VIII
Stazione: Gesù consola le donne di Gerusalemme
V/. Adoramus te,
Christe, et benedicimus tibi
R/. Quia per sanctam crucem tuam redemisti
mundum
La Parola (Lc 24,15-20; 23,28-31): “Quando
dunque vedrete l'abominio della desolazione, di cui parlò il profeta Daniele,
stare nel luogo santo, allora quelli che sono in Giudea fuggano ai monti, chi
si trova sulla terrazza non scenda a prendere la roba di casa, e chi si trova
nel campo non torni indietro a prendersi il mantello. Guai alle donne incinte e
a quelle che allatteranno in quei giorni. Figlie di Gerusalemme, non piangete
su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. Ecco, verranno giorni
nei quali si dirà: Beate le sterili e i grembi che non hanno generato e le
mammelle che non hanno allattato. Allora cominceranno a dire ai monti: Cadete
su di noi! E ai colli: Copriteci! Perché se trattano così il legno verde, che
avverrà del legno secco?”.
Meditazione
Sulla via
del Calvario comparve un gruppo di donne di Gerusalemme che piangeva su Gesù battendosi
il petto, pronunciando lamenti, come in un funerale.
Non era quello il modo giusto per stargli accanto, e così Gesù sottrasse
quelle donne all'atmosfera da funerale che le attanagliava. Non dovevano piangere
su di lui, ma su di loro.
Se il
legno verde viene colpito e rifiutato, terribile sarà la sorte del legno secco
(Lc 23,31). Gesù è il legno verde, cioè vivo, Gerusalemme è il legno secco,
cioè morto davanti a Dio. Rifiutando Gesù,
l'invidioso Sinedrio stava cercando di salvare il proprio prestigio sul
popolo, pensando di poter giocare l'autorità romana con un bugiardo ossequio.
I sommi sacerdoti
credevano di ingraziarsi Roma, o meglio credevano di poter strumentalizzare Roma
per i propri fini. Ma non sarà così. Quella turba delirante, capeggiata dai
sommi sacerdoti, stava consumando la scelta radicale per un Messia di guerra,
di armi, di spade, di ribellione a Roma, di pace edificata sul sangue degli
altri.
Il gruppo
di donne di Gerusalemme aveva solo motivo di piangere su se stesso. Quel fare funereo non si
addiceva a lui, il Vivente che moriva per dare vita.
Gesù
non doveva essere
compassionato con i toni di un funerale, come uno afferrato per sempre dalla
morte.
Neppure il cristiano colpito, perseguitato, deve
leggersi, se è veramente in Cristo e perseguitato per Cristo, come uno
sventurato, ma al contrario come un uomo che cresce nella vita, anche
se tutta la sua umanità è ferita a morte. Egli sperimenta la gioia interiore che è propria
di chi ama, e che è conosciuta solo da chi ama in Cristo. E' una gioia che non
può essere omologata con le gioie umane, perché è gioia di incontro con Dio, in
Cristo, nell'apertura ai fratelli, nel fuoco dello Spirito Santo. E' una gioia
che rimane anche quando la spada del dolore si infigge nell'anima e la tormenta.
La
Vergine piangerà sul Figlio quando glielo porranno sulle ginocchia, tra le
braccia. Sarà un pianto straziante, ma nel “centro più centro” del cuore
della
Madre,
pur attanagliato da un immenso dolore, c'era gioia; diversissima dalle gioie a
cui siamo abituati e che desideriamo tanto, poiché era gioia che attingeva al
mistero dell' essere in Cristo. Gioia diversissima, distinta da un'illusa euforia misticheggiante, perché nasceva
dal profondo della fede e
dell'amore.
Preghiera
Signore
Gesù, le donne di Gerusalemme ti compassionarono con lamenti funebri, come se
la tua morte segnasse un addio definitivo. Anche noi ti compassioniamo, ma con
animo diverso. Tu Signore ci hai amato nei patimenti; tu, da morti che eravamo, ci hai dato vita. Tu ci hai resi capaci di considerare l'immisurabile amore col quale ci hai amati. Noi,
Signore, volgendo lo sguardo verso di te, povero umile e crocifisso, ti
adoriamo, ti benediciamo, ti lodiamo, ti ringraziamo, ti compassioniamo.
Tui Nati vulnerati,
tam dignati pro me pati,
pœnas mecum divide.
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