VII
Stazione: Gesù cade la seconda volta
V/. Adoramus te,
Christe, et benedicimus tibi
R/. Quia per sanctam crucem tuam redemisti
mundum
La Parola (Ps 87; 85): “Io sono colmo di sventure, la mia vita è vicina alla tomba.
Sono annoverato tra quelli che scendono nella fossa, sono come un morto ormai
privo di forza. E' tra i morti il mio giaciglio, sono come gli uccisi nel
sepolcro, dei quali tu non conservi il ricordo e che la tua mano ha
abbandonato. Mi hai gettato nella fossa profonda, nelle tenebre e nell'ombra di
morte. Pesa su di me il tuo sdegno e con tutti i tuoi flutti mi sommergi”. “Ma
tu, Signore, Dio di pietà, compassionevole, lento all'ira e pieno d'amore, Dio
fedele, volgiti a me e abbi misericordia: dona al tuo servo la tua forza, salva
il figlio della tua ancella”.
Meditazione
Gesù cadde
ancora sotto il peso della croce. Il vederlo a terra, nella polvere, faceva gridare
di lugubre gioia la
folla, ormai accalcata dalla ristrettezza dello spazio. Una
folla urlante, con a capo i sommi sacerdoti, impassibili e duri.
Gesù si
rialzò, cercò di rialzarsi. Quello che colpiva era la sua volontà di rialzarsi.
Non sembrava uno che cercava di sottrarsi e che bisognava colpire perché
procedesse nel cammino; era uno che abbracciava il patire. I soldati erano
sorpresi: non c'era bisogno che venisse colpito; si rialzava da solo. Il Cireneo
non venne più chiamato ad aiutarlo, ma certamente era ancora presente; non è pensabile che
avesse ripreso tranquillamente la sua
strada di prima: ormai la sua strada si era incrociata con quella del Cristo, e
aveva preso la stessa strada del Cristo.
Mancava la
disperazione in quel condannato. Quel condannato irraggiava un quid regale percepito sempre di più dal centurione.
Quell'Uomo non
era interiormente piegato, vinto. Era oltremodo sofferente, ma
stava vincendo una battaglia che andava aldilà del quadro dell'esecuzione: era la
battaglia contro l'odio, mediante l'amore.
Mentre la
turba urlante lo considerava un maledetto da Dio, e in nome di questo si accaniva senza soste contro di lui, egli,
l'Uomo dei dolori, era gradito al
Padre. Il Padre taceva su di lui, perché il Figlio, in tutto obbediente a lui, si
era addossato tutti i peccati del mondo. L'Uomo dei dolori era prono a terra, e di lì a poco
sarebbe stato innalzato sulla croce, e non avrebbe più toccato la terra da vivo,
ma non si ribellava alla sua situazione. Non dichiarava al Padre di aver già sofferto
abbastanza. Non si innalzava su Gerusalemme con un atto
della sua onnipotenza, rimaneva invece nella debolezza perché per mezzo di questa
stava liberando l'uomo dal peccato. Bisognava procedere nel sacrificio,
solo così il cuore dell'uomo sarebbe stato conquistato dall'Amore. Se si fosse
rialzato maestoso, e avesse azzerato Gerusalemme, avrebbe perso. Avrebbe vinto il Sinedrio, che rifiutava il pensiero di un Dio Amore fattosi uomo
per amore dell'uomo.
Gesù era caduto a terra, ma era come se si fosse prostrato, a terra,
davanti al Padre, in atteggiamento di umiltà e di ubbidienza; anzi molto di
più;
prostrato davanti al Padre come vittima in atto.
Alla folla
urlante sfuggiva tutto questo, eppure qualcosa avvertiva, se gridava e gridava,
volendo l'annullamento dell'Uomo. Infatti quell'Uomo non aveva
i
tratti di uno sconfitto.
Preghiera
Signore
Gesù, nel momento in cui le forze sembrano abbandonarci, quando si ride su di
noi pensando che la nostra fede in te poggi sul nulla, aiutaci a continuare ad
amare. Quando lo scherno si
stratifica allo scherno, aiutaci a continuare a seguirti, a reagire con la determinazione di chi è umile e ama, e sa che sta vincendo.
Quis non posset
contristari,
Christi matrem contemplari,
dolentem cum Filio?
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