IX
Stazione: Gesù cade per la terza volta sotto la croce
V/. Adoramus te,
Christe, et benedicimus tibi
R/. Quia per sanctam crucem tuam redemisti
mundum
La Parola (Ps 68): “Chi spera in te, a causa
mia non sia confuso, Signore, Dio degli eserciti; per me non si vergogni chi ti
cerca. Per te sopporto l'insulto e la vergogna mi copre la faccia; sono un
estraneo per i miei fratelli. Ricadono su di me gli oltraggi di chi ti insulta.
Ma io innalzo a te la mia preghiera. Liberami dai miei nemici e dalle acque
profonde. Non mi sommergano i flutti delle acque e il vortice non mi travolga,
l'abisso non chiuda su di me la sua bocca. Rispondimi, Signore, benefica è la
tua grazia; volgiti a me nella tua grande tenerezza. Non nascondere il volto al
tuo servo”.
Meditazione
I lenti
passi di Gesù si conclusero con un'ultima caduta, a pochi metri dal luogo
dell'esecuzione.
Il peso
del silenzio del Padre gravava su di lui, più del peso della croce. Il Padre taceva,
trovando la forza di fare questo nello Spirito Santo che, mentre sosteneva il
silenzio del Padre sul Figlio, sosteneva il grido d'amore del Figlio verso il
Padre in un'adesione totale agli uomini. Gli uomini lo stavano rifiutando nel
modo più crudele, ciechi di
quello che stavano realmente facendo, ma lui chiedeva perdono per
loro. Gli uomini volevano scavare un fossato invalicabile tra loro e Dio, ma Gesù
gettò su quel fossato il ponte della sua misericordia.
A Gesù
stava davanti l'epilogo della crocifissione e della morte. Cadde prostrato a terra.
Era
la vittima che toccava per l'ultima volta la terra, prima di essere elevata sull'altare
della croce. Era la vittima sgozzata dai peccatori che, prossima ad essere consumata
dal fuoco dello Spirito Santo, elevava verso l'alto, ancora una
volta, l'offerta di sé.
Solo
quell'oblazione poteva redimere il genere umano, liberarlo dalla somma senza
fine di peccati. E ogni peccato grave contrae davanti a Dio una gravità
immisurabile, proprio perché rivolto alla maestà infinita di Dio. Davanti agli
uomini il peccato è una realtà limitata, ma davanti a Dio è una realtà senza
misura, che ha avuto bisogno di una redenzione senza misura, quella del Cristo
vero Dio e vero Uomo.
Gesù era mite
e umile, tutto focalizzato nel cuore. L'accettazione di tutto avveniva nella
crescita dell'amore per gli uomini. Le urla venivano accolte da lui nella
pazienza, frutto primo dell'amore. Il dolore, gli oltraggi, in chi ama non fanno che aumentare la
pazienza, quella che fa sempre più grande l'amore. Il cuore di Gesù era un
incendio d'amore.
Un giorno Satana
gli chiese di adorarlo per ottenere da lui i regni della terra,
vantando nella menzogna di esserne il proprietario, ma Gesù gli rispose: 1“Sta scritto: Solo al Signore tuo Dio ti prostrerai, lui solo
adorerai”. Di
fronte alla croce, all'essere confitto in croce e lasciato morire così, Gesù
non indietreggiava. Era a terra, ma Satana vedeva bene che era prostrato davanti al
Padre, pronto a fare in tutto la sua volontà.
Gli
uomini deliravano sulla cima del Calvario, non sapevano quello che stavano facendo,
non vedevano la battaglia in atto tra la Luce e le Tenebre. Gesù
“re
dei Giudei” aveva scritto Pilato, ma era anche scritto nel libro di Isaia:
2“E'
troppo poco che tu sia mio servo per restaurare le tribù di
Giacobbe e ricondurre i superstiti di Israele. Ma io ti renderò luce delle
nazioni perché porti la mia salvezza fino all'estremità della terra”. Ora
stava avvenendo la realizzazione di quella parola; la salvezza sarebbe dilagata
sulla terra.
1(Lc
4,8); 2(Is 49,6)
Preghiera
Signore
Gesù, essere sfiniti a pochi passi dall'apogeo dei dolori ci porta allo
sgomento, ma tu aiutaci a procedere. Aiutaci a procedere anche se il Padre ci
“abbandona”, ritirando da noi le sue consolazioni, per farci, in unione a te,
in dipendenza da te, dei piccoli corredentori. Ma tu, Signore Gesù mai ci
abbandoni, come ci hai promesso, e come sperimentiamo, poiché nel centro più
centro del nostro cuore avvertiamo la pace e la forza della tua presenza, anche
se la spada del dolore ci colpisce.
Eia
mater, fons amoris,
me sentire vim doloris
fac, ut tecum lugeam.
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