotta con metodi non solo ideologici, ma anche politici. I raggruppamenti, ispirati dall'ideologia marxista come partiti politici, tendono, in funzione del principio della «dittatura del proletariato» ed esercitando influssi di vario tipo, compresa la pressione rivoluzionaria, al monopolio del potere nelle singole società, per introdurre in esse, mediante l'eliminazione della proprietà privata dei mezzi di produzione, il sistema collettivistico. Secondo i principali ideologi e capi di questo ampio movimento internazionale, lo scopo di un tale programma di azione è quello di compiere la rivoluzione sociale e di introdurre in tutto il mondo il socialismo e, in definitiva, il sistema comunista”.Giovanni Paolo II nel suo libro “Varcare la soglia della speranza”, ottobre 1994, scrive: “Peraltro, occorre guardarsi da un’eccessiva semplificazione. Ciò ce chiamiamo comunismo ha la sua storia: è la storia della protesta di fronte all’ingiustizia, come ho ricordato nell’enciclica Laborem exercens, una protesta del grande mondo degli uomini del lavoro che è diventata ideologia (…). Come spiegare altrimenti il crescente divario tra il ricco Nord e il sempre più povero Sud? Chi ne è responsabile? Responsabile è l’uomo; sono gli uomini, le ideologie, i sistemi filosofici. Direi che responsabile è la lotta contro Dio, la sistematica eliminazione di quanto è cristiano; una lotta che in grande misura domina da tre secoli il pensiero e la vita dell’occidente. Il collettivismo marxista non è che un’edizione peggiorata di questo programma”.Giovanni Paolo II ha accomunato il nazismo e il comunismo nelle “ideologie del male”. Il concetto di “male necessario” circa il comunismo Giovanni Paolo II lo esprime nel quadro della Provvidenza che sa trarre il bene dal male.Queste le sue precise parole presenti nel libro “Memoria e identità”, marzo 2005: “Mi è stato dato di fare esperienza personale delle “ideologie del male”. È qualcosa che resta incancellabile nella mia memoria. Prima ci fu il nazismo. Quello che in quegli anni si poté vedere era già cosa terribile. Ma molti aspetti del nazismo, in quella fase, di fatto rimasero nascosti. La reale dimensione del male che imperversava in Europa non fu percepita da tutti, neppure da quelli tra noi che stavano al centro stesso di quel vortice. Vivevamo sprofondati in una grande eruzione di male e soltanto gradualmente cominciammo a renderci conto della sua reale entità. I responsabili di esso facevano infatti molti sforzi per nascondere i loro misfatti agli occhi del mondo. Sia i nazisti durante la guerra che, più tardi, nell’Est dell’Europa i comunisti, cercavano di occultare all’opinione pubblica ciò che facevano. (…). Più tardi, ormai a guerra finita, pensavo tra me: il Signore Dio ha concesso al nazismo dodici anni di esistenza e dopo dodici anni quel sistema è crollato. Si vede che quello era il limite imposto dalla Divina Provvidenza a una simile follia. (…). Se il comunismo è sopravvissuto più a lungo e se ha ancora dinanzi a sé, pensavo allora tra me, una prospettiva di ulteriore sviluppo, deve esserci qualche senso in tutto questo. [...]. Ciò che veniva fatto di pensare era che quel male fosse in qualche modo necessario al mondo e all’uomo. Succede, infatti, che in certe concrete situazioni dell’esistenza umana il male si riveli in qualche misura utile, in quanto crea occasioni per il bene. Non ha forse Johann Wolfgang von Goethe qualificato il diavolo come “una parte di quella forza, che vuole sempre il male e opera sempre il bene”?”.Circa i Gesuiti chiamati in causa ma senza dire il perché, Bertinotti sicuramente si riferiva alle Riduzioni del Paraguay ed in altre aree nel 1700. Nelle Riduzioni, che erano sotto la giurisdizione suprema del re di Spagna al quale pagavano un contributo anche se esiguo, molto era in comune, ma non venne abolita la proprietà privata, abolizione che è al fondamento dell’ideologia comunista. Esse erano rivolte a riunire stabilmente in determinate aree varie tribù nomadi divise tra loro, lo scopo era avviarle ad un sistema di vita comune e al cristianesimo. Questa formula delle Riduzioni si rifà alla comunità primitiva di Gerusalemme. San Paolo, fautore di una colletta per i bisognosi delle varie comunità, non pensò mai di abolire la proprietà privata (Cf. 2Cor 8,3.11.13). La comunità di Gerusalemme (At 4,32s), che però Bertinotti non

ha citato, metteva in comune i propri beni, senza alcuna costrizione, per un soccorso reciproco, non per impiantare un sistema. Infatti  le primissime comunità si presentavano come realtà di fermento cristiano della società intera per la quale non era assolutamente prevista l’abolizione del diritto di proprietà.

 

Inserito il 15 Gennaio 2006

 

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